mercoledì 6 maggio 2015

Le sorgenti del Tevere


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Il Tevere (chiamato anticamente prima Albula, poi Thybris ed infine Tiberis[1]) è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare; con 405 km di corso è il terzo fiume italiano per lunghezza (dopo il Po e l'Adige). Secondo solo al Po per ampiezza del bacino idrografico (17 375 k), con quasi 240 /s di portata media annua alla foce è anche il terzo corso d'acqua nazionale (dopo il Po e il Ticino) per volume di trasporto. Inoltre è il 1º fiume appenninico per lunghezza e portata.


Il nome

L'antico idronimo del fiume era Albula, per la tradizione in riferimento al colore chiaro delle sue acque bionde.[2][3] Un altro antico nome del Tevere è stato Rumon,[4] di origine etrusca, da molti collegato al nome di Roma.[5]
Il nome attuale deriverebbe secondo la tradizione dal re latino Tiberino Silvio, che vi si sarebbe annegato.[2] In realtà già gli Etruschi lo chiamavano Thybris secondo Virgilio.[6]

Il corso


Diagramma degli affluenti del Tevere

Sorgente del Tevere su Monte Fumaiolo

Colonna in travertino alla sorgente del Tevere

Vista aerea della foce del Tevere

Il Tevere alle porte di Perugia
La sorgente del fiume Tevere si trova sulle pendici del Monte Fumaiolo a 1 268 m s.l.m., sul lato che volge verso la Toscana, vicino alle Balze, frazione del comune di Verghereto (inProvincia di Forlì-Cesena).
Fu Mussolini che nel 1923[7] fece spostare i confini regionali, includendo il Monte Fumaiolo e la cosiddetta Romagna Toscana nella regione a est dell'Appennino: ciò per assecondare il suo desiderio che le sorgenti del Tevere si trovassero nel forlivese, cioè nella sua provincia di origine.[7] Accanto alla sorgente, nel 1934, è stata posta una colonna di travertino dove appaiono anche tre teste di lupo e sovrastata da un'aquila rivolta verso Roma (simbolo imperiale riutilizzato in epoca fascista), con incisa la frase: Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma.[8]
Questo è lo schema dei 405 km di corso del suo percorso dall'Appennino al Tirreno:[9]
  • Attraversa poi l'Umbria scendendo da quota 300 a quota 50 m (Alta valle tiberina).


Alla fine del tratto collinare del percorso fu realizzata durante gli anni cinquanta una diga finalizzata alla generazione di energia elettrica, all'epoca destinata soprattutto alle Acciaierie di Terni, le cui acque alimentano due bacini artificiali: il Lago di Corbara, direttamente a valle della diga, e il successivo piccolo lago di Alviano, 500 ettari di ambiente umido che ospitano un'oasi naturalistica.
Questo tratto finale del corso del Tevere in Umbria di circa 50 km costituisce il Parco fluviale del Tevere.
Da Città di Castello il fiume incrementa progressivamente nella portata, passando da 15 m³/s presso quest'ultimo centro, a 47,5 dopo la confluenza con l'affluente Chiascio, a 69,5 dopo quella con il Paglia e soprattutto a oltre 180 dopo la confluenza con il Nera, e comincia così a distendersi in numerosi ampi meandri attraverso la pianura da esso stesso generata, e segna il confine tra le province di TerniRieti e Viterbo.
Come si vede nel diagramma, il bacino del Tevere è ricco di affluenti e subaffluenti, ma il fiume riceve la maggior parte delle sue acque dalla riva sinistra, dove ha come adduttori principali il sistema Chiascio - Topino, il Nera (che raccoglie le acque del Velino) e l'Aniene. I tributari della riva destra sono il Nestore, il Paglia (con il Chiani), e il Treja, a cavallo tra le province diRoma e Viterbo, attorno al quale, in consorzio fra i comuni di Mazzano Romano e Calcata, è stato costituito dal 1982 il Parco regionale Valle del Treja.
Le principali località attraversate sono Pieve Santo StefanoSansepolcroCittà di CastelloUmbertideOrte e Roma. Passa anche nelle immediate vicinanze di PerugiaMarscianoDerutaTodi.
Il fiume fu utilizzato per molti secoli come via di comunicazione: in epoca romana il naviglio mercantile poteva risalire direttamente fino a Roma, all'Emporio che era situato ai piedi dell'Aventino, mentre barche più piccole e adatte alla navigazione fluviale trasportavano merci e prodotti agricoli dall'Umbria, attraverso un sistema navigabile capillare che penetrava nella regione anche attraverso gli affluenti, in particolare Chiascio e Topino.

Il Tevere a Roma


Romolo e Remo, la lupa, il Tevere eRea Silvia, il fico e FaustoloRubens, 1616

Il Tevere a Roma

L'antichità: leggende e usi del Tevere

Il Tevere, fin dalla sua nascita, è stato l'anima di Roma, e il fatto che la città gli debba la propria stessa esistenza è descritto già dalla prima scena della leggenda di fondazione, conRomolo e Remo nella cesta che, arenati sotto il ficus ruminalis, succhiano il colare zuccherino dei frutti in attesa di una vera poppata.[10]
Tutti gli insediamenti preromani il cui convergere diede luogo alla Roma storica "vedevano" il Tevere, ma dall'alto e non da vicino (si pensi ad Antemnae, ad esempio), per evidenti ragioni di difesa e perché il Tevere è sempre stato un fiume soggetto a piene improvvise.
Il punto in cui la pianura alluvionale era più sicuramente guadabile era l'Isola Tiberina, accanto alla quale (in quella zona che sarebbe poi divenuta il Foro romano a partire da un più modesto Foro boario) si localizzò in origine il punto di scambio tra le popolazioni etrusche che dominavano la riva destra (detta poi Ripa Veientana) e i villaggi del Latium vetus sulla riva sinistra (la Ripa Graeca).
L'Isola era, inoltre, il punto fin dove le navi antiche, di basso pescaggio, potevano risalire direttamente dal mare.
Poco a valle dell'Isola fu costruito (in legno, e tale rimase per diversi secoli) il primo ponte di Roma, il Ponte Sublicio. Per le popolazioni arcaiche erano così importanti, questo ponte e la sua manutenzione, che in relazione ad essi nacque il più antico e potente sacerdozio romano: il Pontifex.
Il fiume stesso era considerato una divinità, personificata nel Pater Tiberinus: la sua festa annuale (le Tiberinalia) veniva celebrata l'8 dicembre, anniversario della fondazione del tempio del dio sull'Isola Tiberina ed era un rito di purificazione e propiziatorio.
Secondo Virgilio, durante la guerra fra troiani e italici Enea decapitò il giovane nemico Tarquito facendone poi rotolare testa e busto nella foce del Tevere.[11]

Porti e trasporti sul Tevere


Il porto di Ripetta verso il 1880 (Ettore Roesler Franz)

Il porto Leonino oggi

Resti dell'emporio romano aTestaccio
Progredendo l'interramento del fiume, le navi non poterono più arrivare come in epoca classica fino all'emporio (sotto l'attuale rione di Testaccio), ma merci e passeggeri continuavano a giungere a Roma via fiume, col metodo dell'alaggio, cioè su chiatte o barconi che venivano rimorchiati dalla riva: la forza motrice per risalire il Tevere, che nei periodi di magra non offriva più di due metri e mezzo di pescaggio, era generalmente costituita da buoi ma anche, al bisogno, da uomini. Il sistema era ancora in uso a metà dell'Ottocento, quando i buoi vennero sostituiti da rimorchiatori a vapore, che trascinavano tre o quattro chiatte, come avveniva sulla Senna fino a non molti anni fa.
Il porto dell'Emporium era stato abbandonato già in epoca medioevale, e il nuovo attracco si consolidò sulla riva destra (che era detta "Ripa Romea": era in effetti molto più comodo, per i pellegrini, sbarcare sulla riva dove era posto il Vaticano). Questo approdo era detto, per antonomasia, Ripa. Modificando il percorso delle mura a porta Portese, il porto venne ricostruito nel 1642 un po' più a monte, all'interno della cinta daziaria, in corrispondenza dell'ospizio di San Michele, e divenne il porto di Ripa Grande, dedicato a merci e uomini in arrivo da Ostia.
Sulla riva sinistra, a monte di Castel Sant'Angelo, venne costruito nel 1704 il porto di Ripetta, dedicato soprattutto al traffico con il retroterra umbro. Ebbe sede qui l'idrometro storico del Tevere, installato nel 1821, e che aveva come zero idrometrico il settimo gradino della scalinata del porto stesso.
Più a valle sulla riva destra, poco più giù di porta Santo Spirito c'era un altro porto. Era detto "porto dei travertini" perché era stato utilizzato per i marmi destinati alla costruzione dellabasilica di San Pietro. Fu poi fatto ricostruire all'inizio dell'Ottocento (1827) da Leone XII, come porto di servizio della città Leonina e da lui prese il nome. Il porto fu dotato in quell'occasione anche di una fontana che utilizzava il condotto dell'acqua lancisiana che era stato riattivato sotto Pio VII; il mascherone che l'adornava è quello che arricchisce oggi la fontana fuori dalgiardino degli Aranci. Un secolo dopo, la costruzione dei muraglioni e l'abbandono del trasporto fluviale lo obliterarono completamente. Ne rimane la traccia nella doppia scala che scende alla banchina da piazza della Rovere, e nella lapide a memoria dei lavori, che è stata conservata.

Imbarco dei battelli turistici a ponte Garibaldi (di fronte, l'isola Tiberina)
Sul Tevere navigavano imbarcazioni di tutti i tipi (anche a vela: per discendere il fiume da Orte ci volevano tre giorni). Oltre alle chiatte trainate da rimorchiatori, alle barchette dei pescatori, c'erano anche piccole barche per trasbordare le persone da una riva all'altra: non si dimentichi che fino alla caduta dello Stato Pontificio i ponti cittadini sul Tevere erano soltanto 4: ponte Mollo, il ponte di Castelloponte Sisto e i due ponti attraverso l'isola Tiberina - ponte Cestio e il ponte dei Quattro Capi.
Per via fluviale, circumnavigando l'Italia dal lago Maggiore al Ticino, al Po, all'Adriatico e infine risalendo il Tevere fino ai piedi della basilica con un viaggio di quattro anni, arrivarono dalle cave di Baveno e Montorfano le 150 colonne monolitiche di marmo bianco del nuovo portico della basilica di San Paolo fuori le mura.
L'ultimo grande trasporto via fiume, su una chiatta di cemento appositamente costruita, fu quello effettuato nel 1929, dei marmi provenienti dalle Alpi Apuane e destinati all'obelisco delForo Italico, fin dove risalirono, appunto, via fiume[12].
Lo sviluppo del trasporto stradale e ferroviario, la costruzione nel tempo di ben 23 dighe di sbarramento lungo l'intero bacino e il progressivo interramento del basso corso del fiume hanno completamente annullato questo utilizzo (durato fin verso la metà dell'Ottocento), e ormai la navigazione fluviale si limita a fini sportivi (canottaggio) e turistici, con battelli che dalla fine deglianni novanta percorrono tratti del corso romano del fiume.
A causa delle soglie costruite all'altezza dell'isola Tiberina per regolare e armonizzare il flusso del fiume, la navigazione sul fiume è divisa in due tratte, una verso monte, dall'isola a ponte Risorgimento, l'altra verso il mare, da ponte Marconi a Ostia Antica.
Va tenuto presente, quando si riflette sull'uso del Tevere, che attualmente sono 36, i soggetti pubblici che hanno titolo ad intervenire sul Tevere: il numero rende evidenti, da solo, le difficoltà che presenta ogni nuovo progetto d'uso o di intervento.

Le "mole"


Roesler Franz, I molini all'Isola
Un'altra presenza sul fiume, che datava dal medioevo e della quale ora non c'è più traccia, erano i molini ad acqua (a Roma detti "mole", anche nel linguaggio ufficiale della burocraziaannonaria), ancorati in gran parte, da ultimo, vicino all'Isola Tiberina.
La storia delle mole a Tevere iniziò quando Vitige, tagliando durante l'assedio del 537 l'acquedotto Traiano che forniva energia ai mulini installati sul Gianicolo, costrinse Belisario a cercare una nuova soluzione per l'approvvigionamento di farina dei romani assediati. La soluzione trovata fu quella di installare coppie di barche incatenate: ogni coppia era dotata, al centro, di una ruota che azionava le macine di pietra alloggiate sulle barche stesse. La prima coppia era incatenata alle rive del fiume presso il Ponte di Agrippa (l'attuale Ponte Sisto)[13], le altre erano collegate alla prima. A monte di questo sistema di molini galleggianti furono installate palafitte di riparo, allo scopo di deviare i tronchi con i quali i Goti cercavano di travolgerlo.
Nei secoli successivi si continua ad avere notizie dei molini sul Tevere - anche se non se ne hanno rappresentazioni sulle mappe fino alla fine del Quattrocento[14] - che appaiono però dislocati più a valle, verso l'Isola Tiberina[15].

Gaspar van Wittel, veduta di Castel Sant'Angelo con la mola
La collocazione attorno all'Isola non fu però mai esclusiva: ci furono mole sull'ansa a monte di Ponte Sisto sia sulla riva sinistra (esiste ancora in fondo a via Giulia, una via delle Mole dei Fiorentini), che sulla riva destra sotto Santo Spirito in Sassia, all'altezza all'incirca del Ponte Neroniano.
A un certo punto dell'alto medioevo (non si sa quando), i molini furono ancorati singolarmente alla riva, assumendo la struttura che conosciamo dalle rappresentazioni. L'impianto era costituito da:
  • un manufatto detto "torretto", sulla riva, a cui era legata, con catene di ferro, la mola[16];
  • un arco in muratura che poggiava da una parte sulla riva e dall'altra nel fiume;
  • a questo si appoggiava una passerella di legno, che collegava il sistema alla terra, consentiva di movimentare (a dorso d'asino) i carichi di cereali e di grano, e ammortizzava le variazioni di altezza del fiume;
  • la passerella portava all'imbarcazione più ampia, coperta e sormontata da una croce, nella quale era alloggiata la macina e avveniva la lavorazione;
  • la ruota, orizzontale, installata per traverso alla corrente, che trasmetteva il proprio movimento alla macina;
  • un'altra imbarcazione più piccola (detta "barchetto"), che supportava l'asse della ruota verso il centro del fiume.

Alluvioni

Exquisite-kfind.png.

Memorie delle alluvioni del Tevere nei secoli a Santa Maria sopra Minerva
I muraglioni di contenimento dei Lungotevere (ma non accade diversamente a Parigi e a Firenze), rendono oggi difficile immaginare quanto "fluviale" potesse essere la città antica e quanto lo fosse ancora un secolo fa. Ma questa connessione con il fiume, che certo era una risorsa economica notevole, era anche - da sempre - ad alto rischio.
Già Livio attesta che le piene del Tevere, spesso disastrose (come quelle del 215 a.C.[17]), erano ritenute dal popolo romano annunciatrici di eventi importanti o punizione degli dei irati, e certo comportavano - oltre che distruzioni - epidemie causate dal ristagno delle acque. Ancora nel XIX secolo il fatto che l'arrivo dei Piemontesi a Roma fosse stato salutato da una disastrosa inondazione, il 28 dicembre 1870, confermò il popolo romano nella sua opinione antica e mai abbandonata.
Le grandi piene (mediamente almeno 3 o 4 per secolo) sono sempre arrivate a Roma dalla via Flaminia: a valle dell'ultima confluenza con l'Aniene il fiume, libero fin lì di distendersi su territori pianeggianti e praticamente golenali, incontrava costruzioni e ponti che lo ostacolavano (ripetutamente il Ponte Sublicio era stato trascinato via dalle alluvioni) e si incanalava rovinoso per vie e piazze.
Cesare immaginò di raddrizzare i meandri urbani del fiume deviandolo attorno al Gianicolo (cioè facendogli evitare Trastevere e la pianura dei Fori) e canalizzandolo attraverso le Paludi Pontine in direzione del CirceoAugusto, di temperamento più realista e "amministrativo", dopo aver nominato una commissione di 700 esperti si limitò a disporre la pulizia dell'alveo fluviale e ad istituire una magistratura apposita, i Curatores alvei et riparum Tiberis, carica che Agrippa tenne per tutta la vita. Gli esperti di Tiberio suggerirono di deviare le acque del Chiani verso l'Arno, ma per l'opposizione dei fiorentini non se ne fece nulla (il progetto fu riesumato - e ugualmente abbandonato - nel 1870). A Traiano si deve il completamento del canale di Fiumicino (la cosiddetta Fossa Traiana) iniziato da Claudio, funzionale alla navigabilità del fiume, ma anche a migliorare il deflusso delle acque verso il mare.
L'ultimo imperatore che dispose una pulizia radicale dell'alveo e un'arginatura del fiume fu Aureliano.

Il drizzagno del Tevere

Incessantemente Roma nei secoli venne allagata dalle piene del Tevere, un vero flagello per l'Urbe. Ancora sui vecchi muri del centro storico vi sono lapidi che ricordano il livello delle acque raggiunto da quelle alluvioni (vedi la foto sopra). L'ultima grande alluvione avvenne nel dicembre 1937 allorché il governo fascista decise di ampliare notevolmente il progetto già in attuazione dal 1936 da parte del Ministero dei Lavori Pubblici e quello dell'Aeronautica, ora con i cantieri allagati. Questo progetto prevedeva, tra l'altro, di accorciare il corso del Tevere per aumentare il deflusso delle acque verso il mare. Ciò era possibile tagliando un'ansa del fiume di circa 8 km che si trovava in località Spinaceto, a valle di Roma,[18] realizzando il drizzagno del Tevere. I lavori ripartirono su vasta scala dal 1938, scavando un nuovo alveo rettilineo di oltre 1 km di lunghezza insieme a colossali lavori di sbancamento che portarono i nuovi argini del Tevere a ben 400 metri di larghezza, creando un alveo capace di contenere anche le piene più copiose. Il 12 agosto del 1940 l'allora capo del governo Mussolini inaugurò il drizzagno facendo esplodere gli ultimi diaframmi e deviando le acque nel nuovo alveo artificiale. Già dall'inverno del 1940 questo invaso, assieme al nuovo drizzagno, scongiurarono il pericolo di altre grandi alluvioni, alluvioni che da allora, a Roma, non si verificarono più per straripamento del Tevere.

Idrometri

Il porto di Ripetta fu demolito nel 1893 per costruire il Ponte Cavour, fondamentale per l'urbanizzazione del nuovo rione dei Prati di Castello e l'idrometro sistemato sul muro laterale della chiesa di San Rocco. In corrispondenza del nuovo ponte, 5 anni dopo venne sistemato il nuovo idrometro, con lo stesso zero idrometrico. L'attuale stazione idrometrica è situata, dal 1941, 5 chilometri più a valle, a Porta Portese (via Portuense 49).
Le osservazioni sulla portata del Tevere a Roma, iniziate nel 1782 per iniziativa dell’abate Giuseppe Calandrelli, direttore dell’Osservatorio astronomico e meteorologico di Collegio Romano, costituiscono ad oggi la serie storica più rilevante tra le osservazioni sistematiche dei fiumi italiani[19].

Muraglioni


Lupe sui muraglioni
La spinta definitiva a riprendere l'elaborazione di un sistema di difesa della città dalle furie del suo fiume venne certamente dalla disastrosa alluvione che salutò l'ingresso dei Piemontesi a Roma, il 28 dicembre 1870. L'inondazione arrivò, quella volta, a più di 17 metri oltre il livello normale del fiume (praticamente fino a piazza di Spagna). Il 1º gennaio 1871 fu nominata un'apposita Commissione di studio che in quattro anni non produsse risultati. Nel 1875 Garibaldi, arrivato a Roma come parlamentare, risuscitò l'idea di Cesare di deviare il corso del fiume presentando una proposta in merito. L'ipotesi suscitò gran dibattito, apparendo ad alcuni quasi blasfema, ma facendo balenare, ad altri, il sogno di ritrovamenti smisurati di tesori, archeologici o propriamente preziosi, inabissati nel fiume lungo i secoli.

Navigazione turistica sul Tevere
La proposta di Garibaldi risuscitò comunque la Commissione, che il 23 settembre non approvò il progetto di Garibaldi, ma quello conservativo dell'ingegnere Raffaele Canevari. Esso prevedeva l'arginatura del corso del fiume da Ponte Milvio alla Basilica di San Paolo fuori le mura, la "rimozione dei ruderi ed escavamento del fondo dell'alveo" ed una stabilizzazione della sua ampiezza a 100 metri, lo "studio della situazione di un porto in luogo di quello di Ripetta nella località che si troverà più opportuna", scongiurando però l'ipotesi, che pure era stata avanzata, dell'interramento del braccio sinistro del fiume a lato dell'Isola Tiberina (quello del Ponte Quattro Capi), e quindi la sua scomparsa.
Alla fine del 1876 il Governo assegnava l'appalto del primo lotto dei lavori, che durarono 25 anni. Il Porto di Ripetta non fu mai ricostruito, ma una nuova piena disastrosa del fiume nel1900, che superò i 16 metri, mostrò che il contenimento fornito dai muraglioni funzionava (anche se alla fine crollarono 125 metri di argine tra Ponte Garibaldi e Ponte Cestio). L'ultimo tratto dell'opera, sotto l'Aventino, fu completato nel 1926, a cinquant'anni dall'inizio.
Salvata dalle esondazioni e bonificata dall'umidità che ristagnava nelle fondazioni dei rioni cresciuti lungo il Tevere, la città perse tuttavia il contatto con il suo fiume. Le demolizioni che furono effettuate per far spazio all'arginatura, e la standardizzazione dell'altezza delle rive fecero sì che alcune delle strade storiche che corrono a lato del fiume restassero al di sotto del livello dei Lungotevere (è sufficiente, per rendersene conto, una passeggiata in Via Giulia), e che andasse in parte smarrito il senso delle situazioni urbanistiche e architettoniche di molti edifici, anche importanti, che erano stati costruiti sulle rive, dotati di giardini e approdi sul fiume - si pensi ad esempio, a Palazzo Falconieri, o alla Villa Farnesina alla Lungara.
Con i muraglioni e l'inquinamento urbano scomparvero anche - un po' più lentamente ma irrevocabilmente - figure legate al fiume, come i barcaioli o i fiumaroli[20], e le loro attività commerciali ed artigiane.

Il Tevere nelle vedute di Roesler Franz

Note

  1. ^ Plinio il VecchioNaturalis Historia, III, 53.
  2. ^ a b Tito LivioAb Urbe condita libri, I, 3.
  3. ^ Un'altra ipotesi è che il nome risalga alle antiche popolazioni preindoeuropee - che avevano una lingua parente di quella degli attuali Baschi - e "Al" starebbe a significare acqua: sono infatti decine i corsi d'acqua e le località in tutta Europa che iniziano per Al, Alb, Alba. Ad esempio c'è un fiume Albula in Svizzera, un torrente Albula nelle Marche, un lago Albano nel Lazio. Anche Olbia, Elba, ecc sono derivate da Albis = "terra lungo un fiume, lungo un canale" (fonte: G. Semerano: Le origini della cultura europea )
  4. ^ Servio Mario Onorato, Comm. in Aen. VIII, 63
  5. ^ Pittau, Etimologia del toponimo Roma
  6. ^ Gian Enrico Manzoni, Pugnae maioris imago: intertestualità e rovesciamento nella seconda esade dell'Eneide, Editore Vita e Pensiero, Roma 2002, p. 52 e seguenti
  7. ^ a b COMUNE DI VERGHERETO Via Caduti D'Ungheria, 11 - 47028 Verghereto Tel: 0543/902313 Fax: 0543/902377
  8. ^ Alle sorgenti del Tevere
  9. ^ Il Tevere | Autorità di Bacino del fiume Tevere
  10. ^ FloroEpitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.2-3.
  11. ^ Virgilio, Eneide, X.
  12. ^ Immagini di questo "trasporto eccezionale" sono reperibili nel sito dell'Istituto Luce.
  13. ^ quindi all'interno della cinta delle Mura Aureliane, che in quel punto scavalcavano il fiume fino a Porta Portese, a protezione di Trastevere e del Gianicolo e per ostacolare gi attacchi dalla via Aurelia.
  14. ^ Si veda ad esempio nella Cronica dell'Anonimo romano, Cap. XV, Dello grannissimo diluvio e piena de acqua, dove si narra di una piena di cinque giorni sotto il pontificato di Clemente VI, che «Danniao lo territorio de Roma più de dociento migliara de fiorini. Anche ruppe le catene e·lli ignegni delli mulinari e menaone da cinque bone mole, le quale connusse allo mare. Allora fuoro le mole perdute, aitre moite deslocate recuperate a granne pena.»([1]).
  15. ^ Si veda, nella stessa Cronica al cap. XVIII, sulla nascita di Cola di Rienzo: «Fu nato nello rione della Regola. Sio avitazio fu canto fiume, fra li mulinari, nella strada che vao alla Regola, dereto a Santo Tomao, sotto lo tempio delli Iudei»([2]).
  16. ^ In un'incisione di Piranesi il Ponte Cestio è indicato come "Ponte Ferrato", per le catene delle mole che vi erano ormeggiate: il "torretto" poteva anche essere una struttura esistente.
  17. ^ Livio, XXIV, 9.6.
  18. ^ Spinaceto si trova tra Roma e il mare; il tratto del drizzagno realizzato è esattamente dove il Raccordo anulare attraversa il Tevere
  19. ^ fonte: ARDIS - Regione Lazio.
  20. ^ Erano cittadini che passavano le giornate in riva a Fiume, come per antonomasia era chiamato in romanesco il Tevere - o anche, tra il fiume e le osterie dei paraggi. Vd. Aroldo Coggiatti,Gente di Fiume, in "Capitolium", 1945 (XX), N° 7 - 8 - 9, pp. 41-43.

Bibliografia

Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne
  • Cesare D'Onofrio: Il Tevere. Romana Soc. Ed., Roma 1980,
  • Sergio Fulceri, Roberto Manescalchi, Dove il sacro fiume non è ancora biondo. L’Universo, nº5, pp. 706–707, 1992.
  • Sergio Fulceri, Roberto Manescalchi,I mulini della reglia di Anghiari. L’Universo, nº6, p. 860, 1992.
  • Sergio Fulceri, Roberto Manescalchi,Il corso del Tevere tra Anghiari e Sansepolcro. Notizie di interventi dal XII al XV secolo, L’Universo, nº2, pp. 279–280, 1993.
  • Umberto Mariotti Bianchi, I molini sul Tevere. Roma, Newton & Compton, 1996.
  • Armando Ravaglioli: Il Tevere fiume di Roma - Storia, curiosità, prospettive. Tascabili economici Newton, Roma 1998.
  • Marco Scataglini: Il viaggio del Tevere, Guide Iter, maggio 2004
  • Maria Margarita Segarra Lagunes: Il Tevere e Roma. Storia di una simbiosi. Gangemi Editore, Roma 2004.
  • Joël Le Gall: Il Tevere, fiume di Roma nell'antichità. Edizioni Quasar, Roma 2005
    (prima edizione in francese: Joël Le Gall: Le Tibre, fleuve de Rome dans l'antiquité. Presses universitaires de France, Paris 1953).
  • Il Tevere a Roma, portolano, a cura dell'Autorità Bacino del fiume Tevere e dal CITERA - Centro Interdisciplinare Territorio Edilizia Restauro Ambiente dell'Università "La Sapienza", in collaborazione con la Regione Lazio e il Comune di Roma, novembre 2006

Voci correlate

martedì 5 maggio 2015

Masada



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Masada (o Massada, o in ebraico Metzada) era un'antica fortezza, situata su una rocca a 400 m di altitudine rispetto al Mar Morto, nella Giudea sud-orientale, in territorio israeliano a circa 100 km a sud-est di Gerusalemme. Mura alte cinque metri – lungo un perimetro di un chilometro e mezzo, con una quarantina di torri alte più di venti metri – la racchiudevano, rendendola pressoché inespugnabile. A rendere ancor più difficile un assedio contribuiva la particolare conformazione geomorfologica della zona: l'unico punto d'accesso infatti era l'impervio sentiero del serpente, così chiamato per i numerosi tornanti che lo rendevano un gravissimo ostacolo per la fanteria. La fortezza divenne nota per l'assedio dell'esercito romano durante la prima guerra giudaica e per la sua tragica conclusione.

Sentiero del serpente

Il sentiero del Serpente (o in ebraico Shvil HaNachash) è il sentiero che, a tutt'oggi, permette l'accesso alla fortezza di Masada.
Anticamente (secondo il racconto di Giuseppe Flavio) era talmente impervio, tortuoso, sinuoso e ripido da impedire a un soldato romano di «poggiare contemporaneamente entrambi i piedi»:
« [...] la chiamano il serpente, a cui somiglia per la sua strettezza e le continue curve e controcurve; il suo tracciato rettilineo s'interrompe per girare attorno a rocce sporgenti. Avanza a fatica, piegandosi continuamente su sé stessa, per poi distendersi ancora. Chi la percorre deve tenere ben saldi entrambi i piedi per evitare di cadere e perdere la vita; infatti sui due lati si aprono burroni così spaventosi da indurre a tremare anche l'uomo più coraggioso. Dopo un percorso di trenta stadi [pari a 5,5 km] la pista raggiunge la vetta, che non termina con un cucuzzolo a punta, ma con un altopiano. »
(Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, VII, 8.3.282-284.)

Palazzo di Erode il Grande

Nel I secolo a.C. la fortezza era il palazzo di Erode il Grande che tra il 37 a.C. e il 31 a.C. la fece fortificare. La cittadina era arroccata su tre diversi livelli verso lo strapiombo sul lato nord della rupe, dotato di terme con caldaia centrale, magazzini sotterranei e ampie cisterne per la raccolta dell'acqua; nel 66 era stata conquistata da un migliaio di Sicarii che vi si insediarono con donne e bambini; quattro anni dopo – nell'anno 70 – caduta Gerusalemme, vi trovarono rifugio gli ultimi strenui ribelli non ancora disposti a darsi per vinti.

Assedio da parte dei Romani


Campo trincerato romano della X legione ai piedi di Masada 31°19′13.39″N 35°20′58.76″E
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Dopo un lungo assedio, guidati da Lucio Flavio Silva i Romani riuscirono alla fine a costruire una imponente rampa di accesso (ancora oggi visibile, vedi foto) che consentiva alle torri di assedio di arrivare sotto le mura per sgretolarle con gli arieti. Tuttavia, poco prima che ciò avvenisse, nell'anno 74 gli assediati misero in atto un'azione rimasta unica nella storia; quando i soldati romani vi entrarono senza trovare resistenza davanti ai loro occhi trovarono solo una orrenda ecatombe: il suicidio collettivo della comunità ebraica dei Sicarii che aveva resistito al potere di Roma anche dopo la caduta di Gerusalemme e la distruzione del Secondo Tempio.

"Mai più Masada cadrà" (in ebraico: Metzadà shenìt lo tippòl)

Dopo la sua presa, Masada rimase in mano ai Romani fino a tutta l'epoca bizantina. In questo periodo venne a lungo abitata da monaci cristiani che vi costruirono anche una basilica. Dopo l'invasione araba il luogo venne abbandonato e piano piano si perse addirittura il ricordo della sua posizione; venne infine riscoperta oltre un secolo e mezzo fa per diventare simbolo della causa sionista. Tutt'oggi reclute dell'esercito israeliano vengono condotte sul luogo per pronunciare il giuramento di fedeltà al grido di: "Mai più Masada cadrà".
Masada è stata in parte ricostruita ed è diventata uno fra i più importanti siti archeologici di Israele grazie anche agli scavi compiuti a partire dagli anni sessanta sotto la guida dall'archeologo Yigael Yadin. Sono stati riportati alla luce i resti dell'antica fortezza: evidenti risultano i segni dei campi militari romani, con mosaici di notevole qualità, bagni e anche i massi di pietra lanciati dalle catapulte. Come segno dell'occupazione zelota resta solo una piccola sinagoga mentre più recente, risalente al V secolo, è una basilica fatta costruire da monaci penitenziali.

Paesaggio suggestivo


Il pianoro-fortezza di Masada; sulla destra è chiaramente visibile l'imponente rampa di accesso costruita dai Romani
L'altopiano su cui sorge Masada, immerso nella depressione del Mar Morto, offre uno scenario naturale raro se non unico al mondo: la sua posizione sotto il livello del mare seppure in rilievo rispetto al territorio immediatamente circostante offre suggestioni paesaggistiche emotivamente molto forti, difficilmente descrivibili.
Molti dei turisti che frequentano il sito iniziano la scalata al sentiero del Serpente prima dello spuntare delle prime luci dell'aurora (nel buio della notte rischiarato unicamente dalla luna e dalle stelle), per riuscire a vedere l'alba da dentro i resti dell'antica fortezza. Il sole sembra sorgere quindi da una parete rocciosa (che in realtà è il resto della terra) per riversare la sua luce su tutto l'avvallamento circostante.
Nel 1998 è stata costruita una funivia che collega la fortezza con una stazione a valle, superando un dislivello di 290 metri; la stazione superiore della funivia è situata a una quota di 33 metri s.l.m.

La Masada archeologica

La rupe di Masada è uno dei siti identificati da Edward Robinson nel 1834[4]. In seguito la visitarono e descrissero vari altri esploratori, ma la località cominciò ad essere ben compresa solo dopo le eccezionali scoperte fatte nel periodo 1963-1965 dagli archeologi israeliani, diretti Yigael Yadin[5].

Riferimenti a Masada

Musica

Alla città è dedicato un brano del disco Aquadia del napoletano Lino Cannavacciuolo e John Zornjazzman e compositore ebreo-americano, ha chiamato due delle sue formazioni stabili "Acoustic Masada" e "Electric Masada". Nel 1992 il musicista reggae Alpha Blondy ha intitolato un suo album Masada.

Film

Altre citazioni

Anche un fucile da guerra è dedicato a Masada si tratta appunto del Magpul Masada.

Note

  1. ^ (iii) to bear a unique or at least exceptional testimony to a cultural tradition or to a civilization which is living or which has disappeared;
  2. ^ (iv) to be an outstanding example of a type of building, architectural or technological ensemble or landscape which illustrates (a) significant stage(s) in human history;
  3. ^ (vi) to be directly or tangibly associated with events or living traditions, with ideas, or with beliefs, with artistic and literary works of outstanding universal significance. (The Committee considers that this criterion should preferably be used in conjunction with other criteria);
  4. ^ Masada l'ultima fortezza di Alan Millard, Archeologia e Bibbia. Edizioni Paoline s.r.l. 1988 pp. 174-175
  5. ^ Alan Millard, Treasurevfrom Bible Times, Lion Publishing plc 1985

Bibliografia

Voci correlate

Ponte pedonale di Londra

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Il Millennium Bridge è un ponte sospeso pedonale fabbricato in acciaio, che attraversa il fiume Tamigi nella città di Londra, in Inghilterra, unendo la zona di Bankside con la City. Si trova tra il ponte di Southwark e il ponte Blackfriars. Fu il primo ponte pedonale ad attraversare il Tamigi da quando, nel 1894, venne costruito il Tower Bridge. È di proprietà della Bridge House Estates, una fondazione che si occupa anche della manutenzione, e che è guidata dalla City of London Corporation.
L'estremità sud del ponte si trova vicino al teatro Globe, alla Galleria di Bankside e alla galleria d'arte moderna Tate. L'estremità nord del ponte arriva vicino alla City of London School e si situa giusto sotto la cattedrale di St Paul. L'allineamento del ponte è tale che offre una bellissima vista della facciata sud della cattedrale incorniciata dai piloni a sostegno del ponte, e costituisce uno dei luoghi in cui si ha una visione più fotogenica del monumento.

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Il progetto

Il progetto del ponte fu scelto da un concorso lanciato nel 1996 dal distretto di Southwark. Il progetto vincitore era molto innovativo e fu realizzato da Arup, da Foster and Partners e da sir Anthony Caro. Date le restrizioni di altezza imposte ai fini urbanistici, e per migliorare la vista offerta dal ponte, i cavi che sostengono il ponte stanno sotto il livello del piano di camminamento, e il tutto conferisce un aspetto slanciato alla struttura. Il ponte ha due piani di camminamento, divisi in tre sezioni di 81 m, 144 m e 108 m (da nord a sud), e la struttura risultante misura 325 m; il piano di alluminio ha una larghezza di 4 m. Gli 8 cavi che sostengono il ponte sono tesi per sostenere 2.000 tonnellate, sufficienti ad ospitare 5.000 persone contemporaneamente.

Storia

La costruzione cominciò verso la fine del 1998, ma i maggiori lavori iniziarono il 28 aprile del 1999. Il costo dell'opera fu di 18,2 milioni di sterline, 2,2 milioni al di sopra del preventivo proposto. Fu aperto al pubblico il 10 giugno del 2000, due giorni più tardi del previsto, ma inaspettate vibrazioni fecero sì che dovesse essere chiuso già il 12 giugno, ossia due giorni dopo l'apertura. Questi movimenti erano prodotti dal gran numero di persone: 90.000 il primo giorno e più di 2.000 in contemporanea. Le prime piccole vibrazioni portavano, o addirittura obbligavano, i pedoni a camminare in maniera sincronizzata con l'oscillazione, creando così un fenomeno di risonanza, che si manifestava anche quando il ponte era poco frequentato, ad esempio all'inizio della giornata. A causa di queste oscillazioni il ponte si guadagnò l'appellativo di Wobbly Bridge (ponte instabile).

Vista dal ponte
Si cercò quindi di limitare il numero di persone che attraversavano il ponte nello stesso momento. La chiusura del ponte, solo 2 giorni dopo la sua apertura, scatenò una grande critica da parte dell'opinione pubblica, essendo considerato come un altro grande progetto britannico finito in un fallimento, come il Millennium Dome.
I problemi vibratori, di natura diversa da quelli aeroelastici riscontrati nel disastro del Ponte Tacoma Narrows, richiedevano una soluzione per rendere fruibile l'opera. Dopo analisi approfondite durate da maggio 2001 fino a gennaio 2002, e costate 5 milioni di sterline, il problema venne risolto con l'addizione di smorzatori ad inerzia (a contrasto delle oscillazioni verticali) e idraulici (per quelle orizzontali), e dopo un periodo di prova il ponte venne riaperto il 22 febbraio 2002.
A partire da allora non si sono avute notizie di altri movimenti anomali del ponte, che venne nuovamente chiuso solo durante la tormenta Kyrill, per timore che la gente potesse essere scaraventata dai forti venti oltre il parapetto.

Voci correlate