mercoledì 8 febbraio 2017

Kalevala: il poema epico finlandese che ispirò il Silmarillion di Tolkien

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Il Kalevala è un poema epico composto da Elias Lönnrot nella metà dell'Ottocento, sulla base di poemi e canti popolari della Finlandia (soprattutto in careliano, un dialetto strettamente correlato al finlandese).
"Kalevala" significa letteralmente "Terra di Kaleva", ossia la FinlandiaKaleva è infatti il nome del mitico progenitore e patriarca della stirpe finnica, ricordato sia in questo testo che nella saga estone del Kalevipoeg. Il Kalevala è dunque l'epopea nazionale finlandese.
Lönnrot assemblò (come già fece Geoffrey di Monmouth con il ciclo arturiano) e ricostruì la memoria storica delle genti finniche attraverso la massa dei canti prodotti dalla loro poesia tradizionale, riunendone in una sola opera la cosmogonia iniziale e il ciclo eroico/mitologico.
Famosi alcuni cantori quali un certo Arhippa Perttunen (come venne chiamato dallo stesso Lönnrot nella prefazione dell'edizione del 1835), che si dice conoscesse a memoria più di mille canti. Il poema è tuttora cantato e conosciuto a memoria da alcuni anziani bardi dell'area dei laghi, in cui il Kalevala è nato e si è diffuso nei secoli. Nelle buie sere invernali, i convenuti si accomodavano su una panca ed ascoltavano le gesta dei vari eroi, creatori del mondo e della cultura di quel popolo. Il racconto, in metrica, veniva cantato dallo scaldo aiutato dal ritmo battuto su un tamburo col bordo di betulla e la pelle di renna. L'effetto era ipnotico ed atto a riprodurre uno stato di trance. Seppur in maniera non dichiarata, l'incontro portava in sé valenze sciamaniche e contenuti esoterici.
La versione del 1849 è composta da 50 canti, o runi (runot), i cui versi sono in metro runico (motivo per cui i cantori sono chiamati runoja). La precedente versione del 1835, di 32 canti, era incompleta. Entrambe le versioni sono corredate da una prefazione che riassume i metodi ed il contesto seguito dall'autore per la composizione del poema, oltre che la citazione di precedenti opere di raccolta del materiale sulla poesia tradizionale, come quella in cinque parti del medico Zachris Topelius tra il 1822 ed il 1831.

Traduzioni italiane

Quattro le traduzioni del Kalevala: la prima in endecasillabi di Igino Cocchi (1909), la seconda, in ottonari (il metro del testo finnico), di Paolo Emilio Pavolini (1910). La terza, in prosa, nel 1912 di Francesco di Silvestri-Falconieri. Dal novembre 2007 è disponibile la traduzione integrale di Pavolini in una nuova edizione italiana curata da Cecilia Barella e Roberto Arduini per la casa editrice Il Cerchio di Rimini. Nel 2010 è stata pubblicata la prima traduzione filologica in versi liberi a cura di Marcello Ganassini di Camerati per le edizioni Mediterranee.
Parti della prima versione del Kalevala sono state tradotte dall'attrice e drammaturga Ulla Alasjärvi e presentate in uno spettacolo che del Kalevala vuole riproporre spirito ed atmosfera.

Il poema


Akseli Gallen-KallelaLa difesa del Sampo1896.

I personaggi

I personaggi principali sono Väinämöinen, eroe saggio e scaldo divino nato dalla Vergine dell'aria Ilmatar, il fabbro Ilmarinen, che rappresenta l'eterna ingegnosità, e il guerriero seduttore Lemminkäinen, simbolicamente il lato guerresco e sensuale dell'uomo. In breve, il Kalevala racconta della lotta dei tre protagonisti contro Louhi, signora del paese di Pohjola (la Terra del Nord, rivale di Kalevala, la Terra del Sud), per il possesso del Sampo, magico mulino forgiato da Ilmarinen, portatore di benessere e prosperità.





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La vicenda


Analisi critica

Domenico Comparetti[1] ha definito il Kalevala come il solo esempio di poema nazionale veramente risultante da canti minori, non ritrovati in esso per principi presupposti o per analisi critica induttiva, ma noti come realmente esistenti indipendentemente dal poema.
Lo strato più antico del materiale presente nel poema presenta una connotazione mitologica prima ancora che eroica, come osservò nel 1845 Jakob Grimm. Nel corso poi degli anni, gli studi hanno individuato vari nuclei che componevano il poema. Nella postfazione al Kalevala italiano del 2007Cecilia Barella individua:
  • runi 1-10: primo ciclo di Väinämöinen
  • runi 11-15: primo ciclo di Lemminkäinen
  • runi 16-18: secondo ciclo di Väinämöinen
  • runi 19-25: nozze di Ilmarinen
  • runi 26-30: secondo ciclo di Lemminkäinen
  • runi 31-36: ciclo di Kullervo
  • runi 37-38: secondo ciclo di Ilmarinen
  • runi 39-44: furto del Sampo, detto anche terzo ciclo di Väinämöinen
  • runi 45-49: vendetta di Louhi
  • runo 50: ciclo di Marjatta

Opere ispirate al Kalevala


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Adattamenti cinematografici e televisivi

  • Nel 1959 viene distribuito il film di co-produzione finnico-sovietica Sampo (titolo inglese: The Day the Earth Froze), ispirato alla vicenda inerente al Sampo, tratta appunto dal Kalevala. Il regista è il russo Aleksandr Ptushko (l'autore di SadkoIl fiore di pietraIl conquistatore dei mongoliIl castello incantato, ecc.) e gli sceneggiatori Väinö Kaukonen, Viktor Vitkovich e Grigori Yagdfeld.
  • Nel 1982, la Yleisradio (YLE) produce una mini-serie tv, Rauta-aika (L'età del ferro) diretta da Kalle Holmberg. La serie è ambientata "durante i tempi del Kalevala" e basata sugli eventi che accadono nella saga. La parte 3/4 del programma vince il Prix Italia nel 1983.
  • Infine il curioso film d'arti marziali Jadesoturi (2006, titolo inglese: Jade Warrior) diretto da Antti-Jussi Annila, è anch'esso liberamente basato sul Kalevala, e ambientato in Finlandia e in Cina.

Note

  1. ^ Prefazione a Domenico Comparetti, Il Kalevala, o La poesia tradizionale dei finni: studio storico critico sulle origini delle grandi epopee nazionali.
  2. ^ Appendice 3 "Tolkien e il Kalevala", in Kalevala, traduzione in versi di Paolo E. Pavolini, a cura di Cecilia Barella e Roberto Arduini, il Cerchio, 2007.

Bibliografia

  • Il Kalevala, poema finnico. Traduzione di Igino Cocchi, introduzione di Domenico Ciàmpoli. Firenze: Società Tipografica Editrice Cooperativa, 1909. Milano: Amiedi 2008.
  • Kalevala: poema nazionale finnico, traduzione in versi di Paolo Emilio Pavolini, a cura di Cecilia Barella e Roberto Arduini. Firenze: Remo Sandron 1910. Rimini: Il Cerchio, 2007 ISBN 88-8474-148-3
  • Domenico Comparetti, Il Kalevala, o La poesia tradizionale dei finni: studio storico critico sulle origini delle grandi epopee nazionali. Roma: 1891. Milano: Guerini, 1989. ISBN 88-7802-072-9.
  • Kalevala epopea nazionale finlandese Traduzione di Francesco di Silvestri-Falconieri. Lanciano R.Carraba, Editore 1912
  • Elena Primicerio (riduzione per ragazzi). Il Kalevala - Finlandia terra d'eroi. Bemporad, Firenze 1941. Giunti-Marzocco, Firenze 1961, 1971. Giunti, Firenze 2007.
  • Ursula Synge (riduzione per ragazzi): Racconti finlandesi. Brescia: La Scuola 1980, 1987.
  • Kalévala: Miti incantesimi eroi, a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini. Milano: Mondadori 1988, 1991.
  • Dario Giansanti, Il Kalevala, poema della natura e della parola creatrice, (articolo monografico sulla genesi, la religione e la mitologia del Kalevala). In "Minas Tirith" n. 22. Società Tolkieniana, Udine 2008.
  • Kalevala, il grande poema epico finlandese, traduzione e note di Marcello Ganassini. Roma: Edizioni Mediterranee 2010. ISBN 88-272-2058-5

martedì 7 febbraio 2017

E' morto Tzvetan Todorov, il filosofo che definì la categoria estetica del Fantastico

Tzvetan Todorov-Strasbourg 2011 (3).jpg

Cvetan (o Tzvetan) Todorov (in bulgaroЦветан Тодоров?Sofia1º marzo 1939 – Parigi7 febbraio 2017) è stato un filosofo e saggista bulgaro naturalizzato francese

Dopo il diploma, nel 1963, si è trasferito a Parigi, dove ha studiato filosofia del linguaggio con Roland Barthes. Nel 1967-1968 ha insegnato alla Yale University ed è diventato ricercatore presso il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS) di Parigi. Dal 1983 al 1987 ha diretto il Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio (CRAL) di Parigi.
Dopo i primi lavori di critica letteraria sulla poetica dei formalisti russi, si è occupato di filosofia del linguaggio, disciplina che Todorov concepisce come parte della semiotica. Dagli anni ottanta ha svolto ricerche di tipo filosofico-antropologico come La conquista dell'America (1984) e Noi e gli altri (1989).
Si è poi occupato del ruolo del singolo e della sua responsabilità nella storia. I suoi interessi storici si sono concentrati su temi cruciali come la conquista dell'America e i campi di concentramento nazisti e stalinisti.
Ha pubblicato Le morali della storia (1991), Di fronte all'estremo (1992), una riflessione intensa sulle vittime dei lager e dei gulag, e Una tragedia vissuta (1995).
Le altre sue opere comprendono una ricerca sulle ragioni della socialità dell'uomo, La vita comune (1995), Le jardin imparfait (1998), un saggio sui totalitarismiMemoria del male, tentazione del bene (2000) e Il nuovo disordine mondiale (2003).
È stato visiting professor di numerose università, tra cui HarvardYaleColumbia e la University of California, Berkeley.
I suoi riconoscimenti comprendono la Medaglia di Bronzo del CNRS, il premio Charles Lévêque dell'Accademia Francese di Scienze Morali e Politiche, il primo premio Maugean dell'Académie Française e il Premio Nonino; è anche ufficiale dell'Ordine delle arti e delle lettere.
Nel 2007 è stato vincitore del premio "Dialogo tra i continenti" assegnato dal Premio Grinzane Cavour. Nel 2010 è stato ospite al Salone del Libro di Torino, ricevendo il Premio "Giuseppe Bonura" per la critica militante.

Opere principali


La letteratura fantastica è un saggio di Cvetan Todorov del 1970.

Il saggio è suddiviso in dieci capitoli così riassumibili:

Cap. 1. I generi letterari

Nell'individuazione dei generi letterari, si opera per induzione (come nel metodo scientifico). Deve essere salvaguardata l'applicabilità della teoria e la sua coerenza logica. Vengono criticate alcune classificazioni dei generi letterari operate da Frye: esse sono arbitrarie e non rispondono ad una teoria definita. L'attuale studio non mira ad una classificazione universale, vera ed assoluta ma solo a definire verità e osservazioni approssimative.

Cap. 2. Definizione del fantastico

The Winged Horse
Il fantastico è l'esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente sovrannaturale. L'esitazione della funzione lettore è la prima condizione del fantastico; la seconda condizione (facoltativa ma molto spesso presente) è che anche un personaggio può provare la stessa esitazione del lettore; la terza condizione impone che la lettura del testo non debba risultare poetica o allegorica.
Osservazioni: la tematica principale del fantastico non è il soprannaturale: non si può infatti concepire come una categoria che raggruppi tutto i testi a tematica soprannaturale (per quello ci sarà il meraviglioso). Il fantastico non si limita a tematizzare la paura.
L'ambiguità fantastica inoltre può essere di due tipi: esitazione sulla percezione (degli eventi da parte dei personaggi) ed esitazione sul linguaggio (dei personaggi riguardo agli eventi). Nel primo caso si esita sul nome da dare agli eventi (realtà o visione folle) nel secondo caso si esita sul nome da dare alle visioni (follia o superiorità).

Cap. 3. Lo strano ed il meraviglioso

Il fantastico dura soltanto il tempo di un'esitazione. Questa esitazione può durare per tutto il testo (in pochissimi casi) oppure può risolversi con una spiegazione razionale (andando nello strano) o con una spiegazione soprannaturale (andando nel meraviglioso). Quindi, più che essere un genere a sé, il fantastico è una barriera tra lo strano ed il meraviglioso.
Possiamo quindi fare una distinzione di generi più precisa:
  • lo strano puro;
  • il fantastico strano;
  • il fantastico meraviglioso;
  • il meraviglioso puro.
Nelle opere dello strano puro, si narrano avvenimenti che si possono spiegare mediante le leggi della ragione, ma che in un modo o nell'altro sono incredibili, straordinari, insoliti e che, per questo motivo, ci conferiscono una sensazione simile al fantastico (questo genere è però delimitato solo dalla parte del fantastico, dall'altra parte sfocia nella letteratura generale).
Nel fantastico strano, certi avvenimenti che nel corso della storia sembrano soprannaturali ricevono alla fine una spiegazione razionale. Il fantastico meraviglioso raccoglie i racconti che si presentano come fantastici e che terminano con un'accettazione del soprannaturale.
Il meraviglioso puro, alla stregua dello strano puro, non ha limitazioni ben definite: qui gli elementi soprannaturali non provocano nessuna reazione particolare né nei personaggi né nel lettore, ciò che caratterizza il meraviglioso è la natura soprannaturale stessa degli avvenimenti.
Per ben delimitare il meraviglioso puro, conviene eliminare diversi tipi di racconto nei quali al soprannaturale è possibile trovare ancora una certa giustificazione:
  1. meraviglioso iperbolico (modi di dire);
  2. meraviglioso esotico (eventi soprannaturali ma credibilissimi per i lettori del tempo);
  3. meraviglioso strumentale (strumenti allora impossibili ma risultati possibili nella storia);
  4. meraviglioso scientifico (la fantascienza).

Cap. 4. La poesia e l'allegoria

Il fantastico inoltre non deve essere confuso con la poesia e l'allegoria: la poesia (opposto di finzione) in quanto non rappresentativa e l'allegoria (opposto di senso letterale) in quanto rappresentante di un altro significato.
La finzione, che non può che essere presa in senso letterale, può essere fantastica. Inoltre individuiamo tre livelli di interazione tra allegoria e soprannaturale:
  • 1º livello - allegoria evidente, che viola la prima condizione di esistenza del fantastico (manca esitazione del lettore tra soprannaturale e non);
  • 2º livello - allegoria indiretta, che viola la terza condizione di esistenza del fantastico (manca lettura rigorosamente non allegorica);
  • 3º livello - allegoria esitante, che è in dubbio se violi la terza condizione di esistenza del fantastico (non si sa se farne lettura allegorica o meno).

Cap. 5. Il discorso fantastico

Finzione e senso letterale sono condizioni necessarie all'esistenza del fantastico.
Tratti dell'opera attinenti al suo aspetto verbale e sintattico ⇒ 3 proprietà strutturali del fantastico: la prima attiene all'enunciato, la seconda all'enunciazione, la terza all'aspetto sintattico.
  • A. Le figure retoriche sono legate al fantastico in 3 modi:
    • Prolungamento di una figura retorica che porta al soprannaturale (prolungamento iperbolico);
    • Realizzazione in senso proprio di un'espressione figurata;
    • Espressioni figurate che, sincronicamente, descrivono un fatto (“La statua sembra essere viva”).
  • B. La focalizzazione interna è quasi necessaria al fantastico, se il narratore è anche un personaggio l'effetto fantastico rende di più.
  • C. La composizione del racconto (aspetto sintattico) si basa sull'irreversibilità del tempo il quale implica una lettura lineare (dall'inizio alla fine) per non snaturare l'effetto sintattico.

Cap. 6. I temi del Fantastico: introduzione

Arpia
Affrontiamo ora l'aspetto semantico.
Gli avvenimenti strani sono condizione semantica necessaria al fantastico. Quali sono le funzioni degli avvenimenti “strani”? Suscitare un effetto particolare sul lettore, mantenere la suspense, descrivono l'universo fantastico che è della loro stessa natura. Ci soffermeremo sulla terza funzione.
I temi del fantastico sono contigui a quelli della letteratura, il che ci pone una domanda più generale: come parlare di ciò di cui parla la letteratura? Ci sono da temere due problemi: ridurre il tutto a contenuti o ridurre il tutto a forme.
Innanzi tutto, bisogna distinguere le interpretazioni critiche (solo contenuto) dallo studio dei temi (ci terremo lontani dall‘interpretazione come per l'analisi formale). Per l'analisi formale possedevamo una teoria globale, adesso, per l'analisi tematica, dovremo formulare una teoria tematica. La teoria tematica “sensualista” in pratica riduce le categorie tematiche ad ogni manifestazione sensibile ⇒ in questo modo non si forma una teoria che possa essere (per lo più) universalmente applicabile ai testi, bensì una serie infinita di termini concreti che variano sempre di testo in testo. Questo procedimento può essere usato per la critica ad un testo (passaggio di tema in tema). Il primo passo del nostro metodo consisterà in una divisione tra temi compresenti e temi incompatibili.

Cap. 7. I temi dell'Io

Partiamo dal gruppo dei temi che possono essere compresenti. Nella raccolta Le mille e una notte, elementi soprannaturali ⇒ due gruppi:
  • metamorfosi; esistenza di esseri soprannaturali che simboleggiano un sogno di potenza sugli eventi e (ancora meglio) la causalità di un evento ⇒ la causalità, quindi il pandeterminismo. Comune ad entrambi è la rottura del limite tra materia e spirito, quindi il principio generatore di questi gruppi di temi è «la possibilità di passaggio fisico tra spirito e materia».
Tale principio genera il pandeterminismo e la metamorfosi; ma anche la moltiplicazione della personalità, la soppressione della frontiera tra soggetto ed oggetto, la trasformazione del tempo e dello spazio. Questi sono i temi dell'Io.
Possiamo ancora caratterizzare questi temi dicendo che riguardano essenzialmente la strutturazione del rapporto tra l'uomo ed il mondo: siamo nel sistema percezione-coscienza. Il termine di percezione è importante e le opere legate a questa rete tematica ne fanno risaltare continuamente la tematica ed in modo particolare quella del senso della vista. Si potrebbe perciò designare tutti questi temi come «temi dello sguardo».

Cap. 8. I temi del Tu

I temi del Tu (la seconda rete tematica) sono quelli relativi alla sessualità. Questi temi sono incompatibili con quelli dell'Io. Come si sviluppano i temi di questa nuova rete tematica: il desiderio sessuale può diventare quanto di più essenziale nella vita, esso può prendere forme soprannaturali (il diavolo), esso può trasformarsi in incesto, in omosessualità, in amore orgiastico, in sadismo ⇒ violenza ⇒ morte ⇒ necrofilia.
Siamo partiti dal desiderio sessuale ed abbiamo visto come le sue tematiche nel fantastico si sviluppino come “perversioni” della sessualità. Il soprannaturale interviene (per aiutarli) quando l'amore, il sesso e la sessualità non sono condannati. Potremmo chiamare questa nuova rete di temi «Relazione dell'Uomo con il suo desiderio» e di conseguenza con il suo inconscio; l'uomo non è più soltanto osservatore ma entra in relazione dinamica con gli altri.

Cap. 9. I temi del fantastico: conclusione

Tre accostamenti: i temi dell'Io e l'universo dell'infanzia; i temi dell'io e la droga; i temi dell'io e la psicosi. L'infanzia, la droga, la schizofrenia e la psicosi hanno in comune un paradigma proprio anche dei temi dell'Io. Un altro accostamento che rivela analogie è quello tra i temi del tu e la nevrosi. Sul piano della teoria psicoanalitica la rete dei temi dell'Io corrisponde al sistema percezione-coscienza mentre la rete tematica del Tu corrisponde al sistema delle pulsioni inconsce. In pratica, i temi dell'Io (i temi dello sguardo) si fondano su una rottura della frontiera tra psichico e fisico, mentre i temi del Tu (i temi del discorso) si formano a partire dalla relazione che si stabilisce, nel discorso, tra due interlocutori. Infine, questa spartizione tematica divide in due tutta la letteratura.

Cap. 10. Letteratura e fantastico

Drago
Ci possiamo adesso porre la domanda: perché il fantastico? Questa domanda tiene conto delle funzioni del genere. Le funzioni sono due, una sociale ed una letteraria. La funzione sociale è quella di consentire un valicamento di certi confini inaccessibili. Ad esempio, i temi del Tu sono tutti trasgressivi di una legge morale.
La funzione del soprannaturale è quella di sottrarre il testo all'intervento della legge e quindi di consentire di trasgredirla. Il fantastico aveva quindi una funzione sociale prima dell'avvento della psicoanalisi. Fantastico e psicoanalisi parlano infatti delle stesse cose.
Per quanto riguarda la funzione letteraria, dobbiamo dividerla in tre parti: una funzione pragmatica (effetto a livello emozionale), una funzione semantica (il soprannaturale manifesta sé stesso) e una funzione sintattica (entra nello svolgimento del racconto).
Prendiamo l'ultima funzione: la struttura sintattica è simile in ogni racconto. C'è prima un equilibrio stabile, poi qualcosa che lo turba e alla fine c'è un nuovo equilibrio; il soprannaturale interviene negli episodi che cambiano l'equilibrio. Il soprannaturale è il mezzo più efficace per avere questo scatto narrativo.
Funzione sociale e funzione letteraria si identificano nella trasgressione di una legge. La funzione del fantastico stesso è quella di suscitare una reazione, di comunicare oltre il normale modo di comunicare. La letteratura, per comunicare oltre il normale ed il reale, doveva introdurre l'irreale nel reale ⇒ per sottolineare questo superamento.
La letteratura fantastica lascia due nozioni: quella della realtà e quella della letteratura. La letteratura del XX secolo ha perso questa funzione. Ne è un esempio La metamorfosi di Kafka: il lettore, messo di fronte ad un fatto soprannaturale, non è esaltato dalla sua straordinarietà ma deve finire con il riconoscerne la naturalità. L'uomo normale è appunto l'essere fantastico; il fantastico diventa la regola non l'eccezione. Ciò che nel fantastico era l'eccezione qui diventa una regola.

Edizioni

Ediz. originale
  • Cvetan Todorov, Introduction a la littérature fantastique, 1ª ed., Parigi, Éditions du Seuil, 1970, SBN IT\ICCU\CAG\0441552.
Ediz. italiane
  • Cvetan Todorov, La letteratura fantastica, "Argomenti", nº 29, Milano, Garzanti, 1977, SBN IT\ICCU\RAV\0018524.
  • Cvetan Todorov, La letteratura fantastica, tradotto da Elina Klersy Imberciadori, 5ª ed., Milano, Garzanti, 1995 [1981; 1985]ISBN 88-11-47285-7.
  • Cvetan Todorov, La letteratura fantastica, in Gli Elefanti, Milano, Feltrinelli, 2000, ISBN 88-11-66978-2.
  • Cvetan Todorov, La letteratura fantastica, tradotto da Elina Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti, 2007, ISBN 978-88-11-66978-4.

La dea Ilmatar e la mitologia finlandese



Ilmatar ("Figlia del vento"), detta anche Luonnotar ("Figlia della natura") è un personaggio mitico del poema Kalevala.
Si tratta di un personaggio centrale nella cosmogonia finnica: vergine che aveva preso vita dal movimento dell'aria, abitava sola sotto la volta del cielo, per lungo tempo condusse quella vita finché annoiata non iniziò a discendere fino a giungere a pelo di un mare infinito. Venne fecondata dal vento e dal mare, così che divenne gravida.
(FI)
« Ikävystyi aikojansa, ouostui elämätänsä,
aina yksin ollessansa,
impenä eläessänsä
ilman pitkillä pihoilla,
avaroilla autioilla.
Jop' on astuiksen alemma,
laskeusi lainehille,
meren selvälle selälle, ulapalle aukealle. »
(IT)
« De' suoi giorni sentì noia, sazietà della sua vita,
di star sempre sola sola
e di viver verginella
nei recinti ampi dell'aria
nella volta solitaria.
E dal ciel discese in basso,
si calò fin sopra l'onde,
sopra il mar dal chiaro dorso,
sull'aperta superficie... »
(Kalevala, canto I, versi 117-126, tratto da Bifröst.it)
La gravidanza fu lunghissima, durò settecento anni e fu non poco dolorosa, così dopo aver nuotato fino ai confini del mondo, Ilmatar iniziò a lamentarsi delle doglie, invocando anche il dio supremo Ukko. Dal cielo comparve un uccello in cerca di un luogo dove fare il nido, quando Ilmatar lo vide, alzò il ginocchio sopra il pelo dell'acqua ed il volatile vi si posò, facendo il nido e deponendo sei uova d'oro e una di ferro. Dopo tre giorni di cova, Ilmatar iniziò a sentire un caldo fortissimo che iniziò ad estendersi dal ginocchio a tutto il corpo, scosse l'arto e fece cadere il nido e le uova in acqua, queste si ruppero: la parte superiore divenne il firmamento, la parte inferiore la terra ferma, il tuorlo il sole, l'albume la luna, dando così inizio all'universo.
Dopo ulteriori nove anni di nuoto, Ilmatar alla decima estate iniziò una nuova opera di creazione con i promontori ed i fondali marini, ivi comprese le rocce e la vegetazione. Nel ventre della madre era ancora il figlio non nato di nome Väinämöinen, che nel frattempo era invecchiato per la lunghissima gestazione e si agitava per uscire, dopo inutili implorazioni si dette da fare e finalmente venne al mondo tuffandosi nel mare infinito
Nel successivo dispiegarsi del Kalevala, Ilmatar ricompare al momento in cui il figlio le chiede di mandare in suo soccorso un eroe che potesse abbattere la quercia gigantesca che copriva ed oscurava tutto il mondo.

Il mito cosmogonico e Ilmatar

Elias Lönnrot, quando compose il Kalevala, decise di scegliere tra le varie possibili versioni del mito cosmogonico, quelle che davano maggiori possibilità di presentare un'epica unitaria e coerente. In questa maniera all'interno del Kalevala sono presenti elementi antichi ad altri molto più recenti, a proposito del mito di Ilmatar, vi sono due elementi portanti:
  • La discesa della Dea primordiale che trovando solo acqua, crea la terra emersa.
  • L'arrivo dell'uccello che non trovando ove deporre il nido, crea la terraferma.
Il mito di Ilmatar comprende come elementi centrali "Aria" e "Acqua" che erano considerati centrali per la vita già dai filosofi presocratici. Inoltre la situazione precedente ad Ilmatar non compare come prologo al mito, ma è dallo stesso personaggio che prende il via la narrazione, così come nella Teogonia di Esiodo.

lunedì 6 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 18. Le nozze di Ettore e Diana.

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Ettore Ricci e Diana Orsini si sposarono nel mese di giugno del 1936 e quella fu l'ultima grande festa della Contea di Casemurate prima della guerra, e l'ultima occasione nella quale gli aristocratici, i borghesi e il popolo sedettero tutti alla stessa tavola.
Era stata un'idea dello stesso Ettore Ricci, che voleva realizzare una sorta di unione corporativa della comunità, sul modello del corporativismo fascista di cui si discuteva in quegli anni.
La famiglia Ricci aveva aderito al fascismo fin dai primi tempi, anche perché il vecchio Giorgio Ricci conosceva personalmente Mussolini, romagnolo e forlivese, prima di ogni altra cosa.
Ettore era il meno politicizzato tra i membri della famiglia Ricci e questo perché non voleva creare divisioni, tenendo anche conto che la famiglia di sua moglie, i Conti Orsini Balducci di Casemurate, erano liberali conservatori di vecchio stampo, alla Benedetto Croce, e dunque piuttosto scettici di fronte al fascismo.
La cerimonia si tenne presso la parrocchia di Pievequinta, poiché la chiesa di Casemurate era troppo piccola per contenere l'enorme numero degli invitati.
Gli aristocratici erano venuti con il desiderio segreto di assistere ad una ridicolizzazione dei raffinati Orsini da parte dei villani Ricci.
I popolani volevano essere testimoni di un evento che sarebbe stato ricordato molto a lungo nei decenni seguenti e che vedeva il trionfo di uno di loro, che per la prima volta entrava a far parte di una famiglia nobile.
Questa volta non ci furono figuracce. Ad occuparsi del "dirozzamento" dello sposo era stata la Signorina De Toschi in persona, l'unica donna che incuteva terrore anche su Ettore Ricci,
Partecipò persino il Generale De Toschi, padre della Signorina Mariuccia, insieme ad un drappello di attendenti e ufficiali in alta uniforme, che sfoderano la spada all'uscita degli sposi dalla pieve.
Diana mantenne un contegno impeccabile, come una principessa, e per alcuni, addirittura, come una dea.
Ma quali erano i suoi reali sentimenti?
Moltissimi anni dopo, in tarda età, confidandosi con i nipoti, Diana Orsini disse che per lei quel matrimonio era stato un sacrificio per salvare la sua famiglia dalla rovina e il Feudo Orsini dalla disgregazione, che avrebbe reso la Contea di Casemurate una facile preda per gli usurai.
Diana, dunque, si sentiva, in un certo senso, la vittima sacrificale di quella cerimonia, e andava incontro al suo destino con il coraggio e la dignità di chi sacrifica se stesso per il bene di altri.
Gli Orsini si salvavano dal disonore del fallimento, ma i veri vincitori erano i Ricci, che di fatto assumevano il controllo del Feudo e della Villa.
Tra i vincitori bisognava annoverare tutti i sostenitori di quel matrimonio, e per primi Michele Braghiri, amministratore del Feudo, e sua moglie Ida, la governante della Villa.
I coniugi Braghiri divennero ricchi e potenti nel giro di pochissimo tempo e seppero rendersi indispensabili sia agli occhi di Ettore Ricci, sia a quelli di Diana Orsini.
Ettore si sentiva alla pari di un re, e come tutti i re desiderava fortemente un erede maschio.
Diana però gli diede solo figlie femmine: Margherita nel 1937, Silvia nel 1940 e Anna nel 1944.

Vite quasi parallele. Capitolo 17. L'infanzia rimossa di Francesco Monterovere

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Quando Sigmund Freud formulò la teoria della rimozione come meccanismo di difesa dell'Io da ricordi troppo sgradevoli, non poteva immaginare fino a che punto questo fenomeno potesse estendersi.
Non poteva perché non conosceva Francesco Monterovere, il quale nacque nell'anno stesso in cui Freud morì, e cioè il 1939.
Francesco era il primogenito di Romano Monterovere, ex "eroe" della Guerra d'Africa e socio della premiata Azienda Escavatrice e Idraulica Fratelli Monterovere, e di sua moglie Giulia Lanni, figlia dell'ingegner Francesco Lanni, anch'egli socio della ditta nonché Profeta delle Acque.
Molti anni dopo, interrogato sulla sua infanzia fino ai 10 anni circa, Francesco Monterovere dovette confessare di non ricordarsi quasi nulla, e questo non perché soffrisse di qualche deficit mentale (tutt'altro, egli era di gran lunga il più intelligente membro della famiglia), o di tardiva demenza senile (i vecchi di solito ricordano benissimo il passato e tendono a dimenticare cos'hanno mangiato per pranzo), bensì piuttosto perché aveva operato una vera e propria rimozione freudiana di quegli anni.
Riguardo ai primi sei la cosa è facilmente spiegabile, tenendo conto che furono gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Circa gli anni successivi, tra i sei e i dieci, la rarità dei suoi ricordi risulterebbe alquanto anomala se non si tenesse conto di alcuni fatti che, in termini di conseguenze materiali, provocarono traumi ulteriori, destinati a sommarsi a quelli della guerra appena terminata.
Degli anni della guerra non aveva ricordi diretti, e si limitava a riportare ciò che i suoi genitori gli avevano raccontato.
Erano stati anni catastrofici per tutti, ma in modo particolare per la famiglia Monterovere.
Romano, pur essendo caporalmaggiore, non venne richiamato in guerra, poiché riconosciuto invalido civile a causa di un incidente sul lavoro, che gli aveva danneggiato una gamba e lo aveva costretto a un periodo di immobilità.
Dei suoi fratelli, furono scelti per il Fronte i due più giovani e cioè Edoardo e Tommaso, destinati il primo alla Libia e il secondo alla Francia (pochi sanno che esistette, per un brevissimo periodo, nel 1940, un fronte francese).
Edoardo non giunse mai in Libia: la nave in cui viaggiava, poco al largo della Sicilia, fu silurata da un bombardamento aereo inglese e non ci furono superstiti, né corpi recuperati, né tombe su cui piangere.
Tommaso giunse in Francia giusto in tempo per l'armistizio e fu collocato nella caserma di Mentone.
Quando gli arrivò la chiamata per il fronte russo, intuendo che se fosse partito non sarebbe mai tornato indietro, disertò e si diede alla macchia nelle terre della Repubblica di Vichy, dove visse per molti anni come clandestino, ritornando poi in patria a guerra finita, senza un soldo, ma carico di avventure.
Ferdinando e Romano rimasero soli a mandare avanti l'Azienda, che incontrava le prime difficoltà, poiché in tempo di guerra le cave di ghiaia e i canali di scolo erano l'ultima preoccupazione.
Ma il tracollo avvenne quando, nel 1943, l'Italia si spaccò in due: la Repubblica Sociale fascista a nord e il Regno d'Italia a Sud.
I bombardamenti anglo-americani si intensificarono.
Gran parte dei cantieri dell'Azienda andarono completamente distrutti.
Durante un bombardamento a tappeto particolarmente efferato, Romano Monterovere si vide scoppiare una bomba a breve distanza, riportando gravi danni all'udito.
Lui, la moglie e il piccolo Francesco riuscirono a mettersi in salvo in un rifugio nei pressi del casolare di campagna dove il vecchio nonno Enrico e sua moglie Eleonora si erano ritirati.
Rimasero nelle campagne per molto tempo e se per caso un bombardamento li coglieva durante il lavoro nei campi dei nonni, Francesco veniva subito messo in una stia per polli per evitare, come era accaduto altre volte, che si mettesse a correre in mezzo all'aia, sgusciando tra le mani degli adulti, come un'anguilla impazzita.
Quella famosa stia fu solo la prima di una serie di "prigioni" meno piccole, ma più coercitive, che segnarono la sua infanzia e la sua adolescenza.
La morte di Edoardo e la fuga di Tommaso avevano privato la famiglia e l'Azienda di due braccia utili, mentre la nascita dei fratelli di Francesco, e cioè Enrichetta nel 1942 e Lorenzo nel 1945, portarono due bocche in più da sfamare.
Anche Ferdinando era sposato con figli.
A tutti costoro si aggiunse la sorella Anita, che era stata maestra a Fiume per vent'anni e che era scampata per un pelo alle foibe.
La situazione economica della famiglia Monterovere nell'autunno 1945 era talmente disastrosa che, in gran segreto, Romano si mise a rovistare nei cassonetti.
Una sera di novembre, zoppicando e con le orecchie che gli fischiavano, Romano arrivò a casa con un prosciutto che per metà era andato a male ed era pieno di vermi.
Ma per la sua famiglia fu come se fosse tornato da una delle leggendarie cacce del bisnonno Ferdinando, nei boschi dell'Appennino modenese, carico di fagiani, lepri e talvolta cinghiali.
Quel famigerato prosciutto andato a male, ripulito dal marcio e dai vermi, costituì uno dei pasti più cospicui della famiglia nel '45 e divenne il simbolo del punto più basso della loro parabola esistenziale.
Quando, molti anni dopo, l'Azienda si riprese e la famiglia tornò al benessere, nessuno di loro, nemmeno Francesco, dimenticò mai quel prosciutto pieno di vermi, e il volto trionfante di Romano, che l'aveva trovato rovistando nei cassonetti.