mercoledì 26 marzo 2014

Le bassezze dell'Alta società. Capitolo 10. Virginia.




Virginia Ozzani, Contessa di Fossalta, sedeva nel salottino privato a piano terra di Villa Ozzani, immersa nei suoi pensieri.
A riportarla alla realtà (o come avrebbe detto Freud al "principio di realtà") fu la governante.
«Sono arrivati, signora Contessa» annunciò gravemente la donna, senza riuscire a mascherare la sua contrarietà riguardo a tutta quella maledetta faccenda.
«Mmm…» fu l'unica risposta di Virginia, alla quale seguì un silenzio imbarazzato, che poteva significare tutto e nulla allo stesso tempo.
«Ho detto che Voi stavate dormendo»
Silenzio.
La governante attese per un interminabile minuto, poi decise che il suo tempo era più prezioso di quello di Virginia Ozzani di Fossalta.
«Mi avevate ordinato voi di dire così»
A quel punto Virginia parve finalmente ridestarsi da un antico sogno.


«Concetta…»
La voce di Virginia era flebile e stanca.
«Sì, signora Contessa?»
«Com’erano?»
Questa curiosità l’aveva tormentata tutto il giorno, molto di più del dolore che le provocava la sua malattia.
<<In che senso?>>
<<Fisicamente. Giulia è ancora così bella come nelle foto che ti ho fatto vedere?>>


«No, per niente. E' invecchiata, si è tutta rinsecchita, sta messa male…se mi posso permettere, signora Contessa, sta messa peggio di Voi, secondo me!»
Virginia rise per l'impertinenza della governante e si accese una sigaretta.


<<Non dovreste fumare, signora Contessa. Lo sapete cos'ha detto il medico>>
Virginia scrollò le spalle:
<<Al diavolo i medici! Mi restano pochi mesi di vita, lasciameli vivere a modo mio! Piuttosto, descrivimi meglio com'è adesso Giulia>>
La governante sollevò gli occhi al cielo, maledicendo le stranezze degli aristocratici e della contessa Virginia in particolare.
<<Ve l'ho detto. Sembra più vecchia della sua età, e più stanca. Sembra lei, la malata, mica voi. Con il dovuto rispetto. Aveva una faccia sconvolta, tutta scarmigliata, le borse sotto gli occhi... ha perso la sua bellezza di gioventù>>


«O formosa puella, nimium ne crede colori» commentò Virginia, laconicamente.
«Cosa?» 
«E’ latino, Concetta: una delle citazioni preferite di Giulia, del poeta Virgilio, che è sepolto dalle tue parti»
La governante assunse un'espressione grave, di circostanza:
«Ah è morto, poveretto!»
Virginia sollevò gli occhi al cielo:
«Sì, più o meno da duemila annicadunt alba ligustra, vaccinia nigra leguntur…»


«Eh?»
«Niente….dimmi, piuttosto…lui…com’è lui?»
C'era una certa frenesia nella voce di Virginia.
La governante sorrise:
«Il figlio? Un fighetto, tutto ben vestito! Pare un nobile!»



<<Assomiglia a com'era il vostro povero fratello, da giovane>>
Virginia sentì una fitta di dolore acuto nello stomaco.
«Portami un'Oxycontin, presto!»
La governante sgranò gli occhi:
«O Maronna! Vi avevo detto che non dovevate fumare!»
Virginia si piegò in due dal dolore, poi urlò:
«Taci e portami la medicina….ho una fitta… dai, muoviti!»
Concetta obbedì borbottando:
«Eh, chesti nobbiliun secondo, faccio presto, state calma…»
Quando la governante fu uscita, Virginia si lasciò andare ad un urlo che pareva un pianto strozzato.
Anch'io sono stata giovane e bella... un fiore che però nessuno ha colto...


Il suo stesso urlo le rimbombò nei timpani come il latrato di un cane.
Dio mi punisce! Punisce la mia anima dannata…
Tutto aveva sbagliato, tutto!
Ma peggio ancora era stata la perseveranza nell’errore, la pertinacia, l’ostinazione cieca con cui per quarant’anni aveva rimosso ogni dubbio scomodo, ogni rimorso, ogni minimo pensiero che potesse intaccare l’edificio di menzogne su cui aveva costruito la sua vita.
Giulia! Giulia!
Quante parole non dette, quanti equivoci.
Giulia, se tu sapessi tutta la verità, forse potresti persino riuscire a perdonarmi.
Giulia.
Quel nome era ancora musica nelle sue orecchie.
L’amicizia di due fanciulle adolescenti, cosa c'è di più bello, di più puro?
E di più ipocrita.
Perché dobbiamo sempre far del male a chi amiamo?
Si ricordò la ballata di Oscar Wilde, quella scritta dopo la prigione, dopo la devastazione della sua vita a causa di un amore proibito.
<<Each man kills the thing he loves...>>


Ognuno uccide la cosa che ama, ma non è tenuto a morirne.
Lei sì, però.
Lei stava morendo e forse era una punizione di Dio per aver tradito tutte le persone che amava.
Ma la mia stirpe sopravvivrà! Su questo almeno non ci sono dubbi!
La governante rientrò, con una flebo di Oxycontin.
«Ecco, signora Contessa, siete pronta?»
Virginia annuì.
L’iniezione tanto attesa…e poi l’oblio…
Domattina…sì…tutto si risolverà…Giulia…Giulia…
Mentre il sonno stendeva una coltre anestetica su di lei, il sogno disegnò i contorni di una scena di un passato mai accaduto…non così, almeno…
C’era Giulia, sempre lei, sempre in quel prato, era primavera inoltrata, sotto al glicine, si era sciolta i capelli, brillavano al sole, oro, sì, oro…e sorrideva…


«Sei un angelo» le diceva «vorrei essere come te! Vorrei…vorrei…»
«Virginia, tu sei molto più bella di me!» (le sue parole come musica celestiale)


«Cosa conta la bellezza, se non ti permette di avere ciò che desideri?>>
Giulia scosse il capo:
<<Virginia, tu hai già tutto! Oltre che bella sei anche ricca, nobile, hai mille corteggiatori... ma cosa vuoi di più dalla vita?>>
Virginia lo sapeva, ma non poteva dirlo.
Troppi segreti, ci sono troppi segreti...
La scena cambiò…li vedeva, lei e suo fratello Alessio, si toccavano, nella legnaia…
C'erano infinite ragioni per impedire che quel rapporto si consumasse.
Voleva urlare, fermarli ad ogni costo.
Ma la voce non le veniva, voleva gridare e non ci riusciva, e i tetti della legnaia tremavano e sembrava ci fosse il terremoto e il cielo era rosso, e lei correva verso il bosco, e voleva urlare ma non ci riusciva…
Il sogno perse ogni significato, tutto diventava confuso.
Rimanevano solo l'urlo e il furore…e un nome, un solo nome restava e risuonava e martellava…Giulia…Giulia…Giulia…
E poi calarono le tenebre.





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