giovedì 13 marzo 2014

La fiamma di Atar. Capitolo 11. Il direttore.



Non era un uomo di molte parole il direttore Massimo Ferrante, responsabile della biblioteca del Dipartimento di Storia delle religioni, e quelle poche volte che parlava, la sua voce era così metallica e priva di qualsiasi inflessione, da apparire quasi artificiale.
Era alto, imponente, severo e impeccabile, tanto da mettere tutti in soggezione con un solo sguardo.



Gli stessi enormi occhiali, con montatura spessa in tartaruga, rendevano ancora più ieratico e austero il suo aspetto.
Per questo, quella mattina, Luca Bosco era piuttosto in ansia al pensiero di dovergli parlare della studentessa che faceva ricerche sulla Flamma Ataris.
Normalmente il direttore riceveva nel suo studio, all'ultimo piano, solo su appuntamento, ma quando Luca fece presente alla segretaria che si trattava di una questione della massima importanza, relativa ad un testo che sicuramente stava molto a cuore al dottor Ferrante, riuscì ad ottenere un ricevimento immediato.
L'ufficio del direttore si trovava "in torre", come erano soliti dire i bibliotecari più anziani, riferendosi al fatto che, come era comune nella Città dai Portici Antichi, ogni edificio del centro avesse una piccola torre, risalente all'epoca medievale.
Le scalinate erano ripide, ma grazie al cielo era stato ricavato al loro interni un ascensore molto moderno.
In generale tutti gli interni dei piani alti della biblioteca erano "molto moderni" e decisamente molto superiori agli standard medi di ogni altra biblioteca universitaria.
Si respirava un clima di ricchezza e di sorveglianza tale da far sembrare quei luoghi i piani alti di una banca.
Quanto vale quel libro, se esiste davvero? Cosa ci potrà mai essere scritto, per renderlo dissimile da ogni altro raro libro antico?



Quando la porta dell'ascensore si aprì, Luca vide, con grande sorpresa e persino timore, che il direttore Ferrante non solo se ne stava lì in piedi ad attenderlo, ma stava per salire pure lui.
<<Buongiorno, dottor Bosco. Ora saliremo all'ultimo piano, al Thesaurus>>
Luca sgranò gli occhi:
<<Buongiorno, direttore. Io... io devo parlarle di qualcosa di molto importante che riguarda...>>
Ferrante entrò con incedere regale e poi, dall'alto in basso, lo degnò di una leggerissima parvenza di sorriso, naturalmente ironico:
<<La Flamma Ataris, immagino. Non mi avrebbe mai disturbato con così tanta insistenza per qualsiasi altra ragione>>



<<Sì be'... naturalmente>>
Il direttore annuì:
<<Era inevitabile che accadesse. Lei è il nostro dipendente più giovane e quindi anche il più inesperto. E' normale che chi vuole accedere a informazioni riservate si rivolga a lei, utilizzando peraltro... abili argomenti>>
Luca si accorse che Ferrante sapeva già tutto:
<<Lei quindi è già a conoscenza che una studentessa del professor Piero Gallo...>>
<<Gallo tenta da decenni di intromettersi in questioni che non lo riguardano. Quanto alla studentessa... non è certo passata inosservata, non fosse altro che per il fatto che lei ha concesso un tempo eccessivamente lungo, anche se dedicato a una fanciulla che assomiglia a Pochaontas>>



Luca avrebbe voluto ribattere, ma quando porta dell'ascensore si aprì in un locale straordinariamente avveniristico, rimase senza parole.
Uscirono dall'ascensore.
Il direttore indicò, con fierezza, una collezione di testi antichissimi, conservata in una specie di camera interna sigillata con pareti trasparenti molto spesse, a cui si poteva accedere solo con una tessera e una password, previo riconoscimento delle impronte digitali.
Il direttore indicò la collezione con aria solenne:
<<Ecco, questo è il famoso Thesaurus, la punta di diamante della nostra biblioteca. Qui sono conservati, con la massima cura, i nostri testi più preziosi, che possono essere consultati solo dietro mia autorizzazione. Ma orma mi segua, voglio mostrarle un'altra stanza, dove conserviamo qualcosa di ancor più prezioso>>

Perché i gatti dormono sempre?



Una delle caratteristiche distintive dei gatti è il fatto che dormono sempre e ovunque.
Noi umani invidiamo la vita dei gatti e la loro propensione a dormire dovunque, in qualsiasi posizione e per così tante ore al giorno. Il gatto dorme per più della metà di un giorno e per due terzi della sua intera vita.
Ma vi siete mai chiesti perché il gatto sonnecchia così tanto? Secondo Amy Shojai, consulente sul comportamento degli animali e autrice di diversi libri , i predatori che devono affrontare dei nemici possono dormire per un periodo di tempo superiore. Inoltre, il bisogno di sonno aumenta in maniera proporzionale all’energia richiesta. Essendo un predatore, il gatto ha bisogno di un apporto straordinario di energia per cacciare. Quindi il gatto dorme per avere sufficienti energie per la caccia, e i gatti domestici che sono impossibilitati a farlo devono, comunque, sfogare questo istinto. Ben vengano quindi tutti i giochini adatti: il gomitolo di lana da rincorrere e uno spazio aperto in cui sbizzarrirsi, per esempio.
Sarebbe anche opportuno fornire al proprio gatto uno spazio caldo e riparato per dormire. Ultimamente il 60% dei possessori di un gatto dichiarano di condividere il letto con il loro amico a 4 zampe. In quel caso è utile rendere il proprio letto confortevole per il proprio amico a quattro zampe, stando attenti a non far diventare l’ambiente troppo caldo, a non usare lenzuola di seta o satin in cui potrebbero incastrarsi gli artigli del nostro micetto. Inoltre, anche se il gatto gradisce dormire con noi, ha il sonno più leggero di un umano e potrebbe svegliarsi molto spesso durante la notte, questo perché è sempre pronto a fiutare i pericoli. Ad ogni modo il fatto che il gatto “accetti” di dormire con voi dimostra la sua estrema fiducia nella vostra persona.

mercoledì 12 marzo 2014

Il gatto quotidiano



La fiamma di Atar. Capitolo 10. Il fuoco segreto.



Luca Bosco si svegliò nel cuore della notte in un lago di sudore, dopo aver fatto sogni angosciosi, di cui però non aveva memoria, pur conservandone lo spaventoso turbamento.
A che punto è la notte?
La domanda shakespeariana trovò una risposta singolare: la sveglia segnava le 3.33.
L'ora del lupo.



Luca maledisse il giorno in cui aveva accettato l'incarico alla biblioteca del Dipartimento di Storia delle religioni.
Avrei dovuto capire che se nessuno accettava quel posto, di questi tempi, c'era una ragione più che valida.
Eppure, anche quando il direttore della biblioteca lo aveva avvertito che, qualora qualcuno cercasse un antico libro intitolato Flamma Ataris, di cui alcuni erroneamente ritenevano che una copia si trovasse nel thesaurus di quella collezione, avrebbe dovuto in tutti i modi troncare sul nascere qualunque tentativo di indagare sulla questione.
Le uniche due copie ufficialmente sopravvissute di quel testo si trovano rispettivamente nella Collezione Burke-Roche, ad Hollow Beach, e nella Collezione Fitzherbert, a Manhattan.
Poteva capire la collezione di Manhattan, ma l'idea che un libro così prezioso si trovasse in una località balneare come Hollow Beach, a Long Island, era un mistero.
Mistero ad Hollow Beach... sarebbe un bel titolo per un romanzo, specie se c'entrassero gli Arcani Supremi.



La necessità di un lavoro lo aveva portato ad accettare quell'incarico, insieme all'amore per i libri rari e ad una sua naturale predisposizione nei confronti delle cause perse, specialmente quando erano perse sul serio.
Parcere subiectis et debellare superbos...
Almeno nei libri quello era possibile, nei poemi, come l'Eneide di Virgilio, ma specialmente nei romanzi e ancor di più in quelli di carattere fantastico o di genere fantasy.
E proprio al centro di un romanzo Luca si sentiva in quel momento.
Un romanzo che porta il titolo di un trattato proibito: "La fiamma di Atar".
Era quello il nocciolo della questione.
Sono diventato, senza volerlo e senza rendermene conto, uno dei Custodi del Fuoco Segreto.

Il fumo danneggia anche la schiena

Il fumo danneggia anche la schiena

Uno studio di due ricercatori italiani dimostra che le sigarette danneggiano i dischi intervertebrali (da Panorama)

Il fumo può avere effetti molto dannosi anche sulla schiena, provocando danni gravi al Dna dei dischi intervertebrali. I danni alla colonna potrebbero essere ancora più gravi per chi inizia a fumare da adolescente. Sono i risultati di uno studio condotto da Enrico Pola e Luigi Nasto dell'Università Cattolica di Roma, con la University of Pittsburgh, e pubblicato su The Spine Journal.

Fattori di rischio

La degenerazione dei dischi è responsabile di molte patologie della colonna, come lombalgie e cervicalgie croniche. L'invecchiamento è la causa principale di degenerazione discale, però molteplici fattori di rischio collaborano all'accelerazione di questo processo degenerativo e adesso appare chiaro che il fumo è tra questi. Lo studio italiano ha evidenziato l'azione nociva dei composti del fumo sul Dna delle cellule dei dischi.

L'esperimento

I ricercatori hanno esposto a fumo cronico di sigaretta topolini di laboratorio sani e topolini con un deficit di funzionamento dei meccanismi di riparazione del Dna. Questo secondo gruppo di topini è molto più suscettibile al danno indotto da qualsiasi agente che attacchi il Dna, compreso il fumo. Tutti i topi esposti hanno sviluppato segni gravi di degenerazione discale con perdita in altezza dei dischi intertevertebrali. Le cellule discali hanno mostrato segni precoci di invecchiamento. I topi più suscettibili al danno al Dna presentavano danni vertebrali solo leggermente superiori rispetto ai topi sani di controllo. Questo dimostra che il fumo non agisce solo sul Dna. Altri meccanismi sono sicuramente in gioco nei soggetti fumatori. Lo studio suggerisce anche che il danno alla colonna potrebbe essere ancora più grave iniziando a fumare precocemente, in età adolescenziale, infatti, quando i topi esposti al fumo sono giovani la gravità della degenerazione discale è dieci volte maggiore rispetto ai topi adulti.

Le centrali nucleari del mondo

Carta tratta dal dossier “Dopo Fukushima” di Limes QS 1/2011 “La guerra di Libia” - clicca qui per andare all’originale con possibilità di ingrandireSono 436 le centrali nucleari esistenti al mondo. Altre 63 sono in fase di costruzione. Stati Uniti, Francia, Giappone e Russia sono i quattro paesi con il maggior numero di centrali.  Lo stato dell’arte per quanto riguarda il nucleare civile: la carta mostra dove sono state smantellate le centrali, dove si parla di un possibile smantellamento, quali paesi hanno in progetto di costruire nuove centrali e quali ne sono già dotati. Sono inoltre visibili le sagome delle placche terrestri.

Sono 436 le centrali nucleari esistenti al mondo. Altre 63 sono in fase di costruzione. Stati Uniti, Francia, Giappone e Russia sono i quattro paesi con il maggior numero di centrali.  

Lo stato dell’arte per quanto riguarda il nucleare civile: la carta mostra dove sono state smantellate le centrali, dove si parla di un possibile smantellamento, quali paesi hanno in progetto di costruire nuove centrali e quali ne sono già dotati. Sono inoltre visibili le sagome delle placche terrestri.

Carta tratta dal dossier “Dopo Fukushima” di Limes QS 1/2011 “La guerra di Libia” - clicca qui per andare all’originale l terremoto di magnitudo 8,9 che ha scosso il Giappone lo scorso 11 marzo 2011 ha avuto delle conseguenze devastanti. La carta mostra l’epicentro del sisma, poco lontano dalla costa nipponica nordorientale e l’impatto che questo ha avuto sul territorio. Le autorità locali hanno raccomandato di evacuare le zone limitrofe alla centrale nucleare di Fukushima.   Sono inoltre tracciate le varie “linee di confine” delle placche terrestri.

l terremoto di magnitudo 8,9 che ha scosso il Giappone lo scorso 11 marzo 2011 ha avuto delle conseguenze devastanti. La carta mostra l’epicentro del sisma, poco lontano dalla costa nipponica nordorientale e l’impatto che questo ha avuto sul territorio. Le autorità locali hanno raccomandato di evacuare le zone limitrofe alla centrale nucleare di Fukushima.   

Sono inoltre tracciate le varie “linee di confine” delle placche terrestri.


Carte di Laura Canali da "Limes"

Media dei sondaggi sulle intenzioni di voto all'11 marzo 2014

Media Sondaggi
Va detto, però, che il mini partitino dell'orrido Monti, e cioè Scelta Civica, è ormai da considerarsi alleato della sinistra, di cui ha condiviso la passione per le tasse sulla casa.

Come i robot cambieranno la vita domestica



Dalla macchina per lavare i pavimenti alla badante tecnologica: gli automi entrano nella vita di tutti giorni. Ci spiega come e perché Colin Angle, amministratore delegato e co-fondatore di iRobot (di Federico Guerrini, su La Stampa)

iRobot, l’azienda statunitense celebre per essere l’artefice dell’aspirapolvere Roomba, un congegno dotato di un’intelligenza artificiale e in grado, una volta messo in moto, di pulire i pavimenti senza bisogno dell’intervento di alcun operatore umano, ha lanciato la settimana scorsa le ultime linee di prodotti per il mercato europeo: il Roomba 800, che alle normali setole sostituisce dei cilindri rotanti e degli “estrattori ad aria”, in gradi di risucchiare e sbriciolare la sporcizia raccolta e lo Scooba 450, un robottino per a pulitura con acqua dei pavimenti, presentato al Ces di Las Vegas lo scorso gennaio.  

Nella conferenza stampa non si è parlato comunque solo di aspirapolveri. Quello di iRobot, con un’esperienza più che ventennale nel settore della robotica, 500 dipendenti e 484 milioni di dollari di fatturato nel 2013 e un patrimonio di brevetti che, secondo una classifica del Wall Street Journal la colloca quinta al mondo – davanti a Samsung – per valore della proprietà intellettuale, è un osservatorio privilegiato per capire come i robot stiano iniziando a fare il loro ingresso in massa nell’industria. Un ingresso profetizzato da tempo, ma finora in larga parte soltanto abbozzato. Abbiamo incontrato a Monaco l’amministratore delegato e co-fondatore dell’azienda, Colin Angle, per farci raccontare come stia cambiando il panorama dell’automazione e cosa dobbiamo aspettarci dall’entrata in massa dei robot nelle nostre vite. 

A volte non è facile capire cosa si intenda esattamente per “robot”, quali caratteristiche debba avere una macchina per poterla considerare tale. Lei come lo definirebbe?  
“La mia risposta è una tecnica, direi una macchina che usa dei sensori per percepire l’ambiente circostante e un’intelligenza artificiale per pensare a quello che vede e dei motori per spostarsi dove necessario. È una buona definizione, ma tutto sommato forse è una definizione troppo ampia; penso che si potrebbe dire che è qualcosa che comunica un senso di “vita”, una macchina che risponde all’ambiente in maniera simile a un organismo vivente. Penso però che questo stia cambiando; moltissime macchine stanno incorporando una qualche forma di intelligenza per cui diventerà sempre più difficile distinguere ciò che è un robot da ciò che non lo è”. 

Conta anche l’aspetto antropomorfo? Un tempo si pensava che rendere i robot più somiglianti agli umani, potesse servire a renderli più accetti.  
“Penso che quella dell’antropomorfismo sia una limitazione non necessaria. Non c’è un motivo particolare perché non possa essere utilizzato, ma penso che spesso il modo con cui ci avviciniamo a un problema sia “cosa farei io?” e quindi si progetta un sistema che si comporti allo stesso modo. Ma questa non è quasi mai la soluzione giusta. Oltre a ciò che il rischio che se li si rende troppo simili a un umano, da interessanti diventino grotteschi. Se stessi seduto qui e la mia faccia fosse rigida, di plastica, non le sembrerebbe bello, ma fastidioso, l’obiettivo è quello di avere un robot che abbia degli elementi che tu possano renderlo riconoscibile, per esempio qualcosa che assomigli a una testa, a cui parlare. O qualcosa che assomigli a un corpo. Ma non dovrebbe essere troppo simile a una persona. Abbiamo fatto degli esperimenti molto interessanti con il robot Ava (un robot adoperato per effettuare diagnosi mediche a distanza n.d.r.). La prima volta che l’abbiamo portato negli ospedali non aveva la “pelle”, solo metallo e cavi, e la gente era molto scettica. Ci dicevano “si muove troppo velocemente” oppure “mi sta troppo vicino”. Abbiamo messo una copertura e l’abbiamo riportato lì, e questi difetti sono scomparsi. Il look del robot perciò ha un effetto su come viene percepito, ma basta avere una rappresentazione stilizzata di un essere umano, non serve che sia troppo simile”.  

Cosa ne pensa di Ray Kurzweil e delle sue teorie sulla singularity, il punto in cui le macchine svilupperanno una loro forma di auto-coscienza?  
“Penso che il futuro sarà molto più strano. Molto prima di raggiungere una qualche singularity dovremo abituarci al fatto che la tecnologia possa essere impiantata nel nostro corpo. Oggi ci sono molte ricerche sul fatto di poter rimpiazzare la perdita dell’udito con un orecchio robotico, o quella della vista, con un occhio robotico. O un braccio robotico controllato con la mente, e così via. Ma questo darà origine a una serie di questioni. Cosa succederà quando tuo figlio verrà da te e ti dirà: papà voglio sostituire il mio braccio con uno robotico perché ha un aspetto migliore ed è dieci volte più potente? L’idea che la tecnologia possa arrivare a un punto in cui sia migliore dell’originale è qualcosa a cui ci dovremo rapportare e chiederci: è quello che vogliamo? A me piace essere umano e penso che i robot debbano servire soprattutto per agevolare la vita delle persone. In un’epoca di aumento della vita media, dobbiamo trovare ad esempio un modo di permettere a persone anziane di andare al bagno o spostarsi senza dover ricorrere a personale umano, che magari non si potrebbero permettere”.  

E per quanto riguarda la cosiddetta disoccupazione tecnologica? I robot da voi creati non eliminano posti di lavoro? Per esempio, un robot come lo Scooba, che pulisce i pavimenti, non sostituisce almeno in parte la donna delle pulizie
“È una domanda difficile. La lavastoviglie ha creato problemi di disoccupazione? Di solito si pensa che abbia dato al contrario nuove opportunità alle donne di cercare un lavoro fuori da casa. Man mano che sviluppiamo strumenti per eliminare la fatica, si creano nuove possibilità di impiegare quel tempo. Oltre a ciò, in molti paesi sviluppati, è difficile trovare personale che sbrighi le faccende più umili. Non si tratta quindi di rimpiazzare i lavoratori, ma di dare la possibilità a più persone di accedere a servizi che non si potrebbero permettere per via del loro budget o del loro stile di vita. Una volta stavo facendo un’intervista radiofonica e un ascoltatore è intervenuto dicendo: “ho perso il mio lavoro, a causa di un robot. Oggi lavoro a costruire robot, e mi pagano molto di più!”. Stiamo creando una nuova industria che creerà migliaia, milioni di posti di lavoro e sono molto fiero di far parte di questa rivoluzione”. 

Dieci consigli per la scrittura creativa



1. Il lettore non è un avversario o uno spettatore, ma un amico.
2. Se un romanzo non racconta l'avventura personale dell'autore in una dimensione spaventosa o sconosciuta, allora non vale la pena di scriverlo – se non per soldi.
3. Cedete la parola ai vostri personaggi, lasciateli parlare.


4. Scrivi in terza persona, a meno che una voce in prima persona non ti si imponga con forza irresistibile.
5. Quando l’informazione diventa libera e universalmente accessibile, una ricerca ampia per scrivere un romanzo viene svalutata, e così anche il romanzo stesso. Scrivete dunque su cose meno note.
6. Il rischio dell'autobiografismo non esiste, in quanto la vita a cui noi ci ispiriamo non è quella che abbiamo vissuto, ma quella che ricordiamo e come la ricordiamo per raccontarla. La narrativa autobiografica più pura richiede invenzione pura. Nessuno ha mai scritto una storia più autobiografica di Cent'anni di solitudine.
7. Puoi osservare più cose stando seduto immobile che rincorrendole.
8. Evitare le distrazioni. È improbabile che chiunque abbia il cellulare acceso quando lavora stia scrivendo delle buone storie.
9. Di rado i verbi interessanti sono davvero interessanti.
10. Devi amare i personaggi prima di essere implacabile con loro.

(Jonathan Franzen, intervista su Panorama)


Uomini o rabbini? No, hipster. Purtroppo.



Donne, lo so che in questa foto la vostra attenzione è attratta immediatamente dal look di Sienna Miller, ma vi chiedo lo sforzo (e non è cosa da poco) di osservare attentamente il suo accompagnatore. 
Ebbene, di primo acchito si potrebbe pensare che sia un rabbino ultraortodosso di Gerusalemme. E invece, purtroppo, non è così. Quello strano e orripilante personaggio di fianco a Sienna Miller è un hipster che si crede molto alla moda: cappello buffo, barba immancabile, camicia bianca abbottonata senza cravatta (tipo mafioso siciliano) e giacca minimal chic. Ecco, a questo ci siamo ridotti.

Il problema di avere troppe informazioni



O my morning bus into town, every teenager and every grown-up sits there staring into their little infinity machine: a pocket-sized window onto more words than any of us could ever read, more music than we could ever listen to, more pictures of people getting naked than we could ever get off to. Until a few years ago, it was unthinkable, this cornucopia of information. Those of us who were already more or less adults when it arrived wonder at how different it must be to be young now. ‘How can any kid be bored when they have Google?’ I remember hearing someone ask.
The question came back to me recently when I read about a 23-year-old British woman sent to prison for sending rape threats to a feminist campaigner over Twitter. Her explanation for her actions was that she was ‘off her face’ and ‘bored’. It was an ugly case, but not an isolated one. Internet trolling has started to receive scholarly attention – in such places as the Journal of Politeness Research and its counterpart, the Journal of Language Aggression and Conflict – and ‘boredom’ is a frequently cited motive for such behaviour.
It is not only among the antisocial creatures who lurk under the bridges of the internet that boredom persists. We might no longer have the excuse of a lack of stimulation, but the vocabulary of tedium is not passing into history: the experience remains familiar to most of us. This leads to a question that goes deep into internet culture and the assumptions with which our infinity machines are packaged: exactly what is it that we are looking for?

martedì 11 marzo 2014

Le donne elette nei parlamenti nazionali



Si va dal primo posto del Ruanda (63,8% di donne in Parlamento) all'ultimo del Qatar, dove le quote rosa sono un miraggio: 0 donne su 35 seggi dell'assemblea. In mezzo ci sono il Regno Unito (22,6%) e gli Stati Uniti (18,3%). E anche l'Italia, che con il suo 31,4% non sembra sfigurare troppo: meno della Germania (36,5%) ma meglio della Francia (26,2%).

Gatto socievole o aggressivo? Dipende dal colore del pelo!



Maculata, striata, uniforme, nera, rossiccia, crema. La pelliccia dei gatti può assumere diverse forme e colori rendendo unici questi splendidi animali. Ma lo sapevate che il carattere di un gatto dipende anche dal colore e dalla forma del suo pelo?
Alcuni studi hanno dimostrato che i gatti neri si adattano alla vita domestica più facilmente rispetto ai gatti dal pelo striato. Questo dipende da un abbondanza di “geni della cooperazione” che ha reso i felini dal pelo nero più facili da addomesticare.
Altri gatti molto socievoli sono quelli dal pelo rossiccio o color crema. Secondo alcuni ricercatori inglesi sono molto legati ai loro proprietari e tendono a fare più capricci quando vengono affidati agli sconosciuti, ad esempio, durante le vacanze.
I gatti in generale meno socievoli sono quelli tigrati che hanno una personalità più indipendente rispetto ai mici di altri colori.
Il colore del pelo influenza quindi la socievolezza o l’aggressività del gatto e il temperamento caratteriale che ne deriva si ripercuote anche nelle relazioni sociali. Nelle colonie di gatti randagi i ricercatori hanno riscontrato  che i gatti più aggressivi hanno spesso delle dispute con gli altri gatti e dedicano poco tempo all’accoppiamento mentre quelli più tranquilli aspettano la loro occasione per accoppiarsi riuscendo a trasmettere più facilmente i loro geni.
Adesso sapete perché in una colonia felina non troverete quasi mai un colore di pelo dominante!
Come abbiamo visto, forme e colori del pelo possono incidere sul carattere del gatto ma, ovviamente, ci sono numerose eccezioni.
Qual è il colore del vostro gatto? E’ socievole o aggressivo? 

La fiamma di Atar. Capitolo 9. And now my watch begins.



Quando Elisabetta uscì dalla biblioteca, Luca Bosco ritrovò il suo equilibrio interiore, quello che, come si è detto, lo rendeva, per indole, simile a un gatto che vagava nelle notti di luna piena.
Certo quell'affascinante studentessa rappresentava un problema notevole,
Sa troppe cose ed è disposta a tutto per accedere alla Flamma Ataris.
Ma su quel punto, gli Iniziati agli Arcani Supremi, che controllavano la biblioteca del dipartimento di storia delle religioni, erano stati chiarissimi:  la Flamma Ataris  ufficialmente non si trovava lì e di conseguenza nessuno poteva avervi accesso, tranne gli adepti della setta.
Io non sono un Iniziato, ma sono un Guardiano. E la mia guardia comincia adesso. 
"And now my Watch begin", avrebbero detto i guardiani della Barriera dei romanzi di George Martin.
La conoscenza che Luca aveva sul contenuto della Fiamma di Atar era piuttosto limitata.
Dicono che si tratti di una interpretazione zurvanista del mazdeismo, e quindi una dottrina pre-manichea.


A tal proposito l'enciclopedia Treccani così recitava:
"Il principale mito dello z. è raccontato dall’armeno Eznik di Kolb: Zurvān compie sacrifici per avere una progenie; decide in seguito di consegnare la regalità del mondo al primogenito, e la consegna ad Ahriman, che nasce primo di due gemelli, stabilendo nel contempo che la dominazione arimanica si estenderà per una durata delimitata, alla fine della quale trionferà il gemello buono, Hormizd (cioè Ōhrmazd, Ahura Mazdā).
Senza dubbio si può ravvisare nello z. una corrente pessimistica, con forti analogie con tematiche di tipo gnostico. Non per nulla il manicheismo, in Iran, farà di Zurvān, e non di Ōhrmazd, la sua divinità suprema. Una comparazione fra Zurvān e Ōhrmazd all’interno del mazdeismo pone in luce, in ogni caso, la non sovrapponibilità e la non equivalenza di queste figure divine ritenute spesso in concorrenza: Ōhrmazd resta sempre il principio luminoso, attivo, combattente contro le tenebre arimaniche, mentre il Tempo Limitato (Zurvān i kanäragōmand) non è che lo strumento che porterà alla vittoria la luce, e il Tempo Illimitato (Zurvān ī akanārag) altro non è se non la condizione iniziale di quiete perfetta da cui il moto ebbe origine."


In ogni caso si trattava di una versione "gnostica" della religione. 
A Luca venne in mente il simbolo dello gnosticismo: la croce celtica. Ripensò al significato di quel simbolo e della parola che stava ad indicare. Il cerchio era il simbolo solare, quello dell'eterno ritorno. La croce non era solo il simbolo cristiano: compariva in tutte le religioni, quasi sempre in connessione al simbolo solare, indicandone la propagazione della luce e della fiamma.



Lo gnosticismo era la terza fase delle religioni. La prima fase era il profetismo. Ma quando la profezia non si avverava, allora scattava la seconda fase, ossia il pensiero apocalittico, ma quando anche l'apocalisse non si avverava, allora non restava che la gnosi.
Ma qual era il significato dello gnosticismo?

Lo gnosticismo è un movimento filosofico-religioso, molto articolato, la cui massima diffusione fu tra il II e il IV secolo dell'era cristiana. Il termine gnosticismo deriva dalla parola greca gnósis (γνῶσις), «conoscenza». Una definizione piuttosto parziale del movimento, basata sull'etimologia della parola, può essere: "dottrina della salvezza tramite la conoscenza". Mentre il cristianesimo tradizionale (così come definito dai concili ecumenici) sostiene che l'anima raggiunge la salvezza dalla dannazione eterna per grazia di Dio principalmente mediante la fede, per lo gnosticismo invece la salvezza dell'anima dipende da una forma di conoscenza superiore e illuminata (gnosi) dell'uomo, del mondo e dell'universo, frutto del vissuto personale e di un percorso di ricerca della Verità. Gli gnostici dunque erano "persone che sapevano", e la loro conoscenza li costituiva in una classe di esseri superiori, il cui status presente e futuro era sostanzialmente diverso da quello di coloro che, per qualsiasi ragione, non sapevano.
Lo gnosticismo descrive un insieme di antiche religioni il cui principio base era l'insegnamento attraverso il quale si può fuggire dal mondo materiale, creato dal Demiurgo, per abbracciare il mondo spirituale. Gli ideali gnostici furono influenzati da molte delle antiche religioni che predicavano tale gnosi (variamente interpretata come conoscenza, illuminazione, salvezza, emancipazione o unicità con Dio), che, a seconda del culto in questione, poteva essere raggiunta praticando la filantropia, tale da raggiungere la povertà personale, l'astinenza sessuale (per quanto possibile per gli ascoltatori, completamente per iniziati) e una diligente ricerca della saggezza aiutando gli altri.
Nello gnosticismo il mondo del Demiurgo è rappresentato dal mondo inferiore, che è associato con la materia, la carne, il tempo e più particolarmente con un mondo imperfetto, effimero. Il mondo di Dio è rappresentato dal mondo superiore ed è associato all'anima e alla perfezione. Il mondo di Dio è eterno e non rientra nei limiti della fisica. È impalpabile, e il tempo non esiste. Per arrivare a Dio, lo gnostico deve raggiungere la conoscenza, che mescola filosofiametafisica, curiosità, cultura, saperi e i segreti della storia e dell'universo[3][4].
Per quanto insoddisfacente possa sembrare questa definizione, l'oscurità, la molteplicità e la confusione dei sistemi gnostici permettono difficilmente di formularne un'altra.
Lo gnosticismo è principalmente definito in un contesto cristiano[5][6]. In passato, alcuni studiosi ritennero che lo gnosticismo aveva predatato il cristianesimo e incluso credenze religiose pre-cristiane e pratiche spirituali comuni al cristianesimo delle origini, al neoplatonismo, al giudaismo ellenistico, alle religioni misteriche greco-romane e allo zoroastrismo (specialmente per ciò che riguarda lo zervanismo). La discussione sullo gnosticismo è cambiata radicalmente con la scoperta dei Codici di Nag Hammadi, i quali condussero gli studiosi ad una revisione delle precedenti ipotesi.

File:Dialogue of the Savior.jpg

Quella era sostanzialmente la fede di Luca Bosco e il motivo per cui aveva accettato di proteggere il documento che maggiormente si faceva veicolo di essa: la Flamma Ataris, la fiamma di Atar.

Tatari di Crimea, l'elemento islamico tra Russia e Ucraina



Nella Crimea contesa da Mosca e Kiev è in corso anche la partita musulmana, capace di coinvolgere più giocatori e di riaccendere l'antica rivalità fra Russia e Turchia.

«Per noi è di estrema importanza difendere la presenza dei nostri fratelli di sangue in Crimea», ha dichiarato il 6 marzo il ministro degli Esteri anatolico Ahmet Davutoğlu, «i tatari sono gli abitanti originari della penisola, i padroni di quelle terre. In Ucraina hanno vissuto come cittadini uguali agli altri, in pace, e la Turchia farà fronte comune per i loro diritti».

Che i tatari, musulmani turcofoni originari della Crimea, abbiano vissuto in pace e come uguali durante la presidenza Yanukovich e quelle precedenti è una tesi discutibile. È invece indiscutibile il fatto che la maggior parte di loro non faccia i salti di gioia alla prospettiva di un’annessione alla Madre Russia.

«Il referendum non è legale, nessuno in Crimea dovrebbe andare a votare il 16 marzo, chiedo a tutti di boicottare le urne», ha tuonato Refat Chubarov, presidente del Mejlis, l’organo di rappresentanza ufficiale dei tatari di Crimea. Più aspro Mustafa Dzhemilev, ex presidente dell'organo e ora deputato a Kiev.

«Se dovremo usare la violenza per contrastare gli invasori, lo faremo. Le unità dei tatari di Crimea sono in fase di mobilitazione e pronte per la guerra». Sfumature diverse di un odio comune, che rispecchiano le paure di un’intera comunità.

Musulmani nel Mar Nero

I tatari sono un popolo di origini e lingua turca, arrivato in Crimea nel XV secolo insieme a Gengis Khan e rimasto fino a quando Stalin ne ordinò la deportazione in Asia Centrale (1944). Dal 1967 è iniziato il controesodo ma è solo con la caduta dell’Urss che il flusso dei rimpatriati è diventato significativo.

Oggi, secondo varie stime, i tatari costituiscono tra il 12 e il 16% della popolazione della Crimea (sono circa 300 mila), ma non si sono inseriti benissimo: i 3/4 di loro vivono nelle aree rurali, spesso in abitazioni semi abusive prive di allacciamenti a gas e acqua. Hanno istituito un Mejlis per rappresentarli ma finora sono riusciti a ottenere solo 15 scuole (su 576 presenti nella regione) e nella maggior parte dei casi costruiscono moschee con finanziamenti stranieri.

Nelle città si vedono poco e tengono un basso profilo. Per sopravvivere in uno Stato che non brillava per la tutela dei diritti individuali o collettivi, hanno alternato le rivendicazioni ai compromessi attraversando momenti difficili nel 2010 - con il ritorno alla presidenza di Yanukovych - ma riuscendo comunque a difendersi dalle offensive dei più sciovinisti tra i russi di Crimea attraverso il dialogo con Kiev.

A febbraio 2012 la situazione si è aggravata di nuovo, con una dura contestazione nei confronti dei rappresentanti del Mejlis, criticati da buona parte della comunità tatara per la loro inefficienza e passività. A cavalcare il malcontento una strana alleanza costituitasi in seno alla presidenza ucraina in un organo definito Consiglio del popolo tataro di Crimea. A farne parte organizzazioni musulmane radicali, ong varie (anche finanziate dall’Onu) e il Milly Firka, unico gruppo tataro filo-russo: nella sostanza un fronte filo-governativo pronto a raccogliere gli alleati più discutibili pur di mettere in crisi l’establishment tataro, tradizionalmente sostenuto dal governo turco. Lo stesso Anatoly Mogilev, presidente del consiglio della Crimea nominato da Yanukovich, era già conosciuto per i suoi sentimenti anti-tatari, la sua inclinazione a sfruttare i reparti speciali berkut per attaccare manifestanti pacifici e un articolo del 2008 in cui faceva apprezzamenti sulle deportazioni staliniane.

Cosacchi e Forze speciali russe potrebbero riuscire a compattare la comunità,mentre le autorità del Mejlis si candidano a guidare il fronte anti-Cremlino ricorrendo al sostegno dei loro storici alleati: i turchi. Il deputato tataro Mustafa Dzhemilev, infatti, ha rassicurato la sua gente che Ankara interverrà se la crisi dovesse peggiorare.

Per ora le iniziative turche sembrano ridursi a proclami di solidarietà e tiepidi tentativi di trovare una soluzione diplomatica. Come quello del presidente del parlamento turco Cemil Cicek: «La Crimea è nel nostro cuore e parte del nostro spirito. I nostri fratelli hanno sofferto più di chiunque altro e noi siamo con loro». O come la solidarietà espressa dal ministro degli Esteri Davutoglu: «Il futuro dei nostri parenti, i tatari di Crimea, è la priorità per noi. La pace è essenziale per la Turchia e faremo tutto ciò che è necessario per questo scopo». Infine, il premier Erdoğan: «Ho parlato al telefono con Putin assicurandomi che protegga i diritti dei tatari. Finora non abbiamo lasciato soli i nostri fratelli e non lo faremo nel futuro».

La contrapposizione frontale con i russi non piace a nessuno. Nemmeno al presidente del Mejlis Chubarov, che chiede di boicottare il referendum ma suggerisce anche di formare una commissione «composta da membri di tutti i partiti» per studiare la situazione della Crimea e trovare una soluzione pacifica. Qualcuno ha insinuato che il leader tataro abbia già incontrato i rappresentanti del nuovo parlamento filo-russo della Crimea (lui smentisce); sicuramente li hanno incontrati gli esponenti del Millyi Firka, il movimento tataro sostenuto da Mosca, che si è dichiarato favorevole al nuovo status quo.

Musulmani di tutte le Russie

Chubarov smentisce anche di aver incontrato il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, ma non può negare che l’ex guerrigliero ora alleato di Putin abbia offerto il suo aiuto umanitario alla Crimea. Kadyrov sostiene che attingerà al fondo caritatevole intitolato al padre per sostenere gli «amici tatari», ma che questi ultimi «devono mantenere la calma e non farsi trascinare in mosse anti-Mosca». Il presidente sostiene di voler assistere anche la popolazione «russa, cosacca e cecena» di Crimea: «dobbiamo difendere la nostra gente. E a questo scopo possiamo diventare operatori umanitari, peacekeeper, soldati».

Per calmare le acque tra musulmani e Mosca è arrivato anche Rustam Minnikhanov, presidente della repubblica russa del Tatarstan, volato in Crimea proprio mentre veniva annunciato il referendum per l’annessione. Minnikhanov è arrivato a Simferopoli per firmare un accordo di cooperazione con il nuovo premier de facto della Crimea Sergey Aksyonov, gelando le aspettative dei cugini tatari e limitandosi a blandirli con promesse di scambi culturali in nome di «religione, lingua e cultura condivise». Siamo uguali, insomma, ma se volete una mano dovete stare dalla parte giusta.

Sarà compito del nuovo capo dei servizi di sicurezza della Crimea, Petr Zima, far capire loro quale sarà la parte giusta. Questi ha già promesso guerra agli islamici con simpatie radicali. Il suo obiettivo, dice, non sono i tatari del Mejlis, ma i fondamentalisti di Hizb ut Tahrir, «un’organizzazione terrorista» che va colpita con forza.

Il premier Aksenov ha immediatamente allargato lo spettro dei nemici: «Useremo la forza contro coloro che non vorranno collaborare con le autorità». La risposta di Hizb ut Tahrir, che nella penisola fa in realtà ben pochi proseliti e che finora non ha mai inneggiato alla violenza, non si è fatta attendere. Il suo leader Fazil Amazayev ha dichiarato all’Independent che a ogni attacco corrisponderà un contrattacco e ha ricordato che Zima, ex capo della sicurezza a Sebastopoli, è noto per la sua propensione a ordinare raid "facili" contro i presunti estremisti. «Noi e l’establishment tataro», dice Amazayev, «abbiamo avuto parecchie controversie nel passato, ma adesso siamo uniti da un nemico comune. Sappiamo come sopravvivere, lo abbiamo fatto in Siria, Egitto, Libia e Tunisia».

Più soli resteranno i tatari, più forte i venti del fondamentalismo spazzeranno il Mar Nero.

[Carta di Laura Canali tratta da Limes 2/14 "Grandi giochi nel Caucaso"]

Boschi incantati 2



Elegantissima: col suo look odierno, Maria Elena Boschi conferma che la camicia bianca è un must imprescindibile!











Lo stress si eredita prima ancora di venire al mondo



We intuitively understand, and scientific studies confirm, that if a woman experiences stress during her pregnancy, it can affect the health of her baby. But what about stress that a woman experiences before getting pregnant — perhaps long before?

It may seem unlikely that the effects of such stress could be directly transmitted to the child. After all, stress experienced before pregnancy is not part of a mother’s DNA, nor does it overlap with the nine months of fetal development.
Nonetheless, it is undeniable that stress experienced during a person’s lifetime is often correlated with stress-related problems in that person’s offspring — and even in the offspring’s offspring. Perhaps the best-studied example is that of the children and grandchildren of Holocaust survivors. Research shows that survivors’ children have greater-than-average chances of having stress-related psychiatric illnesses like post-traumatic stress disorder, even without being exposed to higher levels of stress in their own lives.
Similar correlations are found in other populations. Studies suggest that genocides in Rwanda, Nigeria, Cambodia, Armenia and the former Yugoslavia have brought about distinct psychopathological symptoms in the offspring of survivors.
What explains this pattern? Does trauma lead to suboptimal parenting, which leads to abnormal behavior in children, which later affects their own parenting style? Or can you biologically inherit the effects of your parents’ stress, after all?

It may be the latter. In a study that I, together with my colleagues Hiba Zaidan and Micah Leshem, recently published in the journal Biological Psychiatry, we found that a relatively mild form of stress in female rats, before pregnancy, affected their offspring in a way that appeared to be unrelated to parental care.

Cosa spaventa i gatti?

gatto spaventato coda

Quali sono le cose che inducono il nostro amico felino a rizzare il pelo, soprattutto nella coda, ed inarcare la schiena? Questa è infatti la reazione del gatto a qualcosa che lo spaventa; un sistema particolare che adotta per sembrare più grande e più temibile agli occhi del potenziale nemico.
Questo nemico può essere identificato in un cane o in un rumore improvviso. Una caratteristica fondamentale nei gatti è che vivono in costante stato di allerta, sempre vigili verso possibili nuovi pericoli. Forse questa loro caratteristica è data dalla loro natura felina, per la quale devono andare a caccia di cibo e vivere in costante attenzione verso potenziali predatori.
gatto terrorizzato
Un’altra particolare caratteristica è il loro vivere nel presente. Avvertono la paura nel momento in cui si presenta il pericolo e i loro timori sono tutti causati da paure reali. Al contrario dell’uomo infatti il gatto non avverte paura per cose immaginarie come fantasmi, i presagi e le maledizioni. Sono molto più razionalisti di noi. Proprio questa caratteristica gli permette di passare dalla paura alla calma in un attimo. Passato il momento di scongiurato pericolo torna alla sua attività preferita: il divano.
Come abbiamo già evidenziato solo le cose reali sono in grado di spaventarlo: le cose che non conoscono e di cui temono la reazione. Il gatto può andare d’accordo anche con il suo “nemico” per eccellenza: il cane.
Se adottiamo un gattino ed il cane si trova già nel nostro appartamento il nuovo arrivato imparerà a scoprire pian piano il comportamento del cane e arriverà a non temere più le sue reazioni. La stessa sicurezza e tranquillità che mostra verso il cane di casa si riflette anche nell’ambiente che lo circonda.
Il gatto ama vivere in ambienti che oramai conosce, dei quali è in grado di prevenire le insidie. Per questo motivo sono per carattere poco inclini ai cambiamenti.

Monete rare: tutte le lire che i collezionisti cercano





Guardate nei vostri cassetti di casa, potreste avere una fortuna senza saperlo.
Esistono delle monete rare che sono oggetto di ricerca da parte dei collezionisti: si tratta delle  monete “proof” o di prova, rarità che gli esperti del settore si contendono alle aste.
In particolare, le monete “proof” sono monete “a fondo specchio” poiché quando si tratta di monete prodotte per prova, spesso non vengono stampate in tutti i particolari.
  • 500 lire in argento di prova del 1957: la cosiddetta “3 caravelle” poiché  su un lato vi erano riprodotte le caravelle di Cristoforo Colombo. La moneta tradizionale in ottimo stato vale all’incirca 100 euro. La versione di prova, caratterizzata dalla stampa con le bandiere che sventolano a sinistra, vale fino a 10 o 15mila euro per una “fior di conio”.  Le versioni di prova della 500 lire con le tre caravelle furono stampate in appena 1004 esemplari.
  • 100 lire “Minerva prova” sono rare e possono valere anche 500 euro.
  • 50 lire “vulcano” possono valere 50-60 euro.
  • 10 lire di prova possono valere molte volte in più rispetto al valore originario.
  • 200 lire proof valgono poco anche se molto interessanti agli occhi dei collezionisti.