giovedì 5 dicembre 2013

Moda uomo: look da "aperitivo semi-formale" - Cocktail attire - Semi formal evenig



Per le uscite serali è sempre richiesto un look più ricercato ed elegante rispetto a ciò che si indossa di giorno. Poi naturalmente tutto dipende dalla specifica occasione.
 Negli ultimi anni il concetto di aperitivo ha perso l'aspetto ultra-formale del cocktail party classico, la serata elegante che si svolgeva nelle ville o nei palazzi per le grandi occasioni in cui era richiesto lo smoking. Se ne fanno ancora e se ne faranno sempre, ma oggi l'aperitivo è diventato un rito di massa, che si svolge nei bar, nei pub, nei ristoranti, nei locali, per strada, dalle 17 del pomeriggio in avanti, fino a notte. E' l'inizio della cosiddetta "movida" lungo le strade del centro e vi partecipano persone di tutte le età, anche se in prevalenza si tratta di giovani, addirittura di adolescenti.
L'aperitivo così inteso diventa qualcosa di molto informale e l'abbigliamento dipende sia dal tipo di posti frequentati e soprattutto dal tipo di compagnie.


A metà strada tra il cocktail party classico e l'aperitivo informale di massa, si può collocare  il cocktail attire o light dinner, che potremmo ribattezzare come "aperitivo semi-formale" per distinguerlo da quello di massa.
Un aperitivo formale si distingue per il fatto che si svolge in un luogo e con una compagnia che richiedono una maggiore eleganza rispetto ad un normale aperitivo, senza però imporre l'abito da sera del cocktail party.
In particolare, nel caso della moda maschile, il look da uomo per l'aperitivo semi-formale (semi-formal evening) richiede l'osservanza di alcune regole. 

1) Si indossano: giacca, camicia, cravatta, pantaloni eleganti e scarpe lucide, in una combinazione varia, che permette di ottenere degli outfit molto diversificati.










2) Non è necessario che l'abito sia scuro.



 3) L'abito può anche essere spezzato.








4) Nel contesto semi-formale è preferibile una cravatta normale al papillon.



5) Si possono scegliere anche dei colori accesi, essendo un contesto non pienamente formale.

6) E' molto importante la scelta degli accessori, per esempio l'orologio, la cravatta, la pochette da taschino, la decorazione all'occhiello della giacca, la cintura dei pantaloni, tutte cose che nell'abbigliamento lavorativo o in quello formale non devono essere appariscenti, mentre in un contesto semi-formale c'è più libertà.










7) Molto dipende dalla stagione. D'inverno è richiesta un'eleganza maggiore.



8) D'estate si preferiscono i colori chiari.





9) Sono ammessi i cappelli, specie d'estate.





10) E' ammesso un look originale o ricercato, purché nel rispetto delle precedenti regole.











Re Giorgio V : un ruvido nostromo su una nave che affonda.

Risultati immagini per king george V

Un tratto tipico della dinastia dei Windsor (anche quando si chiamavano Sassonia-Coburgo-Gotha o Hannover) è la netta opposizione, a volte persino violenta, tra i padri e i figli.
Giorgio V rispettò questa regola sia come figlio che come padre.
Come figlio si rivelò l'opposto di ciò che era sua padre Edoardo VII, il famoso "Bertie" di cui ho parlato nei post precedenti.
Quanto "Bertie" era cortese e gaudente, tanto George era ruvido, irascibile, severissimo e austero.
Allo stesso modo i suoi figli (qui sopra vediamo Edoardo VIII di fianco alla bisnonna Vittoria) erano tutti, seppure sotto diversi aspetti, fragili e problematici.
Del resto basta guardare le foto e la stazza dei vari personaggi in questione per capire il loro carattere.
Giorgio tra l'altro non era destinato al trono, avendo un fratello maggiore, il principe Albert Victor, detto Eddy, il Duca di Clarence, di cui ho parlato nei giorni precedenti.
Ma partiamo dall'inizio.

File:King George V of the United Kingdom as a boy, 1870.jpg

George Frederick Ernest Albert Windsor (Londra4 giugno 1865 – Sandringham20 gennaio 1936), nacque a Marlborough HouseLondra, dal Principe di Galles (poi re Edoardo VII, primo figlio maschio della regina Vittoria e del principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) e dalla principessa del Galles, Alessandra di Danimarca, figlia di re Cristiano IX di Danimarca. In quanto figlio del principe di Galles, Giorgio venne insignito del titolo di Sua Altezza Reale Principe Giorgio del Galles alla nascita. Venne battezzatonella cappella privata al castello di Windsor il 7 luglio 1865 dall'allora arcivescovo di Canterbury Charles Longley
Come figlio minore dell'erede al trono non vi erano aspettative per Giorgio di ascendere un giorno al trono per cui fu destinato alla carriera militare in Marina.



La vita sulle navi, a zonzo per i Sette Mari, gli si addiceva perfettamente. Sembrava nato per questo. Ed i suoi modi non erano nemmeno quelli di un ufficiale di riguardo appartenente alla famiglia reale dell'Impero Britannico, che dominava gli oceani, quanto piuttosto quelli di un rude marinaio, un lupo di mare, un "ruvido nostromo", come lo ha efficacemente definito Antonio Caprarica ne "Il romanzo dei Windsor".
E avrebbe continuato a navigare e ad urlare come un ossesso all'equipaggio se un evento imprevisto non lo avesse catapultato in un ruolo per il quale era completamente impreparato e per nulla portato di natura: il Re.
Nel dicembre 1891 sia lui che il suo fratello maggiore caddero malati, ma mentre il primogenito aveva una banale influenza, George aveva preso una febbre tifoidea.
Tutti davano per scontata la guarigione del primogenito e la morte dell'inutile secondogenito marinaio, ma a volte la storia si diverte a fare brutti scherzi e così, mentre l'adorato Eddy moriva di raffreddore (almeno ufficialmente) lasciando nella disperazione la madre Alexandra di Danimarca e la fidanzata Mary di Teck, il rude George, temprato dagli anni in marina, sopravvisse e divenne il secondo in linea di successione, dopo il depravato padre Bertie, vivente la nonna Vittoria.
Come se non bastasse, come "pacco dono", quasi come gadget, assieme alla successione, ebbe il fidanzamento con Mary of Teck, la quale fu spostata da un fratello all'altro come se si trattasse di una bambola di pezza.



Per uno strano scherzo del destino, la coppia costretta a sposarsi da circostanze imprevedibili, si rivelò perfettamente assortita.
Mary di Teck era incredibilmente l'anima gemella del rude nostromo.
Una donna fredda, anzi gelida, meglio ancora frigida e incapace di qualsiasi manifestazione d'affetto e della minima emozione.

In tutta la sua vita, Mary si distinse per tre ragioni: l'obbedienza rigorosa alla rigida etichetta di corte e al severissimo marito; una frenetica attività tessile, a maglia e all'uncinetto; una totale mancanza di senso materno, che si riscattò soltanto negli ultimi anni con un moderato calore nei confronti della nipote Elisabetta, destinata anche lei al trono in modo imprevisto e per una serie di circostanze assurde.
Forse i sudditi inglesi potrebbero obiettare che la Queen Mary ebbe altri due meriti: dare il nome all'omonima nave (unico segno d'affetto da parte del marito nostromo) e il patrocinio di attività di beneficenza, che avevano più che altro lo scopo di giustificare l'esistenza di un'inutile e dispendiosa monarchia agli occhi di un popolo stremato dalle guerre.
Come si è detto, reciprocamente George e Mary furono ottimi come coniugi, tanto da risultare persino noiosi nella loro monotona esistenza di routine tra Sanringham, Balmoral, Windsor e Buckingham Palace, riducendo al minimo tutte le altre destinazioni e soprattutto le uscite serali.
Questa monotona sobrietà risultò tutto sommato in linea con la durezza dei tempi, ma il disastro avvenne in tutto il resto.
Prima di tutto, George e Mary fallirono clamorosamente come genitori.
Lui era irascibile e sadico, verso i bambini, tanto quanto lei era gelida e distante.
Ne risultò che tutti i loro figli si portarono dietro seri problemi per tutta la vita.
Ma il vero fallimento fu quello politico: Giorgio V non era accomodante e diplomatico come il padre ed ebbe la sua parte di responsabilità nello scoppio della Prima Guerra Mondiale, dalla quale il Regno Unito, pur formalmente vincitore, uscì pieno di debiti verso gli USA e sostanzialmente incapace di mantenere il controllo del suo impero. La nave, dunque, stava iniziando ad affondare.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il "porno" regno di Bertie, lo "zio d'Europa" e l'illusione edoardiana dell'Età dell'Oro




Quando il 22 gennaio 1901 giunse dall'Isola di Wight il telegramma che annunciava la morte della regina Vittoria, dopo sessantaquattro anni di un regno interminabilmente sopravvissuto a se stesso, l'Impero britannico, popolato per lo più da persone nate quando lei era già sul trono (e che quindi non avevano conosciuto altra sovrana che lei e forse non riuscivano nemmeno a concepire l'idea che la Vedova di Windsor non ci fosse più) si chiese se il sole sarebbe sorto ancora, e se il cielo e la terra e gli oceani avrebbero continuato a ruotare intorno a Buckingham Palace e al Regno Unito.
Persino nel cantare l'inno della Marina militare, "Rule Britannia, Britannia rules the waves", i sudditi rimasti orfani della burbera madre della patria si domandavano se il vecchio erede al trono, il sessantenne principe Albert Edward, detto "Bertie", conosciuto esclusivamente per le sue gozzoviglie e le sue orge, sarebbe riuscito a tenere in piedi la baracca.

File:Edward VII (Puck magazine).jpg

E Bertie, incredibilmente, li stupì, perché sin dal momento dell'incoronazione, come re Edoardo VII, mostrò di avere tutta l'intenzione di dimostrare ai nostalgici dell'età vittoriana che lui sarebbe riuscito ad eclissare il ricordo di quella madre che lo aveva sempre disprezzato.
Ora la regina era sua moglie Alessandra.

File:QueenAlexandra.jpg

La regina Alessandra aveva perso il sorriso alla morte del suo adorato primogenito Eddie, ma aveva mantenuto inalterata la bellezza di quando, quarant'anni prima, era andata in sposa al giovane principe del Galles.
A cinquantasette anni, la regina Alessandra era considerata il faro a cui tutte le donne eleganti guardavano, dopo che, solo tre anni prima, la più bella sovrana d'Europa, l'imperatrice Elisabetta "Sissi" d'Austria-Ungheria era stata assassinata a Ginevra.
Alessandra si era sempre ispirata a Sissi, come modello di eleganza, ed ora era diventata lei il "sole" i cui raggi splendevano su tutte le corti di un'Europa all'apogeo della potenza politica, militare ed economica.
L'Europa si era spartita il mondo e lo dominava. E il Regno Unito di Gran Bretagna faceva da arbitro nelle contese europee.
Questo ruolo di arbitro si adattava perfettamente ad Edoardo VII, che sapeva parlare perfettamente il francese e il tedesco e che era parente di tutte le teste coronate europee, tanto da essere chiamato lo "zio d'Europa".



Non che Bertie avesse smesso di essere se stesso, intendiamoci. Sarebbe rimasto fino all'ultimo giorno della sua vita un impenitente donnaiolo, alcolista, tabagista, goloso e giocatore d'azzardo, ma dal suo porno-trono (l'espressione è tratta dal testo di Antonio Caprarica, "Il romanzo dei Windsor", che ho già citato nei post precedenti) il re Edoardo VII avrebbe donato all'Europa, per nove splendidi anni, l'illusione che la pace, il progresso e la Belle Epoque sarebbero durati per sempre.
A Bertie va riconosciuto il merito di essere un ottimo diplomatico.
Amava Parigi e la Francia, non fosse altro perché ne aveva visitato entusiasta tutti i bordelli.
Dopo l’importante successo ottenuto da Edoardo VII a Parigi, nel luglio 1903 il presidente della Repubblica francese Loubet ricambiò la visita. In occasione dei vari banchetti in onore dell’ospite, il re continuò ad insistere sul tema dell’amicizia anglo-francese. Fu così ampiamente agevolata un’intesa fra le due nazioni che, dopo faticose trattative condotte da Lansdowne e da Delcassé, venne firmata nella capitale britannica l’8 aprile 1904.


Il trattato, divenuto noto come "Entente cordiale" (Intesa cordiale), fu alla base delle alleanze britanniche per tutto il Novecento e prevedeva, tra l'altro, la soluzione delle dispute coloniali fra Gran Bretagna e Francia assegnando, fra l’altro, l’Egitto alla sfera d’influenza di Londra e il Marocco a quella di Parigi. L’epoca delle diatribe fra le due nazioni, che risaliva al medioevo, era definitivamente conclusa.
Quel successo in politica estera, unito ad altri elementi, fece parlare ai sudditi di un ritorno all'Età dell'Oro.
L'età edoardiana si basava su una felice combinazione di circostanze:
1) una ripresa economica dopo decenni di stagnazione;
2) una libertà di costumi che il re donnaiolo consentì con bonaria naturalezza;
3) una pace favorita dalla naturale tendenza di Bertie a smorzare tutti gli attriti e a non offendersi per le continue provocazioni da parte del megalomane nipote Guglielmo II, imperatore di Germania, passato alla storia come il Kaiser.



Il rapporto tra Guglielmo II e "zio Bertie" (fratello dell'imperatrice madre Vicky) fu la classica relazione di amore-odio da parte di un nipote che avrebbe voluto essere forte e gaudente come lo zio e da parte di uno zio talmente sicuro di sé da perdonare con paciosa bonomia tutte le sfide, gli sgarbi e la costante irriverenza da parte di un nipote "bambino difficile" che non tollerava l'esistenza, al mondo, di qualcuno più potente di lui.
E così lì vediamo, in migliaia di foto, il pacioso "zio Bertie", con la barba bianca e il pancione alla Babbo Natale - Santa Klaus e il battagliero e fanfarone nipote Kaiser di Germania, i cui soli baffi all'insù erano, a detta dello zio, "una dichiarazione di guerra".





L'espressione di Bertie, in queste foto, è impagabile. Pare voler dire: "Tranquilli, non sto prendendo sul serio quel pallone gonfiato di mio nipote".
E questo atteggiamento tollerante e bonaccione, da parte dello "zio", riuscì a disinnescare una mina potenzialmente esplosiva come la prima crisi marocchina. Guglielmo vedeva infatti come il fumo negli occhi la spartizione dell'Africa del Nord tra Inghilterra e Francia, tanto da fiondarsi personalmente in Marocco, a Tangeri, per mostrare i muscoli.
Bertie si limitò ad arricciare il suo folto pelo di vecchio gatto sornione e subito il nipote, che in fondo vedeva in lui il padre che non aveva avuto, rientrò docilmente nei ranghi.



Fosse campato più a lungo, Edoardo VII sarebbe riuscito ad evitare la Prima Guerra Mondiale.
Al contrario infatti del suo collerico e marziale successore, Giorgio V, il ruvido nostromo di cui parlerò domani, il vecchio Bertie non voleva assolutamente la guerra, non fosse altro perché lo avrebbe distratto dalle uniche tre cose al mondo che avevano realmente importanza per lui: le donne, il vino e il cibo.



Amava tanto le gonnelle, il vecchio Bertie, che le indossava pure lui durante le obbligate vacanze a Balmoral, quando, immerso nello spirito ancestrale delle Highlands scozzesi, si sbizzarriva in interminabili cacce al cervo e conseguenti mangiate di cacciagione, seguite da scatole di sigari, bottiglie di brandy e naturalmente una sveltina con l'amante di turno, in questo caso Alice Keppel.



Ironia della sorte, la bellissima Alice Keppel, che per nove anni fu la "regina senza corona" del Regno Unito, era la bisnonna della brutta Camilla Parker-Bowles, la quale conquistò l'attuale Principe di Galles, Carlo, con la famosa frase: "Lo sai che il tuo trisavolo e la mia bisnonna erano amanti?". 
Al contrario, però, di Diana Spencer, che puntò i piedi e non ne volle sapere del menage a trois del suo "matrimonio piuttosto affollato", l'allora regina Alessandra fu tollerante verso l'amante del marito fino quasi al menefreghismo. Come a dire: "Che se lo sorbisca pure la Keppel, quel vecchio beone che puzza di alcool e sigaro!". Ad Alexandra bastava avere la corona in cima alla sua famosa "cofana" di capelli riccioluti.

King Edward VII; Queen Alexandra, by William Edward Downey, for  W. & D. Downey, 14 February 1901 - NPG x74700 - © National Portrait Gallery, London

Forse se la compianta principessa Diana avesse ragionato con lo stesso distacco cinico della navigata regina Alexandra, oggi sarebbe ancora viva e si godrebbe la compagnia della nuora e del nipote.
Ma la storia, ovviamente, non si fa con i "se".
Nemmeno col "se Bertie fosse vissuto più a lungo" l'Europa sarebbe vissuta in pace.
Edoardo VII aveva raggiunto i 68 anni in condizioni di salute incredibilmente buone considerati gli stravizi di bacco, tabacco, venere e cibo che si era concesso per tutta la vita.
Probabilmente riteneva di avere la stessa scorza robusta della madre, l'eterna Vittoria.
In ogni caso, a coloro che lo invitavano a riguardarsi, ricordava: "Sciocchezze! Sono l'uomo più sano d'Inghilterra!".



Il 14 marzo 1910, dopo una serie interminabile di balli e festini, venne annunciato che il re sarebbe rimasto nel suo appartamento per consiglio del medico personale. Ufficialmente si trattava di una bronchite, in realtà i polmoni di Bertie erano completamente distrutti dal fumo e dall'enfisema.
Il 21 marzo Edoardo VII ricomparve per un’escursione in automobile e il 25 aprile partì in treno per Parigi, dichiarandosi "completamente guarito".
Ma fra il 30 aprile e il 1º maggio, a Sandringham, dopo una serie di partite di caccia, la "bronchite" lo colpì ancora. Nei giorni seguenti, a Londra, rifiutò di riposarsi e incontrò l’ambasciatore americano, che notò la forte tosse e si preoccupò per la salute del sovrano. Bertie, tra uno starnuto e l'altro, ribadì di essere "L'uomo più sano d'Inghilterra",
Ma la sera del 5 maggio fu chiaro a tutti, tranne che a lui, che "l'uomo più sano d'Inghilterra" era un malato in fase terminale.
Lui però non ci stava e la mattina del 6 si fece vestire di tutto punto, come se niente fosse, ed i medici furono soltanto autorizzati a dire che la bronchite del re persisteva e «le sue condizioni suscitavano qualche preoccupazione».
Bastarono pochi minuti di tosse da togliere il respiro per far capire a Bertie che, nonostante la sua voglia di vivere, ormai la partita era finita.
In punto di morte, Bertie non si smentì, e la sua richiesta fu di poter "morire tra le braccia di Alice Keppel".
La regina Alessandra, con la consueta classe, permise all'amante del marito di assisterlo nell'estremo momento e provvide a far entrare nella stanza gli amici che desideravano vederlo per l'ultima volta.
E così, in compagnia, come sempre, il vecchio Bertie, il grande Edoardo VII, morì quello stesso 6 maggio 1910, quando mancavano 15 minuti alla mezzanotte. Aveva 68 anni e mezzo.
La prima cosa che accadde dopo, fu il gesto liberatorio della vedova.
Dopo quarantasette anni di umiliazioni, la regina Alexandra, finalmente vedova, ordinò che Alice Keppel e tutte le amanti del marito fossero per sempre bandite da tutte le abitazioni della Famiglia Reale. Poi, con la consueta malinconia, pensò tristemente a quale sorte meschina era destinato il Regno, ora che il trono cadeva nelle mani del suo secondogenito, il ruvido nostromo di cui parleremo domani.

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Moda uomo: il look "venerdì casual" - "casual friday", ma non troppo.



Ci sono alcuni che, approfittando del cosiddetto "casual friday", si presentano in ufficio il venerdì come se fossero già al mare, in montagna, in campagna o a casa sbracati sul divano.
Non sanno, o forse fanno finta di non sapere, che il look più casual che è ammesso il venerdì come giorno prefestivo, non significa affatto mettersi cose a caso, né ammettere la sciatteria e nemmeno dei look stravaganti.
Il "casual friday" permette alcune deroghe rispetto agli altri giorni (di cui ho parlato in un post qualche giorno fa, esemplificando il formal dress tramite il personaggio di Harvey Specter di "Suits"), ma non sono poi moltissime queste deroghe: esaminiamole insieme.

1) E' ammesso lo "spezzato", cioè un abbinamento di giacca e pantaloni di diverso colore o tessuto. 



2) E' ammesso che al posto della giacca si possa portare un maglioncino di lana (sweater), preferibilmente col collo a V (V-neck) oppure a forma di gilet.





3) Sono ammessi colori leggermente più vistosi, ma mi raccomando, solo "leggermente".



4) Sono ammessi, ma qui io non sono molto d'accordo, i jeans, purché siano scuri o grigi, eleganti, di ottima fattura, aderenti e con una cintura altrettanto elegante.






5) Le camicie possono essere anche botton down (anche se io le trovo orripilanti) e avete anche i quadretti o cose del genere, ma sempre senza esagerare, se no si fa la figura dei clown.





6) La cravatta è sempre preferibile e quindi la deroga è soltanto sul tipo e sul colore: magari sono ammesse quelle di lana, quelle con colori caldi o pastello, e persino le skinny, purché abbiate meno di trent'anni o comunque ne dimostriate meno!









7) Per chi ama i cappelli, possono essere ammessi anche questi, purché siano ben abbinati col resto dell'outfit.





9) Si possono osare outfit più originali, ma sempre nei limiti del buon gusto, perché basta un niente per cadere nel ridicolo oppure sembrare in qualche modo eccessivi.






Eddy, duca di Clarence: il principe dei misteri.



Il principe Alberto Vittorio Cristiano Edoardo di Sassonia-Coburgo-Gotha (Frogmore House8 gennaio 1864 – Sandringham House14 gennaio 1892), Duca di Clarence e Avondale, fu un membro della Famiglia reale britannica. Era il figlio maggiore di Alberto Edoardo, "Bertie", Principe di Galles (in seguito re Edoardo VII) e di Alessandra di Danimarca, Principessa di Galles (in seguito regina Alessandra). Al momento della nascita era secondo nella linea di successione al trono, dopo suo padre.

File:Albert Victor late 1880s.jpg

Alberto Vittorio era conosciuto in famiglia come Eddy e molti suoi biografi si sono riferiti a lui con questo nomignolo. Da ragazzo viaggiò molto come cadetto della marina. Da adulto entrò nell'esercito, ma non espletò alcun servizio militare attivo. 

File:Prince Albert Victor, Duke of Clarence (1864-1892) by William (1829-18 ) and Daniel Downey (18 -1881.jpg

Dopo due tentativi senza successo di fidanzamento, gli venne promessa in sposa Mary di Teck nel tardo 1891. Poche settimane dopo però Eddie morì durante una pandemia influenzale. Mary in seguito sposò il fratello minore di Alberto Vittorio, Giorgio, che divenne re Giorgio V nel 1910.


















L'intelletto, la sessualità e la sanità mentale di Alberto Vittorio, "Eddie", sono stati oggetto di molte speculazioni; pettegolezzi lo volevano collegato ad uno scandalo riguardante un bordello per omosessuali, benché non esistano chiare prove che lui lo frequentasse o che fosse omosessuale. E' invece più probabile la sua sostanziale bisessualità.
Alcuni studiosi affermarono  che Alberto Vittorio avesse avuto un figlio con una donna del distretto di Whitechapel di Londra, che avrebbe addirittura sposato in segreto. Secondo questa teoria, la famiglia reale e altri uomini di rango elevato, avrebbero commissionato gli omicidi attribuiti al misterioso Jack lo Squartatore per coprire una faccenda che avrebbe potuto influenzare in maniera imprevedibile la successione al trono. Documenti dell'epoca indicano però che Alberto Vittorio non poteva essere stato a Londra al momento degli omicidi e quindi l'accusa che egli possa aver compiuto materialmente i delitti è del tutto infondata. Resta però da capire chi furono i mandanti, se ce ne furono.

Come spesso succede quando il figlio di una coppia invidiata cade in disgrazia per qualche scandalo seguito da morte precoce, le chiacchiere della gente andarono puntualmente a colpire i genitori.

Il padre Bertie era un bersaglio fin troppo facile, considerando la sfrenata lussuria che caratterizzava la sua esistenza. Colpire Bertie era come sparare sull'ambulanza, per cui le malelingue trovarono più stuzzicante spostare il tiro sulla sua bella e irreprensibile consorte.
Alessandra di Danimarca, all'epoca Principessa di Galles, aveva sempre nutrito una sconfinata adorazione per il primogenito Eddie, verso cui era sempre stata nel contempo dolcissima e possessiva, trascurando gli altri figli (per loro fortuna).

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Fu così che su Alessandra finirono per cadere tutte le accuse per l'origine dei difetti che si rimproveravano in suo figlio: la mancanza di virilità, il suo ritrarsi da giochi rudi; la sua natura dolce, gentile, quieta ed affascinante.
La morte lo colse in giovane età, nel 1892, quando ancora regnava la nonna, regina Vittoria. Ufficialmente morì per le complicazioni di una febbre influenzale. Secondo alcuni si trattava invece di una forma molto virulenta di sifilide, ma anche questo rimane uno dei tanti misteri connessi alla sua breve vita.

La madre Alessandra non riuscì mai a farsene una ragione ed i rimanenti trentatré anni della sua vita, per quanto scanditi dallo sfarzo della corona, prima come regina consorte e poi come regina madre (per il secondogenito, George) non cancellarono la perenne espressione di malinconia nel suo sguardo.

La figura di Alberto Vittorio al cinema

Le teorie cospirazionali che circondavano il principe Alberto Vittorio hanno dato origine a film che lo ritenevano responsabile degli omicidi di Jack lo squartatore, o comunque coinvolto in essi:
  • il film giallo di Bob Clark Murder by Decree sulle investigazioni di Sherlock Holmes uscito nel 1979 con Robin Marshall nei panni del "Duca di Clarence (Eddy)";
  • Jack the Ripper di David Wickes, uscito nel 1988, con Marc Culwick a rappresentare il principe Alberto Vittorio;
  • nel 1997 venne trasmesso un film per la televisioneThe Ripper, di Janet Meyers, con Samuel West che interpreta il "principe Eddy"; per una fortuita coincidenza, West aveva interpretato il giovane Alberto Vittorio nella miniserie TV, Edoardo il Re.
  • il film From Hell dei fratelli Hughes uscito nel 2001 e basato sull'omonimo grafic novel di Alan Moore e Eddie Campbell;
  • Mark Dexter rappresentò sia "Prince Edward" che "Albert Sickert". La storia è anche la base per la commedia Force and Hypocrisy di Doug Lucie.
Due romanzi di storia alternativa, scritti da Peter Dickinson, immaginano un mondo in cui Alberto Vittorio sopravvive e regna con il nome di Vittorio I. Nell'universo parallelo del racconto breve su Sherlock Holmes di Gary Lovisi, The Adventure of the Missing Detective, il Principe è ritratto come un re tirannico, che governa dopo la morte (in circostanze sospette) della nonna e del padre. Alberto Vittorio appare anche come la vittima dell'omicida del romanzo giallo Goodnight Sweet Prince, in cui appare per la prima volta il detective Lord Francis Powerscourt;[Alberto Vittorio è anche un vampiro nel romanzo I, Vampire di Michael Romkey.