giovedì 15 agosto 2024

La serie tv "Those about to die" è avvincente e convincente. Merita di essere vista.




"Ave Caesar, morituri te salutant", così i gladiatori si rivolgevano, all'imperatore romano (il nome "Caesar" era diventato il termine comune he designava il massimo detentore del potere, anche dopo la fine della dinastia Giulio-Claudia), prima del combattimento nell'arena, in particolare nell'Anfiteatro Flavio, fatto costruire da Flavio Vespasiano e inaugurato sotto il regno del maggiore dei suoi due figli, Tito Flavio, suo successore, per breve tempo, e utilizzato poi efficacemente da Flavio Domiziano, il figlio minore, che succedette al fratello.
Questo è il periodo storico in cui è ambientata la serie tv che traduce in inglese il termine latino "morituri", e cioè coloro che stanno per morire, letteralmente "Those about to die".
Ultimamente le serie tv storiche si sono prese troppa libertà, per cui, da appassionato e studioso di Storia, tendo ad avvicinarmi ad esse con scetticismo e a valutarle severamente.
Confesso che in questo caso, all'inizio, ciò che mi ha attratto è stata la presenza del grandissimo Anthony Hopkins, una garanzia di qualità e carisma, almeno per il personaggio da lui interpretato, e cioè l'imperatore Vespasiano, che portò al potere la dinastia Flavia, dopo l'anno di guerre civili seguito alla morte di Nerone, l'ultimo dei discendenti di Augusto e della dinastia Giulio-Claudia).
Hopkins tra l'altro ha una certa somiglia con i busti di Vespasiano, il che lo rende perfetto per la parte.
Ulteriore garanzia è la regia di Roland Emmerich.
Naturalmente anche "Those about to die" si prende molte libertà, scegliendo per interpretare Tito, che era tuto tratte bello, un attore molto bello come Tom Hugues attribuendogli una barba che storicamente Tito non si fece mai crescere (il primo imperatore barbuto sarà Adriano). Ma è un peccato veniale, dovuto all'esigenza di attrarre il pubblico femminile e anche al fatto che Hughes ha già interpretato bene un ruolo storico (il principe Alberto di Sassonia-Coburgo, consorte della regina Vittoria del Regno Unito, nella serie tv "Victoria"). 
Al fratello minore, Domiziano, sono stati attribuiti elementi di dubbia storicità, supportati più che altro dalla faziosa biografia scritta dal brillante e fantasioso Svetonio, che doveva compiacere gli imperatori che vennero dopo di lui (il nobile Nerva, scelto dal Senato dopo l'uccisione di Domiziano, il generale Traiano, adottato dal predecessore per garantirsi l'appoggio delle legioni, e Adriano, nipote di Traiano, sotto il cui regno l'Impero raggiunse l'apice della gloria e del benessere).
Solo nell'ultima parte della sua vita Domiziano divenne paranoico e sadico in seguito alle numerose congiure ordite ai suoi danni e a uno stile di vita che gli rovinò la salute. E' possibile che fosse bisessuale, ma non in maniera esibita, mentre nella serie è esclusivamente omosessuale.
Gli storici moderni hanno riabilitato il regno di Domiziano, che fu un abile amministratore, pur riconoscendogli alcuni elementi che la serie tv ha voluto mettere in rilievo in modo particolare e cioè la sua politica basata sul placare il popolo tramite "panem et circense", distribuzioni granarie e spettacoli di grande efficacia che resero famoso l'Anfiteatro Flavio (chiamato Colosseo perché situato vicino alla statua colossale di Nerone) contrapposto al Circo Massimo dove prevalevano le corse delle quadrighe delle squadre di proprietà di illustri senatori, di ricchi equites e di nuovi arricchiti. E' però indubbiamente vero che l'indole di Domiziano tendeva a condurlo a un notevole accentramento del potere nelle sue mani e in quelle dei suoi "clientes" che crearono una salda burocrazia presso il Palatino, a discapito del Senato, i cui membri era comunque malvisti dalla popolazione romana. 
Inoltre sembra che Domiziano sia stato il primo "Dominus et Deus", cioè il primo imperatore che non si limitò ad essere il "Princeps", il primo tra pari, ma il sovrano che si autoattribuiva pregorative divine mentre era ancora in vita, non bastandogli i titoli che aveva già: "Caesar, Pontifex Maximus, Augustus, Pater Patriae, Imperator". Ma nella serie vediamo Domiziano da giovane, quando è ancora magro e detiene il titolo di Aedilis Sudi, l'Edile del gioco, il magistrato incaricato della direzione dei giochi per intrattenere la plebe di Roma.
Queste sono le premesse storiche e le libertà che la serie si è concessa, che possono essere perdonate in quanto la ricostruzione della Roma imperiale nell'epoca Flavia è davvero impeccabile ed efficace, anche grazie alle tecniche cinematografiche con cui si sono ricreati ambienti e situazioni in maniera verosimile. 
Non si può pretendere la verità da un intrattenimento, ma la verosimiglianza nella ricostruzione fisica, ambientale, architettonica, sociale, economica e politica della Roma tra il 79 e l'81 d.C. è tale da rendere la serie tv credibile e tutto sommato non troppo distante dalla storia.
La vicenda narrata e rappresentata è ovviamente di un'opera di fantasia, ma dotata, oltre che della suddetta verosimiglianza, anche di una trama davvero avvincente.
Uno dei personaggi di fantasia che ha un ruolo centrale nella trama è un giovane uomo che si fa chiamare Tenax, di oscure origini, interpretato molto bene dall'attore Iwan Rheon, noto al grande pubblico per aver interpretato con grande abilità il personaggio di Ramsay Bolton, in "Game of Thrones"
Tenax possiede una taverna dove si fanno scommesse molto proficue (per lui, che spesso trucca l'esito dei giochi) nei combattimenti tra i gladiatori e nella corsa delle quadrighe, i carri trainati da quattro cavalli, a cui gareggiano quattro squadre contraddistinte dai colori che portano i loro aurighi. La squadra bianca è di proprietà del potente senatore Leto ed ha come auriga Xenon, ma la più vittoriosa è la squadra azzurra, di proprietà del console Marso e della sua consorte, una ricchissima e potente e ambiziosa patrizia di nome Antonia Servilia, interpretata dall'attrice italiana Gabriella Pession che ha conservato negli anni la sua bellezza e affinato la sua bravura nella recitazione. La serie tv è infatti una produzione italo-statunitense-tedesca (viene da pensare che gli italiani abbiano curato l'esattezza storica, gli statunitensi la grandiosità delle scene e delle spese, i tedeschi il rigore organizzativo). Anche la nobile Caltonia e la giovane Salena detengono parte delle quote della scuderia azzurra, il cui auriga è Scorpo, che vince molto spesso, ma barando, tramite espedienti di basso livello, spesso suggeritigli dallo stesso Tenax, che è suo amico da molto tempo.
Le altre due squadre, la rossa e la verde, sono meno forti.
Tenax si sta arricchendo, ma vive ancora nella Suburra, il quartiere dei bassifondi di Roma, alle pendici del colle del Quirinale (allora molto meno importante di quello che divenne in seguito).
I ricchi e i nobili vivono nel lussuoso colle Esquilini e la famiglia imperiale sul colle Palatino, dove sorge la loro residenza, il Palatium.
Tenax ha in mente di fondare una propria squadra, la squadra oro, finanziata segretamente da Domiziano.
A fornire i cavalli più veloci, splendidi stalloni bianchi, provenienti dalla Betica, nella Hispania meridionale, sono tre fratelli allevatori, molto abili sia nell'aver cura dei cavalli, sia nel cavalcarli: Andria, Fonsoa ed Elia.
Qui conoscono il comes stabuli, il capo delle stalle, Gavros, ex auriga che ha abbandonato le corse perché troppo pericolose.
Un ruolo importante ce l'hanno anche la bellissima e forte Cala, una commerciante della Numidia, corrispondente all'attuale Algeria,  che è a Roma per liberare i suoi tre figli, venduti come schiavi: due ragazze di nome Aura (schiava di Tenax) e Jula (schiava di Antonia) e un giovane gladiatore di nome Kwame, che ha catturato un rarissimo esemplare di leone albino, che verrà portato a Roma per le lotte dei gladiatori. Il defunto padre dei tre fratelli era un cacciatore della Nubia (tra il Sudan e l'Etiopia attuali).
Cala si fa assumere da Tenax e ne gestisce la taverna e le scommesse con grande abilità, mentre lui ha a che fare con un suo nemico, Ursus, legionario che intende vendicarsi per un antico torto.
Nella prima puntata compaiono quasi tutti questi personaggi in maniera molto veloce e un po' caotica, ma una volta che abbiamo imparato a riconoscerli saremo conquistati dalle loro trame per ottenere i loro obiettivi, spesso tramite sotterfugi e a volte anche delitti.
Ma la vera protagonista è la Roma imperiale, che cerca di riprendersi dopo le guerre civili che hanno portato alla presa di potere da parte della dinastia dei Flavi. 
Le trame di tutti questi personaggi si intrecciano strettamente tra loro e con altri personaggi minori, oppure storici, tra cui Berenice di Cilicia, figlia di Erode Agrippa, deposto re dei Giudei, sconfitti militarmente da Tito, che ha distrutto il tempio di Gerusalemme e si è portato Berenice con sé come amante, non benvoluta però né da Vespasiano né dalla plebe romana, fortemente ostile ai sovrani stranieri. 
La trama è davvero molto avvincente, specie a partire dalla seconda puntata, dove tutti questi personaggi incominciano a interagire per diverse ragioni: alcuni cercano di salvare i loro amici, altri di sopravvivere alla loro schiavitù, ma la maggior parte cerca ciò che tutti vorrebbero: ricchezza, gloria e potere.
Il coinvolgimento dello spettatore, anche del più scettico e severo, è massimo: io ho visto la serie tutta in un giorno, tanto mi ha preso e posso dire che oltre ad essere avvincente, è anche convincente dal punto di vista della ricostruzione storica e della resa stilistica e registica.
Consiglio a tutti di guardarla, su Prime TV, per gli abbonati ad Amazon Prime, perché merita la nostra attenzione e forse è la prima serie della tv di Bezos ad avere raggiunto un ottimo apprezzamento sia dal pubblico che dalla critica.

mercoledì 7 agosto 2024

Tutti i limiti della seconda stagione di "House of the Dragons"

 



Questo commento non contiene spoiler, quindi può essere letto anche da chi deve ancora vedere la seconda stagione della serie di successo "House of the Dragon", incentrata sulla guerra civile tra i sostenitori di Aegon II Targaryen e quelli della sua sorellastra Rhaenyra. 
Pur essendo una serie tv di alta qualità, la seconda stagione non regge il confronto con la prima.
Il motivo potrebbe essere sintetizzato con una formula che poi chiarirò: "Troppo Shakespeare e poco Martin".
Già in "Game of Thrones" si è potuta notare una cosa evidente: finché la serie tv è stata fedele ai romanzi di George Martin, ha ottenuto eccellenti risultati, mentre quando se ne è discostata ha registrato molte critiche e cocenti delusioni.
I romanzi di Martin hanno la particolarità di raccontare eventi drammatici pur mantenendo uno spiccato senso dell'umorismo e una straordinaria capacità nel tratteggiare il carattere dei personaggi, senza preoccuparsi troppo di attribuire alle loro azioni un "nobile scopo".
In "Fuoco e Sangue", il romanzo che narra le vicende della dinastia Targaryen dalla conquista dei Sette Regni fino all'ascesa al trono di Aegon III, noi ritroviamo, seppur in uno stile diverso, la grande ironia di George Martin, il suo deliberato cinismo e la sua rappresentazione cruda di una realtà fatta anche di violenza e di sessualità senza veli.
Per quanto esistano nei suoi romanzi personaggi onesti o generosi o quantomeno rispettosi, Martin non si è mai sentito in dovere di nobilitare sempre le azioni dei protagonisti, pur mantenendo una eccellente capacità di introspezione nei loro confronti, e mostrare una loro evoluzione tramite il cambiamento dei punti di vista da cui la vicenda viene narrata.
Con questo non voglio dire che in Martin manchi un codice morale, anzi, è ben presente, ma non scade mai nel moralismo piagnone che tende a rendere i "cattivi" un po' meno cattivi.
Già in "Game of Thrones" alcune figure di spicco erano state molto ammorbidite: Cersei Lannister, la "cattiva" per eccellenza, è una figura molto più crudele nei libri che nella serie tv, dove Lena Headey è riuscita a dare una certa malinconica umanità al personaggio, pur mantenendone gli aspetti essenziali.
Purtroppo non si può dire la stessa cosa di Alicent Hightower, che in "House of the Dragon" perde quasi tutta l'astuzia e la pura sete di potere e vendetta del corrispondente personaggio in "Fuoco e Sangue", a detrimento della narrazione, a cui manca un "villain" femminile degno di questo nome.
Nella prima stagione Alicent è ancora abbastanza "nella parte" della "cattiva" disposta a tutto pur di prevalere contro la sua eterna rivale Rhaenyra, ex amica d'infanzia.
Nella seconda stagione Alicent si discosta completamente dal personaggio descritto in "Fuoco e Sangue": potrei sintetizzare il tutto, senza alcuno spoiler, dicendo che Alicent "si rammollisce", laddove invece nel romanzo, col passare del tempo, diventa più spregiudicata, vendicativa e senza alcun rimorso, potendo quindi reggere (pur senza vincerlo, perché è impossibile) il confronto con Cersei Lannister che resta un personaggio ineguagliabile, nella sua perfidia.
Aggiungo poi che l'attrice scelta per il personaggio di Alicent è troppo giovane per essere una credibile "regina madre": sembra più giovane di sua figlia Helena, non parliamo poi di Aemond.
Nel romanzo c'era poi un personaggio davvero divertente, sulla falsariga di un altro personaggio ineguagliabile, come Tyrion Lannister: in "Fuoco e Sangue" c'è Fungo, il simpaticissimo buffone di corte di Rhaenyra, a garantire quel tocco di comicità che scarseggia in "House of the Dragon", specialmente nella seconda stagione, dove l'ironia ha ben poco spazio.
Insomma, l'eliminazione di alcuni personaggi del romanzo e l'enorme distorsione del carattere di molti altri è uno dei limiti che si è sentito molto, in particolare nella seconda stagione, che eccede in seriosità e scivola troppo spesso negli scrupoli moralistici.
Questa seriosità, questa macerazione interiore quasi amletica e troppo shakespeariana ha un suo correlativo oggettivo nell'eccesso di scene notturne o di inquadrature buie: non so se questo è risultato problematico per altri, ma per quel che mi riguarda mi ha creato serie difficoltà: lo schermo era quasi del tutto nero ed era molto faticoso cercare di vedere cosa c'era in mezzo a quel buio.
Anche qui sembrava di vedere una versione moderna dell'Amleto o del Macbeth, quando invece ciò che si voleva vedere era una trasposizione efficace del romanzo di Martin. Insomma se uno vuole vedere Shakespeare va a vedere l'originale, ma se uno vuole vedere Martin, allora bisogna dargli Martin, che è garanzia di quel giusto dosaggio tra tragedia e commedia, tra epicità e farsa, tra momenti drammatici e momenti comici, tra introspezione e azione che in questa stagione è mancato.
Ecco, soffermiamoci sul tema dell'azione.
Premetto che non sono assolutamente un fanatico dei film d'azione, però nel genere fantasy un giusto dosaggio di azione, di battaglie, di epicità deve esserci.
Nella prima stagione di "House of the Dragon" non era necessaria l'azione perché ne faceva molto bene le veci il complotto e una violenza da congiura di palazzo, nella consapevolezza che la guerra sarebbe scoppiata alla morte di re Viserys I e sarebbe stata narrata nella seconda stagione.
E qui si entra nel maggiore tasto dolente.
Tutta l'azione è stata rimandata alla terza stagione.
Rispetto a "Fuoco e Sangue" la trama ha subito un dilazionamento immotivato, sostituito da dialoghi fin troppo filosofeggianti, da scene improbabili e non necessarie, e da un clima di perenne attesa che succeda qualcosa o che ci siano conseguenze pesanti per quel poco che succede, senza che poi i nodi vengano al pettine.
La grande battaglia del Gullet, che sarebbe dovuta essere la naturale conclusione della seconda stagione viene inspiegabilmente rimandata alla terza abusando di quello che in gergo viene chiamato "effetto cliffhanger", cioè l'essere sospesi sul precipizio.
Non avrei mai pensato di dover rilevare questo tipo di mancanze come difetto, perché, ripeto, non sono un fanatico dei film d'azione e di violenza, però qui veramente si è menato il can per l'aia per otto puntate che sono parse per lo più un unico enorme prequel della terza stagione.
Avendo io letto "Fuoco e Sangue", posso garantire che il materiale narrativo era enorme e quindi non c'era alcun bisogno di allungare il brodo.
Resto quindi nel dubbio sul perché si sia fatta questa scelta, oltre tutto appesantendo la trama con l'eccesso di scene notturne dove non vedendosi quasi nulla si è costretti a concentrarsi su dialoghi che, pur non essendo banali, non sono nello spirito del mondo creato da George Martin.
Eppure Martin appare tra gli sceneggiatori, ma senza metterci nulla del suo leggendario talento, della sua impareggiabile e cinica ironia.
Anche la figura della regina Rhaenyra, pur interpretata in maniera eccellente da Emma D'Arcy, è stata un po' troppo edulcorata, rispetto non solo al romanzo, ma anche alla prima stagione, dove il suo carattere ribelle e guerriero spiccava in maniera chiara, laddove nella seconda il personaggio è un po' sacrificato a causa della trama lenta, che la confina all Roccia del Drago, nelle scene più oscure (anche nel senso letterale del termine, cioè non si vede quasi niente). Acquista rilievo in alcune puntate, anche se non voglio rivelare nulla, se non che c'entrano molto i draghi, come è naturale che sia.
La seconda stagione risente molto della mancanza di alcuni personaggi che, o sono deceduti nella prima, o sono allontanati dalla narrazione per troppo tempo.
Il tutto finisce quindi per reggersi su alcune figure carismatiche tra le quali svetta da un lato Daemon Targaryen, zio e secondo marito di Rhaenyra, per quanto le sue visioni notturne presso Harrenhal pecchino di quell'eccessivo gusto shakespeariano che finisce per appesantire il tutto, allo stesso modo del buio. Dall'altro lato svetta Aemond Targaryen, che assomiglia molto a suo zio, e non a caso ne rappresenta il vero rivale, con la sindrome del fratello minore sveglio e battagliero messo da parte da un primogenito che non è adatto al Trono. Certo Aegon II, fratello maggiore di Aemond, è molto più di indegno di Viserys I, suo padre e fratello maggiore di Daemon.
Personaggio amatissimo è Rhaenys Targaryen, "la Regina che Non Fu", e non aggiungo altro per rimanere fedele alla promessa di non introdurre spoiler di alcun genere.
Altro personaggio molto ben rappresentato è Larys Strong detto Piededuro, per quanto sia molto più cupo del suo equivalente Varys in "Game of Thrones". 
Manca un equivalente di Ditocorto e questo è un guaio, ma imputabile a Martin.
Molto diversi dal romanzo (in peggio) sono i fratelli Alyn e Addam Waters, e non mi riferisco alla questione dell'aspetto fisico, per quanto decisamente poco valyriano, ma alla seriosità rancorosa di Alyn che sinceramente è logorante per lo spettatore, e si allontana in maniera non necessaria dal carattere più simpatico del fratello Addam.
Del tutto assente nel romanzo è una serie di scene inutili a cui deve suo malgrado prestarsi Tyland Lannister, Maestro della Flotta, che fino ad ora sembra l'unico Lannister completamente animato da buone intenzioni all'interno della sua stirpe.
E infine c'è una questione che ha fatto molto discutere i fan delle opere di Martin e anche quelli di "Game of Thrones" o anche solo chi ha letto "Fuoco e Sangue" e cioè l'introduzione forzata della profezia detta "il sogno di Aegon", utilizzata per dare un nobile scopo a Rhaenyra, una giustificazione morale ad Alicent, e infine una rivelazione illuminante a Daemon.
Ora, è vero che il tema della profezia è presente anche in "Game of Thrones" e in generale nelle "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", ma lì è supportata da figure carismatiche come Melisandre e introduce un evento che è ormai prossimo, ma non è qualcosa di vincolante, di totalmente predeterminato, tanto che sia il lettore che lo spettatore compiono l'errore di vedere il principe promesso in Jon, quando invece è Daenerys.
Qui invece, specialmente nella seconda stagione, la profezia assume un ruolo di predestinazione troppo vincolante, tale da far apparire futili le azioni dei personaggi. 
Per fare un confronto anche con altre serie di romanzi da cui sono stati tratti film e serie tv, anche in "Dune" c'è la profezia, la "prescienza" degli Atreides, ma sia a Paul che a suo figlio Leto II hanno la possibilità di scegliere tra i numerosi futuri che potrebbero derivare dalle loro azioni, quello che loro ritengono più giusto.
Tutte queste cose Martin le sa benissimo, tanto che fa dire a uno dei suoi personaggi più misteriosi, l'arcimaestro Marwin, che la profezia è come una prostituta che, dopo aver praticato una fellatio, evira con un morso il malcapitato cliente. Fuor di metafora: la profezia è sempre ambigua, proprio per lasciare un margine di libero arbitrio ai personaggi.
Queste osservazioni sui limiti della seconda stagione di "House of the Dragon" non vogliono però negarne i meriti: i paesaggi, le atmosfere, le lotte tra i draghi, le morti di alcuni personaggi importanti o la menomazione di altri, hanno tutti un loro rilievo e una resa drammatica notevole, come così come ci sono alcune introspezioni più raffinate di altre, e dunque il giudizio resta comunque nel complesso positivo
E' una stagione da guardare, da gustare, con alcune puntate molto riuscite e con altre che vanno viste come se fossero la costruzione minuziosa dell'impalcatura su cui si reggeranno le grandi battaglie di cui sarà sicuramente piena la terza stagione.