Origine e sviluppo del significato e della funzione della sillaba Oṃ nelle Upaniṣad vediche
Il termine
Oṃ compare indubbiamente nelle prime
Upaniṣad vediche (IX-V secolo a.C.). Alcuni autori
[2] ritengono tuttavia che la sua presenza sia comunque indicata anche in un inno tardo del
Ṛgveda (XV-XII secolo a.C.):
(SA)
« ṛco akṣare parame vyoman yasmin devā adhi viśve niṣeduḥ yastan na veda kiṃ ṛcā kariṣyati ya it tad vidusta ime samāsate »
| (IT)
« Colui che non conosce la sillaba imperitura del Veda, quel punto supremo presso il quale vivono tutti gli Dei, che cosa egli ha a che fare con il Veda? Solo coloro che la conoscono siedono qui pacificamente riuniti »
|
(Ṛgveda I,164,39) |
Una delle più antiche
Upaniṣad vediche che esprimono significati e funzioni del termine
Oṃ è la
Chāndogya Upaniṣad (
Upaniṣad collegata al
Sāmaveda e quindi al canto rituale,
sāman), la quale al primo verso del primo
kaṇḍa del primo
prapāṭaka così si esprime:
(SA)
« om ity etad akṣaram udgītham upāsīta om iti hy udgāyati tasyopavyākhyānam »
| (IT)
« Occorre venerare il canto liturgico (udgīta) come fosse la sillaba Oṃ con Oṃ infatti si inizia il canto liturgico. Ora spiegheremo »
|
(Chāndogya Upaniṣad I,1,1) |
Nelle sue spiegazioni la
Chāndogya Upaniṣad indica che il canto liturgico (
udgītha) è l'essenza di tutti gli esseri (I,1,2). Ma cos'è l'
udgītha?
(SA)
« vāg evark prāṇaḥ sāma om ity etad akṣaram udgīthaḥ tad vā etan mithunaṃ yad vāk ca prāṇaś cark ca sāma ca »
| (IT)
« La parola è il ṛk (Ṛgveda), il soffio vitale è il sāman (Sāmaveda), l'udgītha è la sillaba Oṃ . Parola e soffio vitale formano una coppia così come il ṛk con il sāman »
|
(Chāndogya Upaniṣad I,1,5) |
Così come senza la parola non c'è l'inno e senza il respiro non c'è il canto liturgico, questi trovano la loro essenzialità nella sillaba Oṃ.
Ma Oṃ è anche una risposta affermativa e un saluto fausto:
(SA)
« tad vā etad anujñākṣaram yad dhi kiṃcānujānāty om ity eva tad āha eṣo eva samṛddhir yad anujñā samardhayitā ha vai kāmānāṃ bhavati ya etad evaṃ vidvān akṣaram udgītham upāste »
| (IT)
« Questa sillaba esprime l'assenso. Quando si vuole dare l'assenso a qualcosa si pronuncia Oṃ. E ciò a cui si dà l'assenso verrà realizzato. Colui che conosce questo venera udgītha come la sillaba Oṃ realizzerà i suoi desideri »
|
(Chāndogya Upaniṣad I,1,8) |
Da Oṃ procede la conoscenza sacra:
(SA)
« teneyaṃ trayī vidyā vartate om ity āśrāvayati om iti śaṃsati om ity udgāyati etasyaiva akṣarasyāpacityai mahimnā rasena »
| (IT)
« Da essa procede la triplice conoscenza (i Veda). Pronunciando Oṃ si recitano (le formule del Yajurveda); pronunciando Oṃ si innalzano le lodi (del Ṛgveda); pronunciando Oṃ si cantano (le melodie del Samāveda), onorando la grandezza e l'essenza di questa sillaba »
|
(Chāndogya Upaniṣad I,1,9) |
Con lo sviluppo delle successive Upaniṣad, le caratteristiche della sillaba Oṃ verranno ulteriormente a delinearsi.
La Morte (
Yama) afferma, nella
Kaṭha Upaniṣad (o
Kaṭhaka Upaniṣad collegata al
Kṛṣṇa Yajurveda) che:
« La parola che tutti i Veda proclamano, verso cui muovono le austerità, per il desiderio per la quale si conducono le discipline, io ti rivelo: è Oṃ. Questa sillaba è davvero il Brahman eterno, questa sillaba è la meta suprema, colui che conosce questa sillaba otterrà quello che vuole » |
(Kaṭha Upaniṣad, I,2,16-17) |
Con la
Māṇḍūkya Upaniṣad (collegata all'
Atharvaveda) una delle ultime
Upaniṣad vediche
[3] la sillaba
Oṃ viene per la prima volta analizzata e scomposta foneticamente:
(SA)
« So'yamātmā-adhyaksharam-Omkaro'dhimatram, pādā mātrā, mātrāsca pādā akāra ukāro makāra iti »
| (IT)
« Egli è l'Ātman privo di difetto corrispondente ad Oṃ guardandone gli elementi che lo costituiscono. Gli elementi che lo costituiscono corrispondono alle essenze e le essenze corrispondono agli elementi che lo costituiscono, ossia ai suoni A U M. »
|
(Māṇḍūkya Upaniṣad I, 8) |
(SA)
« Jāgaritasthāno vaiśvānaro'kārah prathamā mātrā, āpterādimatvādvāpnoti ha vai sarvān kāmānādisca bhavati ya evam veda »
| (IT)
« Vaiśvānara, lo stato di veglia è indicato dalla suono A che è il primo elemento in quanto ottiene o in quanto è primo. Ottiene ciò che desidera e risulta primo colui che così conosce. »
|
(Māṇḍūkya Upaniṣad I, 9) |
(SA)
« Svapnasthānastaijasa ukāro dvitīya mātrotkarṣhādu- bhayatvādvotkarṣhati ha vai jñana-santatim, samānasca bhavati, nāsyābrahmavit kule bhavati, ya evam veda »
| (IT)
« Lo stato di sogno, Taijasa, è indicato dal suono U che è il secondo elemento per il fatto che è più in alto [di quello precedente] o perché partecipa dagli altri due [in cui sta in mezzo]. Chi lo conosce è in armonia col Tutto, nessuno dei suoi discendenti ignorerà il Brahman »
|
(Māṇḍūkya Upaniṣad I, 10) |
(SA)
« Pushuptasthānah prājño makārastṛtīya mātrā miterapīter vā, minoti ha vā idam sarvam-apītisca bhavati, ya evam veda »
| (IT)
« Lo stato di sonno profondo, prājña è indicato dal suono M che è il terzo elemento, in quanto crea o dissolve. Colui che conosce questo penetra questo universo facendolo suo »
|
(Māṇḍūkya Upaniṣad I, 11) |
(SA)
« Amātrascaturtho'vyavahāryah prapancopaśamah sivo'dvaita evamomkāra ātmaiva, samviśatyātmanatmanam ya evam veda, ya evam veda »
| (IT)
« Il quarto non corrisponde ad un elemento è non misurabile è al di là della manifestazione e non agisce; è calmo e non duale. Tale è la sillaba Oṃ, in verità è l'Ātman colui che così conosce penetrando con l'Ātman [individuale] l'Ātman [universale] »
|
(Māṇḍūkya Upaniṣad I,12) |
La sacra sillaba viene quindi analizzata dividendola nei quattro vissuti che costituiscono lo stato di coscienza: veglia, sogno e sonno senza sogni, nonché, il quarto stato,
turīya, al di là di ogni definizione è l'Ultimo, il
Brahman.
Nella
Maitri Upaniṣad (o
Maitrāyaṇīa Upaniṣad collegata al
Kṛṣṇa Yajurveda), probabilmente l'ultima delle
Upaniṣad vediche, l'
Oṃ viene indicato come suono originario (VI,3) e viene infine raccomandata la pratica della meditazione dell'
Oṃ come Sé.
« "Ci sono due aspetti del Brahman quello materiale e quello immateriale. Quello materiale è privo di realtà, quello immateriale è reale, è il Brahman è la luce. La luce è il sole, esso è Oṃ. Esso divenne il Sé e divenne tre parti[4]. Da questo tutto l'universo è intessuto." Così disse. Il sole è Oṃ: su questo meditate e su questo concentrate il vostro spirito » |
(Maitri Upaniṣad VI,22) |
La sillaba Oṃ nella letteratura religiosa post-vedica
Nel
Manusmṛti ("Le leggi di Manu", opera databile a cavallo della nostra Era), raccolta di disposizioni
darmiche, precetti sociali e norme etiche, viene stabilito che:
« Egli deve sempre pronunciare "Oṃ!" alla fine e all'inizio della recitazione dei Veda, perché se non c'è prima, [la recitazione dei Veda] si perde, se non c'è dopo, questa si dissolve. » |
(Manusmṛti, II,74) |
Non solo:
« Un sacrificio che consiste nel recitare [la sillaba Oṃ e il verso in onore di Savitṛ[5]] è dieci volte migliore di un sacrificio regolare; se mormorato è cento volte migliore; è se è [recitato] solo con la mente è tradizionalmente considerato mille [volte migliore]. » |
(Manusmṛti, II,85) |
Quest'ultimo verso del
Manusmṛti è esemplificativo del processo di interiorizzazione di
mantra e formule sacrificali proprie della letteratura vedica, interiorizzazione che andrà a sostituire, con le annesse esegesi e credenze articolate nella successiva letteratura religiosa, il
sacrificio vedico, promuovendo così la nascita della
religione induista.
La sillaba Oṃ nell'Induismo
In virtù di questo, la sillaba
Oṃ viene recitata in apertura delle letture religiose, della pratica della
pūjā e del
yajña.
Essendo venerata dagli induisti come il 'suono originario', viene appellata come akṣara (eterna) o anche come ekakṣara (la sola cosa eterna) e praṇava (da pra e ṇu, udire un ronzio, per via della sua pronuncia nasalizzata).
"Tre in uno"
Questo mantra viene spesso utilizzato per rappresentare simbolicamente la sintesi di tre aspetti differenti del
tre in uno, un tema comune in molti aspetti dell'Induismo. Questo implica che la nostra attuale esistenza definita come
mithyā ('realtà apparente'), deve essere trascesa al di là del corpo e della mente intuendo che la vera natura dell'infinito, la natura di Dio, è immanente, trascende la dualità,
essendo e
non essendo, e che non può essere descritta a parole, ma solo sperimentata.
All'interno di questo simbolismo
metafisico, il
tre viene rappresentato dalla curva più bassa, mentre la curva più alta e la coda sono rappresentate da
ॐ, sottomesso all'Unità, rappresentato da un punto e da una piccola ombra luna-crescente, conosciuta come
candra-bindū (
bindū indica l'
anusvāra ovvero il "suono successivo" o "suono nasale" marcato da un punto sopra la linea e che appartiene alla vocale che precede, di grande importanza mistica).
Seguono alcuni esempi di tre aspetti in uno che possono essere simboleggiati dall'Oṃ.
Come si può vedere dalla tabella, esiste anche un
quarto suono: esso, però, è
trascendentale e consiste nel silenzio che segue i tre suoni del mantra. È un "suono silenzioso", un momento di assoluta
contemplazione che rappresenta l'immanifesto, la condizione primordiale dell'Essere che precede la manifestazione.
L'Oṃ e le Mūrti
Approfondimento |
In lingua Tamil, la sacra sillaba è indicata da un carattere la cui forma ricorda la sagoma della testa d'elefante di Gaṇeśa. |
| Lo stesso argomento in dettaglio: Murti. |
I vari aspetti della
Divinità sono venerati dagli induisti attraverso il sistema delle
Mūrti; molte delle rappresentazioni di tali aspetti sono chiamate con l'appellativo
oṃkāra o
Omkāreśvara, ossia “avente la forma della Oṃ”. Le varie forme divine vengono paragonate alla sacra sillaba e descritte quindi come illimitate, quali aspetti vibrazionali di tutto il creato.
Ad esempio, l'
Oṃ viene attribuito a
Gaṇeśa, la cui figura è spesso rappresentata nella forma di questo simbolo. Un altro esempio può essere la
danza cosmica di
Śiva con la quale egli crea, preserva e distrugge i mondi; questa danza viene vista come il riflesso dell'
Oṃ.
Si dice che sia l'approssimazione più aderente dell'esistenza cosmica nel tempo e nello spazio, quindi del suono più vicino alla Verità.
Pronuncia corretta e recitazione
Aum è la somma e sostanza di tutte le parole che possono essere emesse da una gola umana. È il suono primordiale fondamentale, simbolo dell'Assoluto Universale. Il mantra Aum deve essere pronunciato, con concentrazione, in un modo ben preciso e con energia:
- La A- deve originarsi dalla regione dell'ombelico ed emergere dalla gola;
- La U- la si pronuncia rovesciando la lingua;
- La M- termina sulle labbra e la vibrazione termina sulla sommità del capo.
Anche se viene suddiviso in tre, la sua recitazione deve avvenire come un unico suono. Il
quarto suono, come si è visto, non viene pronunciato attraverso la
voce; tuttavia esso è il momento più importante della recitazione, in quanto è pura contemplazione, e va ricordato e vissuto come tale.
In molti
ashram e
templi induisti si esegue la pratica dell'
Aumkara (o
Omkara), ossia la ripetizione di
21 Aum. Dietro a questo numero c'è una precisa simbologia.
La sillaba
Oṃ con i suoi sacri significati è stata propugnata, diffusa e spiegata fin dalle prime
Upaniṣad vediche, quindi almeno dal VI secolo a.C. In ambito
buddhista la si riscontra nel cosiddetto "
Buddhismo esoterico" oggi afferente ai
Canoni cinese e
tibetano.
Nel primo ambito, la sillaba
Oṃ è pronunciata all'inizio delle
dhāraṇī riguardanti il
garbhadhātu (胎藏界).
Sempre in questo ambito le tre componenti fonetiche dell'
Oṃ, ovvero A/U/M, vengono rispettivamente ad indicare le tre parti del
Trikāya:
dharmakāya,
saṃbhogakāya, e
nirmāṇakāya.
In ambito buddhista, la sillaba
sanscrita Oṃ è così resa nelle altre lingue asiatiche:
Il simbolo dell'Oṃ in devanāgarī e in altre scritture asiatiche
Il simbolo dell'
Oṃ (ॐ) deriva dall'unione di due caratteri del
devanāgarī: ओ ('o') + ँ ('m' nasale) riportati in
corsivo. Risultando il
devanāgarī una scrittura non precedente all'VIII secolo d.C. questo simbolo è quindi di gran lunga posteriore alla sillaba
Oṃ presente in testi anteriori almeno al VI secolo a.C.
Note
- ^ Il diacritico inserito nella 'm' di Oṃ e nel meno diffuso Oṁ ha lo scopo di nasalizzare la vocale che precede in questo caso la o che nel sanscrito è fondamentalmente un dittongo risultante foneticamente dalla contrazione delle vocali 'a' e 'u' che pronunciate rapidamente danno il suono di 'o' (Cfr. al riguardo: Margaret Stutley e James Stutley. Dizionario dell'Induismo. Roma, Ubaldini, 1980, pag.312).
- ^ Cfr. ad esempio:
« Evidence of its use as an invocation occurs in the Ṛgveda; though it appears in a relatively late section (1.164.39), this note dates the practice to at least 1200 BCE » |
(Anne-Marie Esnoul. Oṃ in Encyclopedia of Religion vol.10. NY, MacMillan, 2005, pag.6820.) |
- ^ Occorre precisare che questa Upaniṣad è profondamente radicata nel commento (kārikā) attribuito a Gauḍapāda (VIII secolo d.C.) di cui fa parte integrante. Qui ci riferiamo esclusivamente ai passaggi inerenti alla tarda Upaniṣad vedica e quindi a quella parte del primo capitolo della kārikā. Tale precisazione si rende necessaria quando consideriamo che la kārikā di Gauḍapāda esprime nel suo monismo radicale una dottrina della illusorietà del mondo lontata dalle concezioni dei Veda e delle Upaniṣad vediche, testi per cui, invece, il mondo è assolutamente reale (Cfr. Carlo Della Casa. Op.cit pag.415).
- ^ Richiama la Māṇḍūkya Upaniṣad I,8-12 con i tre aspetti di veglia, sonno e sonno profondo.
- ^ Conosciuto anche come Savitrī o gāyatrī è il Ṛgveda III, 62, 10.
Bibliografia
- Anne-Marie Esnoul. Oṃ in Encyclopedia of Religion vol.10. NY, MacMillan, 2005
- Guy L. Beck. Sonic Theology: Hinduism and Sacred Sound. Columbia, S.C., 1993