mercoledì 19 febbraio 2014

Geopolitica economica: il debito degli Usa



SAN FRANCISCO -  I democratici e il presidente Barack Obama hanno vintoun’importante battaglia politica: il limite al debito pubblico è stato alzato. Il governo federale potrà contrarre nuovo debito e procedere nelle politiche di sostegno all’occupazione e alla crescita.

La scelta era quasi obbligata: in America la disoccupazione è molto alta e la crescita ancora troppo fragile. Il sistema ha bisogno di costanti infusioni di liquidità per finanziare la guerra alla povertà, il sostegno alla classe media, il rinnovamento del sistema educativo, il rilancio delle infrastrutture e le altre politiche - in primis quella sanitaria - messe in campo dall’amministrazione Obama.

Piuttosto che commentare l’innalzamento in termini di battaglia politica, tuttavia, questo articolo vorrebbe raccontare una specie di “dietro le quinte”: cosa sta succedendo nei corridoi universitari e negli ambienti accademici.

In un recente libro di Brigitte Granville, 
Remembering Inflation (2013), si ricorda che l’inflazione è stata al centro non soltanto degli studi di economisti, ma anche delle preoccupazioni di milioni di comuni mortali per decenni.

Nell’introduzione, l’autrice confessa che l’idea del libro le venne a seguito di uncommento di Joseph Stiglitz sul Financial Times del 19 agosto 2010: “È tempo di tornare agli studi sull’inflazione”. In un periodo in cui la crescita - anzi, la mancanza di crescita economica - agita i sonni di politici, banchieri centrali e disoccupati in cerca di lavoro, l’inflazione sembra proprio un problema del passato.

Ma Stiglitz ricorda che l’inflazione non è soltanto il prodotto della crescita, può anche essere la conseguenza inattesa di una crisi finanziaria. Ecco perché bisogna rimettere l’inflazione al centro dell’attenzione di economisti e politici. Anche perché, ricorda Granville, combattere l’inflazione, una volta che essa si manifesta, è difficile e doloroso. In termini più tecnici, il controllo dell’inflazione, così come è stato teorizzato a partire dagli anni Settanta, richiede interventi delle banche centrali volti a stabilizzare o addirittura ridurre il debito pubblico. Richiede inoltre il varo di politiche economiche che oggi, in Italia, definiremmo "austere".

La buona notizia è che la strumentazione teorica per il controllo dell’inflazione ha resistito alla prova dei fatti, anzi si è dimostrata valida anche negli anni Ottanta e Novanta, quando l’inflazione è scaturita non tanto dal debito pubblico quanto dai fenomeni finanziari legati alla globalizzazione o da bolle speculative. Alla fine, è chiaro che l’inflazione è e resta un fenomeno monetario.

La cattiva notizia è che il controllo dell’inflazione si è dimostrato di gran lunga più efficace nella fase preventiva che in quella terapeutica. In altre parole, il modo migliore per evitare interventi anti-inflattivi e relativi costi economici e sociali è quello di ridurre il debito pubblico. Ma poiché il debito pubblico è il risultato di politiche economiche promosse da politici che, in una maniera o nell’altra, rispondono ai loro elettori, l’inflazione può essere cancellata dal vocabolario economico soltanto da un cambio di percezione nell’opinione pubblica. Solo quando gli elettori manderanno al governo politici che promettono di ridurre il debito pubblico, l’inflazione diventerà un lontano ricordo.

Così, nel momento stesso in cui i politici americani seguono gli umori degli elettori e innalzano il limite del debito pubblico, gli economisti si preparano a un possibile ritorno dell’inflazione. 

Da Limes (18/02/2014)

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