venerdì 1 marzo 2019

Vite quasi parallele. Capitolo 139. Il Custode della Fiamma e il Signore Oscuro

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E di colpo venne il mese di marzo.
E i giardini di marzo, e le lacrime di marzo, e la falsa primavera.
Erano passati molti mesi dall'Iniziazione e le Altre Memorie erano affluite come un'orda di Vandali nella mente di Riccardo Monterovere.
Ricordi orrendi come incubi, per lo più.
Aveva appreso cose che non avrebbe mai voluto sapere, cose che ad alcuni sarebbero potute sembrare materiale da romanzo, oltre che da manuale di storia.
La storia di tutti i suoi antenati, fin dall'inizio della vita...
Una moltitudine di individui che non avevano nulla in comune tranne il fatto di aver contribuito, come risultato finale, a produrre una vita, la sua, che lui non aveva mai chiesto e di cui più volte aveva meditato di disfarsi.
Tutte quelle vite quasi parallele avevano un unico, paradossale e improbabile punto di tangenza in lui, che considerava la vita una specie di inferno, e non temeva l'inferno perché non poteva esserci niente di peggiore della vita sulla Terra.
E quegli Altri Ricordi erano lì a testimoniarlo: una valanga di atti di meschinità e di crudeltà, perché in fondo l'evoluzione privilegiava quel tipo di comportamenti, spacciandoli per "capacità di adattamento" ad un contesto mutevole, dove le risorse erano sempre insufficienti e occorreva sgomitare e barare e depredare, se necessario, per potersi aggiudicare la propria miserabile razione, per sé e per la prole.
Non vi voglio, andate via!
Ma i ricordi non se ne andavano: gli spiriti di quei morti lo assediavano come un esercito di zombie.
Invano, in quella cacofonia di grida e imprecazioni, cercava la voce amica dell'unica tra i suoi antenati di cui avesse bisogno, in quel momento: sua nonna Diana Orsini.
Ma lei era l'unica che non si era manifestata.
Lei aveva garbo: in famiglia era l'unica che non gridava mai.
Ma forse c'era una motivazione più profonda.
Lei non credeva nella perpetuazione della specie. 
"Meglio non nascere" era sempre stato il suo motto.
Se aveva avuto figli era stato per senso del dovere nei confronti di un marito che aveva fin troppa voglia di vivere e di procreare.
Riccardo pensava a tutto questo, nei rari momenti di quiete che gli concedeva quel maledetto Tirocinio Formativo Attivo per conseguire l'Abilitazione all'Insegnamento.
In quel sabato insolitamente caldo, che portava con sé tutte le destabilizzazioni tipiche dei cambi di stagione, Riccardo se ne stava disteso sul letto, in una sorta di dormiveglia.
Si sentiva molto stanco, ed era una stanchezza non solo dovuta al lavoro o alle preoccupazioni materiali: era una stanchezza esistenziale.
Ho sempre vissuto nell'attesa di qualche grande evento storico epocale, qualcosa di cui valesse la pena essere testimoni.
Le generazioni che lo avevano preceduto, erano state testimoni di episodi grandissimi: terribili, certo, ma grandi.
I Millennials invece si erano ritrovati schiacciati tra padri sessantottini e figli "nativi digitali": a cavallo tra due secoli, e tra due millenni, non erano riusciti a ritagliarsi un proprio ruolo.
Vivevano, come lui, nell'attesa di qualcosa di grande, di una qualche svolta epocale, ma l'unica cosa che potevano toccare con mano era l'invasione degli smartphone.
Erano cresciuti sognando di colonizzare lo Spazio e si erano ritrovati fagocitati dai social network.
Ma Riccardo continuava ad attendere. Aveva una lista di ultranovantenni e ultracentenari che ancora detenevano posizioni importanti: almeno si fossero tolti dal mezzo, una buona volta!
Gli sembrava di essere come l'attuale Principe di Galles, che per tutta la vita aveva atteso e continuava ad attendere di diventare Re, ma doveva fare i conti con una vecchia che si attaccava alla vita e al trono come una cozza ad uno scoglio.
Elisabetta II, fredda e insensibile,  era eterna e coriacea come tutte le cose più detestabili nella vita umana.
Per questo l'attesa della sua dipartita era diventata un simbolo.
L'Attesa dura da sempre, senza un perché... 
E a nulla servono le distrazioni, "le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede".
Fu proprio mentre pensava a tutto questo che dalla penombra di un ricordo, di un sogno o di una visione (Riccardo non fu mai in grado di capirlo) una voce in apparenza rassicurante si era insinuata nella sua mente:
<<Non preoccuparti: è sempre così nei primi tempi. Poi si impara a tenere a bada sia l'aspettativa per il futuro, sia i ricordi molesti... specie quelli non tuoi.
Alla fine diventa un'abitudine. Tra poco tempo non ci farai più caso>>
Riccardo, nell'oscurità, cercò di capire da dove proveniva la voce.
<<Chi sei?>>
L'ombra appariva sfocata, la la sua voce era chiara:
<<Oh, non temere, presto lo capirai. Ma prima è meglio fare due chiacchiere, per sdrammatizzare la situazione. Sei spaventato, è normale, e sei anche arrabbiato, ed hai ragione: tutti i sedicenti saggi che dicono di non cedere alla paura e all'ira. Facile per loro! Le loro vite sono come dei giardini di rose. Non sanno cosa significa avere una sensibilità superiore, una percezione chiara e netta del dolore e dell'ingiustizia. Ti hanno preso senza il tuo consenso, ti hanno afferrato e buttato in acqua senza nemmeno insegnarti a nuotare.
Fanno sempre così. Non imparano mai... >>
La voce proveniva da dentro, ma non era un'allucinazione.
E' nella mia mente, ma questo non significa che non sia reale.
Riccardo chiuse gli occhi e rispose mentalmente.
"Giungi a me non invitato, come un ladro nella notte, per recitare un'inutile ennesima replica delle tentazioni del deserto, oppure di quelle del Faust. Non ti stanchi mai di dire sempre le stesse cose?"
Eclion rise:
<<Ma non sono mai le stesse cose! Nemmeno gli stessi concetti! Ogni essere cosciente è unico e irripetibile, e avanza le sue preghiere di giustizia. Perché non esiste altro mondo, non esiste altra vita, per ottenere giustizia. Io giungo quando percepisco questa esigenza. Se c'è un'ingiustizia da punire, io non mi tiro mai indietro. 
E, stammi bene a sentire, io non chiedo niente in cambio!
Non chiedo sacrifici, non chiedo di donarmi l'anima o altre sciocche leggende messe in giro dai miei detrattori.
Io punisco perché mi piace farlo. 
Diciamo pure che sono un giustiziere e che raccolgo anche preghiere inespresse...>>

"Giustizia? No, a te non importa niente della giustizia, Eclion! Sì, ora so chi sei e cosa vuoi.
A te interessa soltanto trarre un sadico godimento dal far del male agli altri, colpevoli o innocenti che siano. La giustizia è solo un pretesto che tu usi per alleggerire le coscienze dei tuoi adepti, ogni volta che essi ti indicano contro chi scagliare la loro maledizione"

<<E' forse colpa mia se non esistono innocenti, in quest'universo, a parte i neonati? 
Nemmeno Belenos, in tutta la sua ostentazione di bontà, è davvero innocente. 
Lui aiuta tutti, senza differenze, perché questo gli procura gioia. 
Se milioni di persone pregano e cantano "Dio salvi la Regina", Belenos esaudisce la preghiera, donando una salute di ferro a quella vecchia babbiona.
E c'è di peggio.
Sai quanti finti buoni sono in realtà dei sadici torturatori?
E Belenos li salva tutti, perché c'è gente così sciocca che prega per loro.
Quante volte mi è toccato sentire "Dio salvi il Re!", e questo Re era un finto buono, che dietro una facciata irreprensibile nascondeva una crudeltà talmente insaziabile da far paura persino a me. 
Ricordati dunque che non esiste cattivo più cattivo di un finto buono, o di un cattivo che crede di essere buono. 
Gli ipocriti e i fanatici spesso si confondono, e ancor più spesso si alleano per conquistare e conservare il potere. Ma il peggiore dei due è il fanatico.
Alcuni si sentono prescelti secondo un Mandato Celeste, e tutto il male che è stato fatto per ottenere il primato, loro lo chiamano "grazia di Dio", perché è stato Belenos ad esaudire le preghiere dei loro sudditi.
Ti sembra giusto tutto questo?>>

<<Belenos non ha mentito sull'argomento: non si è presentato come un giustiziere, e non è desideroso di elargire morte e dolore con leggerezza. Il Male proviene da te>>

<<No, il Male esiste in sé e per sé: fa parte della natura delle cose, è già scritto nella stessa legge dell'Entropia. Io mi limito a incanalarne il flusso nella giusta direzione. Cosa c'è di male nell'augurare sofferenza a un malvagio?>>

<<Chi augura sofferenza a qualcuno, sia pure a un colpevole, commette un atto di malvagità. 
Il Male si alimenta anche così, istigando nelle vittime il desiderio di vendetta. 
Ma io ti dico: la migliore vendetta è stare bene, e per fare questo è necessario mantenersi sulla retta via. Buoni pensieri, buone parole, buone azioni>>

<<Così parlò Zarathustra>> fu il commento ironico di Eclion <<e tutti quelli che hanno copiato da lui. Ma dopo tre millenni non avete ancora imparato a distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è.  
E il motivo è molto semplice: non esiste una definizione universale di bontà.
Il massimo che siete riusciti a produrre è la legalità, che è tutta un'altra cosa.
Summum ius, summa iniuria, dicevano i latini, e avevano ragione.
La legge può diventare strumento di ingiustizia. "Per i nemici si applica e per gli amici si interpreta", così agisce, anche senza saperlo, la maggioranza dei magistrati.
E allora il legalitarismo diventa un mero strumento di potere.
Chi mai potrebbe rispettare tutte le leggi, quando nemmeno i più esperti le conoscono?
Soltanto chi ha cattive intenzioni si preoccupa di tutti i dettagli, perché la prima regola di un uomo di potere è quella di non essere ricattabile.
E chi desidera il potere ha sempre cattive intenzioni, anche quando è convinto di farlo a fin di bene.
Anzi, soprattutto quando è convinto di farlo a fin di bene.
Nessuna creatura sulla terra è spaventosa quanto un uomo integerrimo>>

Riccardo rifletté su quell'ultima frase e capì che Eclion sapeva dove e come colpire per far breccia su di lui:
<<Voi vi esprimete per paradossi, Oscuro Signore, ma credo di capire a cosa mirate. 
Ogni essere umano ha le sue debolezze e i suoi segreti, e c'è sempre qualcuno che si crede più "puro" degli altri. 
Io conosco i miei limiti, ma non troverete malvagità, né crudeltà nella mia condotta>>

<<Nella tua condotta no, ma nei tuoi pensieri...>>

<<Sono solo pensieri, e cambiano in continuazione, ma su una cosa non cambieranno mai: non intendo essere un vostro alleato>>

<<Sei incauto nelle tue decisioni>> lo ammonì Eclion

<<E' forse una minaccia? Cosa intendete farmi, se non vi sarò devoto?>>

<<Niente! Assolutamente niente. Ti lascerei essere quello che sei, perché questa è la più grande condanna che può toccare alle persone come te>>

Riccardo non si accorse che era una provocazione e sbottò:
<<Non esistono persone come me. Ci sono io, e basta!>>

Eclion tornò al suo consueto tono suadente:
<<Ed è per questo che io ti parlo. Non perderei certo tempo con uno qualunque>>

<<Non ho bisogno delle tue lusinghe, né di ogni altra cosa che può provenire da te>>

<<Ah ah, mi piace la tua presunzione! Sei già dalla mia parte senza nemmeno saperlo>>

<<Ti sbagli! Io non ho mai abbandonato, né mai abbandonerò la retta via!>>

Eclion sorrise:
<<Tu credi di non averla abbandonata. Il tuo Ego lo crede. Ma ciò che voi chiamate "Inconscio" e che io preferisco chiamare "Ombra", è già completamente mio, e la prova sta nel fatto che per suo tramite io comunico con te.
In fondo questa conversazione ti piace. Sento la tua profonda tentazione di avvalerti del mio potere. Più lo neghi a parole, più aumenta nei fatti. 
Conosco da tempo la tua capacità di odiare, avverto il tuo desiderio di abbattere i nemici, percepisco la rabbia che da sempre cova dentro di te. 
Il tuo odio ti ha fatto potente. 
Ti basterà esprimere un desiderio ed io ti accontenterò. E' vano resistere. 
Il lato oscuro prevarrà, è inevitabile! E' il tuo destino. 
E ad ogni istante che lasci passare tu, come i tuoi avi dell'Aristocrazia Nera, sempre più diventerai mio!>>


Riccardo fu percorso da un brivido, ma poi prevalse un senso di déjà vu: in fondo erano le stesse parole dell'imperatore Palpatine a Luke Skywalker.
Eclion, in fondo, era soltanto un individuo, non una divinità.
Fu questo pensiero che permise a Riccardo di non cadere più nelle provocazioni del nemico:
<<Se fosse così non perderesti tempo nel tentare di convincermi. 
Più parli e più mi chiedo se il vero Signore Oscuro non sia tu, ma un'entità più silenziosa, più nascosta e più potente, un Demiurgo malvagio che non ha bisogno di fare proselitismo, perché il Male è già il principio dominatore dell'universo>>

Eclion si fece immediatamente serio, come se condividesse quel tipo di preoccupazione:
<<Quella che tu formuli è la cosiddetta "terza ipotesi"
La prima sarebbe quella secondo cui non esiste né un demiurgo, né un fondamento metafisico della morale, né una qualsiasi entità sovrannaturale. 
La seconda ipotesi è quella che ti è stata confermata dall'Iniziazione: non c'è demiurgo, ma ci sono entità sovrumane che presiedono ad alcuni fondamentali principi sia fisici che morali. 
La terza ipotesi è che ci sia un Demiurgo Onnipotente, nel qual caso non può che essere malvagio, perché sottopone le forme di vita da lui stesso create, persino le più innocenti, ad una tortura sadica e ingiustificabile di fronte ad ogni principio etico o razionale.
Riflettiamo dunque su questo pensiero.
In ognuna delle tre ipotesi il Bene ne esce sconfitto: nella prima perché è puramente frutto della fortuna; nella seconda perché non è onnipotente; nella terza perché l'unico onnipotente è malvagio. E allora perché opporsi?>>

<<Perché intuisco gli inganni. E so che tu mi stai ingannando>>

Eclion parve sinceramente deluso:
<<Che risposta riduttiva! Io ti parlo di questioni filosofiche, e tu vedi solo complotti, o peggio ancora truffe da volgare piazzista. Se questi sono i tuoi orizzonti, forse ti ho sopravvalutato. Forse tutti ti abbiamo sopravvalutato. Forse sei tu il piazzista... non ti è mai venuto questo sospetto?>>

Riccardo si concesse un sorriso:
<<Ho molta fantasia, sono alquanto mitomane, a volte dico solo mezze verità, ma non sono un piazzista, né tanto meno un truffatore. Se così fosse la mia vita sarebbe stata molto diversa, e certamente molto più facile>>

Era il momento di tirare le somme di quella conversazione e fu ad Eclion che spettò quel compito:
<<Ti è toccato in sorte di essere quello che voi chiamate un "Chiaroveggente"
Tu senti cose che gli altri non sentono. Vedi cose che gli altri non vedono. E sai cose che gli altri non sanno e a cui non crederanno mai. 
Io ti avrei aiutato a sopportare questo peso, ma ora mi rendo conto che dovrai trovare da solo la tua strada.
Nemmeno Belenos può aiutarti, perché nella tua anima esistono comunque troppe ombre.
Gothar tenterà di ghermirti con i suoi artigli di ghiaccio, dai quali soltanto Atar, il Signore del Fuoco, potrà salvarti.
Forse è questo il tuo destino: diventare il nuovo Servitore del Fuoco Segreto, il Custode della Fiamma Imperitura, la Fiamma di Atar.
Di più non posso dirti, perché qui entro nel dominio di un altro Signore degli Elementi.
Presto Atar verrà, e allora saprai tutto ciò che resta da sapere>>

lunedì 25 febbraio 2019

Lettera di Caterina d'Aragona, regina d'Inghilterra, a sua sorella Giovanna, regina di Castiglia, detta la Pazza

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Da Caterina, per grazia di Dio regina d'Inghilterra, a Giovanna, per grazia di Dio regina di Castiglia

Kimbolton Castle, Cambridgeshire

26 novembre 1534

Carissima sorella,

non so se i nostri rispettivi carcerieri permetteranno che questa missiva, che vi scrivo col cuore in mano da Kimbolton, ove sono confinata per ordine del Re mio marito (e tale sempre resterà agli occhi di Dio), possa raggiungervi nel castello di Tordesillas, in cui spero possiate contare su condizioni di vita migliori delle mie, per quanto le voci che mi giungono sembrino voler dire il contrario.
Vi scrivo dopo tanto tempo, a trent'anni dalla morte della nostra cara madre Isabella, che Dio l'abbia sempre in gloria, perché anche se quando ci separammo ero solo una bambina, voi foste per me più che una sorella maggiore, e quasi una madre, tanto che conservo di voi soltanto ricordi bellissimi.
Sappiate che non credo ad una sola parola delle voci calunniose che circolano sul vostro conto e che hanno speculato sul vostro dolore di vedova.
Io stessa sono oggetto di calunnie irriferibili, messe in giro dai seminatori di zizzania che mal consigliarono il Re, sul cui ravvedimento continuo comunque e sempre a sperare, poiché il Cielo sa quanto fummo felici nei primi anni del nostro matrimonio, così come voi foste felice col vostro compianto consorte il re Filippo.
Posso solo immaginare la vostra sofferenza, ma sappiate che io stessa vivo come se fossi vedova, relegata lontano dalla corte, privata persino del conforto della mia unica figlia Maria, che rimane ai miei occhi e a quelli di tutti i devoti sudditi d'Inghilterra l'unica legittima erede al trono.
Non conosco i termini dei rapporti che intercorrono tra voi e vostro figlio, l'Imperatore Carlo, al quale spesso indirizzo lettere di supplica, affinché interceda per mitigare le mie condizioni e anche le vostre.
Non conosco l'entità del vostro dolore, ma per quanto grande possa essere, credo che mai sarà pari al mio, che sempre più mi convinco di essere, e il Cielo mi è testimone, la donna più infelice della Cristianità.
Unico mio conforto, così come fu per nostra madre nei suoi ultimi tristissimi anni, è la preghiera e il sostegno della Vera Fede, così come quello della Chiesa di Roma, che qui in Inghilterra è oggetto di sacrilegio e blasfemia senza precedenti.
Mi giunge voce, ma io rifiuto di credere a tali insinuazioni, che voi rifiutiate il più rasserenante e dolce dei Sacramenti, ossia la Confessione dei peccati.
A volte mi chiedo, qualora vi fosse un briciolo di verità in questa voce, se questa vostra resistenza al conforto di Nostro Signore, non sia forse dovuta al fatto che abbiate perso fiducia nei confessori che l'Imperatore vostro figlio vi invia, e che temiate possano violare il santissimo dovere del silenzio, agendo, Dio mi perdoni per un simile pensiero, come spie per danneggiarvi agli occhi di Sua Maestà.
Questo atroce sospetto mi angoscia tanto più perché io stessa ne fui vittima, dal momento che il Re mio marito cercò più volte di impormi confessori il cui profilo non corrispondeva a quello irreprensibile del sacerdote a cui affidare la salvezza della propria anima.
E mi avvio a concludere, poiché anche l'inchiostro scarseggia, e così il lume delle candele, per non parlare dei geloni alle mani, che da tempo mi affliggono, tanto più in questi mesi autunnali e in una terra così umida e diversa dalla nostra amata Castiglia.
Non so se avrò ancora la forza di scrivervi, poiché sento che mi resta ormai poco da vivere, pur essendo di tanti anni più giovane di voi.
Vi chiedo soltanto di pregare per me, e vi assicuro che io stessa, fino all'ultimo respiro, pregherò per voi e per una riconciliazione con vostro figlio, che bene avrei visto come sposo di mia figlia.
Che Dio vi conceda una lunga vita, ma soprattutto una ritrovata serenità dello spirito.

Sinceramente vostra, e con eterna devozione

Caterina, Dei Gratia Britanniae Regina, Defensor Fidei

Post Scriptum aggiunto a Londra in data 26 luglio 1554, da Maria Tudor, per grazia di Dio regina d'Inghilterra

Carissima zia e suocera,

ora che finalmente Dio, nella sua infinita misericordia, ha concesso a noi, Maria d'Inghilterra, di regnare al fianco di vostro nipote don Filippo, il cui nome evoca quello del vostro compianto sposo, che è sempre nelle nostre preghiere, ci troviamo nelle condizioni di potervi far recapitare questa missiva scritta ormai vent'anni or sono dalla mia venerata madre, la regina Caterina vostra sorella, che Dio l'abbia sempre in gloria.
Nostro marito ci riferisce che le vostre condizioni di salute, complice anche l'età venerabile da voi raggiunta e che soltanto a pochi viene concessa, sono, con nostro sommo dispiacere, assai precarie.
Speriamo dunque di farvi cosa gradita nell'assicurarci che questa missiva che mia madre vi scrisse tanti anni or sono, possa finalmente giungere alla vostra dimora, dopo essere rimasta negli archivi per tutti gli anni della tarda età di mio padre e del regno di mio fratello (che il Signore abbia pietà della loro anima e perdoni i loro tremendi peccati).

Rendo omaggio a Vostra Maestà e umilmente mi firmo

Maria, Dei Gratia Britanniae Regina, Defensor Fidei

Nota del Traduttore

Il testo, redatto in lingua latina, sia da Caterina che da Maria, è conservato presso il museo di Tordesillas, nella stanza dove, per cinquant'anni, Giovanna di Castiglia visse in sostanziale prigionia su ordine prima del padre Ferdinando, poi del figlio Carlo.
Si possono scorgere, esaminando con attenzione la pergamena, le impronte della regina Giovanna, che dunque fece in tempo a leggere questo postumo messaggio di sua sorella, e sono evidenti, tristemente, anche le impronte lasciate dalle lacrime di Giovanna, nel leggere le parole di Caterina e nel ricordare gli anni della loro infanzia all'alcazar di Segovia.

Giovanna morì in età avanzata l'anno seguente, nel 1555, avendo nominalmente regnato sulla Castiglia per 51 anni (come erede della madre Isabella).

Caterina era morta nel 1536, pochi mesi prima della decapitazione della sua eterna rivale Anna Bolena.



Nel quadro sottostante, di Hans Holbein, è raffigurato Filippo II di Spagna ai tempi del suo matrimonio con Maria Tudor, regina d'Inghilterra.
I due erano cugini di secondo grado e non ebbero figli. 

Maria morì nel 1558 per un tumore all'utero.
Le succedette la sorellastra Elisabetta I (1533-1603).



I matrimoni tra consanguinei, tra i discendenti di Filippo I d'Asburgo, detto il Bello e Giovanna di Castiglia, detta la Pazza, portarono ad una vera e propria legittimazione dell'incesto e all'inevitabile conseguente degenerazione della conformazione genetica degli Asburgo di Spagna, fino alla tragica malattia di Carlo II, debole fisicamente e mentalmente, e alla successiva estinzione della casata asburgica spagnola.

Spanish Hapsburg Family Tree

Segue un albero genealogico dei Re di Spagna a partire da Isabella di Castiglia e Ferdinando d'Aragona, il cui matrimonio, nel 1469, pose le basi per l'unificazione nazionale e la creazione dell'impero coloniale spagnolo.
Isabella e Ferdinando furono gli ultimi rappresentanti della dinastia dei Trastamara, che discendeva dagli antichi Principi delle Asturie, che a loro volta si dichiaravano eredi dei sovrani Visigoti della penisola iberica. I Trastamara guidarono la Reconquista della penisola, completata nel 1492 con la presa di Granada.
La loro erede, la regina Giovanna di Castiglia, sposò Filippo d'Asburgo, Duca di Borgogna, figlio dell'Imperatore Massimiliano I.
Filippo I d'Asburgo fu Re di Castiglia per soli due anni, dal 1504 al 1506, quando morì in circostanze sospette.
Giovanna, come si è detto sopra, fu confinata nella fortezza prigione di Tordesillas, dal 1507 al 1555.
Suo figlio Carlo fu Re di Castiglia e Aragona col nome di Carlo I (anche se è ricordato con la titolazione imperiale di Carlo V).
Sotto suo figlio Filippo II, l'unificazione nazionale spagnola fu portata a compimento anche dal punto di vista amministrativo, per quanto la formale dizione di Regno di Spagna avvenne sotto la successiva dinastia, quella dei Borbone, che, dopo la morte senza eredi di Carlo II, salirono al trono nella persona di Filippo V, nipote del Re Sole, cugino di Carlo II.