Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
venerdì 16 maggio 2014
giovedì 15 maggio 2014
Nicole interpreta Grace che interpreta a sua volta il suo ruolo più difficile: la Principessa che salvò un trono, un matrimonio e una dinastia
"Grace di Monaco" mi ha positivamente stupito. Avevo sentito critiche sfavorevoli e quindi ero prevenuto, e invece, dopo averlo visto, posso dire che è un bel film, fatto molto bene, recitato egregiamente e realizzato con grandissima cura dei particolari.
Lasciamo da parte per un momento le polemiche mosse dai figli di Grace Kelly riguardo a questo film e cerchiamo di valutarlo per quello che è, e cioè, per l'appunto, un film, e non un documentario storico o una biografia. Questo film va visto prima di tutto come un modo in cui il cinema racconta se stesso.
Un'attrice premio Oscar, Nicole Kidman, che interpreta un'altra attrice premio Oscar, Grace Kelly, a sua volta intenta a recitare il ruolo più importante della sua vita, quello della Principessa di Monaco che salvò il trono dei Grimaldi, e la dinastia stessa, dal rischio dell'annessione da parte della Francia di De Gaulle.
Ora, gli unici due eventi che nella realtà non accaddero sono il primo e l'ultimo del film e cioè l'incontro con Alfred Hitchcock e quello con Charles De Gaulle, ma questo non va letto come un errore storico, bensì come un simbolico passaggio delle consegne tra due regie diverse nella vita di una grande attrice, che fu attrice anche dopo il matrimonio principesco, anzi, soprattutto dopo quel matrimonio.
Giustamente il film ha messo in risalto l'amicizia di Grace Kelly con Maria Callas, due grandi artiste, due fuoriclasse, che si intendevano alla perfezione, perché la loro arte non era confinata al palcoscenico o allo schermo, la loro arte era di essere in ogni momento della loro vita all'altezza della favola e della leggenda che ruotava attorno al loro personaggio.
Due leggende quindi, due favole, due primedonne che hanno interpretato in modo eccellente il loro ruolo fino all'ultimo, fino al sacrificio estremo, perché un mito diventa eterno soltanto se è straordinario anche nell'atto finale, che contraddistingue ogni mito, la morte misteriosa e prematura, quella che consegna per sempre la leggenda all'immortalità.
Quindi Nicole Kidman si è trovata di fronte a una doppia sfida. I personaggi da interpretare erano due: una era Grace Kelly come persona, con le sue umane debolezze, le sue paure, le sue frustrazioni; l'altra era la Principessa di Monaco, il ruolo che Grace Kelly scelse di interpretare per oltre trent'anni.
Non dobbiamo scandalizzarci nel pensare che Grace Kelly recitasse una parte: era ciò che sapeva fare meglio, ciò per cui era nata, e quale migliore copione poteva trovare un'attrice del suo calibro, con la sua classe e il suo carisma, se non quello di una principessa che, grazie all'assoluta perfezione con cui ncarna una favola, riesce a tenere in piedi un trono vacillante, una dinastia debole e divisa e un piccolo stato che deve salvare la propria sopravvivenza in un mondo che cambia.
Credo che Nicole Kidman fosse assolutamente la migliore per questo ruolo, l'ho sempre pensato e adesso che ho appena visto il film, ne sono ancora più convinto.
Nicole Kidman ha fatto un ottimo lavoro, dimostrando ancora una volta di essere una grande attrice, al pari di Grace Kelly.
Certo Grace di Monaco era un'evoluzione di Grace Kelly, una immedesimazione tale nel ruolo della principessa perfetta, che alla fine lei stessa ci credette, e lo fu sinceramente nell'ultima parte della sua vita.
Una lunga finzione può diventare una realtà, una lunga favola può diventare una storia vera e immortale, questo è il messaggio del film.
E non c'è solo l'aspetto politico della principessa, ma anche quello umano di moglie e di madre.
Forse all'inizio quel ruolo, spenti i riflettori del sontuoso matrimonio, poteva essere risultato un po' stretto alla "ragazza di Philadelphia" che viene catapultata dalle favole di Hollywood agli intrighi di palazzo e ai bizantinismi politici della vecchia Europa dai parapetti antichi.
All'inizio, ma poi Grace capisce che se vuol salvare il suo matrimonio e garantire ai suoi figli l'unità della famiglia e il diritto alla loro eredità, deve recitare la sua parte più impegnativa, e lo fa col massimo impegno: corsi di dizione francese, di portamento, di etichetta, di storia, di politica... tutto per poter essere al meglio quello che i cittadini di Monaco chiedevano: una Principessa da favola che grazie alla propria personale leggenda potesse far convergere le simpatie di tutto il mondo verso un piccolo stato costretto a diventare un paradiso fiscale per salvare la propria indipendenza politica.
Nicole Kidman è riuscita a rendere alla perfezione, lo ripeto, la sottile trasformazione della favola in realtà, cioè ha saputo tenere per mano il pubblico mostrando come Grace Kelly, nel "fare" la Principessa di Monaco, alla fine sia "diventata veramente" la Principessa di Monaco, moglie innamorata, madre premurosa e sovrana nel contempo carismatica e impegnata nella filantropia e nella diplomazia.
La cosa più bella di questo film è che è anche la storia di un amore che è nato solo dopo il matrimonio e dopo una grave crisi coniugale. Grace si innamora dell'uomo Ranieri nel momento in cui si rende conto del carico di responsabilità che deve portare sulle sue spalle. E proprio quando Grace si rende conto che Ranieri ha dovuto imparare ad essere freddo e distaccato perché era questo il suo mestiere, capisce anche che dietro a quella maschera di freddezza, c'è un uomo che a modo suo la ama e le chiede aiuto.
La favola dunque diventa realtà: Grace Kelly diventa ciò che all'inizio fingeva soltanto di essere.
Non è forse questo ciò che contraddistingue i grandi attori? La capacità di immedesimazione nel personaggio! Almeno, secondo il mio modo di intendere la recitazione, il vero attore non è chi si estrania, ma chi si immedesima a tal punto da diventare veramente il personaggio che sceglie di essere, fino alla fine, costi quel che costi.
Ma la bellezza di questo film non è solo nella recitazione e nella narrazione, ma anche nella descrizione: il principato di Monaco ci appare in tutta la sua magnificenza, le scenografie sono perfette, i costumi incantevoli e c'è anche un curioso rimando alla moda attuale: il film si svolge nel 1962, ma chi è attento ai dettagli dell'abbigliamento e degli accessori riconoscerà molti trend attuali, dalle montature degli occhiali alle skinny ties, dalle pettinature al taglio degli abiti, sia maschili che femminili.
Un film dunque che potrebbe parlare anche della realtà di oggi, e sotto certi aspetti lo fa, perché, pensateci bene, ciò che la Francia gollista era per il piccolo principato che non voleva alzare le tasse, è il perfetto parallelo dell'Unione Monetaria Europea della Germania di frau Merkel che vuole imporre a tutti le politiche di austerità.
C'è un punto del film in cui questo parallelismo è così attuale che ci fa rabbrividire.
E' il punto in cui il principe Ranieri risponde a De Gaulle dicendogli: <<Lei non ci può dare ordini. Noi siamo uno Stato sovrano!>>
Non è forse quello che la maggioranza di noi vorrebbe dire ad Angela Merkel?
Per sette manieri silvani - Capitolo I - Gli illustri antenati
Prima di finire a testa in giù nelle Malebolge dell'Inferno dantesco, papa Niccolo III Orsini ebbe il tempo di sistemare due suoi nipoti nelle Romagne, rivendicate come feudo pontificio.
Bertoldo divenne Conte di Romagna e Bernando ottenne un feudo in apparenza minore, ma strategicamente centrale, e cioè il castello di Casa Murata, all'incrocio tra la cervese di Forlì e il dismano di Ravenna.
Chi controllava Casa Murata, controllava di fatto l'accesso alle saline di Cervia, e chi controllava l'accesso a quelle saline, controllava tutta la Romagna, perché come dicevano i papi: Roma plus habet de parva Cerviola quam de tota Romandiola.
A quei tempi Cervia era solo un'isolotto nel mezzo delle saline, popolate da fenicotteri ed aironi, che ancora oggi si possono osservare in quel luogo che ha mantenuto intatta la sua magia millenaria.
Bernardo Orsini, conte di Casa Murata, fu di fatto il fondatore della mia stirpe.
O meglio, della stirpe il cui nome si estinse con la morte della mia fantastica nonna materna.
Tra l'insediamento di Bernardo Orsini e la morte di mia nonna, ci sono circa ottocento anni e quaranta generazioni.
Per altrettanti anni e generazioni il feudo resse e al suo centro il maniero principale, il castello di Casa Murata.
Non furono necessariamente anni gloriosi.
<<Noi siamo la rea progenie degli oppressor discesa>> amava ripetere la nonna, ed aveva ragione a citare il coro di Ermengarda nell'Adelchi <<cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l'offesa e dritto il sangue e gloria il non aver pietà>>
E quasi a consolarmi del fatto che, quando lei ormai era verso la fine, anche il feudo si stava disintegrando e la famiglia navigava in pessime acque economiche, la nonna concludeva la citazione con la solenne certezza che quello che poteva apparire un castigo, forse era una forma di misericordia:
<<Te collocò la provvida sventura infra gli oppressi>> lo diceva più che altro a se stessa, ma mi rivolgeva comunque occhiate significative: <<muori compianta e placida, scendi a dormir con essi, alle incolpate ceneri, nessuno insulterà>>
Lo diceva osservando i ritratti degli illustri antenati, partendo da sua madre, che era una Balducci de' Calboli.
Negli ultimi trecento anni la famiglia Orsini si era incrociata con le altre famiglie nobili della zona, in una sorta di endogamia che assomigliava quasi ad una forma di esperimento eugenetico, per mantenere quella che Isabella di Castiglia avrebbe definito <<la limpieza de sangre>>.
Le uniche eccezioni, nell'ambito di quel Serpente Rosso e della Nobiltà Nera di cui la famiglia Orsini faceva parte, così come i suoi rami principali, erano accadute quando, in occasione di rivolgimenti sociali e politico, oppure di tracolli economici o di tare ereditarie, si era sentito il bisogno di inserire nuovo sangue in quella linea di discendenza.
Ed era sempre una rea progenie di oppressori, di privilegiati e di gente baciata dalla fortuna, che trovava la sua consacrazione imparentandosi con quella parte di Serpente Rosso e di aristocrazia nera che faceva risalire le sue origini su fino alla famiglia patrizia di Ursinus Maximus. La gens Maxima a sua volta reclamava l'eredità di stirpi ancora più antiche e prestigiose, su su fino alla nobilitas senatoriale dell'antica Roma.
Ma noi eravamo pur sempre un ramo cadetto, minore, di cui si erano quasi perse le tracce e le memorie.
E le ultime generazioni erano così decadute ed estenuate, come i Floressas des Esseintes del romanzo di Huysmans, che per loro potevano valere i versi di Rilke, che nella mia mente suonano così tradotti:
Per tre rami fiorì la mia stirpe,
per sette manieri silvani.
Ma fu presto stanca dell'antico blasone.
Piegò sotto il peso degli anni.
L'antico lignaggio degli avi
è tutto ciò ch'io le acquisto ed apporto:
sono ormai senza patria nel mondo.
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