mercoledì 29 ottobre 2014

La Quarta Era. Capitolo 18. Arwen e Legolas. Finché dureranno i Troni dei Valar...



Era passato più di un mese dalla morte di Aragorn, ma erano successe così tante cose che ad Arwen sembrava fossero trascorsi dieci anni.
Non era soltanto una questione di avvenimenti esterni.
Il mio corpo sta cedendo. Ogni giorno ho meno forze e più dolori, ogni giorno una nuova piega nella pelle, un nuovo capello bianco. La vista mi si offusca, l'udito mi si ottunde. 
Si ricordò di una frase che il vecchio Bilbo Baggins aveva detto a Frodo, quando si erano incontrati di nuovo a Gran Burrone: "Alla fine la vecchiaia ha raggiunto anche me".
All'epoca le era sembrato impossibile che quello strano appassimento che era toccato in sorte ai mortali potesse toccare anche a lei.
Non si sapeva niente degli ultimi anni di Luthien dei Sindar o di Idril dei Noldor.
Nimloth invece era stata uccisa durante la caduta del Dòriath.
Chi era stato dunque l'ultimo dei Mezzelfi a scegliere una vita mortale?
Elros Tar-Minyatur,  primo re di Numenor e fratello gemello di mio padre.




La decisione di Elros non era stata dettata dall'amore, ma dall'opportunità di fondare un grande regno per gli uomini, all'inizio della Seconda Era.
Visse più di cinquecento anni, regnò più di tutti gli altri, e dopo aver ceduto lo scettro a suo figlio, scelse il giorno della propria morte e si spense nel sonno.
Da allora non vi era più stato alcun Mezzelfo a scegliere la condizione umana.
Io ho vissuto molto più a lungo, ed è come se il mio corpo se ne accorgesse solo ora.
Se non avesse avuto la preoccupazione per la sorte dei suoi figli, probabilmente avrebbe accolto quel languore senza alcuna resistenza. abbandonandosi all'oblio.
Prima devo assicurarmi che Silmarien non corra pericoli. Fintanto che non sarà al sicuro, io non mi sarò meritata il diritto di morire.
Era strano pensare alla morte come a un "diritto",
Per tanti anni mi è sembrata una cosa di cui aver paura. Adesso è il contrario, la morte mi sembra più leggera di una piuma, mentre la vita, con le sue fatiche e le sue sofferenze, mi pare più pesante di una montagna.
Forse era stata la vecchiaia a favorire questa consapevolezza e il dolore per la morte di Aragorn e per le liti familiari e politiche aveva accelerato quel processo.
Ma c'era qualcosa di più.
La condizione umana è transitoria. Gli uomini guardano a questo mondo con occhi diversi dagli immortali, in quanto percepiscono il cambiamento in modo molto più acuto.
Era anche di questo che voleva parlare con Legolas, ed ora che l'elfo era davanti a lei, nell'alloggio che le era stato assegnato nella reggia di Nuova Edoras,  cercò di esprimere quel concetto attraverso un esempio:
<<Sai, Legolas, c'è una cosa che quando ero un elfo non riuscivo a capire, e invece adesso che sono umana mi è fin troppo chiara. Riguarda la tendenza che hanno gli uomini anziani a rimpiangere il mondo com'era al tempo della loro gioventù>>





Legolas annuì:
<<E' una caratteristica dei mortali e riguarda anche i Mezzuomini e i Nani. 
Gimli non fa altro che parlare del passato e conclude ogni discorso dicendo: "Quellì sì che erano tempi!">>
Sorrise e Arwen sorrise a sua volta:
<<Chi l'avrebbe mai detto che anche io sarei arrivata a parlare come il buon vecchio Gimli?! 
Anche solo dieci anni fa sarebbe stato impensabile. Ma quando senti che il tempo sta scadendo, allora percepisci il cambiamento in maniera più evidente. Non guardi più al futuro come ad una fonte di felicità, capisci quel che sto cercando di dirti?>>
L'elfo divenne serio:
<<Credo di sì. I mortali sanno che nel futuro ci sarà la fine di tutto ciò che hanno amato>>
Arwen approvò:
<<Il cambiamento diventa doloroso quando testimonia ciò che di giorno in giorno va perduto. Per un elfo ci voglio almeno cinquemila anni, prima di provare qualcosa di analogo. Almeno così successe a mio padre e a tutti coloro che partirono con lui in direzione di Valinor>>
Gli occhi di Legolas si velarono leggermente:
<<Fu così anche per mio padre. Per me invece è diverso. Sarei andato a Valinor per curiosità, non certo per stanchezza. I Valar possono attendere...>>



Si stavano avvicinando ad un discorso che non era più rimandabile:
<<Hai detto: "sarei andato". Hai forse cambiato idea?>>
Legolas guardò lontano, oltre la finestra, verso l'orizzonte.
<<Sono successe molte cose negli ultimi giorni. Fuori e dentro di me>>
Arwen annuì:
<<E' giunto il momento di parlarne. Nessuno meglio di me può capire il tuo conflitto interiore. Lo spirito tragico nasce sempre dal conflitto tra esigenze inconciliabili. 
Alla fine siamo chiamati a prendere una decisione e c'è sempre un sacrificio che misura l'intensità di un sentimento. 
Questo è ciò che la condizione umana mi ha insegnato>>
L'elfo colse il messaggio sottinteso:
<<Forse è per questo che anch'io ho trovato i miei migliori amici tra i mortali, ed ora...>> si fermò, lasciando la frase in sospeso.
<<Ora ti sembra di avere trovato anche l'amore, tra i mortali. 
Ho visto che guardi Silmarien con occhi diversi e non c'è nulla di male in questo, perché ora lei è adulta. Successe la stessa cosa a me con Aragorn. Pochi ci pensano, ma io avevo già vissuto per secoli quando lui nacque.
Sua madre Gilraen era la mia migliore amica. Aragorn era solo un ragazzo quando lasciò per la prima volta Gran Burrone, per servire come cavaliere alla corte di Thengel di Rohan, il padre di Thoeden, e poi di Echtelion di Gondor, il padre di Denethor. 
Ma quando tornò era un uomo ed io lo guardai con occhi diversi. 
Gilraen se ne avvide e mi parlò come ora io parlo a te. Ricordo le sue parole come se fosse ieri: "L'intensità con cui gli umani vivono l'amore è uno dei doni della morte">>



Si fermò, per dare a Legolas il tempo di riflettere.
Amore e morte, i due più grandi misteri dell'universo, si sono affacciati insieme nella mia vita e nella tua. 
Era scesa la notte, e la stanza, illuminata solo da una piccola lampada, aveva assunto un colore violaceo, che si rifletteva sui loro volti.
<<All'epoca la frase di Gilraen mi parve un paradosso. Non ritenevo possibile che la morte potesse elargire doni. Si diceva che il Creatore Eru Iluvatar avesse concepito la morte come un dono per i suoi secondogeniti, gli Uomini, ma quel concetto mi risultava incomprensibile>>
Legolas la fissò, incuriosito:
<<E ora hai trovato una risposta?>>
Arwen sostenne il suo sguardo, ed i suoi occhi brillarono nella penombra:
<<Sì. Ora mi è tutto chiaro. Adesso è l'immortalità elfica ad apparirmi una prigione. 
Gli Elfi sono condannati a vivere in eterno in questo mondo. Se anche cadono uccisi o decidono di togliersi la vita, come pure è capitato, sostano poi per lungo tempo nelle Aule di Mandos, il luogo che si trova nell'estremo occidente. Poi le loro anime tornano a vivere, spesso nel corpo di uno dei loro discendenti. Non c'è via d'uscita. Resteranno sempre intrappolati in questo mondo. 
Gli uomini invece no. A loro è consentito di evadere da questa prigione. 
E Iluvatar stesso ammonì i Valar a rispettare questa condizione: "Non si tratta della fuga del disertore" egli disse "si tratta dell'evasione del prigioniero". E' come trovare una maglia rotta nella rete che ci stringe, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene...>>
Quelle oscure parole si depositarono nella mente di Legolas come le piume di un corvo in una notte senza luna.
Mancava soltanto un indizio, quello che nessuno aveva mai sospettato:

<<Iluvatar disse anche: "Questo ordine varrà finché dureranno i Troni dei Valar". 

Fu mia nonna Galadriel a rivelarmi queste parole e a spiegarmene il senso. Lo aveva visto nel suo specchio: l'ordine sarà sovvertito se un mortale rinuncerà all'amore per salvaguardare l'immortalità dell'amato. "Se questo sia un bene o un male, non mi è dato sapere">>



Arwen ritornò con la mente a quel giorno, al momento in cui Galadriel le aveva posato una mano sulla spalla e le aveva sussurrato:
"Ho visto il volto delle tue tre figlie, nel mio specchio. Ancalime, Vanimelde e Silmarien.
Ho visto la loro determinazione. E ho visto vacillare i Troni dei Valar"

2 commenti:

  1. Un capitolo molto profondo, ed anche un pò malinconico, questo. E' strano pnsare ad una Arwen che invecchia e che usa parole del genere per descrivere l'avvicinarsi della propria a morte...
    Sinceramente mi riesce un pò difficile sia capire il senso della frase tipica degli anziani "ai miei tempi era tutto migliore" (se fosse così quelli che stavano meglio di tutti sarebbero stati gli uomini delle caverne...), sia il fatto di vedere l'immortalità come una prigione: cioè, lo sarebbe se uno fosse l'unico ad essere immortale, ma se sono immortali (e sempre giovani) anche tutti i tuoi amici e parenti, allora hai tutto il tempo per esplorare il mondo, divertirti ed imparare un sacco di cose, rimanendo sempre insieme alle persone che ami! :D
    Rinunciare all'immortalità per amore lo capisco, se non c'è altra scelta! Sarò superficiale, ma non riesco proprio a considerare la mortalità una condizione migliore dell'immortalità! ;)

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    1. Sono d'accordo con tutte le tue osservazioni. E' giustissima la frase secondo cui se ogni generazione rimpiangesse i tempi in cui era giovane si arriverebbe al paradosso di rimpiangere l'età della pietra :-D Nel fare un bilancio tra progresso e decadenza, obiettivamente bisogna riconoscere il valore delle comodità che il presente di offre, così come anche le migliori cure mediche, abbiano elevato di molto la qualità della vita. Purtroppo ci sono anche aspetti di decadenza e questi sono percepiti da chi ha idealizzato un periodo legato alla propria giovinezza. Gli anziani a volte rifiutano il cambiamento perché si sentono tagliati fuori, faticano ad adattarsi e questo è un disagio che spesso cresce con l'età. Nel capitolo pensavo più che altro al fatto che il cambiamento fa paura all'anziano perché gli ricorda lo scorrere inesorabile del tempo.
      E ovviamente sono d'accordo anche sul fatto che l'immortalità sarebbe una condizione preferibile, purché accompagnata da buone condizioni di salute. Quindi mi trovo assolutamente d'accordo con te e ti ringrazio per queste considerazioni che riguardano tematiche profonde e le affrontano con piena cognizione di causa. Naturalmente l'ottica del capitolo tiene conto delle convinzioni di Tolkien che come cattolico vedeva nella morte il passaggio ad una condizione migliore e anche se nelle sue opere non c'è, né ci poteva essere, un riferimento alla fede cristiana (collocata cronologicamente molto dopo le ere trattate nei romanzi), è in quell'ottica che Tolkien giustifica la decisione del creatore Iluvatar di attribuire agli uomini una condizione mortale, cosa apparentemente punitiva. Io non ho una fede religiosa, per cui mi pongo di fronte a queste tematiche con un atteggiamento di dubbio filosofico, e cedo la parola ai personaggi, immaginando che essi abbiano punti di vista diversi dai miei. E' una tecnica letteraria particolare, quella di immaginare i personaggi come interlocutori in un dibattito dove essi sostengono a volte delle tesi opposte a quelle del narratore o dell'autore. Mi piaceva vedere in Arwen una reazione particolare all'invecchiamento, una reazione molto diversa da quella che potrebbe avere uno di noi che putroppo non potrà vivere migliaia di anni come aveva vissuto lei. Ecco, la domanda interessante sarebbe se dopo migliaia di anni uno non incominci ad annoiarsi un po'... ma questo, ahimè, non lo sapremo mai, almeno non la nostra generazione :-D

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