Storia
Ci informa
Sesto Giulio Frontino, nel suo
De aquis urbis Romae, che “nei 441 anni che seguirono la fondazione di Roma, i Romani s'accontentarono di usare le acque tratte dal
Tevere, dai pozzi e dalle sorgenti”, che però nel
312 a.C., non erano più sufficienti a coprire il maggior fabbisogno dovuto allo sviluppo urbanistico ed all'incremento demografico.
L'opera di realizzazione degli acquedotti fu di tale impegno ed efficacia che
Dionigi di Alicarnasso poteva scrivere: "Mi sembra che la grandezza dell'impero romano si riveli mirabilmente in tre cose, gli acquedotti, le strade, le fognature"
[1]. E più tardi
Plinio il Vecchio osservava che: "Chi vorrà considerare con attenzione … la distanza da cui l'acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso"
[2].
(LA)
« Tot aquarum tam multis necessariis molibus pyramidas videlicet otiosas compares aut cetera inertia sed fama celebrata opera Graecorum. »
| (IT)
« “Una tale quantità di strutture, che trasportano così tanta acqua, comparala, se vuoi, con le oziose Piramidi o con le altre inutili, se pur rinomate, opere dei Greci”. »
|
(Sesto Giulio Frontino, De Aquis, I, 16.) |
Gli undici acquedotti di epoca romana che dal 312 a.C. vennero costruiti portarono alla città una disponibilità d'acqua
pro capite pari a circa il doppio di quella attuale, distribuita tra le case private (ma solo per pochi privilegiati), le numerosissime fontane pubbliche (circa 1.300), le fontane monumentali (15), le piscine (circa 900) e le terme pubbliche (11), nonché i bacini utilizzati per gli spettacoli come le
naumachie (2) e i laghi artificiali (3).
La sorveglianza, la manutenzione e la distribuzione delle acque venne affidata, per due secoli e mezzo, alla cura un po' disorganizzata di imprenditori privati, che dovevano rendere conto del loro operato a magistrati che avevano altri compiti principali. Solo con
Agrippa, intorno al
30 a.C., venne creato un apposito servizio, poi perfezionato ed istituzionalizzato da
Augusto, che si occupava dell'approvvigionamento idrico cittadino e quindi del controllo e manutenzione di tutti gli acquedotti.
Oltre agli undici condotti principali, nel tempo furono costruite diverse diramazioni e rami secondari, per cui un catalogo del
IV secolo ne contava ben 19.
Furono gli
Ostrogoti di
Vitige, nell'assedio del
537, a decretare la fine della storia degli acquedotti antichi; vennero tagliati per impedire l'approvvigionamento della città, e d'altra parte
Belisario, il generale difensore di Roma, ne chiuse gli sbocchi per evitare che gli Ostrogoti li usassero come via di accesso. Qualcuno fu poi rimesso parzialmente in funzione, ma dal
IX secolo il crollo demografico e la penuria di risorse tecniche ed economiche fecero sì che nessuno si occupasse più della manutenzione, i condotti non furono più utilizzabili ed i romani tornarono ad attingere acqua dal fiume, dai pozzi e dalle sorgenti, come alle origini.
Tecniche di realizzazione
Tra i primi problemi da affrontare nella realizzazione di un acquedotto c'era ovviamente la scelta della sorgente o del corso d'acqua da cui attingere, che doveva tener presente non solo la qualità dell'acqua, ma anche la quantità e regolarità del flusso, e la quota del punto di captazione, visto che la propulsione, in mancanza di sofisticate apparecchiature, doveva essere garantita per quanto possibile dalla
gravità risultante dalla pendenza dell'intero percorso.
Un acquedotto iniziava generalmente con un bacino di raccolta realizzato con dighe, che tratteneva le acque di superficie; nel caso di acque sotterranee venivano scavati pozzi e cunicoli che imbrigliavano la vena in un condotto unico. Il passaggio successivo era la sosta nelle vasche di decantazione (piscinae limariae), dove venivano fatte depositare le prime impurità. Da qui l'acqua veniva immessa nel canale (specus) che la trasportava mantenendo una pendenza leggera e costante per assicurare uno scorrimento regolare e non troppo impetuoso.
Al sistema del “sifone inverso” che, accumulando una certa pressione, consentiva all'acqua di risalire un pendio, fu necessario ricorrere solo in pochi casi; le tubazioni delle condutture erano infatti in piombo (difficile da saldare) o in terracotta in una camicia di cemento (scarsamente resistente alle alte pressioni). Per ovviare a questi problemi in molti casi si preferì allungare il percorso del tracciato, anche di molto (è il caso dell'
aqua Virgo), per poter assecondare le naturali caratteristiche del terreno e mantenere il più possibile costante una regolare pendenza. Per questo motivo molti acquedotti risultano notevolmente più lunghi della distanza lineare fra la sorgente e il punto di erogazione.
Il percorso era preferibilmente sotterraneo, in uno specus scavato nella roccia; in qualche caso correva in superficie, coperto con lastre di pietra, e solo per l'attraversamento di corsi d'acqua o depressioni correva su muri o su arcate.
Alla fine del percorso si trovava una costruzione (castellum aquae) che conteneva altre camere di decantazione e la vasca terminale da cui l'acqua veniva distribuita nelle condutture dell'utenza urbana. All'interno della città altri "castelli" provvedevano ad ulteriori ripartizioni del flusso, e d'altra parte potevano esserci anche "castelli" posizionati prima di quello principale, per le eventuali utenze delle ville extraurbane.
A volte il
castellum terminale assumeva l'aspetto di una fontana monumentale, come nel caso dei resti noti come "
Trofei di Mario", visibili nei giardini dell'attuale
piazza Vittorio.
Acquedotti di epoca romana
Fino all'epoca imperiale, competente per la
cura aquarum era il
censore, cioè il magistrato responsabile delle opere pubbliche, affiancato di solito da un
edile curule che era invece responsabile, più genericamente, del
demanio, e dai
questori, che curavano l'aspetto economico, dal finanziamento per la realizzazione dell'opera alle spese di manutenzione e di retribuzione delle maestranze, nonché alla riscossione degli eventuali canoni di utilizzazione. Il censore affidava di solito la realizzazione di un acquedotto tramite la concessione in appalto, e ne curava poi il collaudo finale, mentre l'edile si occupava piuttosto della distribuzione delle acque e dell'erogazione.
Dopo un periodo, dal
33 al
12 a.C., in cui
Agrippa, con il consenso di
Augusto, monopolizzò nelle sue mani il controllo di tutto l'apparato idrico della città, alla sua morte la gestione passò nelle mani dell'imperatore, che l'affidò ad un'équipe di tre senatori che poi trasformò in un vero e proprio ufficio, in cui uno dei tre, di livello consolare, assumeva la carica di
curator aquarum.
Il rango di questo funzionario era tale da consentirgli il controllo assoluto della gestione delle risorse idriche cittadine: manutenzione degli impianti, interventi, regolarità e distribuzione del flusso. Alle sue dipendenze aveva un organico molto ampio, composto da tecnici, architetti e ingegneri, da amministrativi e dai 240 schiavi di Agrippa, che Augusto trasformò in “schiavi pubblici”, mantenuti dallo Stato, con mansioni varie, a cui se ne aggiunsero, all'epoca di
Claudio, altri 460 mantenuti direttamente dalle finanze imperiali.
La magistratura rimase in vigore per oltre tre secoli, finché, prima con
Diocleziano e poi con i suoi successori, il controllo degli acquedotti venne affidato al
praefectus urbi.
Tutte le nostre conoscenze sulla realizzazione, l'amministrazione, la gestione e la normativa che regolava l'approvvigionamento idrico dell'antica Roma e la costruzione degli acquedotti, derivano dall'opera di
Frontino, che fu
curator aquarum dal
97 al
103-
104. Il suo trattato "
De aquis urbis Romae", è l'unica e più autorevole fonte per la conoscenza delle leggi, editti e decreti sull'argomento (in particolare la
lex Quinctia proposta dal console
Quinzio Crispino nel
9 a.C., di cui Frontino riporta il testo integrale), nonché sulle specifiche tecniche, le misurazioni e le metodologie costruttive e distributive.
Aqua Appia
Roma intraprese la sua costruzione durante la
seconda guerra sannitica (
327-
304 a.C.) e in concomitanza con la costruzione della via
Appia, dando prova della propria forza e capacità di pianificazione.
Il condotto era quasi completamente sotterraneo, alla profondità di circa 15 m, e la sua lunghezza complessiva era di poco più di 11 miglia (11.190 passi)
[3], pari a 16,5 km; la portata giornaliera corrispondeva a 841
quinarie[4], pari a poco più di 34.000 m³.
Anio Vetus
Il secondo acquedotto romano venne costruito tra il
272 e il
270 a.C., con il bottino della vittoria contro
Taranto e
Pirro, da due magistrati appositamente nominati dal
Senato (
duumviri aquae perducendae), i
censori Manio Curio Dentato e Flavio Flacco; fu il secondo ad occuparsi dell'impresa, essendo il collega morto cinque giorni dopo l'incarico. L'acquedotto ebbe l'appellativo di "vecchio" (
vetus) solo quando, quasi tre secoli dopo, fu costruito quello dell’
Anio Novus (o "Aniene Nuovo").
Il condotto era quasi completamente sotterraneo (alcuni ponti, che ne abbreviavano il percorso, vennero edificati in epoche successive) e giungeva in città, come l'
aqua Appia, nella zona denominata “
ad spem veterem”, per terminare presso la
porta Esquilina. La lunghezza dell'acquedotto era di 43 miglia, pari a 63,5 km circa, dei quali solo 0,221 miglia erano in superficie, su muri di sostegno nei pressi dell'attuale
Porta Maggiore. La portata era di 4.398
quinarie giornaliere (pari a 182.517 m³ e 2.111 litri al secondo); solo poco più di metà, a causa di dispersioni o captazioni abusive, giungeva però a destinazione.
Aqua Marcia
Resti dell'acquedotto Marcio a
Tivoli
Il terzo acquedotto venne costruito nel
144 a.C.[5] dal
pretore Quinto Marcio Re: per questo compito (e per la restaurazione dei due precedenti acquedotti) gli fu assegnata dal Senato la somma considerevole di 180 milioni di
sesterzi. Raccoglieva l'acqua dell'alto bacino dell'
Aniene, attingendo direttamente dalle sorgenti, abbondanti e di ottima qualità e purezza, nei pressi dell'attuale comune di
Marano Equo, tra
Arsoli ed
Agosta, dove ancora oggi è possibile riscontrarne tracce nell'ex cava di pietra.
Era considerata la migliore acqua tra quelle che arrivavano a Roma, e
Plinio il Vecchio la definì “
clarissima aquarum omnium”
[6] e “un dono fatto all'Urbe dagli dei".
La lunghezza dell'acquedotto era di 61,710 miglia, pari a poco più di 91 km. Il percorso era sia sotterraneo, sia su arcate (per 7,463 miglia, pari a 11 km circa, le prime grandi arcate monumentali), un tratto delle quali, per circa 9 km., fiancheggiava la
via Latina. Arrivava a Roma nella località "
ad spem veterem", come gli acquedotti precedenti, scavalcava quindi la
via Tiburtina su un arco che fu poi trasformato nella
Porta Tiburtina delle
mura aureliane e terminava in prossimità della
porta Viminale. La distribuzione raggiungeva il
Campidoglio, mentre un ramo secondario ("
rivus Herculaneus") serviva il
Celio e l'
Aventino.
La portata alla sorgente era di 4.690
quinarie, pari a ben 194.365 m³ e a 2.251 litri per secondo. Per avere un'idea concreta di tale quantità di acqua, supponendo di avere un serbatoio rettangolare di m. 250 x 50 = 12.500 m² di area di base, pressoché la Piazza Navona di Roma, antico Circo Agonale, l'altezza che raggiungerebbe l'acqua in un giorno sarebbe ben m. 15,55 (194.365: 12.500). Tanta abbondanza di acqua venne smistata a rinforzo di acquedotti più poveri, come il successivo
Aqua Tepula (92
quinarie) e l’
Anio vetus (162
quinarie).
Oltre a numerosi restauri minori, fu in gran parte ricostruito in seguito ad un incremento di portata, pressoché raddoppiata con la captazione di una nuova sorgente (detta “
Aqua Augusta”), tra l'
11 e il
4 a.C., al tempo di
Augusto. Nel
213, durante il principato di
Caracalla, venne realizzata la diramazione dell'"
aqua Antoniniana" per le nuove
terme, che attraversava la
via Appia su un arco ("
arco di Druso"), e un altro ramo secondario fu utilizzato per l'alimentazione delle
terme di Diocleziano.
L'abbondanza e l'ottima qualità dell'acqua spinsero in tempi recenti
papa Pio IX a ripristinare l'acquedotto, che fu nuovamente inaugurato l'11 settembre
1870.
Aqua Tepula
L'ultimo acquedotto dell'età repubblicana, il quarto, venne costruito dai
censori Caio Servilio Cepione e
Lucio Cassio Longino nel
125 a.C. Il nome era dovuto alla temperatura "tiepida", a 16-17 gradi, dell'acqua.
Captava sorgenti situate nella zona vulcanica dei
Colli Albani, dette della “Pantanella” e dell'”Acqua Preziosa”, al X miglio della
via Latina.
Il percorso dell'acquedotto aveva una lunghezza di 18 km, dei quali 9.580 m sulle arcuazioni dell’
Aqua Marcia.
La portata giornaliera definitiva, una delle più basse, era di 445
quinarie (pari a circa 18.467 m³), 92 delle quali provenivano per diramazione dall’
Aqua Marcia e 163 dall’
Anio novus, costruito però circa 170 anni più tardi. A queste vanno aggiunte le 1.206
quinarie dell’
Aqua Iulia, le cui acque arrivavano praticamente insieme alla destinazione.
Aqua Iulia
Il quinto acquedotto romano venne costruito da
Agrippa nel
33 a.C. e prese il nome dalla
gens Iulia, il “casato” di cui faceva parte l'imperatore
Augusto. Venne unito in un unico condotto con quello dell’
aqua Tepula, ed in seguito restaurato dallo stesso Augusto tra l'
11 e il
4 a.C.
Raccoglieva l'acqua da sorgenti nel territorio
tuscolano, al XII miglio della
via Latina, identificate presso l'attuale ponte degli “Squarciarelli”, nel comune di
Grottaferrata. Arrivava a Roma, come gli acquedotti precedenti, nella località “
ad spem veterem”, presso
Porta Maggiore, e seguiva poi lo stesso percorso dell’
Aqua Marcia fino alla
porta Viminale.
Il percorso complessivo era pari a 15.426 miglia romane, pari a quasi 23 km, dei quali circa 11 in superficie; la portata originaria era di 1.206
quinarie (pari a 50.043 m³ al giorno, cioè 579 litri al secondo), e in seguito (con il condotto parzialmente fuso con quello dell’
Aqua Tepula) fu accresciuta di 92
quinarie provenienti dall’
Aqua Marcia e di altre 163 dall’
Anio Novus.
Acqua Vergine
Ingresso del condotto d'ispezione all'acquedotto dell'Acqua Vergine in via del Nazareno (ancora in funzione)
Anche il sesto acquedotto venne costruito da
Agrippa (già tre volte console e all'epoca senza più nessuna magistratura) che lo inaugurò il 9 giugno del
19 a.C., a servizio dell'
impianto termale del
Campo Marzio.
Le sorgenti erano all'VIII miglio della
via Collatina nell’
Agro Lucullano, a poca distanza dal corso dell'
Aniene. Il nome deriva, secondo una leggenda, dalla fanciulla che avrebbe indicato ai soldati il luogo della sorgente, ma, più probabilmente, si riferisce alla purezza dell'acqua.
Il percorso dell'acquedotto era di 20 km, quasi tutto sotterraneo tranne 2 km in superficie. La portata giornaliera era di 2.504
quinarie (pari a 103.916 m³ e 1.202 litri al secondo).
La fontanella di vicolo della Spada di Orlando
Secondo
Sesto Giulio Frontino, 200
quinarie erano riservate per il suburbio, 1.457 erano riservate alle opere pubbliche, 509 alla casa imperiale, e le restanti 338 alle concessioni private, il tutto distribuito attraverso 18
castella (centri di distribuzione secondari).
Aqua Alsietina
Anche noto come “
aqua Augusta”, il settimo acquedotto di Roma fu costruito sotto
Augusto nel
2 a.C. a servizio della
naumachia, il lago artificiale per spettacoli di combattimenti navali che l'imperatore aveva appena fatto costruire nella zona di
Trastevere.
La portata giornaliera dell'acquedotto era di sole 392
quinarie (pari a 188 litri al secondo, cioè 16.228 m³ al giorno): di queste, 254 erano riservate all'uso dell'imperatore e le restanti 138 venivano concesse in uso ai privati.
Il percorso, interamente sotterraneo tranne un tratto di circa 500 metri, era lungo quasi 33 km., di cui si conosce con una certa approssimazione solo il tratto iniziale di circa 200 m., corrispondente al cunicolo sotterraneo da cui veniva presa l'acqua dal lago. Entrava in Roma nei pressi dell'attuale
Porta San Pancrazio, per poi scendere verso
Trastevere e raggiungere la zona di Piazza San Cosimato dove si trovava la “
naumachia”.
A seguito di un consistente intervento di restauro, un nuovo condotto venne realizzato da
Traiano nel
109 d.C., solo parzialmente coincidente con quello originario.
Risulta che ancora nel
III secolo la naumachia fosse funzionante, ma venne abbandonata poco dopo anche a causa di un rilevante abbassamento del livello del
lago di Martignano (circa 30 m), dovuto comunque a cause naturali, che lasciò in secco il canale di alimentazione. Fu in parte ripristinato da
papa Paolo V che, nel
1612, ne utilizzò la struttura e le acque (il livello del lago era di nuovo cresciuto) per la costruzione dell'”Acqua Paola”.
Aqua Claudia
Il ramo secondario tra Celio e Palatino, sulle pendici del Palatino
Un ramo secondario, costruito ad opera di
Nerone (
arcus Neroniani) se ne distaccava per dirigersi verso il
Celio, nella parte occupata dalla “
Domus Aurea”, la residenza imperiale; successivamente lo stesso ramo fu prolungato da
Domiziano a servizio dei palazzi imperiali del
Palatino, scavalcando su altissime arcate la valle tra questo e il
Celio.
La portata giornaliera, la maggiore di tutte, era di 4.607
quinarie, pari a 191.190 m³ e 2.211 litri al secondo. Secondo
Sesto Giulio Frontino, il percorso era complessivamente lungo 46.406 miglia (pari a oltre 68 km), delle quali 54 km in canale sotterraneo e 16 km sopra terra: di questi ultimi, quasi 5 km erano su ponti e quasi 11 su arcate. A causa delle erogazioni intermedie e delle intercettazioni abusive, solo 3.312
quinarie giungevano alla “
piscina limaria” e solo e 2.855
quinarie al "castello" (
castellum) terminale, dove l'acqua si mescolava a quella dell’
Anio novus.
Anio Novus
Captava le acque nell'alta valle dell'
Aniene, direttamente dal fiume, e terminava “
ad spem veterem”, presso
Porta Maggiore.
Il percorso dell’
Anio Novus era il più lungo di tutti, misurando quasi 87 km (58.700 miglia), dei quali 73 in canale sotterraneo e 14 in superficie. Di questi ultimi, circa 7 km coincidevano con le arcuazioni dell’
aqua Claudia a cui, a partire dal VII miglio della
via Latina, l’
Anio Novus fu sovrapposto.
La portata giornaliera, la maggiore di tutte, era di 4.738
quinarie, pari a 196.627 m³ e 2.274 litri al secondo.
Aqua Traiana
La lunghezza complessiva era di circa 57 km e la portata giornaliera di circa 2.848
quinarie, pari a poco meno di 118.200 m³.
Raggiungeva la città con un percorso in gran parte sotterraneo lungo le vie
Clodia e
Trionfale e poi su arcate lungo la
via Aurelia, entrando a Roma sul colle
Gianicolo, sulla riva destra del fiume
Tevere.
Aqua Alexandrina
L'ultimo degli undici grandi acquedotti dell'antica Roma fu costruito durante il principato di
Alessandro Severo, intorno al
226.
Raccoglieva l'acqua del "Pantano Borghese", sulla
via Prenestina, alle falde del colle di “Sassolello”, a 3 km dall'odierno comune di
Colonna: le medesime sorgenti furono successivamente utilizzate da
papa Sisto V per la costruzione del suo acquedotto dell'"Acqua Felice".
Il percorso complessivo era di 22 km e la portata giornaliera pari a 21.632 m³.
Tabella riepilogativa degli acquedotti di Roma antica
Aqua Appia | 312 a.C. | 16,5 km | 841 q. | 34000 m³ | 1825 q. | 75737 m³ | 876 |
Anio Vetus | 270 a.C. | 63,5 km | 4398 q. | 182517 m³ | 4398 q. | 182517 m³ | 2111 |
Aqua Marcia | 144 a.C. | 91 km | 4690 q. | 194365 m³ | 4339 q. | 180068 m³ | 2083 |
Aqua Tepula | 125 a.C. | 18 km | 190 q. | 7885 m³ | 1651 q. | 68516 m³ | 792,5 |
Aqua Iulia | 33 a.C. | 23 km | 1206 q. | 50043 m³ | 1651 q. | 68516 m³ | 792,5 |
Aqua Virgo | 19 a.C. | 20 km | 2504 q. | 103916 m³ | 2504 q. | 103916 m³ | 1202 |
Aqua Alsietina | 2 a.C. | 33 km | 392 q. | 16257 m³ | 392 q. | 16257 m³ | 188 |
Aqua Claudia | 38 d.C. | 68 km | 4607 q. | 191190 m³ | 4607 q. | 191190 m³ | 2211 |
Anio Novus | 38 d.C. | 87 km | 4738 q. | 196627 m³ | 4738 q. | 196627 m³ | 2274 |
Aqua Traiana | 109 d.C. | 57 km | 2848 q. | 118200 m³ | 2848 q. | 118000 m³ | 1367 |
Aqua Alexandrina | 226 d.C. | 22 km | 521 q. | 21632 m³ | 521 q. | 21632 m³ | 250 |
Acquedotti di epoca rinascimentale e moderna
Fontana dell'Acqua Felice a piazza San Bernardo
Il sistema di distribuzione delle acque potabili a Roma era, fino a circa metà del secolo scorso, privo di
cloro e molto "identitario": gli abitanti dei rioni conoscevano l'acquedotto che alimentava le loro fontane, grandi e piccole, e distinguevano il sapore di un'acqua dall'altra. La distribuzione era assicurata da figure professionali come i "fontanieri", ed era oggetto di trattative e regalìe, grandi o piccole a seconda dell'importanza dell'utente. Ad esempio i
Farnese, quando ebbero ottenuto l'acqua per alimentare le
fontane di piazza Farnese, in segno di gratitudine e per pubblica utilità fecero aprire la "fontana del Mascherone" a
via Giulia, che con la sua grande vasca serviva, oltre che al popolo, anche all'abbeverata degli animali.
Dall'epoca rinascimentale, la storia degli acquedotti si fonde con quella delle
fontane di Roma.
Acqua Felice
Dopo oltre tredici secoli e mezzo dalla realizzazione dell'ultimo acquedotto, definitivamente crollato l'
impero romano, trascorso anche tutto il
medioevo, un nuovo acquedotto venne costruito tra il
1585 e il
1587 da Matteo Bortolani e soprattutto da
Giovanni Fontana (che dovette correggere gli errori di progettazione del collega), durante il pontificato di
papa Sisto V (al secolo Felice Peretti, da cui, appunto, il nome dell'acquedotto), riutilizzando le sorgenti dell’
Aqua Alexandrina e altre delle zone limitrofe.
Era destinato all'approvvigionamento idrico delle zone dei colli
Viminale e
Quirinale, ma verosimilmente l'intenzione primaria era di rifornire d'acqua la villa papale che si estendeva su entrambi i colli.
Acqua Paola
L'acquedotto, sull'antico tracciato dall’
Aqua Traiana, fu ricostruito su un progetto del
1605 per volere di
papa Paolo V, ad opera di Giovanni Fontana,
Carlo Maderno ed altri, per l'approvvigionamento idrico del
Gianicolo e della sottostante area di
Trastevere, ma in realtà il pontefice mirava soprattutto a poter disporre di una cospicua riserva d'acqua per i giardini della sua residenza vaticana. Per ridurre i tempi di costruzione, l'intero percorso di circa 64,4 km
[8] fu suddiviso in sezioni più piccole, affidate ciascuna ad un diverso architetto, che lavoravano in contemporanea. Iniziati i lavori nel
1608, nel
1610 l'acqua raggiunse la sommità del
Gianicolo. Il test del flusso fu un disastro: la pressione era talmente forte che ruppe i “rubinetti” e inondò il Gianicolo, producendo diversi danni. Ripristinata la normalità l'abbondanza d'acqua fu utilizzata anche come forza motrice per l'alimentazione di alcuni mulini.
L'acquedotto termina con la "
Fontana (Mostra) dell'Acqua Paola" sul
Gianicolo, realizzata nel
1611 poco distante dall'attuale
Porta San Pancrazio. Un prolungamento del condotto scendeva a valle e attraversava il
Tevere, raggiungendo la riva sinistra fino all'inizio di
via Giulia, dove, incorporato nell'”Ospizio dei Cento Preti”, alimentava l'
omonimo fontanone. Con la demolizione dell'ospizio a seguito della costruzione dei muraglioni del
Tevere, il “fontanone” venne smontato e reinstallato sulla riva destra, dove oggi si trova, in piazza Trilussa.
Così scarsi erano il valore e la qualità che il popolo riconosceva all'acqua Paola, da essere diventata proverbiale: di una medicina di nessun valore o effetto, ad esempio, si dice ancora che cura "come l'Acqua Paola".
Acqua Pia Antica Marcia
La gestione del nuovo acquedotto fu affidata, nel
1868, alla società “
Acqua Pia Antica Marcia SpA”, il cui marchio si può ancora rinvenire su alcune fontane e tombini, che rimase a lungo una delle principali fornitrici di approvvigionamento idrico della città. Con l'espandersi della città, nel
1929 fu necessario incrementare l'approvvigionamento con la captazione di una fonte secondaria da immettere nell'acquedotto, situata nel comune di
Agosta, ma la società riuscì a completare l'ampliamento solo dopo la fine della
seconda guerra mondiale per la forte resistenza degli abitanti del paese.
La “Fontana delle Naiadi” a piazza della Repubblica
Acquedotto del Peschiera-Capore
Dopo varie interruzioni e riprese l'opera fu portata a termine nel
1980 con la captazione di altre acque: le sorgenti delle Capore, nei pressi del comune di
Casaprota (RI), affluenti nel fiume
Farfa.
Con i suoi circa 14 000 litri d'acqua al secondo, una lunghezza di circa 130 km (di cui il 90% in sotterranea) e l'alimentazione di una
centrale idroelettrica, l'acquedotto del Peschiera-Capore è considerato uno dei più grandi e complessi sistemi idrici artificiali del mondo. Questa grande opera di ingegneria idraulica fornisce complessivamente l'85% dell'acqua consumata a Roma, che può così usufruire di un'abbondante acqua di sorgente piuttosto che di acqua fluviale purificata, come accade per
Londra o
Parigi.
[9]
Avendo origine in bacini sotterranei profondi e della stessa natura, le acque delle Sorgenti Peschiera-Capore presentano ottime caratteristiche qualitative naturali tali da non richiedere alcun trattamento correttivo. La caratteristica principale è data dalla loro durezza (ben conosciuta dai romani), in media 34° Francesi.
Acquedotto Appio-Alessandrino
Realizzato tra il
1963 e il
1968, l'Acquedotto Appio-Alessandrino è l'ultimo degli acquedotti per l'approvvigionamento d'acqua di Roma. Realizzato per la fornitura idrica di quartieri e borgate a sud-est della città (
Borghesiana,
Torre Gaia,
Tuscolano,
Prenestino,
E.U.R.,
Laurentino,
Acilia ed
Ostia) è il potenziamento dell'
Acquedotto Felice, captando l'acqua di falda dalle antiche sorgenti, appositamente ampliate, dell'
Acquedotto Alessandrino, oltre a nuove riserve nei pressi di
Finocchio e di
Torre Angela.
Note
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane (Ῥωμαική ἀρχαιολογία), III, 13.
- ^ Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XXVI, 123.
- ^ La lunghezza degli acquedotti era espressa in milia passus ("mille passi"), cioè miglia romane, corrispondenti a 1,482 km.
- ^ La quinaria era l'unità di misura della portata di un acquedotto, e corrisponde a circa 41,5 m³ giornalieri, cioè 0,48 litri al secondo.
- ^ La sua costruzione fu deliberata nel 179 a.C., ma la realizzazione del progetto dovette essere rinviata a causa del veto di Marco Licinio Crasso, che si opponeva al passaggio delle condutture sul terreno di sua proprietà.
- ^ Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XXXI, XXIV, 41.
- ^ Arco di Sisto V
- ^ L'Acquedotto Paolo e le sue fontane - Comune di Roma, Progetto "Roma Capitale: Monumenti e Fontane".
- ^ Rita Giovannelli, Rieti in tasca, CARIRI, 2011, p. 146.
- Comune di Roma\Assessorato alla Cultura – I.W.S.A. – A.C.E.A., “Il trionfo dell'acqua. Acque e Acquedotti a Roma – IV secolo a.C. – XX sec.”. Mostra organizzata in occasione del 16º Congresso ed Esposizione Internazionale degli Acquedotti (31 ottobre 1986 – 15 gennaio 1987) Museo della Civiltà Romana. Ernesto Paleani Editore, Roma, 1986
- Ministero per i beni culturali\Istituto Nazionale per la Grafica - I.W.S.A. – A.C.E.A., “Il trionfo dell'acqua. Immagini e forme dell'acqua nelle arti figurative”. Mostra organizzata in occasione del 16º Congresso ed Esposizione Internazionale degli Acquedotti (4 novembre 1986 – 15 gennaio 1987) Istituto Nazionale per la Grafica. Ernesto Paleani Editore, Roma, 1986
- Pietrantonio Pace, Gli acquedotti di Roma e il de aquaeductu di Frontino, Art Studio Sant'Eligio, Roma, 1983, p. 128
- Carmelo Calci, «L'acquedotto Alessandrino alla Tenuta della Mistica», in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma LXXXIX, 1984, pp. 105–106.
- Carmelo Calci, «Un nuovo cippo di Claudio lungo il percorso dell'acquedotto Vergine a piazza di Vigna Mangani» in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma XCVI, 2, 1994, pp. 213–215.
- Romolo A. Staccioli, “Acquedotti, fontane e terme di Roma antica”, Newton & Compton, Roma, 2005
- Antonio Linoli, La gestione degli acquedotti romani alla fine del I secolo d. C., in L'acqua, (2007), n. 3, pp. 43–53
- Carmelo Calci, L'Aniene e gli acquedotti aniensi, Acerra 2010.
Voci correlate