Nella carta sono rappresentati le aree di frizione tra Russia e Nato,le teste di ponte russe contro la Nato e l'Ue (Transnistria, Abkhazia e Ossezia del Sud), i porti strategici russi nel Mediterraneo (oltre a Sebastopoli in Crimea, Latakia e Tartus in Siria).
Putin ha una geopolitica. Il suo obiettivo è opposto a quello di Obama.
Non accetta di essere relegato nel girone delle potenze regionali, come un Brasile qualsiasi. Pretende un trattamento paritario da Stati Uniti e Cina, con cui ambisce a riscrivere le regole del gioco internazionale. La sua visione del mondo autoritaria, tradizionalista, anzi reazionaria, ne avrebbe fatto a suo tempo un superiore emulo di Alessandro I, lo zar della Santa Alleanza. [...]
L’obiettivo è recuperare le terre considerate russe, imperiali o comunque incapaci di dotarsi di una propria statualità, per inquadrarle insieme a Kazakistan, Bielorussia e altri spezzoni ex sovietici nell’Unione Eurasiatica, ossia in un nuovo impero di Mosca. Con la lingua russa quale esperanto imperiale e idioma degli affari. Tale sfera di super-influenza non sarebbe fine a se stessa, ma condizione per affermare il diritto della Russia al rango di potenza globale. [...]
Il presidente della Russia è l’opposto del suo omologo americano anche nel carattere. È un emotivo. Tende dunque alla sincerità anche quando funzione e formazione glielo vieterebbero. Ascoltiamolo, mentre proclama al Cremlino l’annessione della Crimea, scagliandosi contro gli occidentali che l’hanno umiliato e offeso: «Quante volte ci hanno mentito, preso decisioni alle nostre spalle, messo davanti al fatto compiuto! Questo è accaduto con l’espansione della Nato all’Est, come pure con lo spiegamento di infrastrutture militari alla nostra frontiera. [...] Loro (gli occidentali, n.d.r.) cercano costantemente di sbatterci all’angolo perché abbiamo una posizione indipendente, perché la manteniamo e perché chiamiamo le cose per quel che sono e non facciamo gli ipocriti».
[...]
La Crimea ha già votato l'indipendenza dall'Ucraina ed è entrata a far parte della Federazione Russa. Il Donetsk e il Lugansk voteranno il referendum per l'indipendenza il prossimo 11 maggio.
L'esito del referendum è scontato a favore della Russia, ma quello che ci si chiede è se Putin è disposto a rischiare una guerra per le due o tre regioni separatiste.
Le truppe russe restano vicine ai confini, nonostante le minacce di Angela Merkel e di Barack Obama. Il governo di Kiev è pronto a mobilitare l'esercito contro i separatisti. A cosa porterà tutto questo? Tutto sta nel capire fino a che punto il presidente Putin è disposto ad arrivare per portare avanti la propria strategia di ricostituzione di una Unione Russa che vada oltre i confini dell'attuale Federazione.
Dunque Putin la linea rossa ce l’ha. È per lui inaccettabile che l’Ucraina, e con essa magari Georgia, Bielorussia e altri soggetti ex sovietici seguano le orme di Estonia, Lettonia e Lituania, passando nella formazione atlantica."
Carta e citazione da "Lo specchio ucraino",
editoriale di L'Ucraina tra noi e Putin
editoriale di L'Ucraina tra noi e Putin
L’ipotesi di un intervento militare russo in Ucraina sud orientale non è da sottovalutare specie ora che l’offensiva scatenata dalle truppe di Kiev a Slovyansk e la repressione delle manifestazioni dei filo russi a Odessa hanno provocato un elevato numero di vittime senza però riuscire a sbloccare la situazione militare e a riprendere il controllo delle regioni di confine.
Se la propaganda di Kiev ha cercato di presentare i molti civili che a Slavyansk sostengono i ribelli come scudi umani utilizzati dai filorussi per fermare l’offensiva governativa, quella di Mosca ha tenuto a sottolineare che migliaia di cittadini ucraini hanno scritto al Cremlino chiedendo a Vladimir Putin di proteggerli dalle repressioni del governo di Kiev.
Un governo ad interim che sta impiegando negli scontri a Odessa e nel Donbass quella Guardia Nazionale neocostituita e composta anche da militanti dei partiti neonazisti Svoboda e Settore Destro il cui impiego nelle operazioni di repressione certo non aiuta a smorzare le tensioni. Anzi, consente a Mosca e ai filorussi ucraini di richiamare vecchi schemi patriottici inneggiando alla lotta contro il “fascismo”. Sul piano operativo l’offensiva di Kiev è lenta, mal coordinata, poco supportata in termini logistici sta fornendo a Mosca il pretesto per un intervento militare giustificato dalla necessità di proteggere i civili. I pochi mezzi e reparti a disposizione non consentono quel blitz che avrebbe permesso a Kiev di riprendere il controllo dei territori orientali con il minimo spargimento di sangue.
La battaglia per Slavyansk sta infatti diventando un lento assedio mentre in altri settori del Donbass le forze di Kiev non sono sufficienti neppure a contrastare i filorussi. La debolezza intrinseca delle forze ucraine è dovuta a molti fattori tutti ben noti ai Paesi Occidentali e alla Nato che pure hanno incoraggiato il governo ad interim ucraino a usare la forza contro i ribelli creando i presupposti per una devastante guerra civile.
Innanzitutto l’Ucraina paga anni di scarsi investimenti nella Difesa che hanno minato addestramento ed efficienza al punto che un rapporto del marzo scorso evidenziava come solo il 10 per cento dei reparti e il 15 per cento dei mezzi fossero pronti al combattimento. Inoltre il sistema basato sulla leva obbligatoria, abrogato l’anno scorso e ripristinato la scorsa settimana, disperde ulteriormente le già scarse risorse finanziarie che Kiev dedica alle forze armate. Se a questo si aggiunge il fatto che negli ultimi due mesi interi reparti sono passati dalla parte dei ribelli e molti altri si rifiutano di combattere conto altri ucraini il quadro dei limiti militari di Kiev risulta ben chiaro. In difficoltà contro ribelli per lo più male armati, le truppe di Kiev verrebbero sbaragliate in poche ore da un massiccio attacco russo. La decisione di intervenire in Ucraina verrà presa o meno in base a valutazioni politiche relative anche all’impatto sui rapporti con USA e Ue ma se i russi decidessero di dare il via alle operazioni militari in Ucraina queste avrebbero quasi certamente la caratteristica della guerra-lampo.
Circa 40 mila militari russi sono schierati lungo i confini e almeno altrettanti potrebbero affluire rapidamente. Forze corazzate e blindate appoggiate da oltre 200 cacciabombardieri e altrettanti elicotteri , più che sufficienti a sbaragliare il sottile velo di truppe ucraine che cerca di presidiare il confine russo (altre unità sono state schierate per precauzione al confine bielorusso , molto vicino alla capitale) e le unità raffazzonate che assediano Slavyansk.
Un attacco russo si svilupperebbe probabilmente senza ultimatum né preavvisi e darebbe priorità al conseguimento in tempi brevissimi degli obiettivi per porre la comunità internazionale davanti al fatto compiuto, come è accaduto nel marzo scorso in Crimea. Nel settore di Kharkhiv sarebbero le unità della Ventesima Armata a penetrare in Ucraina da Belgorod dirigendosi poi verso meridione per mettere in sicurezza Lugansk e congiungersi con le unità della Quarantovesima Armata che muoverebbero da Rostov e Novoshaktinsk sul Donbass.
Dalla Penisola di Crimea i fanti di marina russi marcerebbero su Kershon e sul fiume Dnepr che, nel sud, potrebbe in futuro rappresentare il confine tra le regioni controllate da Kiev e quelle annesse alla Russia. Più a Occidente i russi potrebbero tentare un’operazione anfibia su Odessa (forse per questo Mosca ha annunciato ieri il rafforzamento della flotta del Mar Nero) tesa non solo a conseguire il controllo della città e del suo importante porto ma anche ad aprire un corridoio con la Transnistria, repubblica indipendente staccatasi dalla Moldova ma riconosciuta solo dalla Russia e rimasta isolata dopo l’avvio della crisi ucraina. Un’operazione militare ad ampio respiro quindi e dai notevoli risvolti strategici. Per ora è solo un’ipotesi ma considerata molto credibile dai centri di ricerca e dai comandi militari occidentali.