venerdì 8 agosto 2014

Alexandros






I

- Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell'aria,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,

o Pezetèri: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall'ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria,

l'ultimo fiume Oceano senz'onda.
O venuti dall'Haemo e dal Carmelo,
ecco, la terra sfuma e si profonda

dentro la notte fulgida del cielo.



II

Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.

Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.

Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:

il sogno è l'infinita ombra del Vero.




III

Oh! più felice, quanto più cammino
m'era d'innanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!

Ad Isso, quando divampava ai vènti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl'infiniti armenti.

A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro,
il sole; il sole che tra selve nere,

sempre più lungi, ardea come un tesoro.




IV

Figlio d'Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo di tra le are
intonava Timotheo, l'auleta:

soffio possente d'un fatale andare,
oltre la morte; e m'è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.

O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l'Oceano, il Niente...

e il canto passa ed oltre noi dilegua. -




V

E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall'occhio nero come morte;
piange dall'occhio azzurro come cielo.

Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell'occhio nero lo sperar, più vano;
nell'occhio azzurro il desiar, più forte.

Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell'immenso piano,

come trotto di mandre d'elefanti.





VI

In tanto nell'Epiro aspra e montana
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana.

A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.

Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d'un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita

le grandi querce bisbigliar sul monte.



Questa poesia di Giovanni Pascoli fa parte dei Poemi conviviali (1904). In essa l'autore intende esprimere una concezione irrazionalistica della verità: per Pascoli infatti quest'ultima non era data dalla scienza intesa come sapere forte, ma piuttosto dal Sogno ove si può trovare il mistero della vita umana. Nella poesia è presente un registro classicistico che è concordante con il tono aulico ed erudito del testo. In essa Alessandro Magno è il protagonista, avido di conoscenza, esperienza e di avventura (rispecchiando, in questo, il mito di Ulisse). 
Alessandro, re di Macedonia, dopo aver conquistato l'impero persiano fino ad arrivare all'India, trova innanzi a se il limite dell'Oceano.
A questo punto egli si interroga sul senso della vita e prova sconforto quando paragona la propria esistenza a quella di un viandante davanti all'Infinito e si rammarica di non poter proseguire oltre il suo viaggio (e quindi di non aver più aspettative).



 Eppure alla fine, il pensiero della madre Olympias, che nelle montagne dell'Epiro osserva le foreste sui monti e la "cava ombra infinita" del cielo, gli ridona una nuova meta: il ritorno, perché, come scrisse un poeta, "vero viaggio è il ritorno".


Luxury lifestyle

































Un euro per domarli, un euro per ghermirli e nel buio di Francoforte incatenarli (Angela Merkel, from Germany with love!)

Fairytales


































Gothian. Capitolo 44. Ellis e Masrek si reincontrano dopo 18 anni




Lo vide da lontano.
Se ne stava immobile, presso le rovine di un antico tempio, nelle vicinanze di Colonia Fluvia, il primo avamposto dei Lathear nella pianura dell'Amnis.
Era ormai notte fonda, anche se il bagliore argenteo della luna permetteva di distinguere i contorni delle cose, seppure in un alone di magia.
Per due giorni Ellis lo aveva atteso, dopo che le prime legioni imperiali avevano varcato la Sublime Porta ed erano entrate nei territori della Federazione Keltar.
Anche lui l'aveva riconosciuta e la fissava con uno sguardo attento, ma sereno.


Ellis Eclionner camminava sola, lentamente, con il cuore che batteva forte, e sentiva ardere in petto l'antica fiamma.
Agnosco veteris vestigia flammae.
I lunghi capelli nerazzurri erano raccolti dietro la nuca, tranne due riccioli ai lati del viso. 


Sguardi.
Guarda, ora sono qui per te. Vedi, non c'è più nessuna che...
Nessun'altra donna. Nessun familiare che si opponesse ancora al loro amore.
Gli occhi di lei non poterono fare a meno di velarsi, ma anche in quella condizione di esule, manteneva un aspetto regale. 
Masrek la contemplava in silenzio: c’era curiosità in quello sguardo, forse anche un po' di sorpresa.
Cosa si aspettava di vedere? Un fantasma? Un demone? O semplicemente una donna invecchiata in solitudine?
Dai begli occhi scendeva, dolce nella memoria, e silenzioso, un pianto di gioia sulle sue palpebre. 
Voleva parlare, ma non ci riusciva.
Cosa sto aspettando? Forse un abbraccio che non arriverà?
Mentre Ellis si chiedeva questo, Masrek le fece cenno di fermarsi, e parlò con calma, cercando di non lasciarsi turbare dalle emozioni: 
«Avevano detto che eri cambiata. Ti descrivevano come una sovrana terribile, ascesa al potere col delitto, la spietata "vedova nera".
E invece sei ancora come ti ricordavo:  hai lo stesso sguardo di fanciulla di diciotto anni fa, quando il tuo volto era lo specchio dei miei sogni. 


Ellis, dove sono finiti tutti questi sogni? Sono passati come la pioggia sulle montagne, come il vento sui prati. I nostri giorni sono tramontati a ovest, al di là del mare, nel nulla...»
Lei avrebbe voluto parlare, ma vide che lui non aveva ancora concluso il suo discorso. E infatti egli riprese:
«Ma non serve a nulla fare l'inventario delle cose perdute, per poi soffocare l'urlo dei rimpianti nell'illusione di un presente uguale a ciò che eravamo, a come eravamo...
Sarebbe stato facile trovare una giustificazione per la mia fuga, se avessi potuto leggere anche solo un'ombra di rancore nei tuoi occhi: avrei potuto rispondere con altrettanto rancore!
E invece ora mi fa disperare il pensiero di te, che piangi mentre mi guardi, fragile come ramo spezzato, e il pensiero di me che non so dirti di pià, se non che questa non è stata certo la vita che sognavo per noi. Ma forse ora è tardi...»
La sua voce si incrinò.
«No! Non è tardi! » esclamò Ellis «la nostra storia non è finita! Non è mai finita, non finirà mai...»
Cercò di fare un passo verso Masrek.
«Ellis!» la fermò subito lui «devi sapere che c'è stata un'altra donna...»
Lei scrollò le spalle, come se la cosa non avesse la minima importanza.
C'è stata... quindi non c'è più... 
Accennò un timido sorriso.
Masrek lo ricambiò e riprese a parlare:
«Dopo di lei, ho vissuto da eremita. Ho passato le mie giornate come sabbia nel deserto. Come ruggine di vento. C'era meno aridità nelle rocce che nel mio cuore. Non mi danno pace né pietà le voci dei rimpianti e pentimenti…»
Ellis agitò le mani come per dire che tutto questo ormai apparteneva al passato.
Lui allora, con un filo di voce, disse:
«Io ho sposato quella donna, e ho avuto un figlio da lei...»
Ellis sapeva già tutto.
Bial gliel'aveva fatto capire, e poi padre Mollander e lady Marigold di Gothian avevano confermato.
«Credevi che non lo sapessi? Pensavi che avrei potuto fare del male a lei o a vostro figlio?»
«Lilieth Vorkidian è tua nemica anche nel gioco del Trono»
Ellis sospirò.
«Tu sei il padre di Marvin Vorkidian, vero? Il giovane che Mollander voleva mettere sul Trono del Sole al posto di nostro figlio Elner. Ma sai una cosa? Non me ne importa niente! Se Marvin vuole il Trono, vada pure a prenderselo! Elner ha fatto già la sua scelta: ha voluto Marigold di Gothian al suo fianco e ha esiliato me. Ora che le memorie di Arexatan hanno preso il sopravvento su di lui, non è più mio figlio... nostro figlio... nostro figlio è morto!»
In quel momento iniziò a piovere.
Anche gli Dei partecipano al mio dramma!
La pioggia scendeva su di lei come un pianto universale.
Perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla? Tornava una rondine al tetto, l'uccisero, cadde tra spini...


Lui fece per parlare ma lei lo fermò.
«Ascoltami, Masrek: tu sei l'unica persona che conta! Quando te ne andasti, io ti dissi: "Perdonami, ma io non ti perdonerò". Non era vero. Io ti avevo già perdonato. Eri la vita per me. Era già scritta male in me. Inevitabilmente...»
Lui scosse il capo:
«No, ero io ad essere nato sbagliato. Soldato scelto nella guerra perdente. E le cattive compagnie non sono una scusante»
Lei  alzò l'indice della mano destra:
«Lasciami finire… io ho sulla coscienza delitti inenarrabili... ho creato le premesse per la guerra che sta per sconvolgere il continente... ci sono quindici legioni al mio seguito, sono assetate di sangue...»
Si guardarono di nuovo negli occhi, con la consapevolezza che la difficoltà estrema di quel momento andava ben oltre le loro tragedie personali.
«Ellis, dimmi che possiamo ancora impedire questo bagno di sangue!»


Lei scosse la testa: 
«Guardami ora e dimmi cosa vedi! Anzi, no, te lo dico io: un'esule sconfitta! Ecco cosa sono! Non posso più dare ordini, Masrek... io non conto più niente!»
Lui rimase assorto, e poi rispose:
«Se anche le legioni non dovessero obbedire a te, obbediranno a nostro padre. Lui ormai ha un solo obiettivo: fermare il Conte di Gothian, prima che le sue orde di mostri dilaghino sul nostro impero»
Ellis mostrò un'espressione delusa:
 «E' per questo che sei qui, alloraPer le legioni? E' nostro padre che ti manda...»
La voce di Ellis era più triste che arrabbiata.
Masrek dovette annuire: 
«Sono qui anche per questo, ma non solo per questo! Ho bisogno di te... di te come persona, mi capisci? Tu sei l'altra parte di me. Noi siamo la medesima cosa in due corpi diversi. Solo insieme possiamo sentirci completi»
Lei fissò la pioggia.
«E’ freddo» commentò distratta.
Lui allora le si avvicinò.
I loro occhi si incontrarono di nuovo. 
I loro corpi si avvicinarono ancora.
E finalmente si abbracciarono.
Masrek la stringeva forte, con la stessa passione di tanti anni prima.
Mi desidera ancora...
Per un attimo ad entrambi tornò in mente l'ultima volta in cui avevano riso insieme.
Era stato il famoso giorno della passeggiata ai margini del deserto, a sud di Lathena.


Il giorno del loro primo bacio, e del loro amore proibito.


Quel ricordo li rasserenò.
Lui assunse un tono scherzoso: «Com’è possibile che tu non ti sia più innamorata di altri uomini? Non è normale…»
Ellis rise:
 «Ah! Normale! Noi siamo gli Eclionner! Cosa ci può essere di normale nella vita di un Eclionner?»
Anche Masrek rise:
«Hai ragione. Hai sempre avuto ragione»