giovedì 12 aprile 2018

Le bandiere dell'Impero Britannico

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Pangermanesimo, Großdeutsches Reich, Lebensraum, Greater Germany




Großdeutschland (dal tedescoGrande Germania) è un termine usato nel XIX secolo – quando la Germania era divisa in decine di stati indipendenti – che si riferiva al concetto di creare un unico grande stato tedesco, raggruppando tutte le popolazioni di origine tedesca, in contrapposizione a Kleindeutschland, soluzione nella quale si escludevano i territori e le popolazioni dell'allora Impero austriaco.

L'idea politica

L'idea politica di una «Grande Germania» si ebbe per la prima volta nel XIX secolo, quando alcuni pensatori teorizzarono la creazione di un unico stato che raggruppasse la Germania e l'Austria sotto la guida degli Asburgo, con Vienna come capitale; in contrapposizione alla nascente Germania prussiana, ritenuta una "Piccola Germania" (Kleindeutschland).
Con la creazione dell'Impero tedesco del 1871, che non includeva l'Austria, l'ostentata soluzione di una Kleindeutschland si concretizzò. Uno dei principali ostacoli alla creazione di una "Grande Germania" risiedeva nella presenza di un'alta percentuale di popoli Slavi nell'Impero Austriaco (PolacchiCechiSlovacchiUcrainiSloveniCroati e Serbi) che non parlavano tedesco e che non desideravano rientrare in questo progetto geo-politico. In particolare i Cechi della Boemia-Moravia-Slesia, rifiutarono espressamente questa idea già nel 1848. Inoltre la politica espansiva della Prussia non avrebbe mai ammesso di rinunciare al ruolo centrale che si era ritagliata cedendo la sovranità agli Asburgo e la denominazione di capitale a Vienna.

L'idea nazista


La Germania nell'agosto del 1939(per semplicità, il territorio in rosso include anche il protettorato di Boemia e Moravia, formalmente non incorporato al resto del Reich)

Il Grossdeutsche Reich nel 1943

Il Grossdeutsche Reich nel 1944

Mappa dell'Europa con in confini del 1937 con i dettagli del Generalplan Ost (piano generale per l'oriente)[1]

Francobollo con la scritta Grossdeutsches Reich

Francobollo con la scritta Grossdeutsches Reich
Dopo la presa del potere del nazismo nel 1933 uno dei progetti dichiarati di Hitler era quello di riunire in un unico grande stato tutte le popolazioni di origine tedesca; da qui iniziò l'espansione militare e territoriale: dopo la riannessione della Saar con un plebiscito popolare (il sì per il ricongiungimento ottenne 445 000 voti, contro 48 000) e posto fine alla smilitarizzazione della Renania imposta alla Germania dai vincitori della Grande Guerra, le mire tedesche si diressero verso l'Austria. L'annessione (Anschluss) dell'Austria al Deutsches Reich (Reich tedesco) nel 1938 costituì a tutti gli effetti un'annessione territoriale di uno Stato sovrano, anche se formalmente fu il governo di Vienna, sulla base di una legge approvata dal parlamento, a chiederla. Essa venne successivamente sancita con un plebiscito popolare che rafforzò Hitler: il 99,7% degli aventi diritto espresse al 99,6% un voto favorevole al fatto compiuto.
Successivamente Hitler accentuò la pressione sul governo cecoslovacco servendosi delle rivendicazioni della popolazione tedesca dei Sudeti, che ormai aderiva largamente al nazionalsocialismo. La conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938), che vide anche la partecipazione di Mussolini, del primo ministro francese Daladier e del premier britannico Chamberlain, si chiuse con un accordo di facciata, che venne spacciato come soluzione "per una generazione" al problema di una incombente guerra europea e che per Hitler fu uno smacco. Tra il 1º e il 10 ottobre le truppe tedesche entrarono nel territorio dei Sudeti, strappando così alla repubblica cecoslovacca un territorio importante dal punto di vista economico e militare.
La richiesta di ottenere la restituzione di Danzica, che era stata assegnata alla Polonia in seguito al Trattato di Versailles, divenne poi la causa scatenante della Seconda guerra mondiale.
Invandendo la Polonia nel 1939, il Terzo Reich si annetté la Città Libera di Danzica, tutte le terre che l'Impero tedesco aveva ceduto alla ricostituita Polonia nel 19191922 secondo il Trattato di Versailles (ovvero il "Corridoio di Danzica", la Prussia Occidentale, la Posnania e parti dell'Alta Slesia) e il territorio di Zichenau (Ciechanów in polacco).
Questi territori si estendevano per 94 000 k e contavano una popolazione di circa 9 500 000 persone (82% polacchi, 11% tedeschi, 7% altri). Circa un milione di polacchi furono espulsi da quest'area, mentre 600 000 tedeschi dell'Europa orientale e 400 000 del Reich tedesco si insediarono nella regione.
Vennero poi annesse alla Germania l'Alsazia e Lorena, strappate alla Francia, i territori belgi di EupenMalmedy e Moresnet e il Lussemburgo, nonché alcune regioni della Slovenia settentrionale (parte della Carniola e Stiria Inferiore, abitate da una popolazione mista, austriaca e slovena).
Dopo l'attacco contro l'Unione Sovietica, nel giugno 1941, anche il distretto di Białystok venne annesso al Reich.
Con la creazione della RSI all'interno delle gerarchie del Reich nacque l'idea di annettersi come minimo l'Alto Adige, ma Goebbels propose di comprendere nella Grande Germania perfino tutto il Veneto, con la motivazione che per un certo periodo era stato sotto il controllo austriaco ed al suo interno contava minoranze germaniche. Nel settembre 1943 vennero costituite le Zone d'Operazione (ZO) Adriatisches Küstenland ("Litorale Adriatico", comprendente le province italiane di UdineGoriziaTriestePolaFiume e Lubiana) e Alpenvorland ("Prealpi", costituita dalle provincie di TrentoBolzano e Belluno); l'obiettivo era di controllare i valichi alpini e i collegamenti sud-orientali con il Reich. Accanto a interessi strategici erano forti gli interessi di gruppi di pressione, rispettivamente in Tirolo e in Carinzia, che puntavano a reinserire popolazioni etnicamente tedesche entro i confini del Reich; se ciò era vero per il Tirolo meridionale (provincia di Bolzano) e per alcune zone dell'odierna Slovenia, l'obiettivo etnico non valeva certo per la provincia di Belluno o per quella di Trieste. Ad ogni modo, le due ZO, destinate all'annessione al Reich, vennero sottoposte rispettivamente al Gauleiter tirolese Franz Hofer e al suo collega carinziano Friedrich Rainer.
In seguito all'annessione di vasti territori, nel 1943 il Reich tedesco venne rinominato Großdeutsches Reich (Grande Reich Tedesco).
Se gli eventi bellici l'avessero permesso, si sarebbe dovuto inoltre procedere all'annessione per «affinità razziali» degli interi Paesi Bassi e di una parte del Belgio (grossomodo tutto il Belgio settentrionale, dal confine con i Paesi Bassi fino allo sbocco sul mare, compresa la città di Bruxelles ma escluse le aree francofone di Liegi e Charleroi), forse previa «germanizzazione» (Eindeutschung) o «ri-germanizzazione» (Wiedereindeutschung). Tale proposito era motivato da argomentazioni di natura etnico-razziale che facevano perno sulle affinità dei tedeschi con le popolazioni fiamminghe e nederlandesi. Aleggiava inoltre una generica idea di ripristinare una sorta di «Reich grande-tedesco», che avrebbe collegato le affinità etniche con il retaggio storico dell'impero carolingio[2].
La politica d'occupazione tedesca nel Belgio e nei Paesi Bassi aveva una sostanziale moderazione nel trattare la popolazione e nel riconoscerle alcuni spazi di libertà[3]. Sullo sfondo di questa scelta vi erano varie motivazioni: da un lato preoccupazioni di natura internazionale (anche in considerazione delle ripercussioni negative che per la Germania aveva avuto il brutale trattamento dei belgi nella prima guerra mondiale), dall'altro la volontà di non premere eccessivamente sulla popolazione in modo da indurla a continuare a lavorare.
Sarebbe stata annessa alla Germania anche una vasta zona della Francia orientale. Il nuovo confine occidentale del Reich sarebbe dovuto partire dalla foce della Somme; correndo verso sud avrebbe lambito la regione parigina e la Champagne fino alle Argonne, comprendendo poi parte della Borgogna e l'intera Franca Contea.
Probabilmente sarebbero stati annessi al "Grande Reich Tedesco" anche i cantoni tedescofoni della Svizzera e tutti i Paesi della Scandinavia, vale a dire Norvegia e Danimarca, occupate durante la guerra, e anche la Svezia, neutrale ma con forti simpatie naziste al suo interno (basti pensare che negli anni '30 si era formato un partito nazista svedese con simboli uguali a quelli del nazismo tedesco).
Con il Generalplan Ost, i nazisti stavano programmando anche la possibile colonizzazione dell'intera Europa orientale, compresi gli attuali stati di Polonia, Lettonia, Lituania, Estonia, Bielorussia e Ucraina, tutta la Russia Europea, il Caucaso e parte del Kazakistan occidentale, fino ai Monti Urali.
Il nome di questo enorme impero esteso, ipoteticamente, dalle regioni polari della Norvegia a nord al Caucaso a sud, dagli Urali a est alla Francia settentrionale a ovest, sarebbe stato Großgermanisches Reich Deutscher Nation (Grande Reich Germanico della Nazione Tedesca).

Note

  1. ^ Grigio scuro: Germania (Deutsches Reich). Linea nera tratteggiata: limite della "seconda fase di colonizzazione" (Zweite Siedlungsphase). Grigio chiaro: Reichskommissariat, diviso in Ostland (Terra orientale), Ukraine(Ucraina), Moskowien (Moscovia, mai realizzata), e Kaukasien (Caucaso, mai realizzato).
  2. ^ Gustavo Corni, Il sogno del "grande spazio". Politiche d'occupazione nell'Europa nazista, Editori Laterza, Bari 2000, pagina 35
  3. ^ Gustavo Corni, Il sogno del "grande spazio". Politiche d'occupazione nell'Europa nazista, Editori Laterza, Bari 2000, pagina 36

Voci correlate

mercoledì 11 aprile 2018

Una domanda molto semplice: esistono ancora i pacifisti?

File:Syrian Civil War map.svg

Military situation in March 2018
     Syrian Arab Republic      Syrian opposition      Democratic Federation of Northern Syria
     Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL)
  Tahrir al-Sham (formerly al-Nusra Front)

Una domanda molto semplice: esistono ancora i pacifisti? Lo chiedo perché tutti gli ex-pacifisti invocano l'intervento delle potenze occidentali contro la Siria (e quindi contro la Russia) per motivazioni che nessuno ha verificato (non si sa se la bomba al cloro ci sia stata davvero e anche se ci fosse stata, non si sa chi gliel'avrebbe messa, dal momento che è assurdo pensare che Assad, nel momento della vittoria, dopo avere sconfitto l'Isis e gli jihadisti, si metta a usare armi chimiche su un piccolo villaggio come Douma)
E' ovvio che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia vogliono ridimensionare la vittoria della Russia in Siria, scaricando su Assad una colpa che, molto probabilmente, non solo non è sua, ma potrebbe essere delle stesse potenze occidentali, che hanno armato fino ai denti gli jihadisti che occupavano Douma e che, vedi caso, sono stati gli unici a non riportare conseguenze.
E allora torno alla domanda: esistono ancora i pacifisti?

lunedì 9 aprile 2018

Il Regno Lombardo Veneto

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Regno Lombardo-Veneto – Bandiera

Regno Lombardo-Veneto - Stemma

Il Regno Lombardo-Veneto fu uno Stato dipendente dall'Impero austriaco concepito dal cancelliere Klemens von Metternich all'inizio della Restaurazione seguita al crollo dell'impero napoleonico, la cui nascita venne sancita nel 1814 dal Congresso di Vienna. Il Lombardo-Veneto perse quasi tutta la Lombardia (eccetto Mantova e la riva sinistra del Mincio) nel 1859, quando questa venne annessa al Regno di Sardegna al termine della seconda guerra d'indipendenza italiana, ma il Regno cessò di esistere nel 1866 con l'annessione del Veneto, della provincia di Mantova e del Friuli al Regno d'Italia sancita dal Trattato di Vienna.

Il 7 aprile 1815 veniva annunciata la costituzione degli Stati austriaci in Italia in un nuovo Regno del Lombardo-Veneto. Esso veniva costituito in base al Trattato di Vienna aggregando i territori dei soppressi Ducato di MilanoDucato di MantovaDogado e Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia, oltre alla Valtellina già parte della Repubblica delle Tre Leghe, e all'Oltrepò ferrarese già pontificio, mentre lo Stato da Mar, già sottoposto alla Serenissima, ne fu invece escluso incorporandolo direttamente ai territori dell'Impero.
Il Regno fu affidato a Francesco I d'Asburgo-LorenaImperatore d'Austria e re del Lombardo-Veneto. Il re e imperatore avrebbe governato attraverso un Viceré, con residenza a Milano e a Venezia, nella persona dell'Arciduca Ranieri, nato in Toscana e fratello minore dell'imperatore.
Lombardia e Veneto, separate dal Mincio, ebbero ciascuna un proprio Consiglio di Governo, affidato ad un Governatore, e distinti organismi amministrativi detti Congregazioni Centrali, alle cui dipendenze stavano le amministrazioni locali, tra cui le Congregazioni Provinciali e le Congregazioni Municipali; le due regioni furono rispettivamente organizzate in 9 e 8 province o delegazioni[7].
Le competenze del Governatore, attraverso il Consiglio di Governo, erano assai ampie e riguardavano: censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle Congregazioni Provinciali. Oltre, naturalmente, al comando dell'esercito imperiale stanziato nel Regno, che, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto di garantire l'ordine pubblico.
L'amministrazione finanziaria e di polizia, infine, era sottratta al Consiglio di Governo ed attribuita direttamente al governo Imperiale a Vienna, che agiva attraverso un Magistrato camerale (Monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), un Ufficio della Contabilità, una Direzione generale della Polizia.
Considerata la eccezionale centralizzazione del potere nelle mani del Governatore, nominato da Vienna, e del governo imperiale, ben si comprende come il ruolo del Viceré fosse assai marginale, ridotto a mera rappresentanza. A tal fine egli manteneva splendidi palazzi, ove teneva corte.

Sovrani

Al trono del Lombardo-Veneto si sono succeduti i seguenti Sovrani:

Viceré

I vari sovrani hanno regnato attraverso i seguenti Viceré:[19]

Governatori o Luogotenenti

I Viceré hanno retto il Regno attraverso i seguenti governatori o luogotenenti:

Lombardia

23 marzo 1848 - 6 agosto 1848occupazione della Lombardia da parte dei Piemontesi in corrispondenza del plebiscito di annessione

Veneto

23 marzo 1848 - 24 agosto 1849: coesistono l'autorita della rinata Repubblica di Venezia e dell'amministrazione austriaca

Geografia antropica

Suddivisioni amministrative


Le province del Regno Lombardo-Veneto
L'unione fra le due regioni del regno era assai labile, e così l'amministrazione reale del territorio fu affidata a due distinti Consigli di Governo facenti capo ai due Governatori. Le classi agiate erano rappresentate nelle due Congregazioni Centrali, nominate dai Governi su proposta delle stesse, che erano composte da un nobile e un possidente per ogni provincia, un borghese per ogni città, e il governatore quale membro e presidente di diritto.
I due Governi della Lombardia e del Veneto erano suddivisi in diciassette Province. Ciascuna Provincia era retta da una Delegazione Provinciale, istituita per la prima volta il 1º febbraio 1816 e al cui capo era posto un Regio Delegato, che sostituiva il prefetto napoleonico. In ogni Provincia era inoltre presente una Congregazione Provinciale composta per metà da nobili e per metà da possidenti locali, nominati per sei anni dal Governo su proposta delle autorità locali. I deputati provinciali erano proposti al Governo dalla Congregazione Centrale la quale sceglieva sulla base di terne presentatele dalle Città e dalla stesse Congregazioni Provinciali uscenti. Le prime nomine nel 1815 furono fatte direttamente dall'imperatore, mentre in seguito per rinnovi parziali triennali. Le Congregazioni vennero sciolte durante il periodo di governo militare del regno fra il 1848 e il 1857. Le Congregazioni erano composte da quattro o sei o otto deputati provinciali, più un deputato per ogni città, più il Regio Delegato in qualità di componente e presidente di diritto.
Province Lombarde
Province Venete
Ogni Provincia era suddivisa in Distretti, di cui 127 in Lombardia e 91 nel Veneto. Ogni Distretto era suddiviso in Comuni, cellule di base dell'amministrazione pubblica. A seconda della loro popolazione, i Comuni potevano appartenere a tre classi differenti:
  • Comuni di I classe, con abitanti superiori alle 10.000 unità, capoluoghi controllati direttamente dalle Delegazioni Provinciali, avevano un Consiglio Comunale di non più di 60 membri;
  • Comuni di II classe, con una popolazione compresa tra i 3.000 ed i 10.000 abitanti, dotati di un Consiglio Comunale di almeno 30 membri, erano sottoposti ad un Cancelliere del Censo
  • Comuni di III classe, con una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, erano diretti dall'Assemblea dei proprietari che si riuniva una volta l'anno, alla presenza del Cancelliere del Censo, per nominare i funzionari e per approvare il bilancio e i tributi, mentre nella restante parte dell'anno venivano delegati tre proprietari per l'ordinaria amministrazione.

La questione della "capitale"


Il Palazzo Reale di Milano, residenza formale del Viceré austriaco nel Regno Lombardo-Veneto dal 1815 al 1859
All'interno di tutte le forme di amministrazione del governo Lombardo-Veneto, vennero formalmente mantenute le divisioni tradizionali tra Lombardia e Veneto, a loro volta unitamente dipendenti dall'Impero d'Austria.
È altresì vero, però, che l'Imperatore nominava un suo rappresentante amministrativo e legale nei suoi territori italiani, il quale prendeva il nome di Viceré. È bene premettere che molti dei Viceré del Regno, anche se formalmente accettanti l'incarico, non risiedettero mai entro i confini del Lombardo-Veneto, preferendogli di gran lunga la corte austriaca e l'amministrazione imperiale. Ad ogni modo i Viceré avevano la loro sede formale al Palazzo Reale di Milano, il quale accoglieva gli appartamenti del Viceré che erano utilizzati come residenza ufficiale anche dall'Imperatore quando questi si trovava in visita nel Regno. La residenza di campagna era rappresentata dalla Villa Reale di Monza.
La preferenza di Milano su Venezia per la scelta di una residenza, era dovuta a due fattori fondamentali: innanzitutto essa era una città strategicamente importante per tutta l'area dell'Italia settentrionale e soprattutto l'aristocrazia patriziale milanese era molto più incline a vedere un sovrano che direttamente risiedeva entro i propri confini che non i repubblicani veneziani. Peraltro questa tradizione di residenza milanese, seguiva le orme di quanto aveva fatto già Maria Teresa d'Austria ponendo la sede dell'antico Ducato di Milano a Milano. Tale territorio era stato tradizionalmente austriaco da molto più tempo rispetto a quello veneto, che invece era giunto entro i possessi della real casa d'Austria a partire dal crollo della Repubblica di Venezia nel 1797 e che era andato consolidandosi effettivamente solo a partire dal Congresso di Vienna.

Ordinamento giudiziario

Il Senato di Giustizia


Il palazzo del Senato di Milano
Il senato di giustizia del Regno Lombardo-Veneto dopo che lo stato venne costituito, venne aperto ufficialmente il 7 aprile 1815, con sede a Vienna, rimanendo nella capitale imperiale sino al 28 giugno 1816, ovvero sino a quando il comandante Bellegarde non poté assicurare l'indiscusso potere austriaco sull'area della Pianura Padana. Nelle sessioni di questa prima fase vennero trattati gli affari giudiziari relativi al Veneto ed alla Dalmazia.
A partire dal 30 giugno 1816 apprendiamo che l'Imperial Regio governo diede disposizioni perché a partire dal 1º agosto 1816 venisse attivato il Senato di Giustizia del Regno a favore dell'intero stato da poco costituito e come tale che riprendesse l'attività amministrativa e deliberativa direttamente sul territorio italiano. Esso aveva essenzialmente il compito di controllare che tutte le azioni di governo si svolgessero "secondo la legge stabilita". Tale organo era praticamente un grande tribunale, ovvero aveva il compito di avallare le condanne più gravi che poi dovevano essere sottoscritte dall'Imperatore, giudicando delitti come la lesa maestà, la sommossa generale, fino a irrogare il carcere a vita o addirittura la pena di morte nei casi più gravi.
In base alla sovrana risoluzione dell'11 aprile 1829, apprendiamo che il senato era retto da un presidente e da dieci consiglieri aulici, sei austriaci, quattro italiani (solitamente due lombardi e due veneti).
Il Senato sopravvisse difatti sino al 3 gennaio 1851 quando il Feldmaresciallo Radetzky, con parere favorevole dell'Imperatore, visti i recenti disordini che le rivoluzioni avevano portato soprattutto in Lombardia, ne decise la soppressione e i compiti amministrativi di sua precedente competenza vennero trasferiti al Ministero della Giustizia, quindi a Vienna, altro punto che gettò il Lombardo-Veneto nel malumore, sentendosi gli abitanti di queste regioni privati di un'importante pietra miliare: l'autonomia nella giustizia.

L'amministrazione della giustizia


L'arresto di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli a Venezia. Si notino nella scena i gendarmi con la caratteristica giubba verde.
L'amministrazione della giustizia nel regno Lombardo-Veneto era suddivisa in tre gradi: Pretura e Tribunale, Tribunale d'appello e Supremo Tribunale di Giustizia. Ciascun capoluogo provinciale era sede di un tribunale di primo grado, mentre nei due centri regionali di Milano e Venezia erano presenti due corti d'appello. Al vertice del sistema si trovava il Senato, la Corte di Cassazione del Regno, che era stabilita a Verona, presso il Palazzo dei Capitani, a capo del quale venne posto il conte d'Oettingen-Wallerstein.
Circa la giustizia lombardo-veneto sovente gli storici hanno ravvisato incongruenze ed inesattezze tra i vari emendamenti legislativi pubblicati dal 1815 al 1859, il che si ritiene fosse alla base di fraintendimenti, disordini e dei consequenziali inasprimenti delle pene, soprattutto dopo i due periodi rivoluzionari della prima guerra di indipendenza. A differenza di altri domini austriaci in Italia come il Granducato di Toscana, nel Regno Lombardo-Veneto la pena di morte non era stata abolita e continuava ad essere comminata per lesa maestà, ribellione ed altri gravi reati, anche se più della metà delle condanne a morte si trasformarono in ergastoli, esili o vennero amnistiate.
In parallelo, altrettanto diffuso, era l'esilio o il carcere duro che la giustizia lombarda e veneta prescrisse in quegli anni in special modo per i cospiratori rivoluzionari ed i carbonari i quali erano presenti in gran numero su tutto il territorio. Vittime illustri di questa giustizia furono Silvio PellicoPiero Maroncelli e Federico Confalonieri. Il carcere duro era rappresentato dalla Fortezza dello Spielberg presso Brno, in Repubblica Ceca, allora parte remota e sperduta dell'Impero austriaco.
Tutte le milizie armate non austriache, e perciò gestite da italiani soggetti all'amministrazione austriaca (come la guardia civica o polizia municipale), indossavano la caratteristica giubba verde, il che li fece soprannominare non senza un tocco di malizia "remolazz" ovvero "sedani", un termine che in lombardo è usato tradizionalmente per indicare un individuo sciocco, uomo da poco, inesperto, ignorante.

La magistratura contabile

Il Senato camerale di finanza, attivato il 9 aprile 1816, era la speciale magistratura cui era affidata la superiore autorità fiscale del Regno. Avente sede a Palazzo Marino, assomigliava ad una moderna Corte dei Conti. Presieduto dal governatore, l’organismo preparava il bilancio dello Stato, ma il suo potere era limitato dal Governo, dalla Camera Aulica di Vienna, e ovviamente dall’imperatore, che potevano bloccarne le deliberazioni. In seguito alla notificazione del 15 giugno 1830, il Senato fu sostituito da un unico Magistrato camerale.[34]

Esercito del Regno Lombardo-Veneto


Soldati d'esercito nel Regno Lombardo-Veneto (1859)
L'esercito del Regno Lombardo-Veneto constava di nove reggimenti che facevano parte del più vasto esercito imperiale. Essi erano: 



  • 23° (Lodi),
  • 38° (Brescia),
  • 43° (Bergamo),
  • 44° (Milano),
  • 55° (Monza),
  • 13° (Padova),
  • 16° (Treviso),
  • 26° (Udine),
  • 45° (Verona).

  • Inoltre il Lombardo-Veneto forniva il personale che costituiva: i battaglioni cacciatori da campo (Feldjäger-Bataillone) N° 6, 11, 18 (lombardi), 8 e 25 (veneti), i reggimenti ulani (unità di cavalleria armate di lancia) N° 9, 11 (lombardi), 6 e 7 (veneti) ed il reggimento dragoni N° 8. tra questi reggimenti venne creato durante l'incoronazione di Ferdinando I d'Austria a Milano il corpo della Guardia del Corpo nobile Lombardo-Veneta[35][36]
    Contingenti lombardi e veneti erano altresì destinati a servire in tutte le altre unità combattenti e di servizio dell'armata imperiale: artiglieria da campagna (reggimenti N° 3, 6, 9 e 10), lanciarazzi (racchettieri) e artiglieria costiera, genio (battaglioni N° 1, 2, 6, 9, 10, 11) e pionieri (battaglioni N° 2, 6). Sudditi del Regno formavano gli equipaggi della flottiglia dei laghi italiani e del Danubio, oltre naturalmente che della marina da guerra: alle province di Treviso e di Venezia (distretti di leva del reggimento di linea N° 16) spettava infatti alimentare il Corpo Marinai, mentre alle province di Padova e di Rovigo per intero e Vicenza in parte (distretti di leva del reggimento N° 13) e a quelle di Udine e di Belluno (reggimento N° 26) spettava inviare i contingenti annui alla fanteria ed all'artiglieria di Marina. Nel territorio del Regno era reclutata anche la gendarmeria locale (Gendarmerie).
    (Ripartizione territoriale della monarchia ai fini del completamento dell'Armata dell'8 dicembre 1856)
    Una modifica alla ripartizione territoriale del 1856 venne introdotta tre anni dopo. Già con la chiamata di leva dell'anno di guerra 1859 (seconda guerra di Risorgimento italiano), le reclute prima assegnate ai reggimenti ulani N° 7 (veneto) e 9 (lombardo), che divennero ambedue galiziani, furono avviate ai reggimenti dragoni N° 1 e 3.
    (Ordinanza circolare del 17 gennaio 1859)
    Il battaglione era la pedina fondamentale per dosare le forze in funzione del compito da assolvere; in guerra contava 1336 uomini suddivisi in 6 compagnie; la compagnia contava 221 uomini (4 ufficiali, 2 sergenti maggiori "Feldwebel", 4 sergenti "Zugsführer", 8 caporali, 12 sotto-caporali "Gefreite" e 191 soldati semplici inclusi tamburini, trombettieri, zappatori, conducenti e attendenti).
    Sul piede di guerra il reggimento era formato da 4 battaglioni operativi (uno di granatieri su 4 compagnie e tre di campagna su 6 compagnie), più il 4º battaglione di campagna, destinato di norma di presidio nelle guarnigioni, e quello di deposito su 4 compagnie, per un totale di 6886 uomini delle 32 compagnie, compreso lo stato maggiore di reggimento, di cui faceva parte la banda musicale che sempre seguiva il reggimento in campagna. Il carreggio, affidato ad un apposito sottufficiale denominato "Wagenmeister", era composto da 32 carri e 76 cavalli, inclusi la fucina da campo ed il carro ambulanza.
    (Organisationsstatut für die k.k. Armee, 26 gennaio 1857)

    Religione


    L'arcivescovo Karl Kajetan von Gaisruck, eletto alla cattedra milanese su pressione dell'Imperatore Francesco I
    La religione era forse l'argomento che più di ogni altro univa il Regno Lombardo-Veneto al suo interno e con l'Impero Austriaco, in quanto entrambe le nazioni avevano alla loro base una profonda fede cristiana e come tale il cattolicesimo era stato dichiarato religione di Stato.
    A Venezia, permaneva un copioso nucleo ebraico con sede nel ghetto di Cannaregio. A Milano il cattolicesimo, ad ogni modo, aveva pesantemente risentito delle riforme apportate da Giuseppe II alla fine del Settecento, il quale aveva soppresso molti conventi e monasteri nel tentativo di incamerare i beni della chiesa nelle casse statali dell'allora Ducato di Milano. La nuova politica austriaca consistette quindi in una parziale e formale riconciliazione con la chiesa milanese, alla quale vennero concessi nuovi onori e privilegi da poter esercitare come ad esempio la presidenza spirituale dell'ordine cavalleresco lombardo-veneto della Corona Ferrea. Non mancarono ad ogni modo le pesanti pressioni d'influenza anche nell'ambito ecclesiastico appena dopo la costituzione del Regno: a Milano, ad esempio, nel 1818 venne eletto arcivescovo l'austriaco Karl Kajetan von Gaisruck che rimase in carica sino al 1846, governando la diocesi per una buona parte della vita del neonato regno lombardo-veneto.
    Nelle terre del Regno Lombardo-Veneto la Chiesa cattolica contava sulle seguenti diocesi:
    Lombardia
    Province venete

    Lingue del Regno

    Idioma ufficiale del Regno Lombardo-Veneto era l'italiano, lingua nella quale veniva impartita l'istruzione elementare, che era gratuita per tutti i bambini del Regno.
    La popolazione parlava abitualmente utilizzando le lingue locali: lombardovenetofriulano e ladino. Presenti anche minoranze germanofone (cimbrisappadioti) nelle province di VicenzaBelluno, inoltre una minoranza parlava sloveno in provincia di Udine nella Slavia veneta.

    Monetazione 

    Numismatica lombardo-veneta

    Proseguendo nella strada già tracciata sotto il dominio francese, dal 1822 il Lombardo-Veneto conobbe una radicale trasformazione anche in cambio monetario.
    Il sistema di conto scelto fu quello milanese, restaurato dopo la parentesi napoleonica e preferito in quanto già armonizzato ai modelli tedeschi, mentre non fu restaurato l'antico retaggio di epoca medievale della complessa monetazione della Repubblica di Venezia. La coniazione austro-milanese consisteva in una monetazione nei classici tre metalli (oro, argento, rame), la quale andò a differenziarsi e perfezionarsi sotto i diversi sovrani che regnarono. All'epoca della sua fondazione nel Regno Lombardo-Veneto circolavano ancora le valute francesi, in quanto i pesanti debiti contratti in guerra non permettevano un'immediata coniazione. Fu solo dal 1822 che vennero proposte le nuove monete:
    • Sovrana
    • 1/2 Sovrana
    • Scudo Nuovo da 6 lire
    • 1/2 Scudo Nuovo (o fiorino)
    • 1 lira austriaca
    • 1/2 lira austriaca
    • 1/4 di lira austriaca
    • 5 centesimi (o soldo, in quanto un ventesimo di lira)
    • 3 centesimi
    • 1 centesimo

    1 soldo, 1862

    5/10 di soldo, 1862
    Fu Francesco Giuseppe ad apportare le prime variazioni nel sistema monetario Lombardo-Veneto: egli infatti eliminò il 1/4 di lira austriaca, sostituendolo con una moneta in rame da 15 centesimi, aggiungendone anche una da 10 centesimi. Successivamente alla Seconda guerra d'indipendenza, nel Veneto entrò in vigore come moneta spicciola il soldo e i 5/10.
    Il governo austriaco, inoltre, abolì definitivamente tutta una serie di zecche minori che già si trovavano poco attive sul finire del Settecento e sotto l'amministrazione di Maria Teresa e Giuseppe II, mantenendo attive unicamente le zecche di Milano e Venezia.
    Parallelamente a questa circolazione di monete, erano usate come monete di libero scambio anche quelle dell'Impero Austriaco (austriaca ed ungherese), che seguivano una tipologia di monetazione differente: il calibro in questi casi era costituito dal peso effettivo del metallo della moneta.
    Qui di seguito vengono riportate le tre differenti monetazioni circolanti liberamente all'interno del Regno Lombardo-Veneto con i cambi dell'epoca:
    Equivalenze in moneta locale - Monetazione lombardo-veneta
    MonetaLire austriache
    Sovrana40
    Scudo da 6 lire6
    Lira1
    Centesimo0,01
    Equivalenze in moneta locale - Monetazione austriaca
    MonetaLire austriache
    Ducato14
    Tallero6
    Svanzica1
    Kreutzer0,05
    Equivalenze in moneta locale - Monetazione ungherese
    MonetaLire austriache
    Corona40
    Fiorino2,857
    Soldo0,0285


    Note

    1. ^ le varianti della lingua lombarda, della lingua veneta e della lingua friulana, pur non essendo lingue ufficiali, erano le lingue di fatto parlate[senza fonte]
    2. ^ Che includeva il Friuli.
    3. ^ Aggianciata al fiorino austriaco al valore di un terzo.
    4. ^ nella quale poneva il proprio esercito (45.000 uomini in armi, vittoriosi alla recente grande battaglia del Mincio) agli ordini del Bellegarde e, il 27 partiva per Monaco di Baviera.
    5. ^ Carlo Cattaneo, dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, Memorie, Lugano, Tipografia della Svizzera Italiana, febbraio 1849.
    6. ^ "Storia d'Italia continuata da quella del Botta dall'anno 1814 al 1834: parte prima 1814-22"
    7. ^ pag. 618 in M.Malte-Brun, Universal Geography, VII, Edinburgh, Adam Black, 1829.
    8. ^ a b Pubblicato da M. Max. Fried. Thielen, Vienna 1827, citato in M.Malte-Brun, pp. 755
    9. ^ Francesco AreseLa Lombardia e la politica dell'Austria, Archivio storico lombardo, LXXVIII
    10. ^ Esemplare, a questo proposito, è la carriera del magistrato trentino Antonio Mazzetti.
    11. ^ Karl Schonhals, Memorie della Guerra d'Italia degli anni 1848-1849, su books.google.it.
    12. ^ Gilberto Oneto, Gli italiani rimasti fedeli agli Asburgo (PDF), La Stampa.
    13. ^ Filippo Battaglia, Papà Radetzky (PDF), Le Lettere.
    14. ^ Casa editrice Le Lettere (PDF), su http://www.lelettere.it/Data/Files/prodotti/CORRIEREMILANO%20RADEZ%2024_06_12.PDFURL consultato il 22 giugno 2015 (archiviato dall'url originale il 22 giugno 2015).
    15. ^ G. Previdi, Abbiamo fatto il nostro dovere (PDF), su identitanazionale.it.
    16. ^ Adriano BalbiQuadro statistico dei vari stati d'Italia, in Annali universali di statistica, Vol. 31Milano, Società degli Editori degli Annali Universali delle Scienze e dell'Industria, 1832, p. 313. ISBN non esistente Si osserva che su alcune di tali cifre l'Annale in alcuni così imprecisione di valori
    17. ^ Almanacco Imperiale Regio per la Lombardia, Milano, 1837
    18. ^ Austria III. Titles of European hereditary rulers, su eurulers.altervista.orgURL consultato il 25 gennaio 2015.
    19. ^ Si badi bene che solo gli arciduchi, come parenti dell’imperatore, potevano essere ufficialmente viceré. Le altre figure furono nomine belliche a titolo provvisorio.
    20. ^ Nomina a titolo provvisorio, cessa con la proclamazione del Regno al Congresso di Vienna.
    21. ^ Nomina a titolo provvisorio una volta proclamato il Regno ma non ancora deciso il Viceré.
    22. ^ Nomina a titolo provvisorio per ristabilire l’ordine dopo la Prima guerra d'indipendenza.
    23. ^ Nomina a titolo provvisorio allo scoppio della Seconda guerra d'indipendenza; successivamente rimosso per incompetenza dopo la sconfitta nella battaglia di Magentacon conseguente perdita di Milano.
    24. ^ Nomina a titolo provvisorio, cessata dopo la sconfitta finale austriaca con l’armistizio di Villafranca.
    25. ^ Comprendente la Valcamonicabresciana dal 1861.
    26. ^ Comprendente il circondario di Varese, incluso in una provincia separata nel 1927, e la grandissima parte dell'attuale Provincia di Lecco istituita nel 1992.
    27. ^ Non comprendeva il Cremasco.
    28. ^ Divisa nel 1859 (Decreto Rattazzi) fra le province di Cremona e Milano.
    29. ^ Comprendente il territorio dell'Altomilanese, ceduto in gran parte alla nuova provincia di Varese nel 1927.
    30. ^ Comprendente il circondario di Abbiategrassomilanese dal 1861, ma escludente la Lomellina e l'Oltrepò, all'epoca parte del Regno di Sardegna.
    31. ^ Escluso l'Ampezzo, fino al 1919 parte del Tirolo.
    32. ^ Comprendente le attuali province di Udine e Pordenone (istituita nel 1968), ed escludente la Val Canale, all'epoca facente parte della Carinzia e il cantone di Cervignano facente parte della Contea di Gorizia.
    33. ^ Comprendente il delta sinistro del Porodigino dal 1866.
    34. ^ [1]
    35. ^ La reale Guardia del Corpo nobile Lombardo-Veneta
    36. ^ Statuto per la Real Guardia nobile del corpo Lombardo-Veneta
    37. ^ Manso e iugero erano due unità di misura piuttosto antiquate già all'epoca del Regno Lombardo-Veneto in quanto rappresentavano un retaggio dell'epoca medioevale. Esse erano utilizzate esclusivamente sulla carta, anche se per il conto spicciolo la pertica rimaneva l'unità di misura fondamentale
    38. ^ Bisogna ammettere che la misura della pertica, così come di tutte le altre misure presenti di seguito, variavano di molto da area ad area. Sappiamo infatti che convenzionalmente ed ufficialmente era accettata la cosiddetta "pertica milanese" corrispondente a poco più di 654 metri quadrati, ma difatti, in aree distanti dal capoluogo, le misure potevano variare di svariati metri quadrati in eccesso o in difetto, il che portava molta confusione anche nelle opere catastali.
    39. ^ vedi qui[collegamento interrotto]

    Bibliografia

    • Alberto Costantini; Soldati dell'Imperatore. I lombardo-veneti dell'Esercito Austriaco (1814-1866). Collegno, Chiaramonte, 2004.
    • Franco Fucci; Radetzky a Milano. Milano, Mursia, 1997.ISBN 978-88-425-2257-7
    • AA.VV. Ragguaglio delle antiche misure del Regno Lombardo Veneto col sistema metrico decimale. Reggio Emilia, Antiche Porte ed. 2010.

    Voci correlate