sabato 19 novembre 2016

Che cosa vuole, realmente, Angela Merkel, e perché sarà l'Italia a subirne le conseguenze

German Chancellor Angela Merkel  at a meeting of the Confederation of German Employers' Associations (BDA), Berlin, November 15, 2016 © John Macdougall



Angela Merkel si trova in una situazione analoga a quella di Adolf Hitler quando la sua Grande Germania si trovò schiacciata dall'alleanza tra gli anglo-americani da una parte e i sovietici dall'altra.
Ora infatti al posto del Terzo Reich abbiamo un'Unione Europea teutonica e germanocentrica, che si trova ormai assediata da forze avverse: la Gran Bretagna del dopo Brexit, gli Stati Uniti di Donald Trump e la Russia di Putin. 

L'Unione Europea germanocentrica è l'ultimo baluardo di un'ideologia totalitaria, il neoliberismo globalista, che è stato rifiutato in tutto il resto del mondo, impedendo la realizzazione di quello che, negli ultimi 25 anni, è stato considerato il Nuovo Ordine Mondiale.

La Merkel si è ritrovata ad esserne l'ultimo alfiere politico (a livello economico i banchieri sono ancora saldi sulle loro poltrone dorate) e di fronte a questa sorta di investitura ha deciso di ricandidarsi per la quarta volta.

Ma chi è, veramente, Angela Merkel? Quali sono le sue idee e le sue strategie?
Non è una domanda facile.
Dietro a quella faccia da mastino si nasconde un enigma avvolto nel mistero, per dirla con Churchill.
La Merkel vuole veramente diventare il capo politico di ciò che resta del Nuovo Ordine Mondiale, oppure vuole fare gli interessi della Germania?
Le due cose non vanno necessariamente d'accordo, come ha mostrato la questione dell'accoglienza degli immigrati, ben vista dall'elite finanziaria, che vuole nuovi schiavi, e mal vista dalla gente comune.
Su questo tema, come su altri argomenti, la Merkel si è mostrata ondivaga, oscillando tra le posizioni dei falchi tedeschi come Schauble e il presidente della Bundesbank e quelle dei tecnocrati europei, come Juncker, o dei grandi banchieri centrali, come Lagarde e Yellen.

Cerchiamo dunque di capire cosa ha in  mente Angela Merkel e quali rischi correrà l'Italia durante la campagna elettorale per la rielezione della Cancelliera.

Da Diariodelweb: http://esteri.diariodelweb.it/esteri/articolo/?nid=20161116_396184

L'establishment trema: Merkel incoronata «ultimo baluardo dell’ordine mondiale»

BERLINO - L'annuncio che in Europa tutti attendevano è arrivato: Angela Merkel si candiderà per il suo quarto mandato alle elezioni dell'autunno 2017. Ad annunciarlo, il vice presidente federale della Cdu, Norbert Roettgen, alla Cnn. Niente più esitazioni, insomma, per la Merkel, che aspira a diventare il Cancelliere più longevo della storia. Pur reduce da un vero e proprio periodaccio a livello politico: con l'estrema destra tedesca in costante crescita, un risultato deludente alle regionali, un serpeggiante malcontento popolare per la sua politica di accoglienza nei confronti dei rifugiati e la Grande Coalizione tra Cdu e Csu sull'orlo della rottura da mesi.

La spinta di Donald Trump
Ma a darle la «spinta» che le serviva per rimettersi ufficialmente in gioco sarebbe stata l'elezione a sorpresa di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. che pare aver destabilizzato la calma (apparente) che regnava, fino alla scorsa settimana, sulle cancellerie europee. «Calma» è decisamente una parola grossa: la Brexit è passata come un terremoto su Bruxelles, evidente segno dei tempi e avvertimento sullo stato dell'arte. Eppure, l'impressione era che i leader europei, decisamente restii a imparare la lezione, di quel terremoto si fossero già sostanzialmente dimenticati. E a risvegliarli, questa volta, è arrivato un vero e proprio ciclone da oltreoceano.

«Tu non sei andata alla deriva»
In mezzo a tante turbolenze, il «sistema» sembra già aver trovato il proprio ultimo baluardo, l'estrema roccaforte cui aggrapparsi per non essere definitivamente spazzato via: Angela Merkel. La quale, non a caso, mentre gli americani consegnavano il proprio Paese a Donald Trump, veniva insignita di un illustre riconoscimento dal Rabbino Arthur Schneier, sopravvissuto dell'Olocausto, presso la Sinagoga di Munich: «Molte nazioni si stanno scontrando con instabilità,turbolenza, e stanno andando alla deriva nel mare dei conflitti», ha detto Schneier.  "Tu non sei andata alla deriva», ha sentenziato.

La stampa internazionale la incorona a nuova leader del mondo libero e liberale
Un'analisi unanimamente condivisa dalla stampa mainstream internazionale. Diversi analisti vedono la cancelliera come l'unica «leader del mondo libero» rimasta, l'ultimo pilastro dell'attuale ordine mondiale. «Merkel...è all'improvviso diventata il leader più importante del mondo libero, democratico e liberale», sottolinea il quotidiano di sinistra Ttedesco az. Lo storico ed editorialista Timothy Garton Ash è apparso sulla stessa lunghezza d'onda dalle colonne del Guardian: «Sono tentato di dire che adesso il leader del mondo libero è Angela Merkel». Addirittura, molti analisti considerano la visita di oggi di Barack Obama a Berlino un vero e proprio passaggio di testimone alla Merkel. Prima della visita, proprio Obama ha ricordato che la cancelliera tedesca «è probabilmente stato il mio alleato internazionale più stretto in questi ultimi otto anni». In effetti, sui principali dossier internazionali - Ucraina, Siria, rapporti con la Russia in primis, Obama e Merkel sono sempre stati allineati.

Ma la Merkel ha molte preoccupazioni
Il trionfalismo della stampa internazionale, che in coro acclama Merkel a novella regina non solo d'Europa, ma di tutto il «mondo libero», non può nascondere le giustificatissime preoccupazioni che serpeggiano nei corridoi della Cancelleria berlinese. Preoccupazioni che emergono, quasi paradossalmente, dal risolutissimo e non formale messaggio di congratulazioni inviato da Merkel a Trump dopo la vittoria di quest'ultimo. La cancelliera ha infatti sottolineato che ogni «stretta cooperazione» deve essere sulla base dei «valori della democrazia, della libertà, del rispetto dello stato di diritto e della dignità umana, a prescindere dall'origine, dal colore della pelle, dalla religione, dall'orientamento sessuale o dal credo politico».

Quando Trump definiva «folli» le sue politiche sui migranti
Ad Angela devono cioè essere passati per la mente in un baleno i possibili contraccolpi che una presidenza Trump potrà avere sulla sua Germania, sull'Europa così come lei l'ha costruita, e sul suo stesso destino politico. Trump ha caratterizzato la Merkel come la rovina dell'Europa, descrivendo le sue politiche sui rifugiati come «folli» e «catastrofiche», e l’ha più volte paragonata a Hillary Clinton, chiedendo provocatoriamente agli americani: «Non vorrete mica un'altra Merkel alla guida degli Stati Uniti?».

Come salvare l'Europa teutonica dopo Trump?
Ma non sono state mere boutade elettorali. Il nuovo presidente Usa incarna esplicitamente tutte le istanze contro cui la Merkel ha strenuamente combattuto in patria da più di un anno a questa parte, e che per la prima volta da un decennio hanno reso traballante il suo trono. Come riuscire a sostenere quelle politiche di accoglienza in Germania e, ancora di più, in un’Europa sempre più divisa, con l’ingombrante presenza di Trump dall’altra parte dell’oceano? E ancora, come salvaguardare l’integrazione europea modellata sul progetto tedesco, dopo che è diventato presidente degli Stati Uniti colui che ha definito Bruxelles «un buco infernale»?

Come proseguire con il pugno duro con Putin?
Non solo. Perché c’è chi – come il quotidiano Die Welt –, nell’apologia della Cancelliera, definita «leader del reale», le ha dato atto addirittura di essere «la donna che sta contrastando uomini come il presidente russo Vladimir Putin o il presidente turco Recep Tayyip Erdogan». Come poter conservare il pugno duro con il capo del Cremlino, ora che a occupare lo Studio Ovale c’è colui che ha promesso uno storico reset con Mosca? Senza contare, poi, che tutti i dossier su cui Merkel ha lavorato duramente con Obama – come quello sul cambiamento climatico, sul nucleare iraniano o sul TTIP – sono oggetto della retorica incendiaria di Trump.

Se Trump abbatterà il baluardo Merkel
Al quadro si aggiunga che la Merkel sta attraversando probabilmente il momento politico più difficile di tutta la sua carriera, e la sua base di consenso in Germania e in Europa si è notevolmente ridotta. E se il pragmatismo che caratterizza la realpolitik imporrà una sostanziale conservazione della partnership strategica tra Washington e Berlino, è però innegabile che non sarà così semplice per la Cancelliera assumersi il ruolo di leader globale che i media di tutto il mondo le stanno affibbiando in queste ore. Perché ciò che la stampa non sta considerando è l’altro scenario, molto meno trionfalistico per la Merkel: e cioè che il ciclone Trump si unisca a tutti i venti contrari che ultimamente spirano contro l’«ultimo baluardo dell’ordine internazionale liberale». E che anche quest'ultimo, per usare le parole del rabbino Schneier, finisca per andare alla deriva.

L’effetto Trump e la Germania  http://www.occhidellaguerra.it/leffetto-trump-e-la-germania/

La Cancelliera si ricandida. Ormai quello di Angela Merkel è un destino manifesto. Come si è visto anche ieri nel tour europeo di Barack Obama che l’ha riempita di elogi. Una ricandidatura che secondo molti analisti rappresenta la risposta di certo mondo alla vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti.

La Merkel e la sua Germania, infatti, rappresenterebbero l’ultimo baluardo d’Occidente alle forze ostative al fondamentalismo liberista, che ha nell’attuale forma di globalizzazione il suo compimento.

Un ordine del mondo messo in discussione dalla Brexit e, in maniera ancor più radicale, dalla vittoria di Trump, almeno a stare al programma che il nuovo presidente ha enunciato nella sua vittoriosa campagna elettorale.

Non si tratta, certo, di porre fine alla globalizzazione, che ormai appartiene al destino, ma di porvi dei correttivi. Il problema è che la forma di liberismo imperante, per la sua natura fondamentalista (non è un caso che si sia sviluppata in parallelo ad altri fondamentalismi, ad esempio quello islamico), vede in ogni possibile correttivo una minaccia esistenziale.

Da qui la necessità di una resistenza, della quale la ricandidatura della Merkel sarebbe passo necessario. Ciò perché l’Unione europea è uno dei pilastri dell’attuale forma di globalizzazione. In particolare da quando il Vecchio continente ha mutato la sua fisionomia: da comunità creata per associare i destini dei popoli del Vecchio continente a una unione di Stati legati da soli vincoli finanziari sotto la rigida tutela tedesca.

Un mutamento radicale che ha visto in parallelo la consegna del continente ai nuovi padroni del mondo globalizzato: non più i rappresentanti dei popoli, ma i funzionari (e/o delegati) delle banche e della grande finanza.

Si va alla resistenza, quindi. Sotto la guida non disinteressata di Angela Merkel, il cui successo politico è stato costruito proprio su tale assetto dell’Europa e del mondo.

E però c’è da segnalare un particolare non secondario di questa nuova avventura della Cancelliera. Essa infatti ha inizio con il suo endorsement a Frank-Walter Steinmeier per la presidenza della Repubblica Federale di Germania, avvenuto dopo non poche perplessità e in parallelo alla vittoria di Trump.

Non si tratta di un’indicazione che nasce solo da un’esigenza di stabilità interna legata al perdurare del compromesso tra socialdemocratici e cristiano democratici sul quale la Merkel ha fondato la sua permanenza al potere.

Essa, infatti, non può prescindere dal profilo dell’uomo designato alla presidenza, da sempre fautore del dialogo tra Berlino e Mosca, linea che ha portato avanti anche nei momenti di maggiore attrito tra Oriente e Occidente, attirandosi le relative critiche.

Così tale designazione può avere anche un altro livello di lettura, ovvero quello di un possibile riposizionamento della Germania nel solco di una nuova distensione tra Occidente e Russia, prospettiva questa indicata da Trump nel corso della sua campagna elettorale.

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D’altronde da quando è crollato il Muro, la Germania vede nell’Europa dell’Est un’area privilegiata per la sua proiezione internazionale. E nella Russia un interlocutore più che prezioso.

Così la nomina di Steinmeier alla più alta carica dello Stato appare un modo per indicare e blindare tale prospettiva. Se si tiene conto che una stretta partnership tra Russia e Germania, associando le risorse russe alla tecnologia e alla finanza tedesche, può dar vita al polo produttivo forse più importante del mondo, si comprende la portata della posta in gioco.

Una partita ancora tutta da dipanare, e che certo troverà contrasto internazionale (sul punto vedi anche Piccolenote.it). Ma che la Germania si prepara a giocare potendo contare su una nuova e più decisa presa sull’Unione, dal momento che il nuovo corso americano, votato (sembra) all’isolazionismo, renderà gli Stati europei orfani e quindi necessitati a una nuova copertura globale.

Ma che potrebbe giocare anche in proprio, se la spinta anti-globalizzazione provocata dalla vittoria di Trump dovesse, come sembra, favorire le forze centripete del Vecchio Continente, con conseguente dissoluzione degli attuali vincoli associativi. In quest’ultimo caso, la Germania sembra aver già pronto un piano B, non ancora all’orizzonte degli altri Stati membri della Ue.

Da Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2016 http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11/17/germania-contro-draghi-il-governo-merkel-volta-le-spalle-al-piu-prussiano-degli-italiani-per-ragioni-politiche/3189311/

" da Berlino cominciano a partire gli attacchi a Draghi dalla stessa maggioranza di governo. Parlamentari della Csu lo definiscono un “falsario“, reo di stampare carta moneta e alimentare l’inflazione. Anche la Bundesbank, principale azionista di riferimento della Bce, si mette di traverso. La convivenza si fa sempre più difficile e cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su presunti dissidi nel board dell’Eurotower. Da allora, esternazioni e critiche diventano una costante, puntuali a ogni giro di vite verso il basso dei tassi d’interesse. Una scelta obbligata secondo Draghi, per scongiurare il rischio di deflazione e rimettere in moto l’economia nella zona euro; una misura, invece, dannosa e penalizzante per i risparmiatori tedeschi, agli occhi di Berlino.
Poi, nell’aprile scorso, con i tassi ormai allo zero, gli attacchi superano il livello di guardia. “La politica di Mario Draghi ha fatto perdere credibilità alla Bce”, dichiara il vicecapogruppo della Cdu-Csu. Berlino invoca un cambio della guardia. “Dopo la fine del suo mandato (ottobre 2019, ndr) il prossimo presidente dovrà essere un tedesco, fedele alla tradizione della stabilità monetaria della Bundesbank”. Altre voci, stessa lunghezza d’onda, sempre nelle file della Csu: “Un altro come lui non possiamo permettercelo. In futuro avremo bisogno di un esperto di finanza tedesco”. Ma il nemico numero uno di Mario Draghi è molto più in alto. Si chiama Wolfgang Schäuble. Sullo Spiegel esce la notizia che il ministro delle finanze di Angela Merkel starebbe pensando di procedere per vie legali contro il presidente della Bce e la sua “disinvolta” politica monetaria.
Il vento ormai è cambiato e Berlino sembra aver voltato definitivamente le spalle al presidente della Bce. Gli attacchi non sono più voci del sen fuggite, ma un orientamento che chiama in causa la stessa cancelliera. Il governo di Angela Merkel è molto meno solido di quanto faccia pensare la sua immagine internazionale e si avvicina alle prossime elezioni per il Bundestag, che si terranno nel 2017, in uno scenario politico insolitamente instabile. Gli ultimi test elettorali hanno mostrato segnali preoccupanti di cedimento. In alcuni Länder dove si è votato di recente il partito della Merkel è sceso al di sotto del venti per cento – vedi BerlinoAmburgo e il caso del MecklenburgVorpommern. E se non bastasse, a rendere ancora più incerto il futuro politico della cancelliera è la concorrenza che viene da destra. Ormai la Cdu deve fare i conti con la crescita dei “populisti” di Alternativa per la Germania (AfD), presenti su tutto il territorio nazionale e con risultati in alcuni Länder che superano il venti per cento.
Neanche a dirlo, i due temi rispetto ai quali la cancelliera è maggiormente sotto attacco dell’opposizione alla sua destra sono l’immigrazione e l’Europa, intrecciati in maniera indissolubile l’uno all’altro. Se l’apertura delle frontiere nei mesi scorsi ha consentito ai populisti di intercettare paure e inquietudini nell’elettorato, il battage contro le politiche dell’Ue che strozzano contribuenti e risparmiatori tedeschi ha fatto il resto. Su questa linea l’imputato numero uno è naturalmente lui, Draghi, simbolo di un’Europa che fagocita i popoli in nome della finanza. L’AfD soffia sul fuoco e mette sotto accusa la Bce, ritenuta colpevole di voler trasferire alla Germania il debito pubblico dei paesi inaffidabili del sud Europa acquistandone i titoli di stato. Anche il taglio dei tassi d’interesse è percepito come una politica anti-germanica che erode il risparmio privato e la redditività delle banche tedesche. Questo mentre la crescita economica rallenta: stando ai dati diffusi il 15 novembre dall’Ufficio federale di Statistica, nel terzo trimestre di quest’anno il pil della Germania ha segnato un aumento dello 0,2% contro lo 0,4% del secondo.
Ma non è solo l’AfD a inneggiare nel proprio programma alla “fine delle politiche di salvataggio dell’euro” e all’uscita dalla moneta unica. L’antieuropeismo è ormai penetrato in profondità nell’opinione pubblica tedesca. Negli ultimi tempi gli elettori hanno dimostrato di essere sensibili ad argomenti del genere. Il prossimo anno si voterà per il Bundestag e non è detto che la cancelliera potrà permettersi di rimanere impassibile di fronte a questa realtà. Trascinare Draghi sul banco degli imputati può rappresentare una carta in extremis per arginare la crescita di consensi alla propria destra"


La Stampa, 17 novembre 2016: http://www.lastampa.it/2016/11/17/economia/merkel-irritata-e-pronta-a-sfidare-roma-attacco-sui-rifugiati-per-vincere-nel-BWaa4aPt2M38b0pBBvW23M/pagina.html

a Berlino valutano concretamente la possibilità di una manovra una che dia la colpa all’Italia. Non un attacco frontale, però ci vuole poco a diffondere una cattiva reputazione e a giocarci su. Il governo tedesco sta cercando alternative per risolvere l’emergenza migranti - considera anche lo stop in Tunisia con la trasformazione del paese nordafricano in centro di smistamento -, soprattutto perché gli strumenti ti europei di redistribuzione non funzionano e, soprattutto, scadono nel settembre 2017, proprio in coincidenza col voto federale. Se, come scontato, non si arrivasse ai 160 mila programmati, il Consiglio Ue dovrebbe discutere una proroga delle fallimentari quote in piena campagna elettorale. Pericolo! 

I consiglieri politici della cancelliera sono pertanto tentati dalla suggestione che un attacco all’Italia potrebbe funzionare per gestire l’opinione pubblica. Costruiscono la strategia sull’irritazione per il rapporto del premier col progetto europeo - «ondivago» - e non meno per il vociare contro le regole di bilancio che vedono Roma non rispettarle anche se Bruxelles le ha rese flessibili come mai. E’ un elemento. Poi ci sono i rifugiati.  

Osservata anche la situazione complessa del Bel Paese, hanno ritenuto necessario chiedere una proroga della chiusura delle frontiere Schengen perché immaginano che il tappo italico possa saltare. Troppa gente a Milano, troppi nel Nord che potrebbero migrare senza essere richiesti. Perché, e questo va ricordato, la Merkel s’è impegnata a prendere 500 migranti al mese dall’Italia e lo sta facendo. 
Le possibilità che non si arrivi alla contesa sono legate al fatto Berlino e Roma sono le capitali più esposte alla tempesta migratoria. Alla solidarietà fra solidali. «I numeri sono dalla nostra parte», assicurano a Roma. Solo in ottobre sono sbarcati in 27.500, il record di sempre, il doppio di settembre. Renzi ha ragione quando dice che in casa Ue troppi non hanno mantenuto gli impegni, ridistribuzione in testa. Eppure, alla fine della fiera, quando il governo tedesco dovrà ragionare su come difendersi, dare la colpa agli italiani potrebbe anche sembrargli una buona idea. A Berlino dicono che è sul tavolo e dopo il referendum potrebbe prendere a girare. In campagna elettorale, come si diceva un tempo per l’amore, tutto è permesso. Colpi bassi inclusi. 

Tutte le guerre del Nobel per la Pace, Barack Obama







Sette anni fa l’investitura di Barack Obama come presidente degli Stati Uniti. Da allora il presidente, insignito del Premio Nobel per la Pace, ha bombardato sette paesi, ha rafforzato lo stato islamico e ha causato conflitti militari in diversi paesi.
Eppure gli Stati Uniti è dal 1942 che non dichiarano nessuna guerra, ciò non ha impedito ad Obama di attaccare e invadere altri paesi.
Afghanistan
Nel dicembre 2009, appena due mesi dopo essere diventato Premio Nobel per la Pace, Obama ha ordinato di rafforzare la presenza degli Stati Uniti in Afghanistan con 30.000 soldati.
Attacchi dei droni senza autorizzazione delle Nazioni Unite
Pur se lanciati dal suo predecessore George W. Bush, con l’arrivo di Obama sono stati intensificato gli attacchi dei droni Usa in Yemen, in Pakistan e Somalia.
Secondo i dati medi forniti da tre ONG, Obama ha autorizzato 506 attacchi in questi paesi, lasciando più di 3.000 vittime, tra cui 400 civili.
Libia
Gli Stati Uniti d’America durante i mandato di Obama hanno lasciando una scia di distruzione in Libia, dove nel marzo 2011 hanno partecipato a un’operazione militare per rovesciare Muammar Gheddafi.
Di conseguenza, il leader libico è stato ucciso sotto gli slogan democratici, che hanno inaugurato in un periodo di instabilità e di lotta armata per il potere in Libia e hanno portato alla effettiva disintegrazione del Paese e alla diffusione ed al rafforzamento del terrorismo.
Iraq e Siria
Durante la campagna elettorale dell’ottobre 2011, Obama ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq.
Tuttavia, i tentativi di Obama per rovesciare il leader siriano Bashar al-Assad, motivo per il quale gli Stati Uniti hanno armato l’opposizione siriana, hanno permesso l’espansione e il rafforzamento dello Stato Islamico. Ora questi gruppi radicali terrorizzano la popolazione di Siria e Iraq.
Ad agosto 2014 Obama ha autorizzato gli attacchi aerei contro le postazioni dell’ISIS in Iraq e nel settembre dello stesso anno Stati Uniti hanno iniziato a bombardare la Siria, senza il consenso della Siria, paese sovrano.
La strategia di Obama per combattere l’Isis non ha dato i suoi frutti, qualcosa che ha rimesso in discussione i veri obiettivi degli Stati Uniti
Ucraina
Durante le proteste scoppiate a Kiev nel novembre 2013, i paesi occidentali hanno rafforzato la loro retorica a sostegno dell’opposizione ucraina, al fine di rovesciare il governo democraticamente eletto di Viktor Yanukovich.
Nel febbraio 2014 ci fu un colpo di stato quando l’opposizione sollevò dal potere il legittimo Presidente dell’Ucraina, indicendo elezioni anticipate, sciogliendo la Corte costituzionale e revocando la legge che concede alla lingua russa lo status di lingua ufficiale in Crimea e in altre regioni.
Prima e dopo le elezioni presidenziali in Ucraina, Obama ha dato il suo sostegno morale per l’attuale presidente dell’Ucraina, Pyotr Poroshenko.
Inoltre, il leader statunitense ha approvato la fornitura di armi letali a Kiev per utilizzarle nel offensiva nella parte orientale del paese, in base a una serie di documenti trapelati da parte del Dipartimento di Stato USA

venerdì 18 novembre 2016

Il Signore Oscuro non è Trump, è George Soros

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Poco più di una settimana fa il mondo si è risvegliato con una notizia rivoluzionaria: Donald Trump, contro cui tutto l'apparato mediatico, lo star system e l'oligarchia finanziaria globalista si erano scagliati per mesi, era appena stato eletto 45° Presidente degli Stati Uniti d'America, rovesciando tutti i sondaggi che da mesi davano per scontata la candidata dell'establishment, Hillary Clinton, sostenuta da tutti i benpensanti e perbenisti neopuritani e neovittoriani del politically correct.
Ma Hillary era sostenuta anche, e forse soprattutto, considerando le cospicue donazioni, dalla dinastia saudita e dallo squalo della finanza George Soros, che sarebbe stato il vero "presidente ombra", la vera eminenza grigia, in caso di vittoria della Clinton.



Come tutte le eminenze grigie, Soros è uno che preferisce mandare avanti gli altri e tessere le sue trame in segreto. Il suo ruolo è quello di stratega e di finanziatore, il che lo rende il vero capo dell'ala radical-chic del Nuovo Ordine Mondiale, alla cui formazione ha contribuito promuovendo le "rivoluzioni colorate" tramite le quali tutti i governi filo-russi sono stati esautorati, in particolare quello dell'Ucraina, che per ben due volte ha visto rovesciato il presidente eletto attraverso una serie di apparenti manifestazioni popolari sfociate in apparenti repressioni. Dico apparenti perché gran parte dei manifestanti e dei cecchini erano personaggi esterni, agitatori, spesso veri e propri terroristi, addestrati ed equipaggiati dalla Open Society di Soros.
L'obiettivo di Soros, condiviso dal Nuovo Ordine Mondiale, è quello di far cadere l'unico leader politico in grado di opporsi all'Oligarchia Finanziaria Globale, difendendo concetti come quello di stato nazionale, stato sociale, tradizione, patria, famiglia (tutti "orpelli" divenuti ostacolo al perfetto funzionamento del mercato liberista), e cioè Vladimir Putin.
Il chiodo fisso di Soros è, da sedici anni, quello di isolare Putin e di rovesciare il suo governo, per arrivare ad uno smembramento della stessa Federazione Russa, con esiti simili a quelli della disgregazione dell'Unione Sovietica nel 1991, seguita alla caduta di Gorbaciov.
Isolare Putin significava anche far cadere i suoi alleati in Medio Oriente, in modo particolare Bashar Assad, presidente della Siria.
Se Hillary avesse vinto, la guerra in Siria sarebbe potuta sfociare in un conflitto diretto tra Stati Uniti e Russia.
La vittoria di Trump e la sua intenzione di dialogare con Putin ha sventato questo rischio.



Il mondo dovrebbe rallegrarsi del fatto che si è evitata l'escalation di un potenziale conflitto mondiale, e invece no: tutti i benpensanti, perbenisti neopuritani e neovittoriani politicalmente corretti e radica-chic si sono messi in gramaglie e hanno continuato nella pantomima secondo cui Trump sarebbe il Male incarnato, il Signore Oscuro che è ormai diventato un topos della letteratura fantasy e di fantascienza e delle sue versioni cinematografiche e televisive.
Ma se proprio dobbiamo cercare un Signore Oscuro che trama nell'ombra, sarebbe meglio che rivolgessimo la nostra attenzione verso Soros, il quale non ha perso tempo a mostrare l'intenzione di rovesciare l'esito del voto negli stessi Stati Uniti, con il suo solito metodo delle "rivoluzioni colorate".
I cortei e le manifestazioni di protesta che in questa ultima settimana si sono avute contro Trump sono in gran parte da inquadrare in questo contesto, e vedono Soros come regista e finanziatore.
A sostegno di tutto ciò che ho scritto, vorrei citare alcuni articoli e alcuni interventi particolarmente efficaci e significativi.
Da:

Il vento del Sud https://unmondodimare.blogspot.it/2016/10/george-soros-lo-squalo-ebreo.html


"

Nel settembre 1992, a seguito dell’attacco speculativo di George Soros, l’incompetenza e la complicità di personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire, una perdita secca provocata da un utilizzo più complice che maldestro di riserve per 48 miliardi di dollari che non ha impedito una svalutazione della lira del 30% e una sua uscita dallo SME.
a seguito dell’attacco speculativo di Soros, l’incompentenza e la complicità di personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire

Infatti il 16 settembre 1992 tramite una speculazione finanziaria guadagnava 1,1 miliardi di dollari, faceva svalutare la sterlina costringendola a uscire dallo SME (sistema monetario europeo) . Lo stesso giorno attaccava pure la lira italiana. A seguito dell’attacco speculativo di Soros, l’incompentenza e la complicità di personaggi italiani quali Carlo Azeglio Ciampi e Mario Draghi, allora rispettivamente governatore della Banca d’Italia e direttore generale del Tesoro, hanno regalato a Soros e agli speculatori 15.000 miliardi di lire, una perdita secca provocata da un utilizzo più complice che maldestro di riserve per 48 miliardi di dollari che non ha impedito una svalutazione della lira del 30% e una sua uscita dallo SME.


Soros è condannato all’ergastolo in Indonesia per Speculazione sulla moneta locale. Soros è condannato alla pena di Morte in Malesia per aver distrutto e speculato sulla moneta locale disastrando l’economia di questo paese. Soros è stato condannato dallo stato francese per insider trading e lo multò di 2 milioni di dollari. il Parassita ricorse alla corte europea dei diritti dell’uomo ma la condanna è stata confermata. Soros che opera principalmente a Londra è inoltre ricercato dall’Fbi per insider trading in Usa. Dietro molte rivoluzioni c’è la sua mano. Incredibilmente Prodi partecipo’ nel 1992 alla cerimonia della laurea honoris causa conferita a Soros dalla facolta’ di economia dell’ Universita’ di Bologna, presieduta da Stefano Zamagni, stretto collaboratore dell’ ex primo ministro emiliano, e presento’ anche l’ edizione italiana del libro autobiografico dell’ uomo che nel ‘ 92 aveva guadagnato somme enormi speculando contro la lira e contribuendo (con varie banche d’ affari) a far bruciare alla Banca d’ Italia circa 40 mila miliardi di lire in riserve valutarie. Si noti che Draghi nel 1992 era direttore generale del Tesoro, presidente della banca d’Italia e ora Presidente della Bce.  

George Soros' web of control.:


Da Linkiesta http://www.linkiesta.it/it/article/2016/09/26/i-file-segreti-di-soros-ecco-come-il-miliardario-filantropo-manovra-il/31887/

Il paradosso del miliardario di sinistra è noto e ritorna spesso nelle campagne elettorali della destra: chi propone progressismo sociale e uguaglianza economica o non è davvero di sinistra o non è davvero ricco. Una terza via, poco lusinghiera, aumenta l'imbarazzo della scelta: il magnate di turno potrebbe avere qualcosa da nascondere, da intendersi come interessi economici o politici in ballo.
Che i miliardari comandino il mondo non è soltanto roba da complottisti: accade da qualche millennio e nessuno se ne meraviglia. Ma vedersi sbattere nero su bianco le manovre di uno di questi magnati fa un certo effetto. Nelle scorse settimane la fondazione di George Soros, la Open Society, è stata hackerata e sono finiti online migliaia di documenti relativi alle attività gestite o finanziate dal miliardario di origini ungheresi. Si tratta di campagne elettorali, fondazioni umanitarie, associazioni per i diritti, società di ricerca che hanno ricevuto fondi per operare o indirizzare il consenso verso temi cari a George, vicino al Partito Democratico americano.
In questi 2.576 file pdf – consultabili su DCLeaks – è scritto che Soros avrebbe cercato di condizionare i risultati in ognuno degli Stati Europei in cui si è votato nel 2014. L'obiettivo di Soros era quello di contrastare i partiti anti-europeisti e favorire le politiche di integrazione interna ed esterna (relative all'ingresso dei migranti).
Si parla anche del coinvolgimento diretto di Soros nella gestione di rivolte sparse per il mondo, tra cui quella Ucraina, e di una pioggia di quattrini data ad associazioni in favore dell'aborto, dell'eutanasia e dei diritti LGBT. Ma c'è anche il sostegno diretto a candidati politici, come quello a Hillary Clinton - circa 8 milioni di euro - per scongiurare il pericolo Trump. Soros ci aveva già provato nel 2004, quando aveva fatto di tutto per non far vincere George W. Bush, arrivando a donare, secondo il Central for Responsive Politics, la bellezza di 23 milioni di dollari a 527 associazioni legate a John Kerry, allora condidato democratico.
La notizia dei file hackerata è di portata mondiale, eppure molti dei più grandi giornali 
soprattutto americani, non ne hanno parlato

















Nell'home page del sito contenente i file hackerati si legge un riassunto ben poco lusinghiero: “Soros è l'architetto o il finanziatore di più o meno ogni rivoluzione o colpo di stato nel mondo negli ultimi 25 anni. Spilla sangue a milioni e milioni di persone solo per diventare più ricco lui”.
D'altra parte Soros è sempre stato un uomo controverso. Nato in Ungheria, di famiglia ebrea, è dovuto fuggire alla persecuzione nazista. Astuto, calcolatore, spregiudicato (soprattutto sulla pelle degli altri). Divenne celebre quando, nel 1992, riuscì a mandare sul lastrico la Banca d'Inghilterra e a far uscire dalla SME (il Sistema Monetario Europeo) sia la sterlina, sla lira italiana: il 16 settembre Soros vendette pacchi di sterline allo scoperto, approfittando del tentennamento della Banca inglese nell'aumentare i tassi di interesse e a far fluttuare il tasso di cambio. Mentre nella finanza di due Paesi regnava il caos, Soros andava a dormire con un miliardo netto di guadagno grazie alla sua speculazione.
Come si concilia, allora, questa spregiudicatezza finanziaria con l'animo da filantropo? Si concilia, dice lui, con il fatto che il lavoro da speculatore, se non lo facesse lui, lo farebbe qualcun altro, e che ciò che conta è cercare di cambiare il sistema. Che ci stia provando o meno non si può dire: intanto Soros si arricchisce, tanto che il suo patrimonio personale si aggira, a quanto pare, sui 25 miliardi di dollari.
Niente male, per un ex allievo di Karl Popper che predica una revisione del sistema.Nota a margine: i Soros Leaks hanno smascherato molti degli interessi del miliardario. Per molti sarà stata soltanto la conferma di ciò che si sospettava da anni, ma in ogni caso la notizia è di rilevanza mondiale, eppure in pochi ne hanno parlato. Baluardi del buon giornalismo come il New York Times o il Washington Post non ne hanno fatto menzione, persino il Guardian ne fa soltanto un rapido accenno in un editoriale. Gli interessi in campo, è evidente, pesano. Mentre Soros continua ad arricchirsi, nessuno si meraviglia più che la politica conti meno della finanza. Se credere ai leader politici non serve più, allora dobbiamo adattarci, e sperare che il miliardario di turno non abbia simpatie troppo diverse dalle nostre.


da Linkiesta http://www.linkiesta.it/it/article/2016/11/15/lo-squalo-george-soros-dietro-le-proteste-anti-trump/32381/

La realtà è quella che è rapidamente saltata fuori: file e file di pullman noleggiati per spostare i manifestanti da un posto all’altro, paga oraria tra 15 e 20 dollari l’ora per gridare «Not my president» contro Trump, panini e bibite gratis.

All’inizio tutto è filato liscio, peace and love per tutti. Poi sono comparsi i primi ragazzotti mascherati, sono cominciate a volare le bottiglie e a finire in frantumi le vetrine. Sono arrivati i corpo a corpo tra manifestanti e poliziotti e a Portland sono partiti i primi colpi di pistola. Ferito ma non in pericolo di vita un dimostrante, arrestato lo sparatore, un diciottenne saltato fuori da un’automobile.

Non ricorda nulla, tipo Ucraina 2014, Georgia 2003 o Siria 2011? Assegnati ormai quasi tutti i nomi dei fiori, come lo intitoliamo questo esperimento di esportazione della democrazia proprio negli Usa, il Paese che dal 1989 esporta democrazia nel resto del mondo? La Rivoluzione dei cetrioli in omaggio al Midwest? La Rivoluzione degli hot dog per amore di New York? La Rivoluzione delle arance per la grande California?

In altri Paesi, dove di solito gli Usa hanno più di fretta, a questo punto le cose procedono così. Durante una delle tante manifestazioni si verifica un “incidente” in cui muoiono uno o più dimostranti e uno o più poliziotti. Le gente si invelenisce e la polizia pure. Spuntano le armi, magari anche dei cecchini che poi nessuno troverà (né tantomeno cercherà). Gli scontri salgono di tono. Aumenta il numero dei morti. Le proteste diventano sempre meglio organizzate. I politici Usa dicono che ha ragione il popolo (ucraino, georgiano, siriano, venusiano, marziano, qualunque, purché non sia quello del Bahrein o quello dello Yemen, colpiti dall’esercito saudita, o quello della Turchia che si schiera con Erdogan) e che sono pronti ad aiutarlo in ogni modo. Visto l’andazzo, non sapendo che altro fare, i politici europei ripetono le stesse dichiarazioni. E tutto va come deve andare.

Negli Usa è tutto un po’ più complesso. Infatti George Soros, l’uomo che ha buttato decine di milioni di dollari nella campagna elettorale di Hillary Clinton, che fa? Convoca al Mandarin Oriental Hotel di Washington, per un bel “seminario” a porte chiuse, la Democracy Alliance e alcuni dei più noti personaggi del Partito Democratico, da Nancy Pelosi (ex presidente della Camera dei Rappresentanti) alla senatrice Elisabeth Warren, oltre ai capi dei sindacati e dei gruppi di pressione liberal.

La Democracy Alliance, non è una delle tante lobby tipiche della politica americana, una specie di club che si batte, come da statuto, per “una democrazia onesta, un’economia inclusiva e un futuro sostenibile”. È anche, se non soprattutto, una straordinaria macchina per la raccolta fondi. La “tessera” costa 30 mila dollari l’anno e ogni membro è tenuto a versare almeno altri 20 mila dollari l’anno per questa o quella delle cause sponsorizzate dalla Alliance. Il sito Politico ha calcolato che dal 2005, anno di fondazione, l’Alliance ha raccolto oltre 500 milioni di dollari per il Partito democratico e i suoi esponenti. Inutile sottolineare che l’ultimo, vano sforzo era stato fatto per portare Hillary Clinton alla Casa Bianca.

Pare insomma che George Soros la sua Rivoluzione dei cetrioli abbia deciso di portarla avanti a suon di dollari, strumento di cui dispone con una certa abbondanza.

A questo punto uno potrebbe chiedersi che c’entra Soros. C’entra, c’entra. E non solo perché suo figlio Jonathan è membro della Democracy Alliance. Come il bravo Roberto Vivaldelli ci ha raccontato sugli Occhi della Guerra, dietro i manifestanti di questi giorni e i loro puntualissimi cortei c’è UsAction, una rete di 501 associazioni e gruppi distribuiti su tutti gli Stati Uniti. Ma non è tutto qui. L’altra grande forza dietro il movimenti di protesta è MoveOn, la piattaforma che si propone di “portare la gente comune nella politica” e che ora, guarda caso, trovando scandalosa l’elezione di Donald Trump, fa campagna contro i collegi elettorali, chiedendo che l’elezione del Presidente sia affidata al solo voto popolare.

UsAction e MoveOn hanno in comune una cosa, anzi un miliardario: George Soros, appunto, che ha finanziato con larghezza l’una e l’altra. Dopo aver fatto il giro del mondo sponsorizzando rivoluzioni colorate, il grande destabilizzatore tenta il colpo più audace. Ora vuole nientemeno che destabilizzare il proprio paese. Esportare la democrazia tra coloro che sono convinti di averne il monopolio. Salvare gli americani da lor


Da Sapere è un dovere http://sapereeundovere.com/mobilitati-da-soros-e-dai-media-del-sistema-migliaia-di-dimostranti-contro-trump/



I media dell’establishment e le organizzazioni controllate dal finanziere George Soros, uno dei principali finanziatori della Clinton, non accettano il risultato delle elezioni negli USA.
Dopo l’inaspettata nomina di Donald Trump, sono scoppiate le proteste a New York come in California ed a Portland, in Oregon , a Los Angeles ed in altre località degli States e, dalle varie informazioni pervenute, si capisce che non si tratta di un “movimento spontaneo” come vorrebbero far credere i grandi giornali USA (quelli che davano per scontata la vittoria della Clinton) ma di un fenomeno provocato ad arte.
A Los Angeles ci sono stati disordini e manifestazioni ed in questa città sono finite in carcere 15 persone fra manifestanti che erano scesi in strada a urlare la loro “indignazione”, a Chicago ci sono stati 13 fermati. A Oakland, in California, le proteste più dure con circa 6mila persone che hanno paralizzato il traffico lanciando oggetti contro la polizia in assetto antisommossa, hanno bruciato rifiuti e spaccato le vetrine dei negozi. Gli agenti hanno risposto con gas lacrimogeni lanciati contro i manifestanti.Secondo quanto diramato dalle autorità locali alcuni poliziotti sono rimasti feriti.
A New York un numero impreciso di manifestanti , si parla di alcune migliaia di persone , si sono radunati  a Union Square per poi marciare verso nord sul  lungo Broadway Street e prendere d’assedio la “Trump Tower”.
I dimostranti hanno bloccato la circolazione nelle strade trafficate di Manhattan in diversi isolati, creando caos e tensione.








Proteste contro Trump
Proteste contro Trump

Da notare che la folla dei dimostranti, che sembra certo sia stata  aizzata dalle ONG di Soros, si è autonominata come  “i guerrieri della giustizia sociale”, alcuni anche come “i guerrieri della notte”. Con molti slogans e cartelli di “Not my President“ (Non il mio presidente) e “L’amore sconfigge l’odio” (“love Trumps hate”) e “P—y grabs back” (“La vagina reagisce”), uno slogan femminista di rivolta contro la frase sessista usata da Trump in fuori onda in cui diceva di voler afferrare una donna per i genitali (“grabbing a woman by the p—y”).
Alcuni descrivono la scena come surreale, spettacoli che non si erano mai visti a New York City: “la gente cammina per strada come un esercito di zombie posseduti sotto choc”, racconta un testimone. Un comunicato diffuso dagli organizzatori di MoveOn.org (una delle ONG di Soros) descrive come i manifestanti si siano riuniti in centinaia per fare resistenza e dimostrare il ripudio di Trump e verso risultato delle elezioni.
A questo fine sono state organizzate e convocate, attraverso i social, marce per manifestare pacificamente ed esprimere contrarietà al risultato delle elezioni presidenziali









Proteste contro Trump
Proteste contro Trump

Varie migliaia di manifestanti, nonostante la pioggia, già la notte del 9 novembre, si erano radunati a Union Square e avevano poi sfilato verso Midtown fino alla blindatissima Trump Tower sulla Fifth Avenue, dove si trova l’abitazione del nuovo presidente Usa. Alcuni manifestanti avevano anche bruciato maschere ed effigi che rappresentavano il volto del nuovo presidente degli Stati Uniti. Altre ragazze, per sfidare Trump,  si volevano denudare in segno di protesta ma sono state bloccate sia dal freddo che  dalla energica reazione della polizia.
A Chicago, alcune centinaia di persone si sono radunate davanti al ” Trump International Hotel e Tower” lanciando slogans “No Trump. No al Ku Klux Klan, No razzismo in Usa”. La polizia è stata costretta a chiudere le strade intorno al centro bloccando l’accesso all’arrivo di altri manifestanti.   A Los Angeles la polizia ha dovuto impedire una marcia improvvisata delle associazioni gay che volevano protestare in modo clamoroso contro Trump con esibizioni oscene in piazza. Fortunatamente lo spettacolo è stato bloccato per tempo dalle forze di polizia.
La regia di Soros e dei grandi media vuole imporre probabilmente un copione di ripulsa verso il nuovo presidente e si sono persino levate voci con richieste di separatismo dalla California, uno stato in maggioranza schierato a favore della Clinton, che non vorrebbe accettare il risultato delle elezioni presidenziali.
Una spaccatura molto forte si sta verificando negli USA tra la East coast, dove si trova la maggioranza degli elettori del Partito Democratico, oltre a città dell’Ovest come Los Angeles e San Francisco, e l’”America profonda” quella degli stati come il Texas, l’Arizona, il Nevada e gli altri stati dove i cittadini, in maggioranza bianchi (ma fra loro anche molti ispanici e neri), hanno espresso il loro scontento verso le politiche dell’Amministrazione Obama/Clinton che hanno portato sul lastrico milioni di americani con la perdita dei posti di lavoro per causa delle delocalizzazioni e della globalizzazione imposta con i trattati commerciali come il Nafta ed altri accordi.
Molti cittadini americani non comprendono neppure il perchè gli USA debbano spendere bilioni (migliaia di miliardi) di dollari per fare guerre in tutto il mondo, rovesciare governi non graditi in vari continenti e mantenere un colossale apparato militare con oltre 900 basi militari in tutto il mondo, mentre non ci sono le risorse per fare manutenzione delle opere pubbliche, per rilanciare infrastrutture e trasporti che sono ultimamente molto scesi di livello. Per non parlare di ospedali ed assistenza sociale che risulta, in vari stati USA, a livelli da terzo mondo.
Secondo diversi osservatori statunitensi, Il distacco dalla elite con la popolazione dell’America profonda, risulta sempre più forte e l’elite, di fronte ad un cambio di tendenza, si sta attrezzando per alimentare finte rivolte e finte opposizioni (“fake opposition”). Il processo è appena iniziato.
L.Lago






Da "Il Giornale" del 17-11-2016 http://www.occhidellaguerra.it/soros-prepara-la-guerra-trump/

George Soros sta preparando la sua dura battaglia contro il neo-presidente Donald Trump. Dopo aver fomentato e finanziato, attraverso le associazioni a lui vicine ,le proteste di questi giorni nelle principali città statunitensi contro il tycoon, lo speculatore finanziario presidente della Open Society Foundations e della Soros Fund Management, ha radunato altri ricchissimi finanziatori della campagna elettorale della sconfitta Hillary Clinton in un incontro di tre giorni a porte chiuse che si sta tenendo in queste ore a Washington. A darne notizia è il sito d’informazione statunitense Politico,  entrato in possesso dell’ordine del giorno dell’incontro e della lista degli ospiti.
La convention, che ha preso il via domenica sera presso il lussuoso Hotel Mandarin Oriental, è patrocinata da Democracy Alliance, club dei finanziatori legato al partito democratico che conta più di 110 donatori, tra cui proprio Soros. All’incontro vi partecipano molti beniamini e personalità di spicco della sinistra statunitense, dalla senatrice Elizabeth Warren alla ex speaker della Camera Nancy Pelosi. Si tratta del primo incontro istituzionale dei democratici e progressisti statunitensi dopo la vittoria di Donald Trump. Secondo la documentazione di cui è entrato in possesso Politico, durante queste tre giornate a porte chiuse si preparerà il piano strategico per le prossime elezioni e tutte le azioni necessarie atte a contrastare il piano del presidente Trump dei primi 100 giorni, che l’ordine del giorno dell’evento definisce “un attacco terribile ai risultati ottenuti dal Presidente Obama – e alla nostra visione progressista di una nazione equa e giusta”.
In questa sede si discute inoltre anche dell’approccio di Democracy Alliance, che ha avuto un ruolo fondamentale negli ultimi anni nel plasmare le istituzioni della sinistra americana e nel finanziare numerose organizzazioni vicine ai Clinton. Molte delle battaglie portate avanti da Democracy Alliance si sono rivelate tuttavia infruttuose, come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico o contro i costi della politica; temi che non hanno attecchito più di tanto presso l’elettorato statunitense, convinto altresì dalle ricette di Donald Trump su economia, politica estera e lotta all’immigrazione clandestina. Il club è stato fondato dopo le elezioni del 2004 da Soros, dal magnate delle assicurazioni Peter Lewis e da un’altra manciata di finanziatori della campagna elettorale dell’allora candidato John Kerry: obiettivo primario era quello di finanziare alcuni gruppi e think tank vicini agli ambienti democratici.
Il Democracy Alliance – che oggi conta più di 100 finanziatori e comprende giganti della finanza come Soros, Tom Steyer e Donald Sussman, così come i principali sindacati – impone ai propri membri di contribuire con una donazione annua di almeno 200 mila dollari da destinare ai gruppi e alle fondazioni da sostenere. Gli affiliati pagano inoltre quote annuali di 30 mila dollari per stipendiare il personale del club e rimborsare le spese di queste convention, che si svolgono sempre in location esclusive e di lusso come l’Hotel Mandarin Oriental di Washington, sede della riunione iniziata ieri sera.
Questa "tre giorni" a porte chiuse rappresenta indubbiamente un ‘occasione importante per l’establishment democratico, chiamato a rivedere la propria strategia per contrastare i repubblicani e Donald Trump e trovare un’anima ad un partito post-Clinton e post-Obama. Qualche ragionamento lo farà sicuramente anche lo stesso George Soros, il quale ha speso la bellezza di 25 milioni di dollari per sostenere Hillary Clinton e i democratici durante l’ultima campagna elettorale. A giudicare dal ruolo dello speculatore di origine ungherese nelle manifestazioni contro il neo-presidente, pare proprio che Donald Trump abbia dinanzi un avversario temibile e pronto a tutto pur di metterlo in difficoltà. Perché dopo le proteste di questi giorni contro Trump c’è già chi parla di “rivoluzione colorata”: forse è un’esagerazione, ma da Soros è lecito attendersi di tutto.


Da Scenari Economici https://alternativaitalia.it/2016/11/15/soros-allattacco-trump-si-preparano-nuovi-complotti/

George Soros ha riunito a Washington i principali sovvenzionatori del Partito Democratico per una 
 tre giorni di discussione . Il meeting si è tenuto al lussuoso Hotel Mandarin Oriental, ed ha coinvolto personaggi molto importanti fra i liberal americani, gli stessi che hanno raccolto 1 miliardo di dollari per la campagna elettorale della Clinton. Il tutto coordinato dalla Democratic Alliance di Soros, che ha raccolto oltre 500 milioni negli ultimi anni per finanziare media e gruppi amici. All’incontro erano presenti big democratici come l’ex portavoce Nancy Pelosi e diversi senatori.
La riunione è stata complessa e combattuta : si è analizzata la sconfitta, si sono preparate le strategie per le prossime elezioni parlamentari del 2017-18, nelle quali si potrebbe strappare la maggioranza ai repubblicani e , soprattutto si è parlato di come sabotare il piano dei 100 giorni di Trump.
Insomma Soros , come sempre, cerca di piegare con il denaro il volere delle maggioranze democratiche. Una volta un personaggio del genere sarebbe finito in tribunale, ma, nel mondo odierno, si può cospirare contro la democrazia e chiamarsi democratici. E’ solo una questione di soldi…

Sauron



In origine Sauron era un Maia, uno spirito "angelico", ma fu presto irretito dall'Oscuro Nemico Melkor, più tardi conosciuto come Morgoth (l'Ainu votato al Male), e diventò una creatura malvagia.[2][5] Da questo momento cambiò nome in Sauron. Questo avveniva prima della distruzione di Almaren. Sauron servì Morgoth fedelmente, e nei giorni a seguire, dopo che Morgoth fu sconfitto e imprigionato fuori dai confini del mondo, Sauron irretì gli Uomini, in particolare quelli del regno di Nùmenor, portando il regno alla distruzione, durante la Seconda Era. Sauron non commise gli errori che fece il suo maestro; infatti, mentre Morgoth voleva controllare o distruggere Arda stessa, (a discapito delle opere costruite dai Valar su di essa), il desiderio di Sauron era di dominare la mente e la volontà di tutti i popoli della Terra di Mezzo



Sauron è l'Oscuro Signore di Mordor (The Dark Lord of Mordor), uno spirito malvagio e potentissimo, allievo di Morgoth e creatore dell'Unico Anello trovato ne Lo Hobbit da Bilbo Baggins e poi ereditato da Frodo Baggins. Prima degli eventi de Il Signore degli Anelli, Sauron fu sconfitto da Isildur e perse l'Unico Anello, ma riuscì a scampare alla morte. Durante la Guerra dell'Anello egli ritorna con l'obiettivo di concludere il suo operato, ovvero quello di conquistare la Terra di Mezzo ed assoggettarne gli abitanti. Il personaggio viene definitivamente sconfitto alla fine de Il Signore degli Anelli quando Frodo distrugge l'Unico Anello, scaraventandolo nelle fiamme del Monte Fato, luogo in cui l'oggetto era stato costruito.
Nelle altre opere, Sauron viene citato nei Racconti Incompiuti e ne Il Silmarillion, nei quali vengono aggiunti dettagli sulla sua origine e su alcuni fatti antecedenti la trama de Il Signore degli Anelli, principalmente ambientati durante la Prima e la Seconda Era. In Lo Hobbit Sauron viene indicato come "il Negromante".

Sauron riuscì a riprendersi molti Anelli del Potere, che poi distribuì tra vari re degli uomini e dei nani; mentre non impiegò molto tempo per sottomettere alla sua volontà gli umani, trovò più difficile schiavizzare i nani, ai quali gli anelli del potere non facevano alcun effetto negativo se non quello di renderli collerici quando non riuscivano a trovare sempre più ricchezze. In questo periodo Sauron divenne "l'Oscuro Signore di Mordor", erigendo la Torre Oscura di Barad-dûr, vicino al Monte Fato, dove forgiò l'Unico Anello[10]; costruendo il Cancello Nero di Mordor per prevenire invasioni; e formando massicce armate di Orchi e Uomini (principalmente Esterling e Sudroni). A causa di questo, verso la fine della Seconda Era, Sauron assunse nelle regioni più orientali della Terra di Mezzo (che erano state da lui sottomesse) il titolo di "Signore della Terra" e "Signore degli Uomini".[11]
Quando Ar-Pharazôn usurpò il trono di Númenor, nell'anno 3255, vide il crescente regno orientale di Sauron come una minaccia. Quindi con una flotta veleggiò verso il porto di Umbar e vi approdò con un grandioso apparato di guerra. I servi di Sauron che videro la flotta di Ar-Pharazon furono così sgomenti della potenza numenoreana da fuggire via impauriti; allora Sauron stesso, che ancora aveva bell'aspetto, decise di umiliarsi prostrandosi a terra e implorando perdono agli uomini. L'atto di sottomissione era stato congegnato da Sauron per ingannare il re umano, ma probabilmente lui stesso provò timore di fronte alla gloria degli uomini. Così Ar-Pharazon, che fra tutti i sovrani di Numenor fu il più potente e al contempo il più ambizioso, decise orgogliosamente e ingenuamente di imprigionare Sauron[3]; l'oscuro signore approfittò dello sfrontata arroganza del re per ingraziarselo, ben presto infatti ne conquistò la fiducia[3] tanto da raggiungere il rango di sommo sacerdote.[12]
Dapprima Sauron convinse Ar-Pharazon che egli era un sovrano troppo potente per dover dimorare solo in Numenor, incitandolo così a spadroneggiare sulle coste della Terra di Mezzo, soprattutto a Umbar; poi cominciò a diffondere tra la popolazione la paura della morte, che secondo Sauron era una maledizione imposta dagli invidiosi Valar; inoltre negò l'esistenza di Eru, affermando che l'unico vero Signore del Mondo risiedeva nel Vuoto, intrappolato dai malvagi dei; così Sauron continuò a obnubilare la già debole mente del re, incitandolo a istituire culti religiosi in adorazione di Morgoth e a perseguitare crudelmente gli infedeli, che spesso venivano offerti in sacrificio al loro dio malvagio; alla fine Sauron convinse il re che il popolo di Numenor si dovesse prendere con la forza ciò che i Valar gli aveva negato, cioè l'immortalità: allora Ar-Pharazon preparò il più grande esercito che mai si fosse visto in Arda e salpò verso Aman.
Il piano di Sauron si fondava sull'idea che i Valar avrebbero distrutto Ar-Pharazon e il suo esercito, eliminando il più grande ostacolo alla conquista della Terra di Mezzo.[3] Tuttavia, i Valar non avevano potere diretto sui Figli di Eru:[13] per evitare una guerra, decisero di rinunciare al titolo di guardiani del mondo e invocare Ilúvatar.
Eru distrusse la flotta del Re e seppellì Ar-Pharazon e il suo esercito nelle Grotte degli Obliati. Allo stesso tempo Númenor fu sprofondata nel mare e le Terre Occidentali vennero separate dal mondo. Nella distruzione della Terra del Dono, Sauron perse la sua forma corporea e con essa tutte le energie che aveva impiegato per conquistare i Numenoreani."[14] Da allora non fu più in grado di assumere una forma fisica gradevole, affidandosi unicamente all'Anello per sottomettere i suoi alleati.[14]
Un gruppo di Númenóreani fedeli ai Valar furono salvati dai Valar stessi durante la distruzione dell'isola di Númenor e giunsero alla Terra di Mezzo, dove fondarono i Regni di Arnor e di Gondor. Questi Uomini, guidati da Elendill'Alto, e dai suoi figli Isildur e Anarion, si allearono con il Re degli Elfi, Gil-galad, e insieme attaccarono Sauron e, dopo una lunga guerra, lo sconfissero, nonostante Elendil e Gil-galad fossero periti nello scontro con Sauron.[15]Isildur, figlio di Elendil, prese la spada del padre e colpì Sauron che era stato gravemente ferito, gli tagliò il dito in cui portava l'Anello e lo tenne per sé.[15] Ma l'Anello si volle liberare di Isildur, che morì per mano degli Orchi, nei pressi dei Campi Iridati. Allora l'Anello finì nelle acque dell'Anduin e non se ne seppe più nulla per secoli.[16]
Sauron perse quasi tutto il suo potere, vagando come spirito impietoso e terribile per moltissimo tempo.[15]

Terza Era



Durante la Terza Era della Terra di Mezzo, Sauron crebbe di nuovo in potere, prima in una fortezza chiamata Dol Guldur, il Colle di Stregoneria, nel Bosco Atro meridionale. A Dol Guldur fu conosciuto come il "Negromante", e gli Elfi non capirono subito che altri non era che Sauron, ma pensarono si trattasse di uno dei Nazgûl, forse il Re Stregone di Angmar in persona. Allora Gandalf lo stregone si recò a Dol Guldur e scoprì la verità, e spinse il Consiglio ad attaccare Dol Guldur. Ma il Bianco Consiglio era presieduto da Saruman, che voleva per sé l'Anello, e che era convinto che il potere dell'Anello si sarebbe rivelato da sé.[17] Più tardi, invece, Saruman scoprì che i servitori di Sauron ispezionavano l'Anduin nei pressi di Campo Gaggiolo e che Sauron era quindi al corrente della fine di Isildur.[18] Allora ordinò di attaccare Dol Guldur, perché voleva impedire a Sauron di trovare l'Anello.[18] Sauron, nel frattempo, tornò a Mordor, dove ricostruì Barad-dûr e ordinò di occupare Dol Guldur.[18] Fortificò Mordor e si preparò alla guerra contro Gondor e gli Elfi.
Sauron costruì enormi armate di Orchi. Si alleò con gli Uomini mercenari dell'Est (Rhûn) e del Sud (Harad). Chiamò a sé i suoi più temibili servitori, i Nazgûl, o "Schiavi dell'Anello", ognuno soggiogato da uno dei Nove Anelli. Sauron adottò il simbolo dell'Occhio rosso senza palpebre, divenuto simbolo di potere e paura per tutta la Terra di Mezzo.
Ma fu sconfitto quando il suo Unico Anello, trovato da Bilbo Baggins l'Hobbit, fu gettato nella Voragine del Fato sull'Oroduin, il Monte Fato, a Mordor, nelle stesse fiamme dalle quali fu forgiato. Il Portatore dell'Anello, Frodo Baggins, fallì all'ultimo, non riuscendo a resistere al potere dell'Anello nel luogo stesso della sua creazione; ma un precedente possessore dell'Anello, Gollum, un Hobbit degenere, salvò la missione recuperando l'Anello in un disperato tentativo di riprenderselo, e cadendo nella Voragine insieme ad esso.[19] Fu l'ultimo atto di Gollum contro Frodo che portò alla sicura sconfitta di Sauron, per sempre.[19] Il potere di Sauron venne meno, e la sua potenza nella Terra di Mezzo cessò, e le creature animate dal suo spirito furono come private della forza interiore che le guidava.[19] Il suo spirito divampò sopra Mordor come una malefica nuvola nera, ma fu spazzato via da un potente vento dall'Ovest, e Sauron perse i suoi poteri.[19] Tuttavia, con la distruzione dell'Unico nella voragine dell'Oroduin Sauron non morì, anche se il suo potere scomparve, ma il suo spirito rimase ad aleggiare su Arda, impossibilitato a ricostruire un corpo materiale. MandosVala della morte e del destino, tuttavia affermò che Sauron, prima della fine del mondo, sarebbe riuscito ad acquistare nuovamente un corpo, così da partecipare alla Dagor Dagorath.

L'Occhio di Sauron nell'adattamento cinematografico di Peter Jackson