Secondo le "Istorie casemuratensi", edite nel 1928 dall'insegnante elementare Clara Torricelli da Forlì (1895-1985), discendente della famosa Eulalia di cui cantano i poeti e coniugata con l'irsuto Giorgio Ricci, detto "Zuarz", agricoltore di successo e uomo d'affari, i manuali di storia sbagliano nel collocare la Romagna sotto il Papato sin dai tempi di Carlo Magno, o addirittura dei genitori di lui, Pipino il Breve e la dama merovingia Bertrada di Laon, detta Berta dal Gran Pié (epiteto di discutibile finezza e appropriatezza). Da qui comincia l'analisi di donna Clara, con l'intento di dimostrare che "soltanto tra il 1278 e il 1509 le Romagne caddero sotto l'effettivo dominio del Sommo Pontefice di Santa Romana Chiesa".
Nella sua fin troppo minuziosa ricostruzione, la signora Ricci affrontava la questione partendo "alla lontana", poiché ogni indagine storiografica, a suo parere, andava condotta risalendo alle cause più remote, e dunque, sostanzialmente, "ab ovo".
"Erano i tempi in cui Berta filava..." recita il famoso incipit delle "Istorie", opera di grande scrupolosità, che tuttavia gli accademici non hanno mai preso troppo sul serio, pur riconoscendo il valore imprescindibile dell'altro saggio storico di Clara Ricci: la biografia della regina Amalasunta.
Venendo al nocciolo della questione, secondo donna Clara, la Promissio Carisiaca del 754 e le donazioni di Pipino il Breve e Carlo Magno rimasero puramente nominali, sulla carta, e non ci sono fonti sufficientemente chiare per stabilire con certezza chi detenesse la vera autorità nella Provincia Romandiolae, dopo la caduta dell'Esarcato bizantino ad opera del Regno Longobardo e dopo la conquista di quest'ultimo da parte del Regno dei Franchi.
Nelle "Istorie" si insiste particolarmente su un punto: molto potere era detenuto dall'Arcivescovo di Ravenna, che, durante la Lotta per le Investiture dei Vescovi, preferì essere alleato con l'Imperatore contro il Pontefice di Roma, di cui rifiutava di riconoscere il primato gerarchico, nonché la dignità di detentore della Sede Apostolica, come riaffermato nel 27 punti del Dictatus Papae di Gregorio VII, nell'Anno Domini 1075.
Quando poi nel 1125 la dignità imperiale passò alla dinastia degli Svevi di Waiblingen, detti Ghibellini, tutti i Comuni e le Signorie romagnole di fede imperiale, tra cui Forlì e Cesena (guidate dai ghibellini Ordelaffi), fecero riferimento prima al Barbarossa e poi a suo nipote, il grande "Stupor Mundi", figlio di Enrico VI e Costanza d'Altavilla, ossia l'imperatore Federico II von Hoenstaufen (1194-1250), duca di Svevia, ("il terzo vento di Suave e l'ultima possanza" lo definisce il sommo Dante con la consueta efficacia), che aveva concentrato per eredità nella propria persona molte cariche ed onori: Imperator Romanorum, Rex Teutonicorum et Francorum Orientalium, Rex Langobardorum et Italicorum, et Rex utriusque Siciliae.
Come è noto, sotto il suo lungo regno il potere della fazione ghibellina raggiunse l'apogeo, ma dopo la morte dell'Imperatore, nel 1250, e dopo le sconfitte dei suoi eredi Corrado IV, Manfredi e Corradino, per anni la Germania e l'Italia furono in preda all'anarchia e alle guerre civili che lacerarono tutti i regni componenti il Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca.
Ed è proprio in questa delicata fase che le "Istorie casemuratensi" di donna Clara Torricelli inseriscono un dato essenziale per la nostra narrazione.
Esse infatti sostengono che la data di fondazione del borgo romagnolo di Casemurate è da far coincidere con il trattato di pace stipulato nel 1278 da Rodolfo I d'Asburgo, Duca d'Austria, Stiria, Carinzia e Carniola, ed eletto dai principi tedeschi Rex Teutonicorum et Romanorum, col Sommo Pontefice Niccolò III Orsini, eletto dai nobili romani come compromesso tra le fazioni opposte dei Caetani e dei Colonna, poiché entrambe le dinastie erano legate per matrimonio con gli stessi Orsini.
Secondo tale patto l'Asburgo rinunciava alle pretese imperiali sulla Romagna, in cambio di una futura (e mai avvenuta) incoronazione imperiale a Roma, da parte di papa Orsini.

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La Storia ci insegna che Niccolò III Orsini, per frenare le ambizioni temporali dell'Arcivescovo di Ravenna e assoggettare la provincia Romandiolae al Patrimonium Sancti Petri, come già era avvenuto per le Marche di Ancona e Fermo oltre che per il Ducato di Spoleto, nominò, nel 1278, Conte di Romagna e Governatore di Bologna suo nipote Bertoldo Orsini (1230-1319).
Tale ingerenza da parte del Pontefice romano non piacque a molti cumuni romagnoli, specialmente alla ghibellina Forlì, ostile al governo degli Orsini e dei delegati papali, tanto che il Conte di Romagna mise la città ribelle sotto assedio da parte delle truppe pontificie con l'aiuto dei Francesi, eterni alleati del Papa.
Fu allora che il condottiero dei forlivesi, Guido da Montefeltro, con un'astuta mossa militare, finse la resa, per poi uccidere gli invasori, cogliendoli di sorpresa mente gozzovigliavano dentro le mura della città, episodio ricordato da Dante che si riferisce proprio a Forlì descrivendola come: "la terra che fe' già la lunga prova / e di Franceschi sanguinoso mucchio" (Inferno XXVI, 43-44).
Sempre Dante, osando collocare papa Niccolò III Orsini all'Inferno per simonia e nepotismo, gli fa dire:
«...e veramente fui figliuol dell'orsa,
cupìdo sì per avanzar li orsatti,
che su l'avere, e qui me, misi in borsa.»
(Inf. XIX, 70-72)
Così dunque si esprimono la Grande Storia e la Poesia, ma le minuziose "Istorie casemuratensi" di donna Clara Ricci Torricelli, ci forniscono un dato ulteriore, ossia che il conte Bertoldo di Romagna aveva un parente, non è chiaro se fosse suo fratello minore o suo figlio, di nome Bernardo Orsini, che ebbe l'incarico di presidiare la Romagna centrale, all'epoca terra infida e paludosa, creando una fortificazione in un punto strategico.
Per ottenere la benedizione dell'Arcivescovo di Ravenna e quella del signore della città, Guido da Polenta, Bernardo si avvalse della collaborazione di un nobile ravennate, Rodolfo Spreti, e dell'appoggio diplomatico del cardinale Latino Malabranca Orsini, già Arcivescovo di Manfredonia e poi Legato Pontificio per pacificare la Provincia Romandiolae. Anche quest'ultimo era nipote di papa Niccolò III Orsini, ma tramite la sorella di lui, la potente donna Mabilia Orsini, sposa del senatore romano Angelo Malabranca.
La scelta del luogo ove far sorgere questa fortezza non fu facile, considerando che la Romagna centrale, nel Medioevo, era tornata ad essere una terra acquitrinosa e selvaggia, con poche e malsicure vie di comunicazione, reliquia delle antiche strade costruite dai Romani secoli prima.
Nei pressi della Palude Standiana o Vallis Candiana (estremo lembo inferiore della Palude Padusa), esisteva un piccolo villaggio attorno all'incrocio di due strade di origine antichissima e cioè la Via Salaria (attuale Cervese di Forlì) e la Via Decumana (attuale Dismano) che collegava e ancor oggi collega Ravenna e Cesena.


Secondo donna Clara Ricci e i documenti a lei forniti da Sua Signoria Achille Orsini, XVII Conte di Casemurate (1880-1961), furono Bernardo Orsini e Rodolfo Spreti a decidere di fondare in quel luogo, sul finire dell'anno 1278, una vera e propria fortezza, cingendo poi di mura un antico villaggio di cui non conosciamo neppure il nome, che da quel momento fu chiamato Casa Murata o Case Murate, a seconda delle mappe che si consultano.
Fin dal principio si posero però alcuni problemi, tra cui principalmente la giurisdizione ecclesiastica e quella signorile del borgo fortificato di Case Murate.
La signoria territoriale spettò ai discendenti dei padri fondatori, gli Orsini da Roma ottennero le terre ad ovest del torrente Serachieda, che divideva già da allora il contado forlivese da quello ravennate, e fu per questa ragione che Bernardo Orsini, nell'ottobre del 1278, divenne il primo Conte di Casemurate, col consenso e la benedizione di Santa Romana Chiesa e del Sommo Pontefice, suo zio, e fu consacrato dal vescovo di Forlì, a cui rese omaggio feudale, alla presenza delle principali famiglie forlivesi. In quella circostanza gli fu donato l'anello comitale, che i Conti di Casemurate di Forlì si sono tramandati fino alla morte di Diana Orsini, l'ultima discendente, che donò l'anello al nipote Roberto Monterovere.
Allo stesso modo Rodolfo Spreti fu proclamato Marchese di Casemurate dall'Arcivescovo di Ravenna, che venne a patti con papa Niccolò III Orsini, concendendo alla rivale diocesi di Forlì la giurisdizione congiunta della Parrocchia di Casemurate, la cui Pieve fu dedicata a San Giovanni Battista . L'attuale chiesa, voluta dal vescovo di Ravenna Cristoforo Boncompagni, risale al 1591, e poi trasformata e restaurata nel 1830 a cura di Ludovico Orsini, XV Conte di Casemurate, e Vittoria Spreti, sua sposa che lì fu unita a lui nel sacro vincolo del matrimonio (dinastico).
Fu poi definitivamente stabilito che il confine occidentale la Contea di Casemurate di Forlì fosse segnato dal piccolo torrente Serachieda, affluente del Bevano, mentre Casemurate di Ravenna si trova ad oriente di quel misero fossato, che tutt'ora separa le province di Forlì e Ravenna.
E' motivo di ironia che tra la suddetta e limacciosa Serachieda e lo scolo del Dismano (altro tributario del Bevano, della cui importanza si parlerà in seguito),
si trovi al giorno d'oggi l'importantissimo svincolo della Strada europea E45, un asse viario misto di classe A, che attraversa la
dorsale europea nord/sud da Capo Nord alla Sicilia, e trova in Italia una importante tratta
sulla linea Ravenna-Orte, che conduce a Roma attraverso la valle del Savio e quella del Tevere.
I marchesi Spreti costruirono l'omonima Villa fortificata con tanto di Torretta, immediatamente al fianco della Serachieda. Fino a qualche anno fa Villa Spreti si trovava in una condizione di abbandono, e il parco che la circondava era divenuto un fitto bosco.
Pare che però ci siano stato di recente un restauro dell'intera proprietà.
Morto Niccolò III e i suoi immediati successori, papa Clemente V, da Avignone dove aveva spostato la Santa Sede, affidò al cardinale Napoleone Orsini la carica di Legato Pontificio per la Provincia Romandiolae (1305-1314), il che rafforzò la posizione dei Conti Orsini di Casemurate.
Essi trovarono un buon accordo anche col successivo Legato, il cardinale Bertrando del Poggetto.
Va detto però che vi furono molti scontri per il dominio della Contea di Casemurate, che, per la sua posizione strategica, era bramata dagli Ordelaffi di Forlì, e dalle altre famiglie illustri come gli Sforza, i Medici, i Borgia, i Malatesta, gli Orsi-Mangelli, i Gagni di Montecscudo e i patrizi Zanetti Protonotari Campi.
E' noto che si ebbe un restauro della Fortezza e delle Mura di Casemurate nel 1412, per volontà Giorgio Ordelaffi, Signore di Forlì, a cui gli Orsini avevano reso omaggio feudale.
Gli Orsini di Casemurate, però, continuarono a godere dell'appoggio dei loro parenti romani, in particolare del cardinale Giovanni Battista Orsini (Roma, 1450 circa – Roma, 22 febbraio 1503), Legato Apostolico e Rettore della Provincia Romandiolæ tra il 1500 e il 1503, quando fu fatto giustiziare per ordine di Cesare Borgia. La successiva rivalità tra gli Orsini e i Borgia terminò con la caduta dei secondi, quando papa Alessando VI Borgia morì avvelenato per una congiura ordita dagli Orsini stessi e dai Della Rovere per vendicare la morte del cardinale e del cugino Paolo Orsini, anch'egli ucciso per ordine del Duca di Valentinois. Eliminati i Borgia, gli Orsini, i Della Rovere, i Medici e i Farnese strinsero un patto per dominare Roma e tutte le sue dipendenze.
A consolidare definitivamente il potere dei Conti di Casemurate fu il cardinale Alessandro Orsini (Bracciano, 1592 – Bracciano, 22 agosto 1626), Legato apostolico per le Romagne.

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I documenti probanti la maggior parte di tali eventi e deliberazioni, secondo la scrupolosa indagine di Clara Ricci, risultavano conservati nell'archivio privato di Achille Orsini, XVII Conte di Casemurate e diretto discendente del fondatore Bernardo.
Tali documenti erano così gelosamente custoditi che, escludendo il Conte e la maestra Clara Torricelli coniugata Ricci, non erano mai stati visti da anima viva e quando, molti anni dopo, a fronte dei dubbi sempre più insistenti riguardo agli eventi in questione, alimentati dai Marchesi Spreti nel tentativo di essere considerati gli unici veri fondatori di Casemurate, se ne chiese pubblica visione,
la vedova del Conte Achille, l'anziana Contessa Emilia, nata Paulucci di Calboli, dichiarò che tali documenti erano andati perduti durante l'ultima guerra, quando la Villa Orsini fu presa di mira sia dai bombardamenti anglo-americani, sia dall'occupazione militare tedesca che fece strame di quella avita dimora di campagna, costruita da Giuseppe Orsini, XVI Conte di Casemurate, per la moglie Adelaide Gagni di Montescudo (con i soldi che lei portò in dote)
Questa circostanza aveva suscitato le ironie di Lucrezia Spreti, eterna rivale di Diana Orsini, figlia del conte Achille e della contessa Emilia.
Lucrezia Spreti rinfacciava a Diana Orsini il fatto che le nobilissime origini dei Marchesi Spreti erano comprovate in maniera inoppugnabile, al contrario di quella dei Conti Orsini di Casemurate.
L'unico motivo per cui il contenuto delle Istorie Casemuratensi non fu messo in discussione dalla storiografia ufficiale potrebbe essere attribuito al numero piuttosto ristretto delle copie stampate, tenendo conto anche delle ristrettezze nelle quali la famiglia dei Conti di Casemurate era venuta a trovarsi e della presunta spilorceria del marito di Clara Torricelli, il suddetto "Zuarz" Ricci.
Nonostante questo, l'opera ebbe molti anni dopo una seconda edizione a cura del pronipote di donna Clara, l'eccentrico Roberto Monterovere, personaggio controverso, bizzoso, lunatico, misantropo e inattendibile da cui prendiamo moralmente le distanze, ma di cui riportiamo qui, un estratto della prefazione alla suddetta seconda edizione delle "Istorie" il cui unico interesse consiste nel riferimento alle voci di stregoneria nelle campagne casemuratensi, a cui si accenna per inciso:
" All'epoca in cui la maestra Clara Torricelli incominciò le sue ricerche (intorno al 1910 circa), nella scuola elementare di Casemurate, in cui ella insegnava, c'era una bidella che incuteva timore a tutti, una certa vedova Luisa Bergantini, nata a Villa Inferno nel 1870, donna alta e corpulenta, sì che tutti la chiamavano "la Luisona", appellativo a cui lei non dava alcuna importanza. Ella risiedeva nella "Camaraza", un lurido seminterrato negli alloggi del personale di Villa Orsini, con le due figlie maggiori: Elvira e Iole.
Le altre figlie, Ionne, Ida, Irma ed Ermide, erano state beneficiarie della filantropia di Ludovico Orsini, XV Conte di Casemurate, tramite L'Opera Pia di "Confluentia", che offriva un pasto e un tetto "alle fanciulle disagiate e ai gatti randagi", sotto l'attenta sorveglianza di "anziane signore volenterose" che vivevano stabilmente in quel luogo, grazie ad un sussidio erogato dalla stessa famiglia Orsini, con i proventi ricavati da un'erboristeria che si trovava nei paraggi, gestita dalle stesse anziane, che le malelingue bollavano, non senza ragione, come "streghe".
I ruderi di quel luogo sono da lungo tempo andati distrutti dalle alluvioni, ma l'ubicazione è comunque facilmente reperibile, essendo il punto di confluenza della fossa Torricchia nel torrente Bevano.
(N.d.A. L'estratto completo è reperibile presso il seguente link:
Chi volesse cimentarsi in un molto più attendibile testo sulla storia di Casemurate non può prescindere dal validissimo saggio di Paola Bezzi.
Esiste inoltre una terza interpretazione riguardo alle origini di Casemurate, di cui parla Lucio Gambi, ne "La Casa Rurale nella Romagna" che è nostro dovere riportare:
"Antico e curioso toponimo già citato nella Descriptio Romadiolae del 1371.
Per la sua origine non dobbiamo pensare a punizioni o atti di forza, ma al fatto che, fino al periodo comunale la casa colonica era verosimilmente edificata in legno, ad assi e tronchi, spesso di forma circolare come ai tempi degli antichi Galli Senoni, e solo le fondamenta erano in muratura di sassi cementati con un impasto di terra.
La rara casa murata, cioè realizzata completamente in muratura, era oggetto di attenzione, tanto che la sua presenza veniva specificata negli atti di compravendita o enfiteusi dei fondi agricoli. Una indicazione di tale genere diede forse origine al toponimo Casemurate, indistintamente dalla destinazione che tale edificio ebbe.
Lo stemma secentesco che troviamo sulla mappa del Coronelli è quello della dinastia Orsini, di origine romana, che qui si infeudò durante il Medioevo"
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Ora che abbiamo fin troppo minuziosamente studiato le fonti storiche, la nostra narrazione si concentrerà sulla decadenza degli Orsini, che a causa delle eccessive spese dei conti Ludovico, Giuseppe e Achille, pareva inesorabilmente orientata verso la bancarotta, tanto che l'unico modo per evitare il disastro fu il ricorso alla florida condizione finanziaria della famiglia Ricci, di cui la maestra Clara Torricelli era la "mente" e passava il tempo tessendo in segreto una rete di alleanze e fidanzamenti strategici dei suoi numerosi figli con le declinanti famiglie nobili del contado.
Il marito di Clara, il suddetto e selvaggio "Zuarz" Ricci aveva saccumulato, grazie ai numerosi prestiti concessi al conte Achile, una considerevole quantità di diritti ipotecari sui terreni e persino sulla Villa dei Conti Orsini di Casemurate, che si trovava nelle vicinanze della confluenza tra il torrente Torricchia e il torrente Bevano, che assorbiva tutte le acque della Romagna centrale.
Da sempre Clara Torricelli coniugata Ricci aveva sognato un'alleanza matrimoniale con gli Orsini di Casemurate, una sorta di patto dinastico volto ad elevare la famiglia Ricci, accogliendola nei "salotti buoni".
L'eterea e raffinata Donna Clara e il bestiale "Zuarz" Ricci si erano a loro volta sposati per un matrimonio combinato, al fine di salvare le sostanze dei Torricelli da Forlì, e, con grande stupore di tutti, quell'unione dettata dall'interesse aveva stranamente funzionato bene, grazie forse alle leggendarie doti amatorie di lui, e la coppia si era data molto da fare, mettendo al mondo molti figli dai nomi rispettabili e talvolta altisonati scelti da lei, tra cui Aristide, Alberico, Ettore, Caterina, Carolina, Adriana e Maria Teresa.
Il preferito di Donna Clara era senza dubbio Ettore, che aveva ereditato dal padre il bernoccolo per gli affari e dalla madre la sconfinata invidia (mista ad ammirazione) nei confronti della famiglia Orsini.
Ma non si trattava solo di una questione dinastica: da tempo Ettore Ricci aveva messo gli occhi addosso alla figlia primogenita del Conte Achille, la bella e raffinata Diana Orsini, che tuttavia, purtroppo, non ricambiava l'interesse del ricco corteggiatore.
Se ci è concessa una similitudine, Ettore Ricci era come il verghiano Mastro-Don Gesualdo, mentre Diana Orsini sembrava uscita da un romanzo di Jane Austin, Emily Bronte o Margaret Mitchell.
Date queste premesse, era già chiaro fin dall'inizio che le cose, per entrambi i giovani e le rispettive famiglie, per non parlare dell'intera Contea di Casemurate, avrebbero preso una brutta piega.
Ma il conte Achille era disperato e temeva di finire sul lastrico, mentre la fortuna della famiglia Ricci lo avrebbe salvato non solo finanziariamente, ma anche politicamente, poiché "Zuarz" Ricci era un fascistone della prima ora, che vantava un'amicizia personale e di antica data col Duce in persona, suo coetaneo e forlivese come lui.
Tali erano le referenze dei Ricci, ma erano gli Anni Trenta del XX secolo, quando certe frequentazioni costituivano motivo di vanto e di potere.
Riguardo tuttavia al progetto di fidanzare Ettore Ricci con Diana Orsini, la stessa contessa Emilia così si esprimeva:
<<Potremmo riuscirci o non riuscirci, ma sinceramente non so cosa sia peggio>>.