lunedì 18 ottobre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 164. Quelli del quinto piano









Di certo Aurora avrebbe preferito prendere in affitto un superattico in Piazza San Babila, magari quello di Gucci, ma alla fine dovette convenire che una cosa simile sarebbe stata, oltre che una sbruffonata, un salasso fatale persino per le finanze dei Visconti-Ordelaffi. 
Per questo, alla fine, concordò con Roberto nel prendere in affitto (anzi "in locazione", come presto avrebbero imparato studiando Diritto Privatodue monolocali adiacenti, ognuno con il proprio angolo cucina e il proprio bagno privato) al quinto piano di uno studentato o residence per studentisituato in via Beatrice d'Este, uno dei tanti di proprietà dell'Università Commerciale Luigi Bocconi, la quale controllava, direttamente o indirettamente, quasi tutto il quartiere che ruotava intorno alla sua sede centrale storica nell'angolo tra l'omonima via Bocconi e via Sarfatti, vicino all'angolo nord-ovest del Parco Ravizza.







Già allora, prima degli imponenti lavori di ampliamento ed ammodernamento delle sedi e delle residenze che hanno caratterizzato gli ultimi quindici anni, la Bocconi era, in Italia, ciò che di più simile ci potesse essere a un college privato americano della Ivy League (loro avevano Harvard e Yale, noi avevamo la Bocconi e la Luiss; loro avevano Princeton e la Columbia, noi avevamo il Politecnico e la Cattolica e così via).





Ormai le serie tv americane ci hanno fatto conoscere la vita dei loro college meglio di quanto la conoscano gli americani stessi del Midwest o del Texas, e questo aspetto era già presente, anche se meno plateale di oggi, negli anni Novanta.
Una delle caratteristiche delle università americane è la presenza delle Confraternite. Ufficialmente alla Bocconi non ce n'erano, ma ufficiosamente sì, e questa era una delle tante fonti di preoccupazione, per Roberto, in quanto se c'era una cosa che detestava visceralmente, era il cameratismo, mescolato insieme ad una continua competizione per appartenere ai circoli più esclusivi.
Anche solo a sentirne parlare, gli veniva l'ansia.
Fortuna volle, però, che per motivi del tutto imprevedibili, gli studenti inquilini del quinto piano dello studentato di Via Beatrice d'Este, fossero, come già avevamo accennato nel capitolo precedente, persone molto educate, cordiali, brillanti e interessanti, nel senso che univano una personalità gradevole o notevole, un'intelligenza superiore alla media, una solida formazione culturale e un'esperienza di vita molto intensa.
Per la prima volta nella sua vita, Roberto sentì di essere in un "gruppo di pari" che gli andava a genio e che infatti frequentò volentieri, perché con loro era impossibile annoiarsi e la loro compagnia era nel contempo piacevole e istruttiva.
Possiamo dire che "Quelli del quinto piano" erano gli animatori di una sorta di omonima Confraternita spontanea tra le più apprezzate, ammirate e invidiate, specie negli anni tra il 1994 e il 1999, nel "College" della Bocconi.
La Confraternita era stata "fondata" prima del '94 da quelli che, quando Roberto arrivò, erano già laureandi o laureati che, pur essendo, per lo più, nati e cresciuti  nell'hinterland di Milano e Monza, nell'ambito delle tipiche famiglie di imprenditori brianzoli, avevano alloggiato stabilmente al quinto piano del residence di via Beatrice d'Este, per poi mantenere, lì, un cosiddetto "pied-à-terre".

Bisogna però tener conto di una cosa, che fin dai primi giorni fu evidente: in questo ambiente stimolante e tra queste persone molto dotate, il giovane Monterovere non era più "il primo della classe", ma anzi si sentiva, rispetto agli amici e ai conoscenti, che sembravano essere nati già col Financial Times sottobraccio, una specie di analfabeta.
Non si tratta di un'iperbole retorica e siamo convinti che su questo, almeno su questo, Roberto fu completamente sincero, perché doveva pur giustificare, agli occhi del mondo, a quelli della sua famiglia e dei suoi amici forlivesi il fatto che il suo rendimento universitario, pur rimanendo buono, fu inizialmente inferiore al previsto e alle grandi aspettative che c'erano nei suoi confronti.
E questo era dovuto non solo al fatto che la Bocconi fosse oggettivamente difficile e impegnativa e che le materie studiate fossero lontane dalla sua formazione liceale e meno interessanti del previsto, ma anche, e forse soprattutto, perché si trovava a dover competere (senza mai darlo a vedere, sia chiaro), con compagni di studi molto più dotati di lui, almeno in quell'ambito.

Resosi conto, molto presto, di tutto ciò, a Roberto tornò in mente una frase che, secondo Plutarco, il divino Giulio Cesare avrebbe pronunciato: Malo hic esse primus quam Romae secundus (Preferisco essere il primo qui che il secondo a Roma), poi divenuta un proverbio: meglio essere primi in un villaggio che secondi in una metropoli. E Roberto era molto più indietro, nella classifica.
Questa presa di coscienza fu foriera di molte ansie e preoccupazioni che andarono a sommarsi allo stress degli ultimi due anni di liceo e costituirono una delle ragioni principali della grande crisi che, come avevano previsto alcuni suoi familiari, il giovane Monterovere dovette affrontare tra il 1996 e il 1999.
Ma di tutto questo avremo modo di parlare in altri capitoli, cercando come sempre di discernere tra ciò che Roberto ci raccontò nella sua maniera enigmatica ed elusiva e ciò che realmente accadde.
Prima vogliamo incominciare a descrivere com'erano questi amici della Confraternita del Quinto Piano e a raccontare come si muovevano all'interno dell'elitario mondo bocconiano e della rutilante vita milanese degli Anni Novanta, la cosiddetta "Milano da bere", di un famosissimo spot.
Era stata la Milano di Craxi e Berlusconi, era la Milano di Formentini, di Albertini, di Formigoni, e adesso è tornata ad essere rutilante sotto l'attuale regno di Giuseppe Sala, che, in pochi anni, l'ha trasformata in qualcosa di simile alla City di Londra, sul modello di Manhattan, a New York City.











Riguardo alla Bocconi, va premesso che all'epoca non c'era ancora stata la riforma che introdusse il sistema anglosassone del 3+2 (bachelor+master, laurea triennale più laurea magistrale) e non era stato ancora istituito il corso di Giurisprudenza o i corsi di laurea tenuti in lingua inglese.
C'era dunque un sistema del tipo 2+2 : un biennio propedeutico comune per tutti i corsi di laurea in Economia, ed un secondo biennio di specializzazione, scelto tra Economia Aziendale (Business Administration),  Economia Finanziaria (Finance) ed Economia Politica (Economics).
Questa ripartizione creava tre "Fazioni" tra loro in continua competizione.
1) Gli Aziendalisti erano considerati tutti "figli di papà" tendenzialmente berlusconiani o ciellini (CL era potentissima "in Bocconi").
2) I Finanzieri erano ritenuti personaggi pericolosi, spietati, disposti a tutto, anche a passare sul cadavere di chiunque pur di far carriera nelle grandi banche, nei fondi di investimento e nelle borse.
3) Gli Economisti erano considerati, nel migliore dei casi, inutili ciarlatani radical-chic e nel peggiore psicopatici di estrema sinistra.
Questo tipo di ripartizione in correnti esisteva, seppur attenuato da un civile gentlemen agreement, anche tra i "Prefetti" della Confraternita del Quinto Piano.
In base a quel tacito accordo tra gentiluomini il titolo puramente goliardico di Prefetto spettava ai tre più anziani studenti del Quinto Piano in rappresentanza delle tre Fazioni.
Nell'anno accademico 1994/1995, l'ultimo in cui fu Rettore della Bocconi l'attuale senatore a vita Mario Monti (verso cui Roberto, manifestando spiccate doti di premonizione, nutrì subito un'antipatia che solo molti anni dopo avrebbe trovato il suo personale motivo), i tre Prefetti del Quinto piano erano, limitandoci ai soli nomi di battesimo e omettendo i cognomi, per gli Aziendalisti il brianzolo Gabriele, figlio di un imprenditore tessile, per i Finanzieri il veneto Gianni da Verona (che fu il vero leader della Confraternita) e per gli Economisti il piemontese Giorgio da Novara. 
A causa della comune iniziale del loro nome, venivano chiamati "la banda delle tre G", o direttamente "i GGG".
Tutti e tre stavano iniziando il secondo biennio ed erano in pari con gli esami, dunque avevano 21 anni.

Gabriele era l'Esteta del gruppo e in effetti sembrava una specie di Dorian Grey alla Milanese.
Capelli biondi, occhi chiari, snello, di bell'aspetto, un po' androgino (per quanto facesse sempre il cascamorto con le belle ragazze), di buona famiglia, molto curato ed elegante nel vestiario, raffinato nei modidi carattere gentile ed amichevole, nutriva interessi culturali nell'ambito delle arti visive, del teatro, della musica classica e operistica e del cinema d'autore. Partecipava alla vita mondana, dove era molto apprezzato, anche perché era quello che offriva a tutti da bere, invitava tutti a cena a sue spese, cambiava fidanzata ogni tre mesi (lasciando che fossero gli amici a consolarla e magari  a corteggiarla), organizzava eventi e iniziative mondane di ogni genere e nonostante questa vita dissipata si manteneva perennemente fresco e riposato e prendeva ottimi voti agli esami!





Il suo sorriso da bravo ragazzo, così come il suo vestiario sempre inappuntabile, facevano un'ottima impressione anche alle mamme degli amici.
Crediamo che lui avesse un debole per le cosiddette "Milf".
Persino Silvia Ricci-Orsini Monterovere non fu immune al suo fascino e, durante un'ispezione a sorpresa del monolocale di Roberto, essendosi imbattuta in Gabriele, ebbe a dire di lui: "E' proprio un bravo ragazzo, ordinato. Davvero un ragazzo a modonon come te, Roberto, che sei un selvaggio caotico e crei sempre tanti problemi ovunque vai, proprio come tuo padre e come tuo nonno".
Forse è anche a causa di giudizi come questo che Gabriele rimase, più che altro, un conoscente, molto simpatico e scherzoso, con cui divertirsi, ma senza legare troppo.

Diverso fu invece il rapporto di amicizia che si creò con il secondo "Prefetto del Quinto Piano",
Gianni, che era il Leader, anche se fisicamente non lo sembrava, ma sappiamo bene che l'apparenza inganna.
Era di media statura, capelli sul castano chiaro pettinati con la riga nel mezzo (andava molto a quei tempi), occhi castani, viso dai tratti regolari e dolci, ma con uno sguardo serio e anche un po' "tagliente", come la sua ironia.
Roberto gli riconobbe fin dall'inizio numerose doti: notevole intelligenza, volontà ferrea, inesauribile energia, ottima preparazione culturale, conversazione brillante, disinvolta sicurezza di sé, granitica autostima e illimitata ambizione (anche se quest'ultima, a nostro parere di narratori, non è una dote).





Aveva la media del 30. che alla Bocconi è qualcosa di umanamente impossibile.
Roberto, che dava grandissimo valore a queste cose, lo venerava.
Gianni, compiaciuto, gli voleva bene, lo chiamava "fratellino", "ragazzo" o Robbie, in onore del cantante Robbie Williams, il leader dei Take That, la boy band in voga all'epoca.
E inoltre gli elargiva consigli di vita del tipo:
<<Chi segue gli altri non arriva mai primo>>
Roberto però stava incominciando a dubitare delle proprie doti e faceva di necessità virtù, (oggi si direbbe che era "resiliente") :
<<Ma io non voglio arrivare primo. Mi basta un risultato buono>>
Gianni aveva scosso la testa:
<<Allora hai scelto l'università sbagliata. Se fai la Bocconi e ti laurei con lode, ti prendono subito nelle grandi Merchant Banks : Goldman Sachs, J.P.Morgan, Merryl Linch, Lehman Brothers e Morgan Stanley. 
Se non prendi la lode finisci alla cassa della filiale di Trapani del Banco di Sicilia>>






Però ogni tanto anche Gianni aveva dei cedimenti.
In una notte ormai remota nel tempo e nello spazio, mentre con Roberto tornavano da una festa dove era circolato di tutto, gli confessò:
<<Robbie, lo sai che io ti invidio?>>
<<Perché sto con Aurora?>>
<<Non solo, c'è un'altra ragione. Io ti invidio perché sei più alto di me>>
<<Non dire cazzate!>> sbottò Roberto <<Ti vorrei dare il mio naso! E poi sono io che dovrei invidiarti per tutti i 30 che prendi. Io non ne ho ancora visto uno neanche col binocolo!>>
Gianni proseguì imperterrito:
<<Per ora, ma poi migliorerai. Io invece non diventerò più alto. 
Nell'altezza non potrò mai arrivare primo, e quindi le donne alte mi vorranno solo per i soldi.
E quelle alte e ricche tipo Kate Moss non mi vorranno proprio.
Ti sembrerà un discorso stupido, e forse lo è, ma io mi sono sempre sentito sminuito di fronte alle persone più alte>>
Roberto scosse il capo:
<<Sei ubriaco. Il Gianni che conosco io non direbbe mai una cosa simile>>
E l'altro, prontamente:
<<In vino veritas, e io non mi sono limitato all'alcool. Diciamoci la verità, il Johnny che conosci tu è un insopportabile borioso che farebbe qualsiasi cosa pur di compensare il fatto che si sente basso. 
Tutte le persone che si sentono basse sono molto ambiziose e sviluppano molti talenti, per compensare ciò che la natura non ha concesso a loro.
Guarda Berlusconi! Se fosse stato alto non avrebbe combinato niente!
Anche Alessandro Magno e Napoleone erano bassi...>>
Roberto l'aveva bloccato:
<<Però Cesare era alto>>
<<Sì, ma era calvo... e doveva compensare il fatto di essere tale. Che poi, se ci pensi, anche Berlusconi è calvo, oltre che basso. Tu invece hai molti capelli, oltre che essere alto>>
Roberto stette al gioco:
<<E quindi, stando al tuo ragionamento, io non combinerò mai niente perché non devo compensare niente. Ma in realtà c'è una cosa da compensare: sono un imbranato, il più imbranato di tutti... e allora come la mettiamo?>>
Gianni prese al volo l'occasione per chiedergli a bruciapelo:
<<Ma se sei così imbranato come dici, come fa una come Aurora a stare con te?>>




Roberto rise:
<<Ah, me lo chiedo anch'io! Quando mi sono innamorato di lei, non credevo di avere alcuna possibilità. 
Eravamo compagni di classe al liceo. Me ne innamorai, ma non osavo corteggiarla, era già corteggiatissima, ed io sarei stato patetico, per cui mi limitai a mostrare di voler essere semplicemente suo amico.
La cosa che mi meravigliò di più è che lei era incredibilmente ben disposta nei miei confronti, questo perché sua madre ammirava la famiglia di mia madre, che in passato aveva una posizione di rilievo, ma ormai l'aveva perduta e suo padre stimava la famiglia di mio padre, in particolare mio zio.
L'appoggio dei genitori è stato fondamentale, nel permettermi di ottenere l'attenzione e la disponibilità di Aurora a conoscermi meglio.
Fin dalla nostra prima passeggiata insieme ci siamo trovati reciprocamente simpatici: scherzavamo, ci sentivamo a nostro agio, liberi di essere noi stessi e così ci siamo accorti che c'era una convergenza di interessi e di passioni.
E così, dopo circa un mese che ci frequentavamo come amici, si è creata un'atmosfera romantica, sai, complice la primavera, le canzoni che ascoltavamo: "voglia di stringersi e poi, vino bianco, fiori e vecchie canzoni / e si rideva di noi...">>
Gianni colse il riferimento:
<<Che imbroglio era? Maledetta primavera...>>
Roberto annuì:
<<Esatto! Ma non immaginarti che io avessi degli assi nella manica! 
Non sono un superdotato, e sicuramente non in senso anatomico, se è quello che, come temo, si chiederanno in tanti.
No, il fatto è che c'è sempre stata molta complicità, su tante questioni, anche di natura riservata e intima, per cui non posso dirti di più>>
Gianni era più curioso di prima, ma sembrava anche triste:
<<Va bene, da quel che ho capito siete, come si dice in inglese, "partners in crime".
Sarebbe interessante approfondire, ma non ti farò mettere sotto tortura per estorcerti i tuoi segreti. Una cosa però devo dirtela: hai una fortuna sfacciata, sai?
E nonostante questo non sembri mai soddisfatto. Ma cosa vuoi di più dalla vita?>>
Roberto si fece serio:
<<Quisque suos patimur manes, Eneide, libro sesto. Ciascuno di noi sopporta i suoi fantasmi e soffre per i propri demoni. 
La mia vita è stata molto più difficile di quanto possa sembrare.
Ed una delle cose che ho appreso dalle mie esperienze, e da quelle della mia famiglia, è che nulla va mai dato scontato o acquisito definitivamente.
Per questo io non invidio nessuno: ciò che crediamo di avere ci può essere tolto in ogni momento, tutto in una volta e senza alcun preavviso.
Tu dirai che sono una Cassandra, un uccello del malaugurio, ma la verità è che mi limito a constatare apertis verbis ciò che tutti sanno, ma non osano dire nemmeno a se stessi>>
Gianni lo guardò con una considerazione nuova:
<<Ci sai fare con le parole, ragazzoE parli come se avessi vissuto mille vite. 
Forse è anche per questo che hai fatto colpo su Aurora. 
Sei una persona interessante, e guarda che io non sono abituato a fare complimenti>>
Roberto ne fu lusingato.
Gli fece capire che ricambiava il giudizio e diventarono amici.
Non smisero mai di nutrire una grande stima reciproca, perché Gianni, pur essendo un vero genio della Finanza, apprezzava molto le discipline umanistiche e le scienze sociali, in cui riconosceva che il giovane Monterovere aveva talento, per quanto sconclusionato e caotico.
Quando Gianni ottenne, da parte di Roberto, quello che quest'ultimo riteneva la massima onoreficenza possibile, e cioè un invito a Villa Orsini, la stessa Silvia Ricci-Orsini disse: 
<<Roberto è onorato della tua stima, Gianni. Io non gli ho mai fatto sconti, perché non volevo che crescesse viziato. Mio figlio ha del potenziale, ma è troppo pasticcione, proprio come suo padre e come tutti i Monterovere. 
Tu invece sei preciso, e farai strada. Spero che ti ricorderai di noi, se avremo bisogno di un prestito>>
Gianni la considerò una battuta e rise, ma Silvia non stava affatto scherzando.

E veniamo ora al terzo Prefetto, Giorgio da Novara, l'Intellettuale dissidente, l'economista che voleva diventare il nuovo Marx.
Anche lui era un personaggio molto particolare.
Alto, longilineo, di aspetto simile a Johnny Depp ai tempi d'oro di Don Juan de Marco, al quale si ispirava spudoratamente nel curare la propria immagine di personaggio misterioso, tenebroso, con occhi neri leggermente a mandorla, capelli lunghi e lisci, pizzetto d'ordinanza, atteggiamento da poeta maledetto e contestatore, che era "in Bocconi" perché voleva arrivare al cuore del Sistema per distruggerlo "da dentro".
Adesso, come tutti i contestatori, è diventato un cattedratico perfettamente funzionale al "Sistema" stesso.
La sua cultura spaziava su ogni campo dello scibile umano, con particolare interesse per la letteratura francese e per la civiltà giapponese.




Anche di fronte a lui Roberto si sentiva un dilettante, e non solo quando studiarono insieme i modelli statistici e matematici su cui poggiava l'economia politica.
Molto più importante, per la futura evoluzione della personalità di Roberto, fu il fatto che  Giorgio lo spronò a leggere o rileggere con precisione e crescente entusiasmo i grandi romanzieri francesi, con una progressione rigidamente cronologica: Stendhal, Hugo, Balzac, Flaubert, Zola (tutto il ciclo dei Rougon-Maquart, che crediamo abbia inciso nel modo in cui il nostro anti-eroe ci ha presentato la storia delle Quattro Famiglie che hanno dato origine al clan Lanni-Ricci-Orsini-Monterovere), Maupassant, Huysmans, (crediamo che abbia inciso molto, questa lettura, sulla componente estetizzante e su quella esoterica di ciò che Roberto ci ha raccontato), Proust (tutta la Recherche! Tutta!!! E anche questa ha influito molto, più di quanto possa sembrare), Gide, Sartre, De Beauvoir, Yourcenar.
Alla fine di questo percorso, Roberto avrebbe potuto chiedere che gli fossero riconosciuti 50 crediti formativi, quando, anni dopo, si iscrisse all'università di Bologna.
Riguardo ai Giapponesi, Giorgio gli impose la lettura del "Genji monogatari" della divina Murasaki Shikibu, nata e morta durante l'era Heian, tra l'VIII e il XII secolo (794-1185).
Seguirono poi corsi personalizzati di Shintoismo, Zen, Samurai, storia dell'Impero del Sole tra il dominio dei Fujiwara e quello dei Tokugawa 





Possiamo dire che, alla fine di questo percorso formativo con i tre G, Roberto imparò di tutto tranne l'economia, il diritto commerciale, la finanza, la contabilità e la gestione aziendale.
E questo ebbe il suo peso nella crisi che scaturì in seguito.

Sempre parlando di "Quelli del quinto piano" vorremmo ricordare, per inciso, un episodio che avvenne proprio nell'ottobre del 1994.
Fra gli ex studenti freschi di laurea della Confraternita c'erano alcuni promettenti "enfant prodige" della finanza e della politica che nonostante la notevole carriera che li aveva portati rapidamente ad incarichi dirigenziali, trovavano ancora il tempo per partecipare a qualche cena con i loro"discepoli". 
Tra i neolaureati c'era un giovane, ma già importante esponente radicale, Marco Cappato, considerato da molti "il Delfino di Pannella".
Una volta, a una cena di gruppo, Marco sondò il terreno riguardo alle simpatie politiche delle "nuove leve" e quando Roberto gli disse che si collocava nell'ambito del liberalismo sociale, fautore dei diritti civili e sociali, il Delfino di Pannella gli chiese quale diritto civile gli stesse più a cuore e quest'ultimo rispose:
<<La legalizzazione dell'eutanasia volontaria, però quando lo dico la gente reagisce male, come se avessi tirato fuori una pistola e me la fossi puntata alla tempia>>
E anche in quel caso, la risposta di Roberto fece calare il silenzio in tutta la tavolata.
Marco però si fece trovare pronto all'assist che gli era stato fornito, e tenne un piccolo comizio nel quale le sue doti oratorie si manifestarono:
<<Alcuni reagiscono male perché sono convinti che questo tema non li riguardi. Credono che certe cose accadano sempre e solo agli altri e quindi "chissenefrega", "ci penserò da vecchio".
Poi ci sono quelli che invece sanno che questo tema riguarda tutti e certe situazioni possono capitare a chiunque, ma non vogliono sentirne parlare perché questo pensiero rovinerebbe il loro buon umore. A costoro rispondo citando la Bibbia: nella vita c'è un tempo per tutte le cose, e quindi anche uno per stare allegri e uno per fare discorsi seri. Chi vuole stare sempre allegro ha un atteggiamento miope per non dire sciocco.
Poi ci sono quelli che non ne parlano per pura scaramanzia. A questi mi verrebbe da dire: va bene, toccatevi pure le palle, ma parliamone! Mi scuso con le signore presenti, ma ogni tanto una battuta ci vuole.
Io credo che i nuovi mezzi di comunicazione che stanno nascendo in via sperimentale nell'ambito accademico, dove sono operative le prime reti globali di comunicazione telematica, si diffonderanno presto e conteranno molto, in futuro, nel sensibilizzare le persone a questo tipo di discorso. La Bocconi è all'avanguardia anche da questo punto di vista e lo apprenderete nel corso di Informatica e i tutor vi spiegheranno come utilizzare i terminali in rete dell'università.
Ma tornando al nostro discorso, c'è chi è contrario per ragioni etiche e religiose di rilievo, e almeno non si sottrae all'argomento, al dibattito e al dialogo, ed è un atteggiamento serio, maturo e coerente.
Non condivido però il fatto che decidano loro come io devo morire: questo è un sopruso!
Ci sia concesso, in primo luogo, di poter esprimere le nostre dichiarazioni anticipate di trattamento e anche su questo credo che si possa trovare una convergenza più ampia.
Il mondo cattolico è una realtà molto variegata: ci sono vari punti di vista, ci sono delle aperture e su alcune tematiche, come le cure palliative, c'è concordanza. 
Per ora la Cei e il Vaticano sono a maggioranza conservatrice, ma non sarà così per sempre.
Infine c'è il discorso della politica. 
La maggior parte dei politici non parla del "fine vita" perché ritiene che un simile tema non farebbe guadagnare nuovi consensi e rischierebbe di far perdere il voto dell'elettorato più vicino alle posizioni ufficiali della Chiesa sull'argomento.
Io credo che però la situazione stia per cambiare, c'è molto fermento in questo periodo, e non solo perché le forze politiche si stanno rinnovando, si danno nuovi statuti, nuovi programmi, ma perché, più che altro, c'è una maggiore attenzione da parte dei mass-media ai casi internazionali sull'argomento, e questo ha introdotto il tema nei dibattiti politici e nei talk-show.
E al riguardo vi avverto: presto mi vedrete in televisione!
Io penso che se anche in Parlamento ci fossero dei veti, si possano seguire altre strade, per via referendaria oppure per mezzo di precedenti giurisprudenziali.
Se occorrerà, io sarò pronto alla disubbidienza civile: il mio motto è, con riferimento ironico che riconoscerete, "credere, DISobbedire e combattere". Mi raccomando il "dis-".
In tutto questo i nuovi mezzi di comunicazione saranno sempre più importanti.
Quindi Roberto, ti posso garantire che non sei l'unico a cui questo argomento sta a cuore, in tanti mi hanno esposto il problema, e tra questi anche esponenti del pensiero conservatore, come Indro Montanelli. Sarà un battaglia durissima e io per primo, lo prometto, mi batterò per portare questo discorso all'attenzione dei mass media, del mondo politico, degli elettori e delle istituzioni>>
E' raro che i politici mantengano le promesse, ma in questo caso possiamo dire che le azioni sono state coerenti con le parole e la promessa è stata mantenuta.
Oggi, a cinquant'anni, Marco Cappato è forse l'Ultimo Radicale autentico, che si espone personalmente, anche con rischi legali notevoli, per portare avanti quello che, anche a nostro parere, dovrebbe essere riconosciuto e regolamentato come un diritto civile e umano.




Abbiamo riportato questo episodio anche per mostrare che il periodo milanese di Roberto fu pieno di incontri e di esperienze molto importanti, e dunque la scelta universitaria, almeno sotto questo punto di vista, non fu del tutto sbagliata.

Ma tornando al nostro triumvirato dei GGG, possiamo dire che quei tre personaggi erano molto differenti tra loro, tanto che la sola cosa che mostrarono di avere in comune, oltre alla Bocconi e alla Confraternita del Quinto Piano, fu l'evidente e inutile tentativo di corteggiare Aurora Visconti-Ordelaffi.
Fin dall'inizio faticarono a credere che lei fosse ufficialmente fidanzata con Roberto, verso il quale comunque mostrarono un massimo rispetto unito ad una grande curiosità, come se lui solo conoscesse qualche pozione amorosa o afrodisiaca o chissà quale misteriosa tecnica di seduzione.
Roberto, nel vedere questi tre ragazzi così dotati che si prosternavano quotidianamente davanti ad Aurora, facendo a gara per conquistarne l'attenzione e la benevolenza, all'inizio pensò di essere spacciato e le chiese direttamente che impressione le faceva il loro corteggiamento.
Lei rise e disse:
<<Ho sempre trovato qualcosa di patetico nel corteggiamento. Tu sei l'unico mio corteggiatore che non si è mai reso patetico ai miei occhi. Anche nei momenti di debolezza o di crisi, la tua personalità ha mantenuto il suo stile, che può essere ironico e tragico nello stesso tempo, a volte anche istrionico, ma mai patetico>>
Roberto non ne era così convinto, ma passò alla domanda successiva:
<<Però a me sembra che quei tre abbiano, oggettivamente, più doti rispetto al sottoscritto, e non lo dico per falsa modestia, ma perché sono in grado di riconoscere e di apprezzare i pregi degli altri.
Insomma, a Forlì era abbastanza facile conquistarsi la fama del "più intelligente e più colto", ma qui è tutto un altro discorso.
E mi preoccupo perché mi chiedo: come farà Aurora a resistere all'attrazione per tipi che sono spudoratamente più belli e più intelligenti di me, oltre che molto più ricchi>>




Aurora fu molto paziente e diede una risposta che merita di essere ricordata:
<<Anche ammesso che abbiano davvero tutte quelle qualità o fortune, la situazione è molto più complessa. Tu dai troppa importanza all'estetica. Non capisci che la bellezza senza uno stile originale vale poco, specie in un uomo, e poi non tieni conto del fatto che l'intelligenza senza la sensibilità e la cultura non fa breccia sulle donne. E poi dimentichi sempre che io non sono una persona venale, forse anche perché sono ricca per conto mio>>
Su quel punto, però, Roberto aveva un'obiezione, da tempo, che non aveva mai espresso ed evitò sempre di esprimere, e cioè che quella ricchezza era stata foraggiata dall'ampia iniezione di liquidità da parte di Albedo, per il tramite di Lorenzo Monterovere, senza il quale nulla sarebbe stato possibile. Ma questo non poteva essere detto: era pericoloso anche solo pensarlo.
Aurora però sapeva argomentare bene i propri sentimenti:
<<Ma la cosa più importante di tutte è che una persona non è la somma dei suoi pregi o dei suoi difetti, ma è il modo, unico, in cui questi elementi coesistono collocandosi all'interno di un profilo, di un ritratto, di una personalità, di una sinfonia. Sposta anche un solo tratto, un solo colore, una sola sfumatura, una sola nota, e tutto cambia e non si riconosce più.
Io ti conosco, io so chi sei, e il tuo profilo corrisponde a tutto ciò che cerco e di cui ho bisogno.
Tu credi di essere insicuro, ma non è vero: solo chi è sicuro di sé può parlare così apertamente dei propri presunti difetti e arrivare a scherzarci sopra.
E c'è un'ultima cosa che io ho capito in questi due anni in cui siamo stati insieme, ed è il modo di in cui riesci a superare i momenti difficili.
Tutti pensano che il merito sia mio, ma non è vero: io posso essere stata d'aiuto, ma la vera forza ti veniva da dentro.
C'è una fonte inesauribile di forza dentro di te, un nucleo sano e coriaceo che può guardare in faccia il Male e opporgli la propria capacità di aver tratto il meglio di ciò che l'infanzia gli ha offerto. E' il "bambino della campagna" che sapeva vedere il paradiso in un luogo che per la sua famiglia era stato un inferno. Il bambino che era riuscito a riconciliare i nonni materni che non si parlavano più da decenni, perché riconosceva in ognuno dei due una parte di sé.
Il ragazzo che ha riconosciuto nella Contea di Tolkien la propria Contea, quel piccolo angolo di mondo che ci siamo ritagliati e che difenderemo con le unghie e con i denti, perché sappiamo che vale la pena lottare fino all'ultimo per difendere ciò che di buono abbiamo su questa terra.
Io ho visto tutto questo in te, e voglio che tu lo tenga a mente.
In questi ultimi due anni sei stato tu a insegnarmi cos'è il coraggio, e a capire ciò per cui vale la pena vivere e ciò per cui vale la pena morire>>
Roberto, commosso, la ringraziò e la abbracciò, ma non poté fare a meno di porre un'ultima domanda:
<<E se alla fine dovessi perdere realmente la mia Contea?>>
Lei gli diede una risposta memorabile:
<<Anche Artù alla fine perse la sua Britannia. 
Forse sapeva fin dall'inizio che la sua era una causa persa, ma sapeva anche che era una causa giusta.
E' questa consapevolezza di combattere per una causa giusta anche se che sta comunque tramontando a rendere ancora più nobile ed eroico il suo personaggio, tanto che, se anche non fosse mai esistito, ci sarebbe stato bisogno di inventarlo>>


lunedì 11 ottobre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 163. Due anni dopo (Milano, ottobre 1994)




Nei due anni che seguirono, Roberto Monterovere riuscì a conseguire tutti gli obiettivi che si era prefissato, ma a caro prezzo. 
Apparentemente la sua situazione era invidiabile: aveva superato l'esame di Maturità col massimo dei voti e la sua relazione con Aurora era sempre più solida e felice, specie dopo che, effettuato l'intervento per eliminare il problema della fimosi, finalmente lui e la fidanzata avevano potuto fare l'amore in maniera completa, reciprocamente appagante ed estasiante.
La salute fisica di entrambi era ottima, così come l'avvenire radioso che ormai, per chi li osservasse dall'esterno, sembrava a portata di mano: l'università insieme, una laurea prestigiosa, un lavoro ancor più prestigioso, nozze spettacolari, un matrimonio felice, tanti figli ancor più felici e una famiglia armoniosa destinata diventare una vera e propria dinastia.
Erano sogni illusori, certo, ma come scriveva Foscolo: "Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore".

Ma dietro a quella idilliaca facciata, Roberto e Aurora erano ben consapevoli che il loro sogno poggiava su basi troppo fragili.
Due anni di guerra fredda con il prof. Sarpenti e con i suoi sgherri, Vittorio Braghiri e Felice Porcu, avevano logorato la mente del giovane Monterovere per lo stress continuo a cui era stato sottoposto, la rabbia repressa e lo studio eccessivo per non farsi mai trovare impreparato.
E non aveva avuto nemmeno il tempo di riposarsi, perché bisognava decidere in quale università iscriversi e in quale facoltà, e poi prepararsi per gli eventuali test di ammissione, e trovare un nuovo alloggio e incominciare una nuova vita.
I genitori di Roberto e molti parenti e conoscenti speravano che lui scegliesse Medicina: faceva sempre comodo avere un medico in famiglia.
Lui aveva preso in considerazione questa possibilità, ma c'erano alcuni "impedimenti dirimenti" che non erano superabili: Roberto era terrorizzato dall'idea di dover assistere a delle autopsie e poi era tremendamente ipocondriaco, come suo padre e suo nonno Romano.
Gli sarebbe piaciuto piuttosto studiare Chimica farmaceutica, perché già allora aveva un'ampia conoscenza dei farmaci, però non riusciva a vedersi in un laboratorio di precisione: era troppo sbadato, distratto e casinista.
Il nonno e il prozio Edoardo volevano che scegliesse Ingegneria Civile Idraulica, ma Roberto disse subito di no per un motivo ben preciso: 
<<Non voglio avere più a che fare con esami basati sulla matematica, la fisica e il disegno tecnico>>
Sarpenti era riuscito ad ottenere almeno quella vittoria.
A quel punto rimanevano in piedi soltanto due opzioni diversissime tra loro: una laurea in una disciplina umanistica (Lettere o Storia), cosa sostenuta sia da sua nonna Diana che dallo zio Lorenzo (e quella fu l'unica volta che la pensarono allo stesso modo) oppure Economia a Milano, come Roberto aveva promesso al suo nonno materno, il compianto Ettore Ricci, e anche al padre di Aurora, che sapeva che sua figlia avrebbe seguito il fidanzato anche se si fosse iscritto all'università di Kabul, e dunque era essenziale che la scelta ricadesse su una laurea in materie economiche e in una università prestigiosa.
Furono quelle due promesse a determinare la sua scelta, perché i Monterovere mantenevano sempre la parola data e non avevano pace fintanto che non avessero ripagato i propri debiti, nel bene e nel male.

Col senno di poi è fin troppo facile dire che si trattò della scelta più disastrosa di tutta la sua vita, ma all'epoca parve a molti una cosa sensata, dal momento che sia lui che Aurora erano eredi presuntivi di importanti attività economiche.
Conoscendo bene Roberto, possiamo aggiungere una terza motivazione, che forse lui non confessò nemmeno a se stesso, e cioè che c'era nella sua volontà una specie di spirito di rivalsa nei confronti di chi credeva che lui fosse un inetto nelle questioni pratiche e gestionali.
Tutti avevano dovuto ammettere che negli studi era imbattibile e che era una specie di macchina che preparava esami con grande efficienza, ma quasi tutti non lo ritenevano capace di amministrare alcunché. 
Purtroppo, a posteriori, possiamo dire che avevano ragione loro, perché alla fine gli risultò gravoso e stressante persino occuparsi della gestione del patrimonio dei suoi genitori, i quali gli delegarono l'amministrazione a partire dal 2011, essendo loro digiuni di ogni conoscenza economica, e ormai già anziani e malandati, quando ereditarono ciò che restava dell'impero dei rispettivi genitori, il nonno paterno Romano e la nonna materna Diana Orsini, che si spensero quasi centenari, essendo dotati di una longevità windsoriana.
Ma, a nostro parere, esiste un'ulteriore motivazione, che va ricercata nel momento storico che il mondo e l'Italia stavano vivendo nel 1994.
Il crollo dell'impero sovietico e il declino dell'ideologia marxista-leninista aveva colpito profondamente l'immaginario collettivo, che vedeva ormai nel neoliberismo l'unico modello vincente.
In Italia la situazione era, come sempre, un po' più complessa.
Era l'epoca del primo governo Berlusconi, che professava il laissez faire, l'esaltazione del Libero Mercato, la privatizzazione dei beni e servizi pubblici, i tagli delle tasse contestuali a quelli del welfare, a partire dal sistema pensionistico.
Per ironia della sorte queste riforme furono realizzate soprattutto dai governi di centro-sinistra, ma all'epoca la sinistra doveva ancora riprendersi del tutto dalla crisi del comunismo e del socialismo, e la DC si era disintegrata, per cui Silvio Berlusconi, con la sua immagine di imprenditore vincente, sedusse la maggioranza degli italiani moderati e fu l'incarnazione della vittoria del Mercato.
L'ubriacatura durò poco, salvo poi ricaderci altre due volte.
In un simile contesto, studiare Economia a Milano sembrava la scelta più in sintonia con lo Spirito del Tempo.
Quando Roberto comunicò la propria decisione, che era anche quella di Aurora, ci fu un po' di perplessità e il più contrario di tutti fu lo zio Lorenzo, che tentò un'ultima disperata requisitoria contro la scelta bocconiana.
Come sempre si incontrò con Roberto e Aurora, all'insaputa di Francesco e Silvia, che invece avevano concesso al figlio il sostegno morale e finanziario per i suoi progetti.

L'incontro tra i due fidanzati e lo zio Lorenzo avvenne a Bologna, dove Aurora e Roberto si recarono in macchina, quella di lei naturalmente, una Porsche Boxter pagata dai Visconti-Ordelaffi e guidata solo ed esclusivamente dalla loro incantevole figlia.




Lorenzo fece fare loro un piccolo tour di Bologna, che però apparve piuttosto degradata, specialmente ad Aurora, che incominciò una filippica contro questa "città di comunisti e sinistroidi".
Pranzarono in un buon ristorante, di cui però Roberto non ricorda nemmeno il nome e l'ubicazione, perché era concentrato soltanto su ciò che lo zio aveva da dirgli.
E Lorenzo attaccò subito:
<<Roberto, tu non puoi tradire te stesso scegliendo di entrare nel Tempio del dio Denaro.
A Milano la filosofia della tua generazione si sintetizza in tre parole: profitto, consumo e godimento. 
Tu non sei così, hai sempre condannato il narcisismo egocentrico ed edonistico, il carrierismo a tutti i costi, la vita frenetica, il fare lavori che non ci piacciono per comprare cose che non ci servono.
Il denaro è un mezzo, ed è utile, non lo nego, ma non devi farne il tuo Idolo d'oro.
Se hai bisogno di denaro per il Feudo Orsini, te lo farò avere io, tramite Albedo, ma tu, ora che hai superato brillantemente la Prova del Dolore, non puoi correre il rischio di sottoporti ad uno stress ancora più pesante. Corri un grande pericolo!
Soldi, carriera, successo, consumo e piacere: tutte queste cose sono le tentazioni di Satana!
Possibile che tu non le riconosca?
Ricorda la lettera agli Efesini in cui Paolo ci invita a "resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti"!>>
Roberto fu colpito da quelle parole, ma a rispondere non fu lui.
Aurora si era infuriata:
<<Ma chi credi di essere, il Papa? Hai abbandonato Roberto per due anni, lasciando che fossi io il suo sostegno, e poi adesso vieni qui a farci la predica, con argomentazioni che chiaramente sono contro di me. Tu vuoi dividerci! Vuoi allontanarmi da tuo nipote perché adesso non ti servo più!
Ma io sono determinata a rimanere a fianco di Roberto ovunque egli vada, mettitelo ben in testa.
E poi è ridicolo che proprio tu critichi: "i dominatori di questo mondo di tenebra", quando il tuo amico Albedo naviga nell'oro e controlla la finanza internazionale!
Non saremo mai gli schiavi tuoi e di Albedo!>>
Roberto aveva annuito:
<<La penso come Aurora. Negli ultimi due anni, quando io stavo male, lei si è presa cura di me, mi ha sollevato tutte le volte che sono caduto, e con il suo amore mi ha consentito di sopportare il dolore che tu hai permesso che mi venisse inflitto, senza muovere un dito.
No, zio: non sono il tuo burattino e se proprio devo sbagliare, preferisco almeno farlo con la mia testa, non con la tua o con quella del tuo padrone spagnolo!>>
Lorenzo lo guardò con commiserazione:
<<Sia come vuoi tu, ma sappi che se vai a vivere a Milano, andrai incontro a una Prova del Dolore così grande e terribile da far apparire gli ultimi due anni una passeggiata.
E se credi di sbagliare con la tua testa, ti stai ingannando: è Aurora che ti spinge verso quella città infernale e quella vita spregevole, e un giorno anche lei pagherà il prezzo della sua stupidità!>> e poi si rivolse verso la ragazza: <<Sì, Aurora, pagherai tutto, te lo posso garantire. Tu disprezzi Albedo, ma ti compri le macchine di lusso con i suoi soldi. Sei l'ultima persona ad aver diritto di fare la predica agli altri! >>
Detto questo se ne andò e per molto tempo non volle più avere a che fare con loro.

I due fidanzati trascorsero il mese di agosto a preparare il test d'ammissione, che superarono con ottimi risultati a metà settembre.
A quel punto incominciarono i loro viaggi a Milano per le pratiche dell'iscrizione e per la ricerca di un alloggio.











Si iscrissero a Economia Aziendale, alla Bocconi, e trovarono, ad un prezzo proibitivo, un alloggio in un residence per studenti che si trovava tra Porta Romana e Porta Ticinese, all'interno del Centro Storico.
Erano rimasti solo due monolocali al quinto piano, ma erano in buone condizioni, l'ascensore funzionava benissimo e gli altri studenti erano tutti molto seri e gentili, specialmente con Aurora, per ovvi motivi.
Per tutti loro Milano era un mondo da scoprire e nell'immaginario di cui si erano nutriti era la città della Borsa e della Moda, dei manager e delle modelle, dei finanzieri e degli stilisti
Solo secondariamente era la città dei Visconti e degli Sforza, del Castello Sforzesco e dell'Accademia di Brera, della Scala e del Duomo, del Cenacolo di Leonardo e delle Chiese di Sant'Ambrogio, San Lorenzo e Sant'Eustorgio.


Solo in seguito si sarebbero accorti anche del degrado in cui si trovavano i quartieri periferici e della separazione dei quartieri per ceti sociali, professioni e gruppi etnici.





Ma per Roberto significò anche qualcos'altro, e cioè un appassionante oggetto di studio per quel che riguardava l'idrografia, perché Milano è anche un porto, con la Darsena e i Navigli e una complicata rete di canali che collegano tra loro i corsi d'acqua sotterranei che provengono dalle valli del nord.






Quando finalmente, ai primi d'ottobre, giunse il momento di trasferirsi a Milano in maniera definitiva, Roberto partì con grandi aspettative e senza troppa nostalgia di quel che si lasciava dietro.
In fondo Forlì che cosa gli aveva dato, nei due anni precedenti, se non sofferenze, fatiche e conflitti?
Le persone che partono per seguire un proprio desiderio o una propria esigenza è come se dichiarassero al mondo intero la propria insoddisfazione per ciò che si lasciano alle spalle. 
Chi parte per andare a vivere lontano è un insoddisfatto, che nutre avversione, per motivi più o meno validi, nei confronti del suo "natio borgo selvaggio", mentre chi resta è una persona felice, che ama la sua vita così com'è.
Chi rimane è un conservatore, chi se ne va cerca il progresso, che però potrebbe non arrivare mai, o peggiorare le cose. Leone XIII bollò i progressisti chiamandoli rerum novarum cupidi.
Ma torniamo ai nostri personaggi.
Aurora era felice perché la sua scelta rendeva felici i genitori, il fidanzato e il proprio desiderio di stare vicino a lui in un luogo dove le famiglie non li controllassero da vicino: era maggiorenni, in fin dei conti, e dunque era tempo che vivessero con più libertà la loro relazione.  
Roberto invece aveva un rimpianto, quello di allontanarsi dalla sua amata Contea di Casemurate, e oltre tutto per un motivo che sua nonna Diana non condivideva.
Certo, si sarebbero rivisti spesso, ma non era la stessa cosa, perché per la maggior parte del tempo ci sarebbero stati trecento chilometri a separarli, in un'epoca in cui il mondo delle comunicazioni era ancora molto diverso da quello attuale.
Quando infine Roberto partì con le ultime valige, non poteva immaginare che la sua lontananza dalla terra natia sarebbe stata lunga ventitré anni, fino al 2017.

E nella sua mente risuonava triste una canzone molto popolare negli anni della sua infanzia, cantata nel 1971, cinquant'anni fa, e ancora attuale, nella sua semplice, ma struggente sincerità, come sanno tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, hanno dovuto dire addio al luogo dove sono nati e cresciuti, partendo per un esilio pieno di incognite:

Paese mio che stai sulla collina
Disteso come un vecchio addormentato
La noia, l'abbandono
Sono la tua malattia
Paese mio ti lascio, vado via

Che sarà, che sarà, che sarà
Che sarà della mia vita chi lo sa?
So far tutto o forse niente
Da domani si vedrà
E sarà, sarà quel che sarà!

Gli amici miei son quasi tutti via
E gli altri partiranno dopo me
Peccato, perché stavo bene
In loro compagnia
Ma tutto passa e tutto se ne va...