giovedì 24 settembre 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 86. La fine dell'innocenza

Love love this song. The End of the Innocence - Don Henley | My love  lyrics, Music memories, Lovely quote

L'estate del 1984 fu l'ultima pienamente felice nella vita di Roberto Monterovere e della sua famiglia.
Roberto aveva nove anni e fino ad allora le stranezze del suo carattere non avevano intaccato il suo buon umore.
A dominare su tutto c'era un'esigenza di libertà quasi selvaggia, tipica di chi è cresciuto in campagna, a diretto contatto con la natura, come una specie di ragazzo della jungla o di Tarzan, che preferiva la compagnia degli animali a quella degli esseri umani (eccettuati i familiari e pochi amici accuratamente selezionati, tra cui quella gatta morta di Vittorio Braghiri e alcuni compagni di classe).
Se fosse dipeso da lui, Roberto sarebbe vissuto tutto l'anno con i nonni materni a Villa Orsini, in campagna, nella Contea di Casemurate.
La sua residenza cittadina di Forlì non aveva ancora assunto il ruolo centrale di "casa" nel senso pieno del termine (la "home" inglese, per intenderci) e la villetta al mare di Cervia era stata fin dall'inizio un luogo ambivalente, teatro di esperienze mai del tutto positive, come avremo modo di vedere in seguito.
Casemurate era dunque il luogo dei piaceri e dei divertimenti, mentre Forlì era il luogo dei doveri e delle costrizioni.
In termini psicoanalitici si sarebbe potuto dire che Casemurate rappresentava il Principio del Piacere, mentre Forlì era la sede del Principio di Realtà, e dunque anche delle responsabilità sociali.
Questo, tuttavia, dipendeva solo in minima parte dal fatto che la scuola frequentata da Roberto si trovasse a Forlì, perché con i compagni di classe delle elementari andava d'accordo e negli studi andava bene, per quanto l'impegno diventasse sempre maggiore e richiedesse i primi sacrifici.
Le costrizioni maggiori non riguardavano lo studio, ma le attività sportive che i genitori gli avevano imposto in buona fede, secondo il principio mens sana in corpore sano.
Tali sport erano l'atletica e il nuoto. Entrambe erano per lui una gran seccatura, me mentre il nuoto, tutto sommato, gli piaceva, l'atletica, specie nei suoi aspetti agonistici, come la staffetta, era da lui vissuta in maniera ansiosa e stressante.
Allo stesso modo provava ansia da prestazione nei giochi infantili dell'epoca, tipo rubabandiera, che invece piaceva tanto ai suoi coetanei.
Ma la vera catastrofe, quella che avrebbe avuto conseguenze devastanti nella sua vita, era la sua negazione totale per gli sport di squadra, specie quelli che ruotavano intorno al pallone.
Nella prima infanzia si era limitato a provare disinteresse per quell'attività che gli pareva piuttosto stupida.
 Col passare del tempo, quando fu costretto a mettersi in gioco dalle circostanze, si rese conto di essere fisicamente deficitario per quel tipo di sport, a causa di una mancanza di coordinamento motorio ereditata dai geni dei Monterovere.
Quella presa di coscienza fu indubbiamente una ferita narcisistica, resa ancor più dolorosa dal malcelato atteggiamento di sufficienza che Vittorio Braghiri mostrava al riguardo nei suoi confronti, ma all'epoca Roberto non si era ancora reso conto di quanto quell'handicap avrebbe pesato negli anni futuri.
In fondo, a quei tempi, bastava tornare a Villa Orsini di Casemurate per dissipare ogni preoccupazione.
Quello era il suo paradiso e lì era pienamente felice.
Non si accorgeva delle crepe che stavano lentamente, ma inesorabilmente indebolendo quel "piccolo mondo antico".
Il nonno Ettore appariva preoccupato da molte questioni di cui parlava in gran segreto soltanto con i soci che insieme a lui controllavano il Feudo Orsini.
Persino il Salotto Liberty si era fatto più cupo.
La bisnonna Emilia, dietro raccomandazione dei medici, aveva gradualmente smesso di bere i suoi adorati vini, ma questo aveva depresso il suo umore e annientato la sua volontà di vivere.
La nonna Diana, oltre che essere preoccupata per la madre e il marito, era ormai ai ferri corti con la governante Ida Braghiri, e questo gelo tra la Contessa e l' "Arzdora" aveva raffreddato ulteriormente il clima del Salotto e non solo di quello.
Roberto aveva cercato di non dare troppo peso a questi segnali di crisi, ma un giorno, durante una passeggiata sulle rive del Bevano, Diana aveva deciso di rendere partecipe il nipote di alcune questioni che non potevano essere più taciute.
Avevano superato il filare dei gelsi e si erano seduti nel boschetto di querce sorto intorno ad un'antica torretta di guardia degli Orsini, un rudere che la Contessa di Casemurate aveva sempre considerato come un luogo di pace, profonda intimità, adatto alla meditazione, ma anche alle confidenze.

Roccolo in bosco di querce secolari, Ravenna - Quatarca Immobiliare

<<Roberto, tu stai crescendo, e credo sia giunto il momento di dirti alcune cose. 
Vedi, la nostra famiglia ha una lunga storia, non sempre piacevole.
Tu hai visto finora soltanto il lato buono di questa storia, come era giusto che fosse, ma sarebbe sbagliato far finta che non esista anche un lato, come dire, meno buono>>
Il nipote si ricordava le parole di Ettore riguardo alla famiglia Braghiri e quindi capì subito l'argomento di quella conversazione:
<<Il nonno mi ha detto che Michele Braghiri ha fatto delle cose cattive contro la nostra famiglia e che devo stare in guardia dalla sua famiglia, compreso il mio amico Vittorio>>
Diana sospirò:
<<Be', vedi, la situazione è un po' più complessa.
Quello che intendo dire è che non ci sono innocenti in questa casa e in questo clan composto da tante famiglie legate tra loro da vincoli non sempre basati sull'onestà.
Certo, Michele Braghiri ha fatto cose orribili, molto peggiori di tutti gli altri, ma ha potuto farle perché nessuno di noi aveva il coraggio di denunciarlo. E questo perché ognuno di noi aveva qualcosa da nascondere. Non potevamo permetterci uno scandalo, non dopo tutti i sacrifici che avevamo fatto per salvare il Feudo Orsini dalla bancarotta.
Ora Michele è morto, e in circostanze disonorevoli, che hanno reso ancora più vendicativa la sua vedova. La nostra Governante, che ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo a Villa Orsini, ora è più potente che mai, e questo perché da qualche parte ha un archivio in cui conserva documenti che potrebbero causarci dei problemi>>
Roberto aveva sempre rifiutato di credere alle malelingue che sputavano veleni di ogni genere contro il clan Ricci-Orsini, ma ora si rendeva conto che dietro a quelle insinuazioni c'era qualche verità:
<<La signora Ida sta ricattando il nonno?>>
Diana sorrise, ma i suoi occhi erano tristi:
<<Magari lo stesse solo ricattando. No, lei vuole rovinarlo. E' istigata da Massimo, lo sappiamo tutti. Fintanto che Michele era vivo, la famiglia Braghiri si era limitata al ricatto, ma adesso che sono ricchi non hanno più bisogno di ricattarci. Non so esattamente cos'abbiano in mano, ma credo che si tratti di documenti riguardanti la gestione economica del Feudo Orsini e delle altre proprietà di Ettore. Ogni singolo atto è stato firmato sia da Michele Braghiri che da Ettore Ricci, ma adesso che Michele è morto, e la sua reputazione già screditata, a rischiare è soltanto tuo nonno.  Io non credo che lui fosse del tutto consapevole di cosa stava firmando. Si è fidato troppo di Michele, allo stesso modo in cui tu ti fidi troppo di Vittorio>>
Fino a quel momento Diana non aveva mai preso apertamente posizione contro Vittorio, e questo fu particolarmente doloroso per Roberto:
<<Anche tu ti metti contro l'amicizia tra me e Vittorio!>>
Diana era molto dispiaciuta:
<<A lungo ho osservato quel ragazzo. E' ambiguo, come lo era suo nonno e ha un'immensa adorazione per suo padre Massimo, il quale non ha mai fatto mistero del rancore che nutre nei confronti di tutti noi. Io non so quando scoppierà apertamente la guerra tra la sua famiglia e la nostra, ma so per certo che, quando questo momento arriverà, lui non avrà remore a usare contro di noi tutte le confidenze che gli hai fatto in questi anni>>
Roberto inarcò le sopracciglia:
<<Ma io gli ho detto solo cose di poca importanza... cose da ridere... episodi buffi, niente di più>>
Diana annuì:
<<E lui, quante "cose da ridere", quanti "episodi buffi" ti ha raccontato sulla sua famiglia?>>
Roberto cercò di ricordare, ma non gli venne in mente niente.
Alla fine dovette ammettere che sua nonna aveva ragione:
<<Nessuno... non mi ha raccontato mai niente che potesse mettere in ridicolo i suoi parenti. Se ne parla, è solo per elogiarli>>
Diana sospirò:
<<Come vedi, non c'è reciprocità nella vostra amicizia. Tu ti confidi, ma lui non lo fa. Tu sei autoironico, il che è un segno di intelligenza e di umiltà, lui invece si prende tremendamente sul serio. E potrei continuare così per ore>>
Roberto incominciò a vedere l'amico con occhi diversi, e questo gli provocò un immenso dolore:
<<Cosa mi consigli di fare? Non posso e non voglio essere io a rompere l'amicizia con Vittorio>>
La Contessa di Casemurate sorrise, e questa volta c'era tenerezza nei suoi occhi:
<<Tu sei un'anima candida, così come lo ero io alla tua età. Ma il candore da solo non basta. E' necessaria anche la prudenza.
Il mio consiglio è di essere molto prudente, e di ricordare un famoso passo del Vangelo dove sta scritto: "Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque candidi come colombe e prudenti come serpenti. E guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe".>>



martedì 15 settembre 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 85. L'illusione di un'amicizia

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Nessuno esce indenne da ciò che legge, e questo vale a maggior ragione per chi mostra fin da bambino una propensione per la lettura, come accadde a Roberto Monterovere.
E' chiaro che nell'infanzia si leggono per lo più testi di fiabe o di romanzi d'avventure ambientate in universi fantastici.
In questi romanzi i grandi temi della vita sono spesso idealizzati: il Bene, il Male, la lealtà, l'altruismo, l'amore e l'amicizia.
"Illusioni! Ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore", scriveva giustamente Ugo Foscolo, e molto tempo dopo la psicanalisi gli avrebbe dato ragione.
Senza illusioni l'Io non può vivere, poiché esse sono i suoi meccanismi di difesa dalla spaventosa cognizione della propria inadeguatezza di fronte al duplice assalto delle pulsioni interiori e dell'assurda ingiustizia della vita reale.
Schiacciato tra l'impetuoso Principio del Piacere e l'opprimente Principio di Realtà, l'Io si costruisce una rappresentazione del mondo che è nel contempo salvagente, scialuppa di salvataggio e ancora di salvezza.
Ci aggrappiamo alle illusioni perché in fondo, nonostante la rappresentazione della realtà sia sconfortante, c'è in noi una forza cieca, sorda e ostinata, che Schopenauer chiamava Wille zum Leben, la "volontà di vita", che ci spinge a credere a qualunque cosa pur di legarci a questa esistenza, come fossimo ostriche che si attaccano pervicacemente ad uno scoglio in un mare in tempesta.
E' per questo che abbiamo un disperato bisogno di credere in un'idea o in una persona idealizzata.
L'amicizia spesso nasce da un'iniziale idealizzazione, destinata col tempo a ridimensionarsi, pur conservando un'illusione di fondo, e cioè l'idea che noi ci facciamo delle persone per giustificare ai nostri occhi il fatto di provare emozioni di vario genere nei loro confronti.
Questo è vero in modo particolare nel periodo che va dalla tarda infanzia alla fine dell'adolescenza, in cui spesso si sceglie una persona come "migliore amico o amica", che naturalmente si pensa rimarrà tale "per sempre", almeno fino a quando non si trova un "nuovo migliore amico/a".
Qualcosa di simile accadde all'amicizia tra Roberto Monterovere e Vittorio Braghiri, che per tutto il tempo delle scuole elementari si professarono reciprocamente, e con la massima convinzione e partecipazione, "migliori amici per sempre" (oggi i nativi digitali direbbero best friends forever abbreviandolo in b.f.f.).
Eppure sia Roberto che Vittorio avrebbero dovuto accorgersi che l'illusione che teneva in piedi la loro amicizia si stava sgretolando sotto i loro occhi.
Entrambi erano molto orgogliosi e molto legati alle proprie famiglie, tra le quali ormai c'era una rivalità crescente, per quanto tenuta a freno proprio dal legame tra i due rampolli.
Roberto però pensava, sbagliando, che Vittorio non desse troppa importanza a quel clima competitivo generato dai rispettivi genitori.
Il giovane Braghiri, infatti, nonostante avesse seppellito nel giro di pochi mesi il nonno materno (il giudice De Gubernatis) e quello paterno (l'amministratore delegato Michele Braghiri), manteneva un atteggiamento apparentemente distaccato e imperturbabile.
E tuttavia, a ben vedere, qualche segnale di allontanamento, da parte di Vittorio, c'era stato.
Per esempio, quando suo padre, Massimo Braghiri, aveva comprato la macchina nuova, una Ford Escort metallizzata, Vittorio aveva interrotto la tradizione secondo cui, ad ogni gita organizzata dalle due famiglie dietro insistenza dei ragazzi, questi ultimi salivano nella stessa automobile, a turni rigorosamente alterni.
Quando per la prima volta Vittorio, pur dovendo, nel rispetto dei turni, salire con Roberto sulla Citroen azzurra dei Monterovere, preferì correre, all'ultimo minuto, nella nuova Ford paterna, il giovane Monterovere rimase talmente scosso da non riuscire a proferir parola per il resto della giornata, che si concluse infatti in un fallimento clamoroso, per la gioia di Massimo Braghiri.
Va detto però che il giorno dopo, Vittorio, per scrupolo di coscienza, invitò Roberto al cinema a vedere Indiana Jones e il tempio maledetto, e tutto sembrò tornare come prima.
Ma non era affatto così.
Persino il cinema era destinato a diventare un terreno "divisivo" (come oggi si usa dire), in quanto i loro padri divergevano anche riguardo ai gusti relativi al grande schermo, come già era emerso anni prima nella vexata quaestio su Fellini, difeso dai Monterovere e stroncato dai Braghiri.
Ma i figli avrebbero anche potuto sorvolare sulle divergenze paterne circa il cinema d'autore, se non ci fossero state altre divergenze tra i loro stessi gusti.
Vittorio Braghiri amava i film d'azione in stile Indiana Jones, che non dispiacevano del tutto nemmeno a Roberto Monterovere, il quale tuttavia preferiva il genere fantasy, ed era infatti entusiasta del film tratto dall'omonimo romanzo "La storia infinita".
Amavano entrambi la fantascienza, ed erano fan accaniti di Guerre Stellari, ma si trovarono divisi sulla resa cinematografica, da parte di David Linch, del capolavoro di Frank Herbert, Dune, uno dei pilastri della formazione narrativa di Roberto Monterovere.
Il paradosso era che Dune, come romanzo, era piaciuto anche a Massimo Braghiri, padre di Vittorio, che però, pur di contrastare i Monterovere, decise di stroncarne la resa cinematografica, soprattutto quando venne a sapere che lo stile visionario e impegnativo del film era stato definito "quasi felliniano" da Francesco Monterovere.
Da quel momento ogni occasione divenne buona per trasformare le serate al cinema e i successivi "cineforum" alla presenza dei rispettivi padri, in una specie di rissa da osteria.
Francesco e Roberto Monterovere esaltarono il brillante film Amadeus, divertente e immaginaria ricostruzione della presunta rivalità tra Mozart e Antonio Salieri, magistralmente interpretato dal grandissimo F. Murray Abraham.
A questo gioiello, i due Braghiri, Massimo e Vittorio, contrapponevano Terminator con Arnold Schwarzenegger, e a quel punto l'abisso che si scavò tra i due amici anche su questo tema divenne irreparabile.
Il velo di Maya dell'illusione si stava lacerando, e i rispettivi genitori riuscivano molto bene a mettere in risalto le differenze tra i loro figli.
Massimo Braghiri era fermamente convinto, e da tempo, che Roberto Monterovere fosse un inetto, un incapace, a cui tutto era piovuto dal cielo, senza alcun merito, e dunque destinato a scialacquare ogni cosa, fallendo in maniera completa e devastante.
Ora, ad essere onesti, Massimo non aveva tutti i torti, ma la sua colpa fu nell'aver attivamente e pesantemente contribuito all'avveramento di quella profezia.
Roberto aveva ereditato dal padre Francesco una certa "imbranatura" di fondo che in effetti lo danneggiava nelle questioni pratiche e negli sport, tranne il nuoto, dove comunque Vittorio eccelleva.
Al contrario, Vittorio era un po' meno brillante dal punto di vista intellettuale e i suoi rendimenti scolastici, pur buoni, erano inferiori a quelli, notevoli, del giovane Monterovere.
In una normale amicizia questo non sarebbe stato certo un problema, ma quella tra Roberto e Vittorio era tutto tranne che normale.
Vittorio, quasi a voler confermare il suo nome, voleva essere primo in tutto, e dunque non tollerava che Roberto fosse più bravo di lui a scuola.





E men che meno lo tollerava Massimo, il quale insinuava che in fondo Roberto fosse solo un detestabile "secchione" che studiava troppo perché non sapeva fare altro.
Questo disprezzo, però, avrebbe potuto giustificare il proverbio secondo cui "chi disprezza compra", dal momento che in segreto i genitori di Vittorio tenevano moltissimo ai suoi risultati scolatici e curavano di persona i suoi studi pomeridiani, essendo entrambi insegnanti.
C'era però un'altra questione, mai espressa a parole, eppure evidente nei fatti e cioè che Vittorio faceva sempre più fatica ad accettare il fatto che Roberto fosse destinato, almeno in teoria, ad ereditare un patrimonio molto più consistente del suo.
L'ingenuità di Roberto, su questo versante, era dovuta al fatto che i suoi genitori e i suoi nonni avevano cercato, proprio per evitare le invidie degli altri, di mantenere un profilo basso, per quanto possibile, per cui il giovane Monterovere non percepiva una gran differenza con Vittorio, su questo punto, anche perché le loro nonne materne erano sorelle, e la nonna paterna del giovane Braghiri esercitava, a Villa Orsini, un potere maggiore della stessa Contessa.
Alla fine però, ad aprire gli occhi a Roberto fu il nonno materno, il vulcanico Ettore Ricci.
Lo convocò per la prima volta nel suo "ufficio" a Villa Orsini, come se fosse una sorta di "iniziazione" ai sacri misteri.
<<Tua madre mi ha detto che tra te e Vittorio Braghiri c'è un po' di maretta>>
Roberto minimizzò:
<<Ma no... è solo che a volte non ci capiamo... e si litiga, ma è normale... poi alla fine torna tutto come prima>>
Ettore scosse il capo:
<<Sei un ingenuo, proprio come tuo padre. Ma per fortuna hai un nonno materno molto sveglio che ti aiuterà a farti strada nella vita. E la prima lezione è proprio questa. Bisogna imparare a non riporre troppa fiducia nelle persone, persino quelle che ci sembrano più amiche>>
Roberto aveva la risposta pronta:
<<Tu lo hai fatto proprio con Michele, il nonno di Vittorio!>>
Ettore sospirò:
<<Ed è stato il mio più grande errore. Ne ho pagato le conseguenze per tutta la vita.
Per questo voglio metterti in guardia dalla famiglia Braghiri! Sono invidiosi e sadici. Godono quando gli altri soffrono. Hai visto, l'anno scorso, com'erano felici quando hanno arrestato il povero Enzo Tortora? Verrà fuori che è innocente, ma intanto il danno è fatto, e la gente come i Braghiri si diverte un mondo a vedere gli innocenti in manette. Io credevo che mi sarebbero stati riconoscenti per il fatto di averli resi ricchi e di averli fatti entrare nel clan Ricci-Orsini, ma a loro questo non bastava. 
Loro vogliono essere al vertice di tutto , alla sommità, e non sopportano l'idea che noi li superiamo in molte cose>>
Roberto non poteva negare questo riguardo ai genitori di Vittorio:
<<Questo vale per Massimo ed Elisabetta, ma non per loro figlio. Io credo di conoscere molto bene Vittorio e sento che le cose a cui lui dà importanza sono altre>>
<<Per esempio?>>
<<Be', l'autocontrollo, le abilità pratiche e sportive, la realizzazione di grandi obiettivi con le proprie forze, senza l'aiuto della famiglia>>
Ettore Ricci sorrise:
<<In poche parole, dà importanza a tutto quello in cui ritiene di esserti superiore. Non ti dà da pensare, questa cosa?>>
Roberto sapeva che c'era un fondo di verità in tutto questo, ma non voleva credere che tali considerazioni fossero sufficienti per mettere in crisi un'amicizia:
<<A me non interessa la competizione>>
<<A te no, ma a lui sì. Ce l'ha nel sangue. Ricordo che suo padre, alla tua età, aveva così tanta rabbia dentro che si divertiva a spaventare i bambini più piccoli e a torturare gli insetti. Staccava le ali alle mosche o faceva annegare in acqua le formiche. Scommetto che lo fa anche Vittorio, non è così?>>
Era proprio così, ma Roberto non voleva fare la spia:
<<No, Vittorio è diverso, non è come suo padre>>
Ettore scosse il capo:
<<Forse è anche peggio. E' più furbo e più ipocrita. E' il classico tipo capace di pugnalare alle spalle qualcuno che gli è amico. Spero di sbagliarmi, ma temo che ti farà soffrire>>
Roberto non poté fare a meno di sentire un brivido di paura.
Dal più profondo della sua mente, l'orda degli spiriti animali dei suoi antenati lo metteva in guardia, allo stesso modo delle parole di suo nonno.
E il messaggio era quello istintivo e salvifico che aveva permesso ad una linea ininterrotta di generazioni di arrivare fino a lui; quel messaggio diceva: "Fuggi, prima che sia troppo tardi!".

mercoledì 9 settembre 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 84. Questo corpo mortale

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"Chi mi salverà da questo corpo mortale?" o, più alla lettera, "Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?" si chiedeva San Paolo nella Lettera ai Romani, dopo una lunga e severa ammonizione contro il rischio dei piaceri della carne.
Di certo il vecchio Michele Braghiri, uomo dai forti appetiti materiali, votato a Bacco, Tabacco e Venere, non si era mai posto domande simili.
Andava fiero della propria fama di donnaiolo, anche se poi, in fin dei conti, più che un Don Giovanni o un Casanova, era un mero frequentatore di bordelli, lupanari e, dopo essersi arricchito, di centri benessere con massaggiatrici irresistibili e studi dentistici con igieniste procaci e premurose.
Suo "compagno di merende", in queste "sollazzevoli istorie", era il suo datore di lavoro, il commendator Ettore Ricci, proprietario del Feudo Orsini e di tutte le aziende da esso controllate.
I due compari, messi insieme, sembravano il Gatto e la Volpe del Collodi, dove la volpe era certamente Michele, l'astuto amministratore di tutti i beni della famiglia Ricci-Orsini e in generale della Contea di Casemurate.
Erano due forze della natura e nulla a questo mondo poteva piegarli, ma come sappiamo c'erano altre forze in gioco, potenze oscure evocate nell'ombra e pronte a colpire.
Va detto che entrambi, pur facendosi beffe della credulità popolare, specie riguardo alla stregoneria, erano tuttavia superstiziosissimi, come chiunque fosse nato e cresciuto, ai loro tempi, nella Contea di Casemurate.
Nessuno, per esempio, confessava mai di essere malato, perché era implicito che la malattia rappresentasse o la conseguenza di una fattura, o, peggio ancora, una punizione divina.
Sia Ettore che Michele, in ogni caso, sembrava godessero di ottima salute, il secondo in particolare.
Il signor Braghiri si comportava come se avesse vent'anni, alludendo anche, in maniera nemmeno troppo velata, al suo vigore nella sfera sessuale.
E naturalmente nessuno si sognava nemmeno di pensare che un tale vigore potesse essere suscitato da una donna come sua moglie Ida, che anche negli anni migliori della gioventù, aveva sempre avuto tratti duri, volgari e grossolani.
Del resto la stessa Ida, pur idolatrando il marito, conosceva benissimo i suoi gusti per le ragazze giovani, e arrivava persino ad assecondare tali gusti.
In qualità di Governante (nel senso più imperioso del termine) di Villa Orsini, la signora Ida Braghiri assumeva e licenziava a suo piacimento le cameriere e quelle che lei chiamava sprezzantemente "le sguattere".
Era proprio in quest'ultima categoria che Michele Braghiri trovava prede da cacciare come fossero quaglie in un cortile recintato.
La brutalità dei suoi approcci era ben nota, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di denunciarlo o anche solo di richiamarlo a un comportamento più rispettoso, perché Michele Braghiri ricattava tutti quanti, a partire da Ettore Ricci, il padrone di Villa Orsini e del Feudo annesso.
Ma alla fine fu proprio durante una di queste molestie sessuali verso una giovane domestica che il patriarca della famiglia Braghiri tirò le cuoia.
Un infarto lo stroncò mentre stava palpeggiando la povera ragazza, la quale si difendeva con tutte le sue forze.
La morte non lo colse subito: gli lasciò trenta interminabili secondi, nei quali ebbe modo di rendersi conto del disonore che sarebbe piovuto addosso a lui, alla sua famiglia e non solo.
Questa dipartita si rivelò, infatti, doppiamente scandalosa, primo per il modo in cui avvenne e secondo per il luogo, ossia la Villa Orsini, il cuore della Contea di Casemurate.
La Governante e neo-vedova pagò una somma notevole alla ragazza in questione perché tenesse la bocca chiusa, ma la voce si sparse lo stesso, e si ingigantì, nell'immaginario popolare.
Mentre ancora si allestiva la camera ardente del defunto, i casemuratensi stavano già dipingendo un ritratto a tinte fosche di presunte orge con fanciulle minorenni, il tutto sotto la supervisione della Governante e con la tacita approvazione dei padroni di casa.
Ettore Ricci era furibondo e mentre fingeva cordoglio di fronte al feretro e al "corpo mortale" del suo amministratore delegato, lo malediceva in cuor suo per aver provocato un ennesimo scandalo, che si aggiungeva a tutti gli altri, accumulati in un quarantennio di vite spericolate delle varie persone e famiglie che avevano abitato sotto il nobile tetto degli Orsini di Casemurate.
La settantenne contessa Diana e la novantaseienne contessa-madre Emilia, si rifiutarono di comparire in pubblico, evitando persino il funerale, per prendere apertamente le distanze dal defunto, di cui conoscevano malefatte ben peggiori.
Ma quando Diana chiese al marito di licenziare Ida Braghiri, Ettore si rifiutò, facendo capire che tutte le prove su cui si basavano i ricatti del non compianto Michele erano passati nelle mani della sua vedova e dell'odioso figlio Massimo, di cui era meglio non suscitare le ire.
La Contessa però non si faceva illusioni: ormai Ettore era accerchiato, e con lui anche l'onore della famiglia Ricci-Orsini.
Correva l'anno 1984.

mercoledì 2 settembre 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 83. L'ora è fuggita

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"Si potrebbe anche morire felici, se si morisse davvero"
Questo era diventato uno dei pensieri e delle battute più frequenti dell'anziano giudice De Gubernatis, dopo che gli era stata diagnosticata una forma grave di sclerodermia sistemica progressiva.
Non temeva la morte.
A questo mondo ci sono innumerevoli cose estremamente peggiori della morte.
E allora cosa temeva?
Temeva forse le fiamme dell'Inferno o l'implacabile legge del Karma?
Difficile rispondere, dal momento che in lui lo scetticismo rimaneva prevalente.
Eppure, sentendo avvicinarsi la fine, se ne usciva con citazioni bibliche del tipo:
<<Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore!>>
Questi presagi inquietanti però non lo schiacciavano del tutto, poiché, se si escludevano alcuni episodi legati alla propria famiglia, riteneva di non avere colpe troppo gravi.
Certo, aveva fatto di tutto perché suo cognato Ettore Ricci fosse sempre scagionato non solo da ogni accusa, ma persino da ogni sospetto.
Per tutte le altre cause che aveva affrontato come Giudice, era sempre stato clemente, perché riteneva che, nella scelta tra giudicare e capire, il secondo punto fosse più importante.
Non sapremo mai se fu castigo o fu misericordia la sorte che gli toccò, dal momento che tutto ciò che accadde all'altra vittima della maledizione della strega Elvira, commissionata da Massimo Braghiri, fu molto peggio.
Ma di questo parleremo a suo tempo.
Guglielmo De Gubernatis si sentì male e fu ricoverato d'urgenza con una diagnosi di aderenze e blocco intestinale.
Si decise di operarlo, anche se il fisico era molto debole.
Prima di andare sotto i ferri, volle ribadire la sua frase più famosa, destinata a diventare proverbiale:
<<In fondo, si potrebbe anche morire felici... se si morisse davvero>>
La moglie Ginevra non capì e le figlie fecero finta di non capire.
I due generi, Massimo Braghiri e il poeta Adriano Trombatore, capirono benissimo, ma tacquero.
Guglielmo De Gubernatis morì sotto i ferri all'età di 81 anni, lasciando la famiglia nella costernazione più totale.
Le figlie Anna Trombatore ed Elisabetta Braghiri erano sconvolte, ma mai quanto la loro madre.
Ginevra Orsini, che si mise in lutto strettissimo.
I Monterovere l'andarono a trovare nella sua villa dei quartieri "bene" di Forlì.
Per tutto il tempo parlò del marito, tracciando di lui un ritratto agiografico, ben lontano dalla realtà.
<<Guglielmo era un marito fedele e un giudice integerrimo>>
Purtroppo, in verità, non era stato né l'uno né l'altro.
Forse gli altri potevano anche crederci, ma non la figlia di Ettore Ricci.
E tuttavia Silvia Monterovere mantenne con la zia Ginevra un atteggiamento di sincera commozione, perché il Giudice era stato sempre e comunque un vero amico per Ettore e la sua famiglia.
Forse era stato persino un buon padre per i suoi figli e questo era bastato a Ginevra per assolverlo da tutte le altre colpe.
O forse Ginevra aveva deliberatamente scelto di non vedere e di non sapere, anche perché chi non vuol lasciare tracce, non deve confessare neanche a se stesso eventuali scomode verità.
In compenso, Ginevra Orsini, vedova De Gubernatis, si diede ancor di più alle sue passioni: il pettegolezzo e i giochi a carte, specie a canasta, con le amiche attempate, vedove e arzille.
Una volta, durante una scala quaranta, raccontò alle comari di aver fatto un incubo terribile:
<<Ho sognato che Guglielmo era ancora vivo. E' stata una cosa spaventosa!>>
Da allora in poi la sua fama di vedova allegra si sparse ovunque, facendo scuotere il capo persino alla sua veneranda madre, Emilia Paolucci de' Calboli, vedova Orsini e Contessa Madre di Casemurate.
La stessa sorella maggiore, Diana, confidò al nipote preferito, Roberto, che Ginevra era sempre stata "una testa vuota" e forse De Gubernatis era stato infedele anche per questo.
Eppure, nell'avvicinarsi del trapasso, giunto ormai all'ultimo atto, quello de "l'ora è fuggita", si era pentito di quelle avventure.
E sicuramente si era anche pentito di aver insabbiato tante indagini, negando giustizia a Isabella Orsini, ad Arturo Orsini e a Federico Traversari.
Troppo tardi.
Ai funerali il vescovo tenne un'omelia terrificante;
<<Guglielmo De Gubernatis era un servitore dello Stato e un illustre esponente della Magistratura.
Ed ora io mi rivolgo allo Stato, mi rivolgo alla Magistratura! 
Io vi chiedo di identificare e di castigare esemplarmente tutti i pubblici ufficiali che abusano del loro potere, affinché essi non rimangano sempre impuniti. E ancor di più i loro mandanti, i loro corruttori, coloro che li hanno traviati dalla retta via>>
L'uditorio era sconvolto: il vescovo era considerato un uomo prudente, e nessuno avrebbe mai immaginato una simile invettiva.
<<L'opinione pubblica attende sempre che giustizia sia fatta e che non si possa nutrire il minimo dubbio sulla volontà efficace di giungere alla scoperta e alla dimostrazione della verità dei fatti>>
Ma il passaggio più drammaticamente efficace fu la perorazione finale, con tanto di apostrofe, invocazione e anafora:
<<Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di Chi mi contempla! 
Guarda, Signore, e fissa lo sguardo perché sto diventando spregevole agli occhi di Chi mi contempla!>>
Seguì un silenzio anomalo persino per un funerale.
Se De Gubernatis si fosse alzato dalla bara avrebbe suscitato meno scalpore.
Le allusioni del vescovo sconvolsero più di tutti Ettore Ricci, perché capì di esserne il destinatario.
Questo aumentò le sue già forti inquietudini.
Le morti di Guglielmo De Gubernatis e della Signorina De Toschi, così come la caduta politica del Senatore Leandri, lo avevano colpito profondamente, non tanto perché erano suoi parenti acquisiti, quanto piuttosto perché loro gli avevano sempre coperto le spalle ed adesso che non c'erano più, Ettore sapeva che le suddette spalle erano ormai pericolosamente indifese.

giovedì 27 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 82. Il Rito e l'Evocazione

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Erano le tre di notte, l'Ora del Lupo. La Veggente Elvira sapeva che il rito che stava per compiere avrebbe richiesto la sua stessa vita.
Non l'aveva detto al committente.
"Massimo è uno sciocco. Eppure la regola è molto chiara: una vita per un'altra vita."
La vita di una persona cara offerta in sacrificio per maledire la vita di una persona odiata.
"Credeva che bastasse offrire suo padre per maledire due persone. Ma i demoni conoscono la contabilità meglio degli uomini. Non a caso si dice che il denaro è lo sterco del diavolo".
Ci voleva un altro sacrificio, ed Elvira aveva saputo fin dall'inizio che questa volta toccava a lei.
"Lo faccio per te, Isabella! La tua anima ha vagato inquieta per troppo tempo in queste lande. 
Ma ora non più. Io sono vissuta fin troppo a lungo. Altre missioni mi chiamano, che potrò svolgere solo come spirito errante, mentre tu finalmente potrai ascendere"

L'Ultima Thule: Gothian. Capitolo 30. Masrek e Sephir Eclionner ...

Pronunciò la formula della vestizione, poi chiamò le sue sorelle e accolite: Iole, Irma ed Ermide, anch'esse istruite nelle Arti Oscure e iniziate agli Arcani Supremi.
<<Celebrerete il rito con me. Avete preparato le erbe per il calice e le suffumigazioni? In questo rito è necessaria la datura stramonium>>
Le accolite annuivano. Chi non conosceva i poteri dello stramonio, l'Erba del Diavolo?
<<Per la mia bevanda, occorre una dose mortale. Il demone deve riconoscere la serietà del mio sacrificio. E quando la vita mi abbandonerà, brucerete il mio corpo, e getterete le ceneri nel fiume. Nessuno vi chiederà niente, perché questa è terra di nessuno, e persino i Conti di Casemurate l'hanno sempre saputo, e non si sono mai immischiati nelle faccende del nostro ordine.
Oh, ne ho conosciuti tanti, di questi Conti. Vi sembrerà impossibile, ma ci fu un tempo, molto molto remoto, in cui io ero giovane, e bellissima. Fui l'amante di Ippolito Orsini, un pro-pro zio dell'attuale Contessa. Fu Ippolito a far costruire questa casa, assegnandomene la proprietà, compresi i terreni. Io l'avevo stregato con un filtro d'amore: gli ordinai di costruire sotterranei profondi, fino a che trovammo l'acqua, verde, che trasuda dai letti del Bevano e della Torricchia. Ed è proprio nella parte più profonda e buia dei sotterranei che è propizio celebrare il rito>>

L'Ultima Thule: 01/28/16

Scesero le scale e i vari livelli delle cantine, dov'erano conservate le erbe e le pozioni.
Arrivarono al penultimo piano sotterranei, quello che precedeva la verde palude.
<<Negli ultimi settant'anni sono stata la Signora dei Fiumi e delle Paludi, e la Somma Veggente di queste terre dimenticate da Dio.
Ippolito Orsini mi disse che nella sua Contea i santi non prosperavano: forse aveva ragione.
Dopo la mia morte, sarai tu, Iole, a succedermi, poiché sei la secondogenita e conosci l'Ars Magna quasi meglio di me.
E' fondamentale che voi continuiate a fingere di essere semi-analfabete: nessuno deve sospettare l'esistenza della nostra biblioteca di testi antichi, che probabilmente vale più dell'intero Feudo Orsini e di tutta la Contea di Casemurate!>>
Le sorelle annuirono.
<<Noi ci tramandiamo da generazioni una collezione di volumi rarissimi: il Grande Grimorio del 1522 (detto La Grande Chiave di Salomone) , il Legemeton, l'Ars Goetia e l'Ars Paulina (che compongono la Piccola Chiave di Salomone o Clavicula Salomonis), il Compendium maleficarum di Francesco Maria Guaccio, pubblicato a Milano nel 1608, la Pseudomonarchia Daemonum di Johann Weyer, ma soprattutto il De Horrido Delomelanicon (detto Le Nove Porte del Regno delle Ombre) di Aristide Torchia, nell'edizione veneziana del 1666, scritto a quattro mani con Lucifero, il che costò la vita a Torchia, in uno degli ultimi roghi dell'Inquisizione.

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Per non parlare dell'ultima copia esistente del Necronomicon, "Il Libro della Legge dei Morti".
Ma voi conoscete già questi testi, poiché siete siate Iniziate agli Arcani Supremi.
Nessuno deve sospettare la vera ragione per cui siamo qui.
Solo ora mi rendo conto che anche questo rito fa parte di un disegno più grande.
Sotto l'epidermide della Storia, pulsano le vene dei Sacri Misteri . Soltanto un individuo profondamente arrogante, limitato e abietto come Massimo Braghiri può illudersi di controllare simili forze dopo averle evocate. Ma questo sarà compito vostro. Il mio tempo ormai è finito>>
Tutto era pronto.
Furono pronunciate alcune formule latine, mentre dagli incensieri il fumo dello stramonio si diffondeva nell'aria, già greve per i miasmi della palude sotterranea.
Elvira prese il gesso ed iniziò a segnare su una lastra di ardesia, nel pavimento, il Sacro Cerchio e il Pentacolo Rovesciato, con la punta rivolta verso il basso.
Un brivido di paura la percorse, perché quello era il Simbolo Nero, malvagio e demoniaco, che ricordava, nella sua forma stilizzata, il Capro con le Corna, l'abietta icona di Satana.
Ma Elvira aveva scelto di evocare Eclion l'Oscuro Vendicatore, che nella gerarchia degli Inferi apparteneva alla Seconda Schiera, quella dei Principi. Il suo nome segreto era Arioch e il suo simbolo era la scimitarra.
Disegnò il simbolo di quell'arma a fianco del primo pentacolo.
Prese poi il coltello rituale e si incise la mano sinistra, dalla quale lasciò gocciolare il proprio sangue, come offerta sacrificale.
<<Salute a te, o Principe: ti offro carne incorrotta, con la mano sinistra te la porgo>>
Era l'inizio canonico di tutte le evocazioni dei demoni della Seconda Schiera, secondo la Via della Mano Sinistra.
<<Signore delle Vendettete, a te sacrifico me stessa e il corpo e l'anima dannata di Michele Braghiri, tre volte assassino.
Umilmente imploro la tua presenza affinché la tua scimitarra colpisca le vite di Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis, nel modo che riterrai opportuno.
Per questo con la Chiave del Re io apro il Varco Oscuro al tuo passaggio.
Benedetti siano il Vendicatore e la sua Sciabola, possa la loro Furia purificare il mondo!>>

L'Ultima Thule: L'Imperatore-Profeta di Gothian. Capitolo 59 ...

Una nebbia fitta salì dalla terra putrida.
In quell'angolo di mondo si stava aprendo un varco tra due dimensioni.
Elvira e le sue accolite pronunciarono una lunga formula intrisa di male: la lingua era latina, ma il contenuto era a tal punto oscuro che è cosa giusta e saggia non riferirne nemmeno una sillaba.
Infine, si era giunti al momento solenne:
<<Signore delle Vendette, Riparatore dei Torti, Difensore degli Innocenti, ascolta la mia supplica! Poiché questo mondo è stato creato per essere ingiusto e crudele, spesso nei confronti degli innocenti, io dico che nessuna vita ultraterrena può giustificare il tormento di un innocente. E se anche non ci fossero innocenti, nessuno può comunque giustificare, in questa vita, le atrocità commesse contro gli inermi. E dunque io dico: nessuna assoluzione!>>
Le accolite le fecero eco:
<<Nessuna assoluzione!>>
Ed Elvira riprese:
<<Mai perdonare, mai dimenticare! E se anche la colpa non fosse di nessun mortale, allora noi osiamo dire al Dio degli Eserciti: noi non ti perdoniamo!>>
E le accolite ripeterono:
<<Noi non ti perdoniamo!>>
Ed infine, l'ultima invocazione:
<<Per questo noi evochiamo Eclion l'Oscuro, Principe della Seconda Schiera degli Demoni Inferi, Signore delle Vendette, affinché compia giustizia, in questo mondo, perché soltanto da dove è venuta la malattia, potrà poi venire la guarigione. 
Così io dico e imploro, nella notte di luna nuova, nel mese di agosto dell'anno del Demiurgo 1983>>
Le accolite risposero:
<<Così sia>>
Poi porsero alla Somma Sacerdotessa la Coppa del Sacrificio, dove la pozione ricavata dai semi e dalle foglie di stramonio era stata versata in grande quantità.
La Veggente elevò la Coppa e bevve.
La bevanda era densa e il suo sapore estremamente amaro.
Pochi istanti dopo, Elvira si distese nella terra umida, sopra ai pentacoli, e perse conoscenza agli occhi del mondo.
Ma gli occhi della sua vista interiore le dissero che il rito aveva avuto successo: Eclion le apparve nella mente, in forma umana, con gli occhi color indaco e i capelli di un nero con riflessi blu.

L'Ultima Thule: Gothian. Capitolo 22. Lady Marigold svela gli ...

La sua voce era un'eco lontana.
"Finalmente qualcuno disposto a sacrificare se stesso, e per così poco, poi..."
Queste erano le parole di Eclion, nella mente della maga agonizzante.
"Ma penso che il tuo vero scopo fosse riaprire il Varco Oscuro una volta per tutte, per darmi tempo di portare a compimento un Grande Disegno. In fondo abbiamo molti nemici in comune. 
La tua anima, a me devota, potrà seguirmi agevolmente: basterà seguire la linea di sangue.
La Veggente provò un senso di trionfo e il suo ultimo pensiero fu: "Ho vinto".
Non appena Elvira spirò, sua sorella Iole raccolse i paramenti e il diadema e si incoronò "nuova Somma Sacerdotessa delle Paludi", e le sorelle minori le resero omaggio.


William Shakespeare | Fleurs du poem

venerdì 21 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 81. Menzogna e sortilegio

L'Ultima Thule: Gothian, Capitolo 1, Ellis Eclionner: Bellezza ...


Le più grandi bugie sono quelle che raccontiamo a noi stessi, senza nemmeno accorgercene, pur di non prendere atto di tutto ciò che ci causerebbe un dolore insopportabile.
Sono i cosiddetti "meccanismo di difesa dell'Io", menzogne che alleviano i sintomi, ma che non guariscono la malattia, e anzi concorrono alla costruzione di un "Falso Sé", che come un usurpatore finisce per sottomettere e schiacciare ciò che veramente siamo.
I nostri stessi ricordi sono una menzogna: le neuroscienze e la psicologia ci insegnano che la vita che ricordiamo non è mai quella che abbiamo realmente vissuto. E dunque anche l'opinione che ci siamo costruiti su noi stessi e sul mondo risente di queste falsità, di cui spesso noi non siamo consapevoli.
Nel caso di Massimo Braghiri, il livello di menzogna che l'Io raccontava a se stesso era necessariamente spropositato, poiché fin troppe volte aveva fallito nel raggiungere i propri ambiziosissimi obiettivi.
E proprio a causa dell'entità di questa menzogna, il "Falso Sé" che egli si era costruito attorno come meccanismo di difesa esigeva, ogni giorno di più, delle prove concrete che tutte le sue fanfaronate, comprese le minacce, fossero davvero realizzabili.
Dopo il Ferragosto del 1983, mentre sulle spiagge si cantava ancora "Vamos a la playa" dei Righeira, Massimo lasciò la famiglia al mare e si recò ufficialmente in visita ai genitori, a Casemurate.
Michele e Ida Braghiri erano di fatto "comproprietari" di Villa Orsini, nel senso che avevano un loro appartamento di lusso al secondo piano in comodato d'uso perpetuo, come ennesimo riconoscimento della loro insostituibilità nei ruoli di amministratore del Feudo e di governante della Villa.




Dopo aver pranzato con i genitori, Massimo raccontò al padre del netto rifiuto da parte del giudice De Gubernatis di collaborare al loro piano per incriminare Ettore Ricci.
Michele parve quasi sollevato:
<<Ma forse è meglio così, Massimo. In fondo io sono felice della vita che faccio e non serbo più rancore a nessuno. E considerando quello che ho fatto, posso dire che mi è andata bene>>
Massimo non credeva alle proprie orecchie:
<<Ma come? Per tutta la vita non hai fatto altro che pregustare il giorno in cui avresti distrutto Ettore e ti saresti impadronito del suo impero, e adesso molli tutto così, a un passo dal trionfo?>>
Michele annuì:
<<Sì, e ho le mie buone ragioni: se il giudice De Gubernatis fosse stato dalla nostra parte, allora, potevo contare sul fatto che mi avrebbe coperto le spalle, ma siccome il tuo caro suocero non intende aiutarci, se io denuncio gli illeciti finanziari di Ettore, ci finisco dentro fino al collo. Lui darà la colpa a me, in quanto sono l'amministratore delegato, e io, senza un magistrato compiacente, rischio di finire sotto accusa.
Insomma, come si suol dire, il gioco non vale la candela, è meglio che ti metti il cuore in pace, figlio mio>>
Ma Massimo non ne aveva nessuna intenzione.
Uscì nel giardino per sbollire la rabbia e poi si diresse verso il sentiero che portava all'argine del torrente Bevano.
Fu in quel momento che si fece strada dentro di lui un'idea.
Poteva sembrare una sciocchezza, per un uomo di scienza come lui, ma in fondo cosa costava provare?
Essendo cresciuto a Villa Orsini, gli era sempre stato facile arrivare all'antica casa, presso la confluenza tra il Bevano e il grande fosso Torricchia, dove abitava la centenaria erborista Elvira, che aveva fama di strega.
Fu proprio lì che si diresse.
Era un luogo al di fuori del tempo, una specie di universo parallelo.
Per accedervi bisognava attraversare un piccolo bosco, poi un orto botanico e infine un cortile con al centro un pozzo molto profondo.
La casa era in pietra grezza, ricoperta di muschio e di edera.
Un enorme numero di gatti la presidiava, e in particolare ce n'erano due di proporzioni enormi, che sostavano, come sfingi, sui due pilastri del cancello.
C'erano da sempre, e davano l'idea di essere immortali.
Uno aveva pelo lungo e leonino, l'altro era grasso, tigrato e sornione.
Quando Massimo varcò il cancello, i due felini emisero una serie di segnali che mobilitarono tutti gli altri gatti come un esercito.
La vecchia, messa sull'avviso, comparve poco dopo, con una veste grigia e il capo coperto da un fazzoletto nero, legato sotto la mandibola.

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Di profilo le si vedeva solo la punta del naso.
La pelle del viso era come cuoio, gli occhi nerissimi, vigili e incredibilmente privi di cataratte.
<<Massimo... ti stavo aspettando>>
Lui rimase di sasso:
<<Ma se io ho deciso solo poco fa di venirti a trovare?>>
L'Elvira scrollò le spalle:
<<Sarei una veggente di poco conto se non percepissi nemmeno questo! Ti ho sognato, stanotte. Mi chiedevi di eseguire un tipo di sortilegio che io mi rifiutavo di prendere in considerazione>>
Massimo non si fidava completamente di lei, ma era a tal punto disperato che ormai il ricorso alle Arti Oscure era l'ultima mossa possibile:
<<So che in linea di principio ti rifiuti di esercitare la Magia Nera, ma qui si tratta di un caso speciale>>
Lei rise, mostrando una bocca semi sdentata:
<<A sentire quelli come te, si tratta sempre di un caso speciale">>

<<Non esistono "quelli come me". Ci sono io, e basta>> sbottò Massimo.

<<Per fortuna>> rispose lei prontamente e poi ribadì <<Comunque, io non pratico più le Arti Oscure da molto tempo. Evocare le energie negative significa risvegliare i demoni, e ciò comporta conseguenze nefaste per tutti. 
Il male che fai o che desideri torna sempre indietro, prima o poi, e colpisce forte, all'improvviso e quando meno te lo aspetti>>
Massimo non ci credeva, ma riteneva che le maledizioni di una fattucchiera esperta potessero funzionare. Bisognava però convincerla a collaborare:
<<E se fosse per un atto di giustizia? Tu avevi un affetto quasi materno per Isabella Orsini, la sorella più giovane della Contessa, non è così?>>
L'espressione del volto della vecchia cambiò completamente.
Isabella si era rivolta a lei per tanti piccoli problemi che non aveva mai confidato ai familiari, troppo all'antica per capire.
L'Elvira l'aveva aiutata e si era affezionata a lei come se fosse una figlia.
<<La mia povera Isabella. Il suo spirito non ha ancora trovato pace. La sua anima anela giustizia, lo sento>>
Massimo era abile nel trovare i punti deboli delle persone e nel riuscire a sfruttarli a proprio vantaggio:
<<E immagino che tu sappia anche che il giudice De Gubernatis, che condusse le indagini preliminari, fece di tutto per insabbiare la verità, e non solo in quel caso, per evitare che il buon nome di Ettore Ricci fosse lambito da uno scandalo>>
La vecchia lo sapeva fin troppo bene, ma c'era un'altra verità, ben più grave, che andava dichiarata apertamente:
<<Lo so, ma Isabella avrà giustizia solo quando sarà morto anche il vero assassino, e cioè tuo padre!>>
Massimo non si scompose, perché in fondo era quella la direzione che il discorso doveva prendere, per poter arrivare a un accordo:
<<E allora io ti propongo uno scambio. Tu sostieni che ogni demone vuole un prezzo per ogni maleficio che gli si richiede, non è così? Una vita per un'altra vita>
L'Elvira lo fissò e parve crescere in statura, mentre pronunciava la Prima Legge delle Arti Oscure:
<<E' il principio basilare della Magia Nera, così come descritta dai grimori più importanti, come la Clavicula Salomonis. Per ogni maleficio protratto nel tempo, occorre evocare un demone, secondo le modalità specificate dall'Ars Goetia, e il demone evocato richiede un sacrificio da parte di chi lo commissiona. Più importanti sono le richieste e più cara al mandante sarà la persona sacrificata>>
E qui Massimo decise di calare il suo asso nella manica:
<<Io chiedo che siano maledetti Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis e offro in cambio la vita di Michele Braghiri>>
La veggente sgranò gli occhi:
<<Questo non l'avevo previsto!>>
Lui sorrise, e fu una cosa orribile a vedersi:
<<L'ho deciso poco fa>>
L'Elvira lo scrutò attentamente, poi alla fine annuì:
<<Non devi amare molto tuo padre, se lo offri con tanta facilità come vittima sacrificale, ma poiché anche io chiedo giustizia per Isabella e Arturo, dal momento che Michele è il loro assassino e il giudice lo ha coperto, credo che per questo atto di giustizia potrei convincere un particolare demone, molto potente.
Ma ti avverto, Massimo: questa è l'ultima volta che farò una cosa simile. 
E in ogni caso non illuderti che il demone evocato ti dimenticherà. Una volta che si è fatto un patto con Eclion il Vendicatore, lui potrebbe, come dire, "prenderci gusto", e incominciare a giocare con le famiglie che sono state segnalate alla sua attenzione, sia quelle di coloro che sono stati maledetti, sia quelle di coloro che hanno sollecitato la maledizione>>

<<Io credo che questo demone Eclion mi troverà simpatico>>

<<Può darsi. Eclion si nutre di odio, e tu ne hai da vendere, ma attenzione... Eclion è imprevedibile, e nessuno può sapere a chi potranno andare realmente le sue simpatie.
Non dire che non ti avevo avvertito>>

<<Sono pronto ad affrontare questo rischio. Procediamo>>

<<Sia come vuoi tu. Al termine del rito, Ettore Ricci e Guglielmo De Gubernatis saranno maledetti col favore delle tenebre, fino a che dureranno i Troni dei Signori degli Elementi>>

giovedì 6 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 80. Agosto è un mese crudele

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Per Thomas Eliot "aprile è il più crudele dei mesi", affermazione paradossale, ma a modo suo giustificata, perché se è vero com'è vero che la vita è ingiusta e a volte crudele, allora il mese in cui la natura torna a vivere è destinato a portare con sé tutta quell'ingiustizia e quella crudeltà, nascondendole dietro i fiori e il rigoglio, come la catena alimentare e la legge del più forte si nascondono dietro l'apparente idillio di qualunque campagna, foresta o prateria, montagna o mare.
Naturalmente si tratta solo di una metafora: la vita sa essere ingiusta sempre, in tutti i mesi dell'anno, e riserva ad ogni singolo istante di ogni singolo giorno di ogni singola esistenza l'amara sorpresa di capire che tutto ciò a cui si era creduto e a cui si era dato importanza, era qualcosa di fragile e aleatorio, destinato prima o poi a fare i conti con l'enormità del male, perché il male è la regola e non l'eccezione.
Ma visto che siamo in vena di paradossi, pensiamo al fatto che per il giudice Guglielmo De Gubernatis il mese più crudele era agosto, quello in cui la maggior parte delle persone si gode le più o meno meritate ferie estive, dopo aver subito per mesi e mesi quelle due calamità bibliche che sono il lavoro e la scuola.
Ebbene, in agosto nessuno può far finta di non scorgere, se ci sono, le crepe nell'edificio della propria esistenza, e questo proprio perché tutti o quasi sono in vacanza, e chi ha costruito o saputo conservare un'esistenza quantomeno serena può finalmente godersi appieno questa condizione, mentre chi non è stato altrettanto capace o fortunato, può soltanto notare che, tolti i tranquillizzanti paraocchi delle abitudini, dell'opaca trafila delle cose che si accompagna ad un'attività imposta dall'alto, ciò che resta sono i segnali, più o meno evidenti, di tutto ciò che non funziona in noi e attorno a noi.
Nella specifica fattispecie del giudice De Gubernatis, le cose che non funzionavano erano sempre di più, di anno in anno, e non solo per le inevitabili conseguenze dell'invecchiamento (quello, di per sé, sarebbe stato tollerabile), ma anche e soprattutto per il rimpianto di aver dedicato troppo tempo a persone che non lo meritavano e per il rimorso di aver negato giustizia a persone che ne avevano diritto.
E tutto quello per ottenere cosa?
Niente che valesse la pena di tanti sacrifici e compromissioni.
Si ritrovava per l'ennesima volta a trascorrere il mese di agosto nel solito appartamento di Cesenatico, in compagnia di una moglie noiosissima, una figlia pettegola e acida, un genero divorato dall'ambizione, dall'invidia e dal desiderio di vendetta, e un nipote taciturno, freddo e incredibilmente snob.
La moglie Ginevra Orsini, sorella minore di Diana, diciottesima Contessa di Casemurate, e la figlia Elisabetta, professoressa di inglese, non facevano altro che spettegolare dalla mattina alla sera, anche quando erano dal parrucchiere o dalle amiche a giocare a canasta e scala quaranta.
Il genero, Massimo Braghiri, approfittava dei momenti di assenza di moglie e suocera per fare pressioni sul giudice.
<<Senti Guglielmo>> aveva esordito <<io so tutto riguardo all'insabbiamento delle indagini su Ettore Ricci, nei casi che hanno riguardato le morti di Isabella Orsini, Arturo Orsini e Federico Traversari>>
De Gubernatis sospirò:
<<Quindi saprai anche che il colpevole era tuo padre, Michele Braghiri>>
Massimo lo sapeva benissimo, ma non si era aspettato che suo suocero l'avesse capito:
<<Chi ti ha messo in testa quest'idea? E' stato Ettore?>>
Il giudice scosse il capo, con infinita stanchezza:
<<No, Ettore ha sempre creduto alla versione ufficiale delle indagini. Suicidio nel caso di Isabella, e tragico incidente negli altri due casi. In un primo momento io pensai che Ettore mentisse per difendere se stesso, ma le indagini che condussi segretamente mi portarono a capire che dietro a tutto c'era il piano diabolico di tuo padre. E avrei dovuto smascherarlo e rinviarlo a processo! Non l'ho fatto perché volevo evitare uno scandalo che avrebbe finito per danneggiare non solo la tua famiglia, ma anche quella di mia moglie, i Ricci-Orsini.
Ma fu il più grande errore della mia vita, e il rimorso per ciò che ho fatto mi tormenta giorno e notte>>
Il genero lo fissò con disprezzo:
<<Ora tu fai parte della mia famiglia! Tua figlia porta orgogliosamente il mio cognome! E così anche tuo nipote. E' a noi, adesso, che devi fedeltà!>>
De Gubernatis era nauseato dalla tracotanza di suo genero:
<<Non capisco dove vuoi arrivare? I reati di cui parliamo sono caduti in prescrizione da tempo. Tuo padre può stare tranquillo>>
Massimo fece un gesto di stizza:
<<Lo so benissimo! Il discorso è un altro: io so che tu hai coperto altri scandali che invece riguardavano sicuramente Ettore Ricci e la gestione del Feudo Orsini. Alcuni di questi reati non sono andati in prescrizione>>
Il cuore del giudice ebbe un sobbalzo.
Era chiaro che Michele Braghiri avesse conservato le prove per poi mostrarle al figlio.
Quei due odiavano Ettore, sua moglie e i loro discendenti: lo sapeva perché in fondo anche Ginevra ed Elisabetta avevano sviluppato, col tempo, un'invidia tale da rasentare l'odio, ed era stato quello il cemento del matrimonio di Elisabetta e Massimo.
<<Continuo a non capire il senso di questo discorso. Io sono ormai in pensione, non mi occupo più di queste cose>>
Massimo gli afferrò una spalla in malo modo:
<<Tu hai ancora molti amici al tribunale. Una tua denuncia mirata può rovinare Ettore Ricci e tutti i suoi eredi>>
De Gubernatis si accigliò:
<<Ettore è mio amico ed è sempre stato molto generoso sia con la mia famiglia che con la tua, per cui non capisco assolutamente questa tua acredine nei suoi confronti!>>
Il genero divenne verde di rabbia:
<<Ci ha trattato come servi! La sua non è mai stata generosità, ma elemosina gettata dall'alto, con disprezzo>>
Il giudice si liberò dalla stretta del genero e gli rispose con voce gelida:
<<Ettore mi ha sempre rispettato. E per quanto ne so ha avuto fin troppa fiducia in tuo padre. Se ha commesso un errore è stato quello di rispettarvi troppo! E se per caso gli rimproveri il fatto che né lui, né sua figlia ti hanno detto di sì quando ti sei proposto, io dico che hanno fatto bene! Avrei dovuto impedire a Elisabetta di sposare un individuo meschino come te!>>
Per Massimo quelle parole furono come uno schiaffo:
<<Da che pulpito viene la predica! Eppure dovresti sapere che non conviene mettersi contro la famiglia Braghiri>>
De Gubernatis fece spallucce:
<<Le tue minacce sono risibili, Massimo. Se intendi danneggiare la mia reputazione, sappi che poi a pagarne le conseguenze sarà mia figlia, tua moglie... per non parlare di tuo padre. Ti daresti soltanto la zappa sui piedi>>
Massimo scosse il capo:
<<Ho molti più assi nella manica di quanti tu possa pensare>>
Ma il giudice, da esperto giocatore di poker, non la bevve:
<<Stai bluffando, Massimo, e in maniera piuttosto patetica, direi>>
Massimo sorrise a denti stretti:
<<Tu mi sottovaluti, così come fanno anche Ettore, Diana, Silvia e il suo dannatissimo marito Francesco Monterovere, ma ve ne pentirete tutti molto presto.
Te lo ripeto: non conviene mettersi contro di me.
E questa è la verità pura e semplice>>
Il giudice sospirò, e i suoi occhi si persero nella contemplazione del mare, mentre con voce stanca e malinconica mormorò, rivolto più a se stesso che al suo interlocutore:
<<La verità è raramente pura e quasi mai semplice>>

Mare, sole o piscina?

ragazzi, per chi preferisce una doccia potente, basta andare a #Moscow

Glowworm Caves in Waitomo, New Zealand. ♡one of the most amazing places I have ever been to!





Découvrons une sélection de villas de rêve et de maisons avec piscine, qui seraient idéales pour quelques jours de vacances bien mérités !



~ ~ ~

parquet sospeso sopra piscina

@stellarnights :)

lunedì 3 agosto 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 79. Amici nemici


How different are James Potter and Draco Malfoy? Both are bullies ...


L'amicizia tra Roberto Monterovere e Vittorio Braghiri era sopravvissuta a tutti i tentativi di sabotaggio da parte di Massimo, il padre di Vittorio.
Quando i due bambini avevano iniziato le elementari, Massimo Braghiri aveva iscritto Vittorio nella scuola più lontana possibile da quella frequentata da Roberto.
Non era servito a niente: i due amici volevano continuare a vedersi, il che peraltro era reso facile dall'essere vicini di casa, oltre che cugini di secondo grado per parte di madre.
Massimo aveva allora cambiato strategia, cercando di invitare a casa, a turno, tutti i compagni di classe di Vittorio, favorendo in ogni modo la nascita di nuove amicizie, il che sarebbe stato anche legittimo, se non fosse stato fatto principalmente per togliere di mezzo Roberto.

Vittorio però era già allora un tipo scostante, freddo, altezzoso, il cui ostinato mutismo era interrotto solo da commenti sarcastici e ironia tagliente, il che non favoriva certo la socializzazione.
A questo punto è legittimo chiedersi come mai Roberto tenesse tanto all'amicizia di un simile individuo.
In primo luogo va detto che la loro amicizia era nata quando erano ancora così piccoli da non aver sviluppato elementi caratteriali troppo marcati, e dunque il legame si era consolidato prima che intervenissero i cambiamenti che li avrebbero condotti, col tempo, in rotta di collisione.
Roberto andava oltre le apparenze e sapeva che dietro alla supponenza di Vittorio c'era una grandissima timidezza, a sua volta causata dall'idea di non essere all'altezza delle aspettative del suo ambiziosissimo padre e della sua "snobissima" madre.
Una volta che ci si era resi conti di quello, e si era riusciti a far sentire Vittorio a proprio agio, allora lui si scioglieva, abbassava la guardia e permetteva agli altri di conoscerlo meglio.
Roberto era l'unico con cui Vittorio si confidava, e questo gli aveva permesso di apprezzare le qualità dell'amico: intelligenza, desiderio di conoscenza e di avventura, buon gusto, senso dell'umorismo, abilità pratiche e sportive che cercava di trasmettere all'amico (specie nel golf, nel tennis e nel nuoto), passione per i giochi elettronici e per quelli di ruolo, amore per la natura e per gli animali.
Trascorrevano interi weekend insieme, spesso a Villa Orsini, dove vivevano le loro rispettive nonne, Diana Orsini Paulucci, Contessa di Casemurate e Ida Braghiri, senza contare il fatto che Diana, oltre che nonna di Roberto, era anche prozia materna di Vittorio.

In apparenza sembrava che fosse Vittorio il nipote dei padroni, il leader, quello tra i due che trascinava l'altro, ma ad un occhio più attento si sarebbe notato che era Roberto a suggerire il programma delle attività, in maniera discreta, questo sì, ma determinante.
In questa dinamica, a Vittorio bastava "apparire" il leader, mentre Roberto non si poneva quel tipo di problemi: a lui importava che alla fine la giornata fosse stata divertente per entrambi.
D'estate Roberto invitava Vittorio nella casa di Cervia che i suoi genitori avevano fatto costruire nel terreno comprato dal nonno Ettore, e Vittorio ricambiava insistendo che i suoi nonni materni, ossia il giudice De Gubernatis e la moglie Ginevra Orsini, invitassero Roberto nel loro appartamento di Cesenatico.
Avrebbero anche voluto andare in montagna insieme, ma su questo i genitori di Vittorio erano irremovibili: i Braghiri non sarebbero mai e poi mai andati in vacanza insieme agli odiati Monterovere.
Nonostante questo, la loro amicizia era così solida, in quegli anni, che un giorno, avendo trovato una pietra sferica nei pressi di un grande fosso che confluiva nel Bevano, Roberto notò che aveva una crepa nel mezzo: la ruppe sbattendola su un'altra pietra, ricavandone due parti perfettamente uguali e ne tenne una per sé e l'altra la diede a Vittorio, dicendo: <<Ci scriveremo sopra i nostri nomi e ognuno terrà quella col nome dell'altro, per ricordare che la nostra amicizia è più forte di tutto il resto. Se mai un giorno qualcosa dovesse dividerci, tu fammi vedere la tua metà della pietra, e tutto tornerà come prima>>
Quel giorno entrambi erano convinti che sarebbe davvero bastata una pietra a rimettere a posto le cose, perché a quell'età nessun danno appare mai del tutto irreparabile.
Forse la loro amicizia avrebbe anche potuto superare le normali crisi dell'adolescenza, se solo il padre di Vittorio non avesse continuato costantemente a remare contro.
Massimo Braghiri era un osservatore attento e temeva che, in quell'amicizia, suo figlio fosse solo "il braccio", mentre l'odiato Roberto Monterovere era, come al solito, la "mente".
Questa constatazione lo imbestialì a tal punto che una sera, riunita la famiglia, diede sfogo alla sua ira:
<<Siete tutti degli sciocchi! Nessuno di voi si è accorto che quella gatta morta di Roberto Monterovere vi sta manovrando tutti! Ma adesso è ora di finirla! D'ora in avanti tu, Vittorio, trascorrerai il tuo tempo libero facendo sport e dovrai primeggiare, vincere medaglie e quando il tuo medagliere sarà colmo di gloria, la sbatteremo in faccia a quei rammolliti dei Monterovere, padre e figlio! E allora finalmente tu potrai guardare ognuno di loro dall'alto in basso>>
Vittorio aveva una paura tremenda del padre, anche perché Massimo sapeva condire i rimproveri con adeguate punizioni corporali, per cui, pur dispiacendosi di dover improvvisamente voltare le spalle all'amico, non osò disobbedire al padre.
Massimo si rivolse poi al suo anziano genitore, Michele Braghiri, e lo prese da parte, per chiedergli se fosse pronto il piano per sferrare un attacco all'impero economico dei Ricci-Orsini.
Michele, ormai succube del figlio, annuì:
<<Il momento potrebbe essere propizio. Ettore è vulnerabile, adesso. I suoi fratelli erano implicati nel crack del Banco Ambrosiano, così come il loro cognato, il Senatore Baroni. La De Toschi è morta. Il Sottosegretario De Angelis non vuole compromettersi. Rimane soltanto il giudice De Gubernatis. E' tuo suocero, ma la sua lealtà va a Ettore.
Non sarà facile convincerlo a riaprire i vecchi fascicoli per modificarli nella maniera che abbiamo stabilito>>
Massimo sorrise:
<<Troverò il modo di convincerlo. E se proprio non volesse lasciarsi convincere... be', dovrò inventarmi qualcosa>>
Una luce balenò nei suoi occhi, la stessa luce che aveva brillato negli occhi di suo padre, molto tempo prima.
Il vecchio Michele la riconobbe e per la prima volta in vita sua ebbe paura.
Lui è peggio di me. Che il cielo mi perdoni per aver creato un simile mostro...

























mercoledì 29 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 78. La madre di tutte le abbuffate e la dipartita della Signorina De Toschi

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L'anno 1982 si aprì con un evento ragguardevole, ossia il novantesimo compleanno della Grande Mademoiselle, ossia la temutissima signorina Mariuccia De Toschi, figlia del compianto generale Ardito De Toschi e dell'onorevole dama Violetta Orsini, prozia di Diana, la diciottesima Contessa di Casemurate.
La salute della Signorina era apparentemente solidissima, tanto che ogni giorno era ospite a pranzo e a cena e mangiava a quattro palmenti.
Ma per la sua festa di compleanno, a quanto pare, mangiò un po' troppo.
L'evento fu organizzato da un gruppo di ex alunni che avevano fatto molta carriera, anche grazie alle raccomandazioni della Signorina stessa, che era ben ammanicata con tutti coloro che contavano, nell'alta società.
Il più eminente tra gli ex allievi della Grande Mademoiselle era l'allora Sottosegretario alla Difesa, il democristiano Onorevole Stefano De Angelis, a cui pertanto spettò il ruolo di Anfitrione della festa.
L'evento si svolse al Grand Hotel della Città, cinque stelle "con tanto di cometa", come dicevano alcuni, per sottolinearne ironicamente l'importanza.
Presenziavano tutti i più illustri potentati della zona, comprese le famiglie legate alla festeggiata da vincoli di parentela o di affinità, ossia i Ricci-Orsini di Casemurate e i Monterovere da Querciagrossa di Pavullo.

Al comparire della pachidermica Signorina, il Sottosegretario si inginocchiò, le fece il baciamano e disse:
<<Signorina...>> e poi si inginocchiò: << ... io devo tutto a Lei!>>
La De Toschi assunse un'espressione vezzosa e finse di schermirsi:
<<Suvvia, Onorevole, Lei così mi lusinga...>>

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<<Mi permetta di insistere, Signorina. Se non ci fosse stata Lei a insegnarmi l'aoristo, io non avrei mai potuto fare tanta strada nella vita. Lo ripeto, io devo tutto a Lei!>>

La Signorina divenne rosa in volto, e il colorito riuscì a superare le centinaia di strati di fondotinta con cui si era asfaltata il faccione.

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Sorrise soavemente, sbatté le ciglia, scosse lievemente la testa facendo tintinnare i pesanti orecchini d'oro massiccio, e si riaggiustò i capelli freschi di tinta e pettinati a cofana in stile Alessandra di Danimarca, Principessa di Galles ai tempi della regina Vittoria.

Poi si fiondò a tavola e divorò tutti gli antipasti.
Quella sera la sua voracità pareva ancora più implacabile del solito.
Fece fuori nell'ordine: tagliatelle alla cacciatora, tortellini panna e speck. pasta al forno paglia e fieno, cinghiale arrosto, salsicce e cotechino, piadina al prosciutto, patate fritte, insalata di rucola con aceto balsamico di Modena, macedonia di frutti di bosco, due grappoli d'uva da tavola, torta romantica a tre piani (si narra che persino le candeline furono fagocitate insieme al resto), viennetta, gelato al mascarpone, sorbetto al limone, caffè doppio, due bicchieri di Fernet, il tutto innaffiato da una bottiglia di Sangiovese di Romagna.

Per tutto il periodo, non aveva proferito parola se non per dire frasi "toscane" del tipo "bona la salciccia!"
Al termine di quella che si può ben definire la Madre di tutte le Abbuffate, la Signorina De Toschi divenne paonazza, gli occhi sembravano uscirle dalle orbite, e la pappagorgia era gonfia come quella di un grosso rospo violaceo.
Ma c'era qualcosa di ancor più terribile nel suo sguardo.
Aveva un'espressione feroce e infuocata, come un predatore che ha appena abbattuto un esercito di prede indifese.

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Fu a quel punto che avvenne l'irreparabile.
Il Sottosegretario De Angelis tornò alla carica con le sue sviolinate e offrì alla De Toschi una mentina digestiva al rabarbaro.
La Signorina fu dubbiosa:
<<Ho veramente mangiato troppo stasera. Temo che non ci stia più niente nel mio stomaco>>
Ma il Sottosegretario non si arrese:
<<E' solo una mentina digestiva, vedrà che dopo averla sciolta in bocca, si sentirà subito meglio>>
La De Toschi rimase per qualche secondo a contemplare, perplessa, la mentina:
<<E va bene, tanto se ho fatto 30 posso anche fare 31!>>
Mai proverbio fu meno appropriato alla situazione.
Dopo aver fagocitato la mentina in tutta fretta, la Signorina parve sul punto di esplodere.
Per un istante rimase incerta.
Poi strabuzzò gli occhi, sollevò leggermente la mano destra con l'indice alzato e cercò di pronunciare una parola che non venne.

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Un secondo dopo gli occhi le rotearono verso l'alto, la bocca si riempì di bava e la pachidermica Signorina collassò a terra in tutta la tua tonnellata di peso, facendo rimbombare i pavimenti, tanto che i vicini temettero si trattasse di un terremoto.
Non era un evento sismico, eppure fu qualcosa di ancor più terribile a vedersi, perché la De Toschi schiattò per congestione gastrica sotto gli occhi esterrefatti di tutti i suoi ex alunni.
Mentre la Signorina lasciava questo mondo in maniera così incresciosa, il Sottosegretario De Angelis guardò le sue mentine e le buttò nel cestino dei rifiuti, come se volesse liberarsi dell'arma di un delitto.

giovedì 23 luglio 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 77. Il fallimento del Banco Ambrosiano e le conseguenze per i fratelli di Ettore Ricci


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Nel gennaio del 1981, Ettore Ricci convocò a Villa Orsini i fratelli Oreste e Roderico per avvertirli riguardo ad una questione riservatissima.
Li ricevette nel suo studio, con la faccia delle grandi occasioni.
Era presente anche la sorella Adriana, nubile, che alcuni soprannominavano "il braccio sinistro" del padrone. Le altre sorelle avevano delegato Oreste a rappresentarle, e questo non deponeva certo a favore della loro intelligenza.
 Senza preamboli, Ettore venne subito al punto:
<<I miei informatori mi confermano che, nonostante le rassicurazioni di facciata, il fallimento del Banco Ambrosiano è ormai inevitabile. E' solo questione di tempo. Potrà durare qualche altro mese, forse persino un anno, ma non di più.
So che voi avete ancora delle quote azionare consistenti. Dovete disfarvene quanto prima: non voglio che il mio cognome risulti in alcun modo collegato con questa vicenda>>
Oreste, però, come al solito, si intestardì :
<<Io non so chi siano i tuoi cosiddetti informatori, Ettore, ma ti assicuro che i miei sono più affidabili. Del resto anche nostro cognato, il Senatore Baroni, ha garantito che Calvi può contare sia su nuovi finanziamenti che su numerosi appoggi a tutti i livelli>>
Il terzo fratello, Roderico, sprofondato in una poltrona, teneva un sigaro in una mano e un bicchiere di whisky nell'altra, divertito dalla rivalità tra il primogenito e l'ultimogenito, quello che aveva fatto più fortuna.
Ettore si chiedeva, come sempre senza risposta, com'era possibile che quei due imbecilli fossero nati dal suo stesso padre e dalla sua stessa madre:
<<Leandro Baroni non è più il mio referente politico. Si è dimostrato troppo ingenuo, negli ultimi tempi. Si fida delle persone sbagliate. Mi riferisco a certa gente iscritta niente meno che ad una Loggia Massonica, e voi a sapete a cosa mi riferisco>>
Oreste sollevò le spalle:
<<E allora? Quella Loggia raccoglie tanti nomi illustri di uomini volenterosi che propongono una riforma dello Stato. Il nostro Baroni ha stretto molte amicizie importanti, e lo stesso Gelli gli ha assicurato che i finanziamenti al Banco Ambrosiano arriveranno molto presto>>
Ettore sbuffò:
<<Non parlarmi di Gelli! Non sapeva nemmeno dirigere lo stabilimento della Permaflex di Frosinone! E comunque nessun tipo di garanzia può ormai salvare la situazione.
 Il Banco ha un passivo di 1200 miliardi, non so se mi spiego. Molti di questi soldi, tra l'altro, provenivano da fondi assai poco limpidi...>>
Il terzo fratello, Roderico si svegliò dal suo torpore sfoggiando una citazione latina, non fosse altro per dimostrare che lui era l'unico, tra i Ricci, ad essersi laureato:
<<Pecunia non olet>>
Ettore, pur essendosi fermato alla quinta elementare, conosceva il detto:
<<...sì, sì, d'accordo, il denaro non puzza... e io non mi sono mai fatto troppi problemi, però esiste un limite dettato dal buon senso! Insomma, Calvi sta scherzando col fuoco! Cosa succederà quando certi "uomini d'onore" si renderanno conto che sono stati distribuiti in giro troppi soldi senza alcuna garanzia? Mille e duecento miliardi! Ma dove sono finiti?>>
Oreste intervenne:
<<Ma lo sanno tutti dove sono finiti! Calvi ha fatto solo da intermediario, come anche Sindona o altri banchieri minori. E tutti i pezzi grossi hanno avuto la loro fetta di torta. In fondo, pensala pure come ti pare, ma si è trattato anche di una buona causa, perché il Monsignore si trovava in cattive acque...>>
Ettore sollevò gli occhi al cielo:
<<Marcinkus si trova ancora in cattive acque, e ne dovrà rispondere, prima o poi>>
Oreste scosse il capo:
<<Ti sbagli, Leandro Baroni mi ha assicurato che...>>
Ettore perse la pazienza e batté un pugno sul tavolo:
<<E falla finita con quell'idiota di Baroni!  Devi interrompere tutti i rapporti con lui! Puoi anche restare nella Dc, ma devi cambiare referente! Per esempio puoi passare alla corrente del Sottosegretario De Angelis. Dammi retta! Quando salteranno fuori i traffici degli amici di nostro cognato, e sarà inevitabile, perché tutti hanno agito con una leggerezza senza precedenti, gli schizzi di fango arriveranno fino a qui, e getteranno ombre sulla mia famiglia, e questo è intollerabile, perché io con quella gente non ho più nulla a che fare da un bel pezzo>>
Il terzo fratello, Roderico, si sentì in dovere di sfoderare un'altra citazione latina, ironizzando sulla ritrovata "verginità" del capofamiglia:
<<Integer vitae scelerisque purus...>>
Ettore non si scompose:
<<Le tue punzecchiature non mi sfiorano minimamente, Roderico. 
Quanto a te, Oreste, ti esorto a seguire i miei consigli, sia economici che politici. 
Il senatore Baroni ci è stato utile in passato, ed io gliene sono sempre stato riconoscente. E posso anche credere che personalmente sia un uomo onesto, ma negli ultimi si è fatto manovrare come uno sciocco...>>
Ma Oreste la prese male:
<<Non ti permetto di permetto di parlare così di nostro cognato! La tua è solo invidia, perché lui è amico di persone molto più potenti di te>>
Ettore sorrise:
<<Persone che prima o poi finiranno in galera. O peggio...>>
Oreste, per nulla spaventato, gli rise in faccia:
<<Tu invece ti ritieni intoccabile, vero? Ma cosa succederà quando il giudice De Gubernatis andrà in pensione o passerà a miglior vita? Cos'è che ti rende così sicuro del fatto che Michele Braghiri ti coprirà sempre il fondo schiena? Hai forse trovato dei nuovi protettori politici, magari quei comunisti della famiglia Monterovere?>>
Ettore si alzò in piedi:
<<Sei il fratello maggiore, ma l'età non ti ha reso né più saggio, né più furbo. Io oggi ho fatto il mio dovere, perché il sangue non è acqua. Ma dopo questi insulti non voglio avere più niente a che fare con te. Non provare nemmeno a cercarmi, quando ti sarai reso conto che avresti dovuto seguire i miei consigli. Ho passato la vita a mantenerti e a tirarti fuori dai guai, ma adesso basta. Questa è l'ultima volta che ti parlo>>
Oreste lo fronteggiò dall'alto in basso:
<<Staremo a vedere, Ettore, chi rimarrà con le pezze al culo! Io diventerò più ricco e potente di te!>>
Detto questo, Oreste Ricci si spolverò le spalle della giacca e se ne andò con aria oltraggiata.
Il terzo fratello aveva osservato la scena con aria vagamente divertita.
Ettore si era quasi dimenticato di lui:
<<E tu, Roderico, da che parte stai?>>
Lui preferì rimanere sul vago:
<<Be', io, ecco... ci penserò>>
<<Pensaci in fretta, se no farai la stessa fine di Oreste>>
L'intellettuale di famiglia annuì, poco convinto, e se ne andò ciondolando e recitando altre citazioni latine.
La sorella Adriana, che aveva ascoltato tutto con sguardo impassibile, occhi vitrei e la bocca (a culo di gallina) ermeticamente chiusa, diede finalmente segno di vita, scuotendo la testa.
Il suo commento fu lapidario:
<<Nostra madre diceva anche che ci vuole moderazione in tutto, compresa la moderazione stessa. E quando si ha a che fare con Oreste e Roderico, ogni moderazione diventa un eccesso>>

I fatti, come è noto a tutti, diedero ragione ad Ettore.
Nel marzo successivo fu resa pubblica la lista degli iscritti alla P2 e Calvi si trovò improvvisamente privo della sua rete di protezione e in maggio fu rinviato a processo per reati finanziari.
Ma quella era solo l'inizio: la vera e propria esplosione si ebbe l'anno dopo.
 Il 18 giugno 1982 Calvi venne ritrovato impiccato sotto un ponte di Londra.
Quattro giorni dopo la misteriosa morte del banchiere, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, su proposta della Banca d'Italia allora guidata da Carlo Azeglio Ciampi, dispose lo scioglimento degli organi amministrativi dell'istituto.
Il 6 agosto 1982 il  Banco Ambrosiano venne messo in liquidazione
Per quanto la previsione di Ettore Ricci fosse stata precisa, quest'ultimo non ebbe motivo di rallegrarsene, perché comunque, con la rovina dei suoi fratelli, che erano anche suoi soci, la famiglia ne usciva danneggiata sia nel patrimonio che nel buon nome.
Il 14 agosto 1982, dopo alcuni giorni di disperata ricerca di creditori, Oreste Ricci si sparò un colpo alla tempia, ponendo fine alla sua vita.
Roderico fuggì all'estero con i pochi soldi che gli rimanevano, per evitare l'umiliazione di assistere al pignoramento di tutti i suoi beni.
Si cercò di mettere a tacere lo scandalo, ma la gente continuò a parlarne per mesi.
Ettore Ricci manteneva il timone di una nave che stava perdendo i pezzi.
Molti avvoltoi gli giravano intorno, e branchi di lupi.
E in una lotta tra lupi non vince il più grosso, ma quello più affamato.