venerdì 28 ottobre 2016

Schema riassuntivo della Fenomenologia dello Spirito di Hegel

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La Fenomenologia dello spirito (in tedesco Phänomenologie des Geistes) è un'opera filosofica di Hegel, pubblicata per la prima volta nel 1807 dove si descrive il percorso che ogni individuo deve compiere, partendo dalla sua coscienza, per identificare le manifestazioni (la "scienza di ciò che appare", la "fenomenologia") attraverso le quali lo spirito si innalza dalle forme più semplici di conoscenza a quelle più generali fino al vero sapere assoluto.


Le partizioni della filosofia hegeliana: Idea, Natura, Spirito

Il farsi dinamico dell'Assoluto, ovvero il divenire, il continuo cambiamento della realtà, avviene attraverso tre momenti dialettici fondamentali:
  • idea in sé (tesi), che può essere identificata con il Dio prima della creazione dell'entità finita (il mondo), o, per meglio dire, quando il mondo è solo un programma ed è presente soltanto l'ossatura razionale del finito;
  • idea fuori di sé (antitesi), è la Natura, cioè l'estrinsecazione o l'alienazione dell'Idea nelle realtà spazio-temporali del mondo;
  • idea in sé e per sé (sintesi), che ritorna in sé, cioè lo Spirito, ovvero l'idea che ritorna al suo stadio iniziale, gonfia di concretezza, dopo il passaggio attraverso la Natura.
Queste tre fasi non devono essere intese in senso cronologico, ma solo in senso ideale: infatti lo Spirito è eterno sia come l'idea, sia come il suo opposto, la Natura.
A questi tre momenti, corrispondono tre diverse branche della filosofia hegeliana:
  • La logica, suddivisa a sua volta in dottrina dell'esseredottrina dell'essenza e dottrina del concetto;
  • La filosofia della natura, ripartita in meccanicafisica e organica;
  • La filosofia dello spirito, che studia lo spirito soggettivooggettivo e assoluto.

La filosofia dello spirito viene sviluppata da Hegel secondo un criterio fenomenologico, studiandone cioè la manifestazione storica nel suo divenire.
La manifestazione dell'Assoluto, la sua discesa nel mondo è rappresentata nella Fenomenologia, che secondo il primo progetto dell'autore doveva essere un'introduzione alla Logica: la coscienza umana, partendo dallo stadio della conoscenza empirica, si evolve gradualmente al sapere scientifico.
Con l'ampliarsi della materia trattata, il testo si trasformò in un'esposizione dell'intero sistema: da qui le confusioni e le oscurità che caratterizzano l'opera.
La Fenomenologia è un'indagine, non solo della coscienza teoretica, ma anche della coscienza moralesocialepolitica e religiosa.
 La fenomenologia è la storia romanzata dello Spirito (Geist) che si ripercorre a partire dalla forme più semplici della coscienza individuale; potremmo dire che la Fenomenologia sia il ricongiungersi dell'universale con sé stesso, attraversando il concreto: in pratica è come se nella dottrina hegeliana esistessero due piani separati che s'intersecano e sovrappongono quando l'Assoluto s'incarna nello Spirito soggettivo.
  • La prima via all'in su è quella della coscienza individuale verso il possesso dell'Assoluto ed è questa la strada indicata nella Fenomenologia.

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1) La Coscienza

Il momento da cui inizia la consapevolezza di sé (coscienza) è rappresentato dall'incontro dell'individuo con l'oggetto. È attraverso il confronto sensibile con gli oggetti che ci rendiamo conto della nostra esistenza. L'incontro con l'oggetto si sviluppa attraverso tre fasi:
  • certezza sensibile: si è certi che esiste l'oggetto rivelato dai sensi, in un dato luogo e in un certo momento. Cambiando infatti il momento percettivo, dell'oggetto permangono invariati il questo (ovvero l'oggetto stesso), il qui(il luogo in cui esso si trova) e l'ora (il momento in cui i sensi lo rivelano). Nasce però la difficoltà di capire come riportare la certezza sensibile di tale oggetto a tutti gli altri oggetti che si presentano nella loro diversità sensibile.
  • percezione sensibile: in questa fase la mia attenzione si volge a fare in modo che le diverse proprietà degli oggetti possono essere riportate ad un unico punto di riferimento che mi permetta di avere una visione unitaria della realtà. La soluzione sembra essere quella di riportare tutta la varietà delle qualità sensibili a un punto fisso di riferimento: il sostrato, la sostanza presente in tutte le cose allo stesso modo. Ma la ricerca travagliata della sostanza ha dimostrato che l'uomo non riesce a coglierla.
  • intelletto: visto che non siamo in grado di conoscere questo sostrato sul quale ineriscono le qualità dobbiamo pensare che l'unità non stia nell'oggetto, ma nel soggetto che unifica le sensazioni tramite l'intelletto. La consistenza fenomenica della realtà viene superata non ricercandola nella sostanza ma riportandola alla funzione dell'intelletto. (Ogni fatto, secondo l'idealismo, rimanda all'atto che lo pone.)
A questo punto la coscienza ha interiorizzato l'oggetto in sé stessa ed è diventata coscienza di sé, ovvero autocoscienza che non ha più bisogno di riferirsi agli oggetti per avere coscienza di sé, ha capito che la certezza della propria esistenza è data dalla sua attività intellettuale.

2) L'Autocoscienza

L'autocoscienza non ha più in Hegel il significato di essere coscienti di sé, che aveva avuto sinora, ma acquista un valore sociale e politico. L'autocoscienza si raggiunge infatti solo se riusciamo a confrontare la nostra particolare esistenza con quella degli altri. Il riconoscimento delle altre autocoscienze non avviene, come si potrebbe pensare e come in effetti Hegel aveva inizialmente sostenuto nella fase giovanile (vedi: Pensiero di Hegel), attraverso l'amore, bensì attraverso la lotta, lo scontro per cui, addirittura, alcuni individui arrivano a sfidare la morte per potersi affermare su quelli che hanno paura e finiscono per subordinarsi ai primi. È questo il rapporto fenomenologico di "servo-padrone" che si esplica nella dialettica della figura signoria-servitù.[4]

Il rapporto "signoria e servitù"

Il signore, nel rischiare la propria vita pur di affermare la propria indipendenza, ha raggiunto il suo scopo, e si eleva su quello che è divenuto il suo servo (poiché ha preferito la perdita della propria indipendenza pur di avere salva la vita). Anche il servo però diventa importante per il signore poiché dal lavoro di quello dipende il suo stesso mantenimento in vita. Il servo, lavorando, dà al padrone ciò di cui ha bisogno. Il padrone non riesce più a fare a meno del servo. Dunque la subordinazione si rovescia. Il padrone diviene servo poiché è strettamente legato al lavoro del servo, e il servo diviene padrone (con la sua attività produttiva) del padrone.[5]
Da notare che non vanno perduti i ruoli originari, ma se ne aggiunge ad entrambi uno nuovo, l'opposto. Il passato di servo e padrone non viene eliminato del tutto ma in ognuno è in parte tolto e nello stesso tempo conservato il ruolo originario. È il classico rapporto di Aufheben (o Aufhebung)[6] («togliere e conservare»)[7] che si stabilisce tra i vari momenti dello sviluppo dialettico che nella dialettica del servo sono
Inoltre, il lavoro forma, poiché il servo, in ciò che produce, mette tutto se stesso e non solo la sua forza materiale, mentre il padrone si limita ad utilizzare gli oggetti prodotti.[8] Poiché le cose non sono di sua proprietà, il servo riesce a dominare i propri desideri: dunque, attraverso il lavoro, l'autocoscienza acquisisce anche la dignità.
« Il lavoro, invece, è appetito tenuto a freno, è un dileguare trattenuto; ovvero: il lavoro forma. Il rapporto negativo verso l'oggetto diventa forma dell'oggetto stesso, diventa qualcosa che permane; e ciò perché proprio a chi lavora l'oggetto ha indipendenza. Tale medio negativo o l'operare formativo costituiscono in pari tempo la singolarità o il puro essere-per-sé della coscienza che ora, nel lavoro, esce fuori di sé nell’elemento del permanere: così, quindi, la coscienza che lavora giunge all’intuizione dell’essere indipendente come di se stessa. […]. Così, proprio nel lavoro, dove sembrava ch'essa fosse un senso estraneo, la coscienza, mediante questo ritrovamento di se stessa attraverso se stessa, diviene senso proprio.[9] »

Stoicismo e scetticismo

Il raggiungimento dell'indipendenza, ultimo dei tre momenti della dialettica servo-padrone, coincide con lo stoicismo, ossia quella visione del saggio che ritiene di poter fare a meno delle cose e quindi si sente al di sopra della natura raggiungendo così l'autosufficienza. Tuttavia, in questo modo lo stoico s'illude di eliminare la realtà che continua invece a sussistere e ad influenzare la sua vita.
Chi invece riesce ad ignorare totalmente la realtà è lo scettico. Tuttavia lo scetticismo si contraddice, poiché da un lato lo scettico dubita della realtà e dichiara che tutto è vano e incerto, mentre dall'altro vorrebbe poter sostenere qualcosa di reale e vero. Questa scissione tra l'uno e il Tutto, tra l'individuo e la totalità del mondo, si ripropone nella figura della coscienza infelice religiosa tra il soggetto e la totalità di Dio.[10]

La coscienza infelice religiosa

La scissione tra la coscienza mutevole dell'individuo e quella immutabile di Dio diventa esplicita in quella spaccatura che l'uomo avverte fra se stesso e Dio. Questa scissione appare evidente nell'ebraismo, dove il Dio è visto come un essere totalmente trascendente, padrone della vita e della morte: vi sarebbe dunque un rapporto di signoria-servitù fra Dio e l'uomo.(cfr. Pensiero di Hegel: il periodo di Jena).
In un secondo momento, con il Cristianesimo medioevale, questa scissione sembra sanarsi quando Dio si assimila all'uomo incarnandosi.
Tuttavia, nulla viene veramente risolto: Cristo, da un lato, con la propria resurrezione, ritorna ad allontanarsi dall'uomo, superando la sua stessa incarnazione e, per altro verso, essendo Cristo vissuto storicamente in tempi anteriori, i molti che gli sono succeduti non hanno potuto assistere al miracolo dell'incarnazione di un Dio che ormai è separato dalla storia e lontano dai credenti.
Pertanto la scissione è tutt'altro che risolta, e la coscienza, sentendosi ancora separata dall'Assoluto, permane nell'infelicità.
Le manifestazioni dell'infelicità della coscienza dell'uomo cristiano-medievale sono tre:
  • la devozione, con cui l'uomo si mortifica ed umilia riconoscendo Tutto in Dio e Niente in sé. Inoltre, la devozione è solo sentimentalismo, sentimento, che per Hegel non porta all'infinito;
  • Le opere di bene, attraverso cui l'uomo spera di congiungersi con Dio. Tuttavia, egli ritiene che le sue forze e le sue opere siano dono di Dio. È un'ulteriore mortificante riconoscimento della sua dipendenza e separazione da Dio.
  • La mortificazione di sé e del proprio corpo con le pratiche ascetiche. È il punto più basso, il fondo dell'infelicità.
La presa di coscienza del proprio valore, dopo aver toccato il punto più basso con la mortificazione di sé nei confronti della divinità, avviene nel Rinascimento, quando l'uomo riprende coscienza della propria forza ed inizia il cammino per raggiungere l'Assoluto.

3) La Ragione

Ragione osservativa

Nel Rinascimento l'uomo riacquista la ragione che gli indica come sia inutile la ricerca di un Dio trascendente mentre questo è vivo e presente nella natura stessa. Nasce così la pretesa della scienza di conquistare l'Assolutotramite l'osservazione scientifica della realtà. Ma la descrizione che la scienza fa del mondo non vuol dire impossessarsi del mondo tramite la legge e l'esperimento. Ancora una volta la totalità sfugge al potere dell'uomo.

Ragione attiva

Allora dalla ragione osservativa si passa a quella attiva, alla descrizione del mondo si sostituisce l'azione sul mondo, la volontà di usarlo e goderne. Ma tale intento fallisce come testimoniano le tre figure della ragione attiva:
  • "il piacere e la necessità": l'individuo deluso dalla scienza e dalla ricerca naturalistica si getta nella vita alla ricerca del proprio godimento. Ma ogni piacere, sebbene soddisfatto, continua a lasciare un retrogusto amaro in bocca accompagnato da un senso di insoddisfazione ( esempio di questa fase è il "Faust" di Goethe).
  • "legge del cuore e il delirio della presunzione": l'individuo non essendo riuscito a realizzare se stesso attraverso il piacere, tenta presuntuosamente di migliorare il mondo attraverso la volontà generale e cercherà allora di opporsi al corso ostile del mondo appellandosi al sentimento e cercando la felicità degli altri (emblema di questa fase è Rousseau); ma la Ragione, in disaccordo con la sfera individuale, fallirà nella sua pretesa di incarnare la Virtù.
  • "cavaliere della virtù" (simboleggiato da Robespierre): l'individuo prenderà come sua guida "la virtù", ossia un agire in grado di procedere oltre l'immediatezza del sentimento e delle inclinazioni soggettive. Ma il contrasto tra la virtù, il bene concepito astrattamente, e la realtà del mondo, si concluderà con la sconfitta del "cavaliere della virtù".

Individualità in sé e per sé

In questa fase sintetica dello sviluppo dialettico della ragione Hegel mostra come l'individualità, pur mirando a raggiungere la propria realizzazione, rimane tuttavia astratta e inadeguata. Per mostrarlo egli si serve ancora delle"figure":
  • La prima figura è quella che Hegel denomina "il regno animale dello spirito": agli sforzi e alle ambizioni di una virtù che dovrebbe realizzare il bene di tutti ma che fallisce, succede l'atteggiamento dell'onesta dedizione ai propri compiti particolari. Ma c'è un inganno. L'individuo tende a spacciare la sua opera come il dovere morale stesso, mentre essa esprime soltanto il proprio interesse personale. Non esiste vera morale se non è universale.
  • La figura della "ragione legislatrice" : l'autocoscienza avvertendo l'inganno, cerca in se stessa delle leggi che valgano per tutti. Tuttavia tali leggi che pretendono d'essere universali in effetti nascono dalla propria volontà individuale.
  • Infine la figura della "ragione esaminatrice delle leggi": l'autocoscienza cerca delle leggi assolutamente valide che s'impongano a tutti nessuno escluso. Ma così facendo l'individuo si deve porre al di sopra delle leggi stesse, riducendone quindi la validità e l'incondizionatezza.
Con tutte queste figure Hegel vuole dirci che se ci si pone dal punto di vista dell'individuo si è inevitabilmente costretti a non raggiungere mai l'universalità. Quest'ultima si trova soltanto nella fase dello "Spirito".[11]

Lo Spirito

Nel sistema hegeliano, è lo spirito a produrre le più alte realizzazioni umane, dalle istituzioni alla filosofia. Come ogni altro momento della filosofia hegeliana, lo spirito si dialettizza in tre momenti: spirito soggettivo, spirito oggettivo, spirito assoluto.

Spirito soggettivo

È il momento di transizione in cui lo Spirito emerge dalla Natura e attraverso essa passa nell'uomo cosciente e infine nella sua attività di pensiero e azione.
  • L'antropologia si occupa dello studio dell'anima, la quale non è altro che quel legame tra spirito e natura inteso da Hegel come carattere.
  • La fenomenologia studia lo spirito come
    • "coscienza",
    • "autocoscienza",
    • "ragione".
  • La psicologia studia lo spirito nelle sue manifestazioni ossia: Conoscere teoretico, attività pratica e volere libero.
    • Il conoscere teoretico è quel processo tramite cui la ragione trova se stessa dentro di sé.
    • L'attività pratica è quell'unità di manifestazioni tramite cui lo spirito giunge in possesso di sé stesso dall'esterno.
    • Il volere libero non è altro che la sintesi dei primi due momenti in quanto lo spirito, dopo aver trovato se stesso sia interiormente che esteriormente, si rende conto di essere libero.
L'individuo in cui si è incarnato lo Spirito soggettivo ha raggiunto la sua completezza e quindi riprende quel compito di una ricerca del vero e del bene universali andata delusa nelle fasi precedenti. A questo punto il soggetto individuale si rende conto di dover affrontare un compito infinito con forze finite. Lo soccorrerà lo spirito oggettivo che incarnandosi in forme e istituzioni superindividuali potenzierà le sue forze finite. Questo avverrà in un primo grado nella Legge esteriore che indicherà il vero e il bene a tutti coloro che la riconosceranno come tale.

Spirito oggettivo

Se lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, la sua antitesi non può essere che lo spirito collettivo, vale a dire quello spirito che si oggettiva, si manifesta nelle istituzioni sociali e politiche che regolano la vita dell'uomo. Al termine della formazione dell'individuo, nell'individualità in sé e per sé, ultimo grado della Ragione, l'individuo tentava di dare completezza alla sua raggiunta maturità razionale cercando di realizzare un vero e un bene che potessero essere condivisi da tutti; ma il suo tentativo falliva perché si scontrava con i progetti di altri individui che cercavano di realizzare anch'essi il loro ideale di vero e di bene (problema della libertà) e perché l'individuo si rendeva conto che le sue forze finite erano inadeguate a realizzare un compito infinito come quello del vero e del bene universali. Adesso sarà lo Spirito oggettivo a risolvere le difficoltà. Sarà la legge ad indicare coattivamente il vero e il bene universali e nel contempo lo stesso diritto risolverà il problema della libertà riconoscendo a ciascuno tanta libertà quanta questi è disposto a riconoscerne agli altri.

Diritto Astratto ( Tesi )

  • Legge: il diritto è l'insieme delle norme che regolano la vita esteriore di ogni individuo. La legge esteriore indica quale deve essere il vero e il bene a cui devono adeguare la loro vita regolando nel contempo le singole libertà limitandole ma anche garantendole. La libertà si esprime attraverso la proprietà assicurata dalla legge a condizione che ci sia il riconoscimento reciproco dei diritti e il rispetto fra gli uomini tramite il contratto. La caratteristica fondamentale della legge è quella della universalità: essa deve valere allo stesso modo per tutti quelli che la riconoscono come tale.
  • Delitto: la violazione della legge, la negazione, l'antitesi del diritto verificata dalla realtà dei reati. Ma come sappiamo l'antitesi nega ma anche invera il momento precedente per cui il delitto dà senso e realtà alla legge. Una legge senza delitti è inutile ed inesistente e così delitti non previsti dalla legge non sono più tali. Il delitto inoltre deve conservare il carattere di universalità che caratterizza la legge: nel senso che il delitto non è mai qualcosa che riguarda la singola vittima del reato, ma la violazione della legge deve essere sentita come qualcosa che ha offeso tutta la collettività regolata da quella legge.
  • Pena: la sintesi il momento che nega il delitto e lo invera (Aufheben o Aufhebung), poiché se non vi è condanna è come se il delitto non fosse stato commesso e quindi come se la legge non fosse mai esistita. La pena inoltre restaura il diritto violato e nello stesso tempo fa sì che la legge, proprio attraverso la gradazione delle pene a seconda delle mutate sensibilità della società, possa, come nuova tesi, progredire ed evolversi. La pena inoltre esprime ancora l'universalità, nel senso che deve essere sentita come giusta ed adeguata non solo da colui che ha subito il delitto ma da tutta la società. Per Hegel quindi ad esempio la pena di morte può essere considerata giusta se la società che la pretende la ritiene conforme al delitto commesso. Come le leggi così anche le pene rappresentano le società che le esprimono.

Moralità ( Antitesi )

La volontà impersonale che si concretizza nella legge può entrare in contrasto con la volontà individuale che ha trovato una sua norma di condotta. Il diritto infatti non è garanzia di vita morale. La contraddizione verrà superata dalla moralità o legge interiore in cui la coscienza individuale riconosce l'universalità di una legge del dovere che impone un bene sentito come obbligatorio, che impone di fare il dovere per il dovere. Ritorna qui l'insegnamento della morale kantiana (cfr. Critica della ragion pratica) che però Hegel giudica sterile nel suo aspetto formale poiché lascia all'arbitrio e alla fantasia individuale stabilire il bene concreto che ciascuno deve operare. Il bene concreto che ciascuno deve realizzare sarà quello indicato dagli organismi sociali o da quelle comunità spirituali i cui interessi e i cui fini saranno per gli individui, che gli attribuiscono la loro rappresentanza, la legge a cui devono obbedire e il bene che devono realizzare. Insomma è pur vero che la legge esteriore m'impone di non uccidere ma appunto mi costringe a non farlo mentre la morale di una comunità spirituale, come ad esempio quella cristiana, mi indicherà lo stesso comportamento ma in base alla mia intima convinzione di non uccidere. Rimane sempre acclarato che per Hegel il valore dell'individuo è nullo al di fuori della collettività di diritto o morale in cui esso vive.

Eticità ( Sintesi )

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Lineamenti di filosofia del diritto.
L'ethos o costume rappresenta per Hegel la moralità sociale, lo spirito di un popolo dove convivono spontaneamente il dover essere, l'ideale, e l'essere, la realtà vivente, in cui c'è perfetta identità tra essere e dover essere.
In particolare l'ethos è la sintesi della legge esteriore e della legge interiore, della necessità e della libertà per cui l'individuo è veramente libero ed insieme "necessitato". Nel costume di un popolo, nelle sue abitudini di comportamento, vi è una legge non scritta che ha le stesse caratteristiche della legge scritta, vale a dire viene sentita come impositiva da tutti ma allo stesso tempo risponde all'intima persuasione di tutti. L'eticità si presenta come sintesi di diritto e moralità: infatti se il diritto è esteriorità e la moralità è interiorità, l'eticità riassume in sé entrambi questi valori, in quanto il soggetto non segue più dei valori interiori, bensì dei valori interiorizzati. L'eticità, dunque, concilia il diritto e la moralità, supera la spaccatura tra l'interiorità propria della morale e l'esteriorità del diritto, in quanto il bene non è più un ideale, un dover essere, ma trova un contenuto concreto nei compiti etici che attendono ciascun individuo e che sono determinati dal proprio ruolo familiaresociale e politico. D'altra parte il singolo non avverte il dovere (la legge) come un qualcosa di estraneo, un obbligo imposto dall'esterno, bensì come partecipazione intima e consapevole di quella condizione in cui ciascuno è posto.[15] Le istituzioni in cui si realizza l'ethos sono:
Famiglia
La famiglia è caratterizzata da legami non solo biologici, ma anche da sentimenti di fiducia, cioè da un'unità spirituale. Si articola anch'essa in tre momenti:
  • matrimonio, la costituzione della famiglia, momento fondato sul consenso libero e spirituale delle persone;
  • patrimonio, i beni materiali appartenenti alla famiglia, che devono assicurarle stabilità e ai figli mantenimento ed educazione;
  • educazione dei figli, il momento più importante della famiglia, secondo Hegel, poiché è con l'educazione che si realizza la famiglia. La procreazione fisica dei figli è in un certo senso ininfluente: i figli sono veramente tali quando sono oggetto delle cure materiali e spirituali dei genitori.
Società civile
Con l'educazione e l'allontanamento progressivo, le famiglie originarie si sciolgono. I figli abbandonano la famiglia per andare a formarne delle nuove. Queste nuove famiglie non sono più legate da un legame spirituale, e perciò giungono ad un momento in cui sussiste una perenne conflittualità. La società civile è il sistema dei bisogni e la cura degli interessi, come Hegel la definisce. La funzione è dunque simile a quella della famiglia, ma questa volta l'intervento avviene a livello giuridico, in cui bisogni e interessi vengono difesi dagli apparati statali, quali la polizia, la giustizia e le corporazioni. Nella società civile l'uomo diviene un uomo, poiché può soddisfare i propri bisogni, attraverso il lavoro, e vede i propri diritti e doveri riconosciuti attraverso la legge.
Uno dei compiti fondamentali della società civile è l'educazione dei giovani. Essa deve distaccarli dall'educazione familiare, nell'intento di creare una famiglia universale di tutti gli individui. Un altro compito è dato dal controllo degli egoismi privati, in cui la società deve intervenire su coloro che concentrano nelle mani troppa ricchezza a scapito degli altri. Al fine di tutelare tutti gli individui, la società deve promuovere la formazione di organizzazioni sindacali e di corporazioni professionali.
Hegel suddivide la società civile in tre classi:
  • agricoltori, coloro, cioè, che dispongono del patrimonio naturale che viene loro fornito dalla terra in cui lavorano;
  • lavoratori dell'industria e del commercio, cioè chi elabora il prodotto naturale per trasformarlo, vivendo quindi soltanto del proprio lavoro;
  • funzionari pubblici, che curano gli apparati statali e sono pertanto di fondamentale importanza ed esentati da ogni altro tipo di lavoro.
Da ciò scaturisce la necessità di un diritto pubblico, vale a dire un diritto valido per tutti e noto a tutti, diritto che deve essere fatto rispettare dalla magistratura e dalla polizia. In questo senso, grande importanza hanno le corporazioni, le quali sono abilitate alla costituzione di una propria polizia, sul modello delle corporazioni medioevali, al fine di proteggere i propri iscritti. Per questo motivo la corporazione si risolve come una seconda famiglia, che si prende cura dei propri iscritti in base al loro lavoro.
Stato
Lo Stato rappresenta la sintesi di famiglia e società civile, ed il momento più alto dell'eticità. Lo stato si colloca cronologicamente alla fine dell'ethos ma in realtà è presente logicamente fin dall'inizio nel senso che è già presente idealmente nella formazione della famiglie e della società civile che perderebbero di significato e di realtà se non mirassero sin dal principio alla formazione dello stato.
Hegel definisce lo Stato la realtà dell'idea etica, la prima manifestazione dell'assoluto, in quanto in esso si realizza l'intera eticità. Lo stato etico non è una somma di volontà individuali, è Spirito vivente, è la Ragione che con un'opera millenaria si è incarnata in un'istituzione al di sopra dei singoli.
« Lo Stato è l'ingresso di Dio nel mondo, certo esso sta nel mondo ed è quindi soggetto a svisamenti e ad errori . Ma come l'uomo più odioso, un delinquente, uno storpio, un ammalato sono pur sempre uomini, così è dello Stato. Il positivo, la vita esiste malgrado il difetto ed è questo positivo che importa. [16] »
Lo stato non nasce da un contratto stipulato fra gli individui, poiché non sono gli individui a formare lo Stato, ma è lo Stato stesso a formare gli individui.
  • Lo stato né liberale né democratico
È infatti impossibile, per Hegel, pensare uno stato di modello liberale, che altrimenti finirebbe per perdere ogni sua funzione nel semplice compito di tutelare gli interessi delle parti, ma anche di stampo democratico, in quanto lasovranità non può appartenere al popolo, perché il popolo senza lo Stato altro non è che una massa informe.
D'altra parte lo Stato è un'idea che non può esistere senza una materia reale, che è il popolo. Lo Stato è tutt'uno con il popolo. Per questo Hegel rigetta sia il contrattualismo, che il giusnaturalismo, in quanto per Hegel è inaccettabile che esista un diritto prima e oltre lo Stato. Tuttavia, lo Stato hegeliano non è da vedersi come dispotico, in quanto esiste pur sempre un sistema di leggi attraverso cui è lo stato a governare, non il popolo.
Lo Stato si costituisce autonomamente e nel modo migliore sviluppando una triadica divisione dei poteri: il potere legislativo, suddiviso in due Camere, l'una conservatrice, l'altra progressista, il potere esecutivo, che comprendemagistratura e polizia, e il potere sovrano, che si identifica con il re, che è contemporaneamente individualità (in quanto il re è unico) e universalità (in quanto il re rappresenta l'intero Stato e quindi l'intero popolo). Il re, tuttavia, non ha un potere assoluto e per quanto possa operare liberamente dovrà sempre attenersi alla situazione legislativa vigente, che viene approvata ed emanata dagli altri due poteri.
Essendo lo Stato la più alta manifestazione dell'eticità, ed essendo lo Stato formato da un solo popolo, per Hegel appare impossibile e inaccettabile che possa esistere qualcosa che sia superiore allo stato, nemmeno un organismo di coordinamento sovranazionale. Pertanto il diritto internazionale non viene affatto contemplato da Hegel, che vede solo nei trattati fra gli Stati un semplice momento di comunicazione fra di loro. Trattati che gli stati hanno un obbligo etico di sottoscrivere e rispettare, ma che altrettanto legittimamente, possono, nella loro piena sovranità, infrangere.
  • La guerra
Conseguenza di ciò, è che la guerra viene vista come un atto necessario per determinare i rapporti di forza, e stabilire le misure dei diritti dell'uno sull'altro. Pertanto, la guerra, questa è l'"astuzia della ragione" (List der Vernunft), gli uomini credono sia semplicemente motivata da interessi materiali, in realtà ogni guerra è una guerra di idee in cui saranno sempre le migliori a prevalere.
La filosofia della storia
« La storia non è il terreno della felicità. I periodi di felicità sono in essa pagine vuote.[17] »
La storia, prima di Hegel, veniva sempre vista come un susseguirsi caotico di eventi, suddivisibili in epoche dominate dalla ragione ed in epoche oscure: tale era la concezione propria dell'illuminismo, che aveva giudicato, per esempio, l'età di Pericle un'era illuminata e il Medioevo un'epoca buia, senza però considerare mai i rapporti che potevano sussistere fra due evi, anche se distanti fra loro. Hegel, invece, rigetta l'idea della casualità a favore della causalità. Se l'Assoluto è ragione, allora essa dominerà anche la Storia: ma dire che la storia è razionale, significa che essa non è un succedersi casuale di eventi, bensì è basata su un rapporto di causa-effetto, in base al quale la distinzione fra essere e dover essere svanisce. La storia, in pratica è già come dovrebbe essere, e non potrebbe essere altrimenti.
La storia è un succedersi di popoli, divisi in coloro che dominano il mondo e coloro che vengono dominati, allo stesso modo che fra gli individui, suddivisi in dominatori e dominati (in base al rapporto schiavo-padrone). E come gli individui, anche i popoli nascono, crescono e muoiono, per lasciare spazio a nuovi individui e nuovi popoli che continueranno a perseguire quell'obiettivo che è l'autocoscienza dello Spirito.
Il fine della storia è la libertà dello spirito, che per Hegel si manifesta nello Stato. I mezzi per conseguire questo fine sono gli individui e le loro passioni: queste spingono ogni individuo ad imprimere al mondo, alla realtà e alla storia, questa o quella direzione, in modo sempre necessario e in progressione. I grandi uomini della storia sono la più alta manifestazione di questa idea: con una sorta di astuzia, la Ragione spinge i grandi eroi della storia (come Giulio Cesare o Napoleone) a seguire e realizzare le proprie passioni e ambizioni. Ma se prima o poi essi sono destinati a perire o a soccombere, non è così per la Storia universale, che invece continua il suo progresso grazie alla caduta di questi grandi uomini. Dunque, per Hegel, gli uomini non agiscono, ma sono mossi da una forza più grande di loro.
I momenti in cui si realizza la storia universale sono tre:
Hegel vede infatti nello Stato prussiano, e nella sua abolizione dei privilegi nobiliari, la migliore realizzazione dello Stato. Infatti solo l'uguaglianza fra tutti i cittadini fa sì che il singolo individuo possa sentirsi parte del tutto.

La conquista dell'Assoluto

Spirito assoluto

Lo spirito assoluto rappresenta il momento in cui l'idea giunge alla coscienza di sé stessa, della propria infinità e assolutezza, ovvero del fatto che tutto è Spirito, e che il finito è la stessa vita dell'Assoluto. L'individuo ha a questo punto la possibilità di cogliere l'Assoluto e può farlo in tre diversi modi.

Arte

Con l'arte si ha l'intuizione dell'infinito nel finito (il bello). Hegel suddivide l'arte in tre momenti:
  • simbolica: ovvero quando contenuto e forma convivono in modo squilibrato, vale a dire, il messaggio spirituale non viene espresso in forme adeguate alla sua altezza, ma attraverso il simbolo;
  • classica: contenuto e forma sono in uno stretto equilibrio, che raggiunge il suo apice nella rappresentazione della figura umana, vista come la più armonica.
  • romantica: in cui si rompe nuovamente l'equilibrio tra contenuto e forma, in quanto nessuna forma può più esprimere la compiutezza dell'Assoluto, che cerca altre strade per esprimersi al meglio.
Nonostante l'arte greca sia il momento antitetico del processo triadico dell'arte, è ritenuta da Hegel la forma più completa, dal momento che c'è un connubio perfetto fra contenuto e forma. Perché allora è l'antitesi di questa triade? Perché Hegel, nello sviluppo dell'Assoluto (e quindi, come in questo caso, della sua manifestazione o fenomenologia) considera elemento decisivo quello del progresso, dell'evoluzione. L'arte greca quindi non può essere la sintesi, il momento conclusivo della storia dell'arte, perché quell'equilibrio tra forma e contenuto che caratterizzava l'arte greca si è ormai rotto ed è superato dall'arte romantica che si presenta come negazione della negazione ossia sintesi.

Religione

Con la religione si raggiunge l'unità dell'infinito con il finito, l'unione dell'anima con il divino. Questa unità si coglie però nella forma della rappresentazione o del sentimento. La forma immaginativa della vita religiosa fa sì che questa unione dell'infinito col finito sia attribuita ad un Essere trascendente, mentre l'Assoluto è immanente alle coscienze, posto al di là del mondo e dell'uomo e nello stesso tempo è un Assoluto che si rivela all'uomo mentre esso è nell'uomo. Quel processo di unione del finito coll'infinito è eterno, è interiore mentre viene rappresentato dalla religione come compiutosi nel tempo e in un fatto e per virtù di un personaggio storico.
Hegel identifica nella storia dell'umanità quattro tipi di religione:
  • religione naturale, come l'induismo, dominate da stregoneria e feticismo, in cui Dio è potenza assoluta dei fenomeni;
  • religione di libertà, come quella persiana, in cui Dio è uno spirito libero, ma ancora troppo legato alla natura;
  • religione dell'individualità assoluta, come il giudaismo, in cui Dio è in sembianze spirituali o antropomorfe;
  • religione assoluta, come il Cristianesimo, visto come la più alta manifestazione religiosa dell'assoluto, in quanto in Cristo, l'uomo-Dio, si rivela l'identità del tutto, e nella Trinità si rivela la triplice partizione di Idea, Natura, Spirito.
Anche il cristianesimo, come tutte le religioni, presenta però dei limiti, poiché si basano tutte sulla rappresentazione e non sulla comprensione del concetto, come invece accade con l'ultimo stadio dello spirito assoluto, ovvero, la filosofia.

Filosofia

La Filosofia è l'ultimo momento dello spirito assoluto. Anch'essa è frutto di un processo storico dialettico che vede ogni filosofia negare e conservare la precedente. La filosofia è storia della filosofia. Questo processo che va dalla filosofia greca a quelle di Fichte e Schelling si conclude con l'idealismo la cui definitiva conclusione è la filosofia hegeliana.[18] Le filosofie precedenti non devono quindi essere viste negativamente ma piuttosto come un insieme di tappe necessarie che man mano negano quelle precedenti e vengono negate da quelle successive in un processo che termina con l'ultima filosofia: quella di Hegel. La filosofia giunge sempre troppo tardi perché arriva quando la realtà si è già compiuta («È come la nottola di Minerva che si alza in volo sul far della sera»).
Così come nella Religione, anche nella Filosofia è presente lo stesso contenuto, il rapporto tra finito ed infinito. Nella Religione questo rapporto è già dettato, e deve essere solo appreso per fede, mentre nella Filosofia la comprensione di questo rapporto è data tramite un processo di mediazione razionale, una serie di passaggi, fino alla comprensione dell'assoluto. La Filosofia, infine, riesce ad esprimere il Pensiero in modo adeguato, essendo puro concetto, così come il Pensiero stesso.[19]

Note

  1. ^ Avvertenza: al fine di offrire un discorso unitario della "storia romanzata dello Spirito" si sfrutterà la diversità-complementarità delle opere hegeliane per rendere più comprensibile l'intero argomento, piuttosto che darne una visione parziale limitata alla Fenomenologia, facendo convergere in questa voce anche parti delle opere dedicate da Hegel alla Scienza della logica, alla Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio e ai Lineamenti della filosofia del diritto. Per la nota ispirazione di Hegel alla filosofia del pensatore di Efeso («Non c'è proposizione di Eraclito che io non abbia accolto nella mia Logica.» (in Lezioni sulla storia della filosofia) per cui è stato detto: «Eraclito: l'inizio, Hegel: il compimento» (in Hans-Georg GadamerEraclito. Ermeneutica e mondo antico, Donzelli Editore, 2004 p.105) si può riproporre un frammento dell'opera di Eraclito da accostare ell'impostazione di questa voce: «Una e la stessa è la via all'in su e la via all'in giù» (Eraclito,Sulla Natura, fr.60)
  2. ^ Espediente retorico utilizzato da Hegel per esporre tramite descrizioni metaforiche le sue concezioni filosofiche. Qualcosa di simile era già avvenuto con l'uso del mito nella filosofia platonica.
  3. ^ «Questa coscienza infelice scissa entro se stessa è così costituita che, essendo tale contraddizione della sua essenza una coscienza, la sua prima coscienza deve sempre avere insieme anche l'altra. In tal modo, mentre essa ritiene di aver conseguito la vittoria e la quiete dell'unità, deve immediatamente venire cacciata da ciascuna delle due coscienze» (g.F.W. Hegel, Fenomenologia dello spirito vol. I; 1973, p. 174)
  4. ^ G. W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, a cura di Vincenzo Cicero, ed. Rusconi, Milano 1995, pp. 275-289
  5. ^ Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di Ermanno Arrigoni, Armando Editore, 2000, p. 55.
  6. ^ «...per tradurre dal tedesco una parola fondamentale e a doppio senso di Hegel Aufheben Aufhebung che significa allo stesso tempo sopprimere e elevare» in Susan Petrilli, La traduzione, Meltemi Editore, 2000 p. 41.
  7. ^ Giuseppe Vacca, Politica e filosofia in Bertrando Spaventa, Laterza, 1967 p. 284 e cfr. Paolo D'Alessandro, Leggere Hegel, oggi, ed. ScriptaWeb, Napoli 2004.
  8. ^ Com'è noto, il rapporto servo-padrone troverà ampio svolgimento nella dottrina marxista.
  9. ^ Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1973. Anteprima disponibile su filosofico.net.
  10. ^ Hegel, Fenomenologia dello spirito, a cura di Ermanno Arrigoni, Armando Editore, 2000, p. 89
  11. ^ Per completare la comprensione di questa parte si passi direttamente alla Filosofia dello Spirito nella sezione Spirito soggettivo.
  12. ^ G.W.F. Hegel, Scienza della logica, tr. it. di A. Moni, Bari, Laterza, 1984
  13. ^ La prima categoria della logica: il Divenire è la giusta rappresentazione della visione idealistica della incessante attività del pensiero.
  14. ^ Diego FusaroIl futuro è nostro: Filosofia dell'azione, Bompiani, 2014
  15. ^ Valga come esempio banale di ethos considerare come nelle società civili certi comportamenti, come per esempio l'aspettare il proprio turno per eseguire una certa operazione, non siano regolati con la forza della legge da tutori dell'ordine ma tutti liberamente li mettono in atto perché sentono, in modo spontaneo, la necessità di comportarsi in quel modo.
  16. ^ Filosofia, Volume 24, Edizioni di "Filosofia", 1973, p.279
  17. ^ G.F.W. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia,Introduzione generale, II, 2 a)
  18. ^ A questo proposito nell'ambito della Scuola hegeliana, che si costituì dopo la morte del maestro, si disputò tra una Destra e una Sinistra se la filosofia hegeliana e se lo Stato prussiano fossero da considerare le ultime e supreme manifestazioni dello Spirito assoluto o se, in base alla stessa infinita dialettica hegeliana, fossero destinate ad essere superate.
  19. ^ L'assoluto come risultato: Hegel scrisse una prefazione alla sua Fenomenologia solo dopo aver concluso l'opera. In essa scrive che «Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza completata mediante il suo sviluppo. Si deve dire dell'Assoluto che esso è essenzialmente un "risultato" e solo "alla fine" esso è ciò che è veramente; e la sua natura consiste nell'essere effettualità, essere soggetto o divenire se stesso.» Hegel spiega perché l'Assoluto debba essere considerato un risultato e non un cominciamento con un esempio. «Se io dico "tutti gli animali", queste parole non varranno mai una "zoologia", allo stesso modo, "divino", "assoluto", "eterno", ecc. non esprimono quel che vi è contenuto; quelle parole esprimono solo l'intuizione, l'immediato. Quel che è di più in quelle parole...contiene un "divenir altro" che deve essere ripreso, contiene una "mediazione". Ma della mediazione si ha un sacro orrore come se si rinunziasse alla conoscenza...» Insomma: se parlo solo di "tutti gli animali" senza parlare dei singoli animali che, presi ciascuno in sé, non sono "la zoologia", non comprenderò mai la zoologia; se non do concretezza all'astratta determinazione, se non percorro un processo che comprende i momenti parziali, ciascuno come momento costitutivo dell'Assoluto, procedendo per mediazioni, non arriverò mai a conoscere l'Assoluto che tuttavia è già presente fin dall'inizio del processo. Per giungere al "sapere propriamente detto", per produrre il puro concetto «il sapere deve affaticarsi in un lungo itinerario. Tale divenire...sarà ben altro di quell'entusiasmo che, come un colpo di pistola, comincia immediatamente dal sapere assoluto e si trae dall'impiccio di posizioni diverse, dichiarando di non volerne sapere.» Consumando con queste parole la rottura - personale e ideale - da Schelling, Hegel fonderà decisamente il suo sistema filosofico.
  20. ^ Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Prefazione, a cura di Giuseppe Gembillo e Deborah Donato, Rubbettino Editore, 2006 p.35
  21. ^ Antonio Moretto, Hegel e la "matematica dell'infinito", ed. Verifiche, 1984, p.11
  22. ^ Georg Wilhelm Friedrich Hegel, I principi di Hegel: frammenti giovanili, scritti del periodo jenense, Prefazione alla Fenomenologia, a cura di Enrico De Negri, Nuova Italia, 1949 p.117
  23. ^ Op.cit. ibidem
  24. ^ Op.cit. p.116
  25. ^ Hegel, Prefazione a cura di G.Gembillo, D,Donato, op.cit., p.51
  26. ^ Grande antologia filosofica: Il pensiero moderno, diretta da M. F. Sciacca, coordinata da M. Schiavone, Andrea Mario Moschetti. ed. C. Marzorati, 1971 p.496
  27. ^ Paolo D'Alessandro, Leggere Hegel, oggi. Napoli 2004
  28. ^ Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, Armando Editore, 2000, p.173
  29. ^ I principi di Hegelop.cit. p.143

Bibliografia

Traduzioni italiane della Fenomenologia dello Spirito[modifica | modifica wikitesto]

  • Fenomenologia dello spirito, a cura di Enrico De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1933.
  • Fenomenologia dello spirito Testo a fronte, trad. di Vincenzo Cicero, Milano, Bompiani, 1995*
  • La fenomenologia dello spirito. Sistema della scienza, parte prima, a cura di Gianluca Garelli, Torino, Einaudi 2008*

L'Impero Spagnolo, l'Impero Portoghese e l'Unione Iberica (1580-1640)




Dopo la scoperta dell'America, sorse una contesa tra la Spagna e il Portogallo riguardo alle terre da colonizzare.
Tale questione fu risolta dal Trattato di Tordesillas (1494)

Il Trattato di Tordesillas (in portogheseTratado de Tordesilhas/tɾɐˈtaðu ðɨ tuɾðɨˈziʎɐʃ/; in spagnoloTratado de Tordesillas/tɾaˈtaðo ðe toɾðeˈsiʎas/) venne firmato a Tordesillas, inCastiglia, il 7 giugno 1494; divise il mondo al di fuori dell'Europa in un duopolio esclusivo tra l'Impero spagnolo e l'Impero portoghese lungo il meridiano nord-sud, 370 leghe (1.770km) ad ovest delle Isole di Capo Verde (al largo della costa del Senegal, nell'Africa Occidentale), corrispondenti approssimativamente a 46° 37' O. Le terre ad est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e quelle ad ovest alla Spagna. Questo meridiano veniva chiamato raya. Il trattato venne ratificato dalla Spagna il 2 luglio, e dal Portogallo il 5 settembre 1494.
Il trattato era inteso a risolvere la disputa che s'era creata dopo le scoperte di Cristoforo Colombo.
Nel 1481, la bolla papale Aeterni regis di Sisto IV aveva garantito tutte le terre a sud delle Isole Canarie al Portogallo. Nel maggio 1493Papa Alessandro VIspagnolo di nascita, decretò nella bolla Inter Caetera che tutte le terre a ovest di un meridiano a sole 100 leghe dalle Isole di Capo Verde appartenessero alla Spagna, mentre le nuove terre scoperte a est di quella linea sarebbero appartenute al Portogallo, anche se i territori già sotto il dominio cristiano sarebbero rimasti intatti. Naturalmente re Giovanni II del Portogallo non ne fu felice, e aprì dei negoziati col re Ferdinando II d'Aragona e la regina Isabella di Castiglia per spostare la linea più a ovest, sostenendo che il meridiano si sarebbe esteso attorno a tutto il globo, limitando il controllo spagnolo in Asia.



Il trattato sarebbe effettivamente andato contro la bolla di Alessandro VI, ma venne sancito da Papa Giulio II con una nuova bolla Ea quae pro bono pacis del 1506.
Il meridiano venne così comunemente indicato dai portoghesi come raia (che nella loro lingua significa "confine") e, per similitudine, dagli spagnoli come raya (che ha il significato maggiormente descrittivo di "riga", intesa come scriminatura dei capelli).
Poca parte dell'area appena spartita era già stata visitata, e venne spartita in base al trattato. La Spagna guadagnò territori comprendenti tutte le Americhe. La parte più orientale dell'odierno Brasile, quando venne scoperta nel 1500 da Pedro Álvares Cabral, venne garantita al Portogallo. Anche se la linea si estendeva in Asia, all'epoca misurazioni accurate della longitudine erano impossibili e così sorse l'incertezza. La linea non venne fatta rispettare rigorosamente e gli spagnoli non riuscirono a impedire l'espansione in America del Portogallo verso ovest attraverso il meridiano. Nel 1750 il trattato di Madrid certificò il trasferimento di gran parte del bacino dell'Amazzonia sotto il dominio portoghese.
Alle restanti nazioni europee che conducevano esplorazioni, come FranciaInghilterra, e Paesi Bassi venne esplicitamente negato l'accesso alle nuove terre, lasciando loro unicamente opzioni come la pirateria, fino a quando (come fecero in seguito)[info? quando?] non rigettarono l'autorità papale sulla divisione delle terre non ancora scoperte. Il punto di vista assunto dai governanti di queste nazioni viene incarnato dalla citazione attribuita a Francesco I di Francia che chiese che gli venisse mostrata la clausola nelle volontà di Adamoche escludeva la sua autorità sul Nuovo Mondo.
Con il viaggio attorno al globo di Magellano, sorse una nuova disputa. Anche se entrambe le nazioni concordarono che la linea doveva correre lungo tutto il globo, dividendo il mondo in due metà uguali, non era chiaro dove questa dovesse essere tracciata dall'altra parte del mondo. In particolare, entrambe le nazioni sostenevano che le Molucche (importanti come fonti di spezie) si trovassero nella loro metà del mondo. Dopo nuove negoziazioni, il Trattato di Saragozza del 22 aprile 1529 decise che la linea doveva passare a 297,5 leghe ad est delle Molucche, facendole spettare al Portogallo. La Spagna ricevette in cambio un risarcimento monetario.
Nel 2007 l'UNESCO ha inserito il testo del Trattato nell'Elenco delle Memorie del mondo.
Planisfero di Cantino con il meridiano di Tordesillas
I due imperi, furono temporaneamente unificati da Filippo II in seguito al suo matrimonio con Isabella di Portogallo.

Impero spagnolo - Localizzazione
L'Impero Ispano-Portoghese (1580-1640) è noto anche come Unione Iberica

Unione iberica – Bandiera



Unione iberica designa l'unità politica che contraddistinse l'intera penisola iberica nel periodo 15801640, attraverso l'unione dinastica che si realizzò durante il regno di Filippo II di Spagna[1]. Parti costituenti di tale unione, determinata dalla crisi dinastica portoghese, erano le corone del Portogallo, della Castiglia e di Aragona. L'unione comprendeva anche i rispettivi possedimenti coloniali degli Stati che ne fecero parte.


Contesto storico

Unire l'Iberia fu una delle ambizioni dei monarchi medievali della penisola. Sancho III di Navarra e Alfonso VII di Castiglia presero il titolo di Imperator totius Hispaniae.[2] L'unione poteva essere raggiunta in precedenza, quando Miguel da PazPrincipe delle Asturie, divenne re, ma la sua morte prematura fece abortire il progetto.
La storia del Portogallo dalla crisi dinastica del 1578, ai primi re della dinastia Braganza fu un periodo di transizione. L'Impero Portoghese nel Cinquecento, dopo aver aperto le nuove rotte per le Indie orientali, era all'apice della sua potenza. Nel Seicento il lucrativo commercio portoghese delle spezie e degli schiavi nelle Indie iniziò a decadere per la concorrenza (e le azioni di pirateria) di inglesi, francesi ed olandesi. Questo provocò un lungo declino del regno. Inoltre gli sforzi della monarchia asburgica per combattere i protestanti portarono ad un indebolimento delle finanze portoghesi.

Fondazione

La Battaglia di Alcazarquivir nel 1578 vide la morte del giovane re Sebastiano e la fine della dinastia Aviz. Il successore di Sebastiano al regno del Portogallo, il Cardinale Enrico I del Portogallo, aveva all'epoca 70 anni. La morte di Enrico fu seguita da una crisi dinastica, con tre nipoti di Manuele I del Portogallo che rivendicarono il trono: Caterina (sposata con Giovanni I di Braganza),Antonio, Priore di Crato e Filippo II di Spagna. Antonio venne acclamato re dal popolo di Santarém il 24 luglio 1580 ed in seguito in molte altre città. Alcuni membri del Consiglio di Reggenza, che avevano sostenuto Filippo, ripararono in Spagna e lo dichiararono il legittimo erede al trono. Filippo II marciò verso il Portogallo e sconfisse le truppe di Antonio nella Battaglia di Alcantara. Filippo II di Spagna venne incoronato come Filippo I del Portogallo nel 1581 (riconosciuto come re dalle Cortes di Tomar), cosicché iniziò la dinastia degli Asburgo a regnare in Portogallo.

Unione iberica (1581–1640); in dettaglio la suddivisione amministrativa:
     Territori di competenza del Consiglio di Castiglia
     Territori di competenza del Consiglio d'Aragona
     Territori di competenza del Consiglio del Portogallo
     Territori di competenza del Consiglio d'Italia
     Territori di competenza del Consiglio delle Indie
     Territori di competenza del Consiglio delle Fiandre
Lo status del Portogallo venne mantenuto sotto i primi due re della dinastia Asburgo, Filippo I e Filippo II. Entrambi i re diedero posizioni di prestigio ai nobili portoghesi nella corte spagnola e lo stesso regno del Portogallo mantenne la legislazione, la moneta e il governo indipendenti. Venne proposto di spostare la capitale a Lisbona. Ciononostante l'unione delle corone privò il Portogallo di avere una politica estera indipendente, pertanto i nemici della Castiglia diventarono anche i nemici del Portogallo. I rapporti con l'Inghilterra, un alleato storico del Portogallo già dal1386, si deteriorarono all'improvviso; venne persa Ormuz. Gli aiuti inglesi alle ribellioni contro i re di Castiglia garantirono perlomeno la continuazione dell'alleanza. Le guerre contro gli olandesi portarono ad una grave perdita degli empori commerciali in Asia, come Ceylon, Africa e Sudamerica. Nonostante i portoghesi non furono più in grado di riconquistare l'intera isola di Ceylon, riuscirono a riprendere controllo della regione costiera. Il Brasile, approfittando della debolezza portoghese nel Seicento, venne parzialmente conquistato dai francesi e dagli olandesi. In particolare gli olandesi, fino alla dissoluziione dell'Unione iberica, conquistarono grandi porzioni di territorio brasiliano; l'intrusione in Brasile degli olandesi fu preoccupante e durevole per il Portogallo. Gli olandesi riuscirono anche a conquistare i possedimenti portoghesi nella costa occidentale dell'Africa.

I Regni

Questo portò Filippo II a detenere in unione personale i seguenti regni:

Declino dell'Unione e rivolta del Portogallo


Giovanni IV del Portogallo, il Re della Restaurazione.

Mappa dell'Impero Ispano-Portoghese all'epoca dell'Unione Iberica delle due corone (1581–1640). In rosso scuro i territori spagnoli, in rosso-arancio quelli portoghesi
Il successore di Filippo III di SpagnaFilippo IV ebbe un diverso approccio nei confronti delle questioni portoghesi. Le tasse iniziarono a colpire i mercanti portoghesi, la nobiltà portoghese iniziò a perdere la sua importanza ne las Cortes, e i posti di governo in Portogallo iniziarono ad essere occupati dai castigliani. In sostanza Filippo IV voleva fare del Portogallo una provincia castigliana.
Questa situazione degenerò in una rivolta dei nobili e dei borghesi il 1º dicembre 1640, 60 anni dopo l'incoronazione di Filippo I. Il complotto venne pianificato da Antão Vaz de AlmadaMiguel de Almeida e João Pinto Ribeiro. Questi, insieme ad altri, uccisero il segretario di Stato Miguel de Vasconcelos ed imprigionarono la cugina del re, la Duchessa di Mantova, che governò il Portogallo a suo nome. Il momento era propizio, dato che le truppe di Filippo stavano combattendo nella Guerra dei trent'anni e facendo fronte ad una contemporanea rivolta in Catalogna.
I rivoltosi avevano anche il sostegno del popolo, così Giovanni di Braganza venne acclamato re del Portogallo in tutto il paese. Già il 2 dicembre 1640, Giovanni aveva inviato una lettera alla Camera Comunale di Évora in qualità di sovrano.



Guerra di restaurazione e fine dell'Unione


Alfonso VI del Portogallo, secondo re del Portogallo della Dinastia Braganza.
La successiva guerra di restaurazione portoghese contro Filippo IV consistette soprattutto in piccole schermaglie nelle vicinanze dei confini. Le battaglie più significanti furono la Battaglia di Montijo il 26 maggio 1644, la Battaglia di Elvas (1659), la Battaglia di Ameixial (1663), la Battaglia di Castelo Rodrigo (1664), e la Battaglia di Montes Claros (1665); le truppe di Giovanni IV furono vittoriose in tutte queste battaglie.
Alcune decisioni prese da Giovanni IV per rafforzare il suo esercito fecero sì che la vittoria diventasse possibile. L'11 novembre 1640, venne creato il Consiglio di Guerra per organizzare tutte le operazioni.[3]. In seguito il candidato re creò la Junta delle Frontiere che aveva il compito di curarsi delle fortificazioni nelle vicinanze dei confini, l'ipotetica difesa di Lisbona e le guarnigioni e i porti sul mare. Nel dicembre del 1641 venne creata una tenenza per assicurare i miglioramenti di tutte le fortezze che furono pagate con le tasse regionali. Giovanni IV organizzò l'esercito, instaurò le leggi militari di Sebastiano e sviluppò un'intensa attività diplomatica focalizzata nella restaurazione delle buone relazioni con l'Inghilterra.
Dopo aver vinto diverse battaglie decisive, Giovanni provò a riappacificarsi. La sua domanda che Filippo riconoscesse la nuova dinastia regnante in Portogallo non venne soddisfatta fino al regno di suo figlio Alfonso VI durante la reggenza di Pietro di Braganza (un altro figlio di Giovanni e successivamente re Pietro II del Portogallo).

La dinastia di Braganza iniziò con Giovanni IV. I duchi della Casa di Braganza erano un ramo laterale della Casa degli Aviz. Nel Cinquecento erano già una delle famiglie più potenti del regno. I membri di Casa Braganza si sposavano con quelli della dinastia Aviz. Nel 1565 Giovanni di Braganza si sposò con Caterina Aviz, nipote di re Manuele I del Portogallo. Questo legame con la famiglia reale Aviz nel Cinquecento diventò determinate per l'ascesa dei Braganza come dinastia regnante nel Seicento. Caterina era una delle più forti pretendenti al trono del Portogallo nel 1580, ma perse la lotta contro suo cugino Filippo II di Spagna. In seguito il nipote Giovanni, diventò re Giovanni IV del Portogallo.
Giovanni IV fu un monarca amato, mecenate delle arti e della musica, nonché un bravo compositore e scrittore di soggetti musicali. Raccolse una delle più grandi biblioteche del mondo.[4] Tra i suoi scritti c'è un libello di Palestrina e sulla Musica Moderna (Lisbona, 1649). Nel frattempo gli olandesi conquistarono Malacca (Gennaio 1641) e nel Sultanato dell'Oman Muscat (1648). Nonostante ciò nel 1654, la maggior parte del Brasile venne riconquistata. Giovanni morì nel 1656, e la sua vedova Luisa di Guzman, fece sposare la figlia Caterina di Braganza a Carlo II d'Inghilterra nel 1661, mentre era reggente per conto del figlio Alfonso VI. La sua dote consisteva di TangeriBombay e 1.000.000 sterline; la sua dote fu la più consistente fatta da una regina consorte. Il successore di Giovanni IV fu Alfonso VI.

Note

  1. ^ History of Portugal by António Henrique R. de Oliveira Marques - 1972, Page 322. A Concise History of Brazil - Page 40, by Boris Fausto - History.
  2. ^ Si noti che prima della nascita della Spagna moderna, sorta dall'unione dinastica di Castiglia e Aragona (1479), in tutte le lingue ibero-romanze il latinoHispania designava, anche al plurale (le Spagne), l'intera penisola iberica e non solo la Spagna moderna senza il Portogallo.
  3. ^ (Mattoso Vol. VIII 1993)
  4. ^ (Madeira & Aguiar, 2003)

Voci correlate