domenica 18 febbraio 2024

La Quarta Era. Capitolo 2. Eldarion e Silmarien

 

Chiunque guardasse il nuovo re, Eldarion, figlio di re Elessar e della regina Arwen, gli avrebbe dato al massimo venticinque anni, forse meno.
E invece ne aveva centodiciotto.
Era nato durante il secondo anno di regno di suo padre, insieme alla sua gemella, la principessa Ancalime.
Nessuna premonizione di Arwen aveva previsto un parto gemellare: Eldarion, l'erede maschio del Regno Unito di Arnor e Gondor, era il principe che era stato promesso nelle profezie degli Elfi e dei Dunedain legati all'Antica Via, e per questo era stato accolto con grandi festeggiamenti.
Ancalime, che era uscita per prima dal ventre della madre, aveva suscitato fin dall'inizio incredulità e scalpore, e persino una certa inquietudine, perché lo scostamento dalle profezie era considerato un segnale di malaugurio.

E così, Eldarion aveva ricevuto fin dall'inizio molte più attenzioni rispetto alla sua gemella, per quanto il Re e la Regina cercassero di trattarli con equità.
Lei sarebbe diventata una grande guerriera, se gliel'avessero permesso, pensava Eldarion, e diventerebbe anche una grande Regina, se io rinunciassi al trono.

Eldarion era stato sul punto di firmare e sigillare un editto a tal proposito, ma poi aveva riflettuto e concluso che Ancalime era troppo assetata di potere per essere una giusta sovrana, in lei c'era troppa rabbia e troppa avidità.
Eldarion lo comprendeva: Ancalime, all'inizio, chiedeva semplicemente giustizia ed equità, e parità di trattamenti e opportunità. In fondo lei era la gemella, aveva la stessa età di Eldarion, e dunque perché scartarla fin dall'inizio dalla possibilità di una successione?

Questo diverso trattamento aveva profondamente influenzato lo sviluppo di entrambi.
Eldarion era, prima di ogni altra cosa, il figlio e l'erede. Non era mai esistito autonomamente. Chiunque lo guardasse non poteva fare a meno di pensare a suo padre, a sua madre, ai suoi illustri antenati o al compito che lo attendeva, chiedendosi se ne fosse all'altezza.




C'era una grandissima aspettativa nei suoi confronti, e questo alla lunga era diventato un peso.
Chi conosceva le imprese di Aragorn Elessar, o quelle di Elrond, o dei principi di Andunie, della Casa di Elendil, non poteva che considerare difficile che quel "ragazzo", nato nella bambagia e cresciuto in un'epoca di pace e ricchezza, potesse riuscire ad eguagliare l'eroismo e la grandezza di suo padre, o la millenaria saggezza carismatica dei suoi elfici antenati materni.
Chi non conosceva le leggende, vedeva semplicemente un giovane che ai loro occhi sembrava un eterno ventenne, privo di esperienza.
Il popolo di Gondor non riusciva proprio ad accettare l'idea che il suddetto "ragazzo" fosse diventato prima un uomo, poi un anziano, pur mantenendo le sembianze di un giovane e infine un vecchio vero e proprio, nell'anima.
E questo accentuava il problema principale e cioè il fatto di essere stato principe ereditario per troppo tempo.
Giungo al Trono vecchio e stanco, disilluso, senza alcun desiderio di regnare. L'entusiasmo giovanile è passato da così tanto tempo che fatico a ricordarlo. 
Solo uno sciocco, a quest'età, può credere che il potere sia qualcosa di desiderabile, o anche soltanto di utile per fare del bene.
Ho visto troppi fallimenti e troppe "vittorie" inutili per capire che il mondo può essere davvero migliorato grazie alla buona volontà di un singolo uomo probo in una società resa corrotta dall'indolenza.
Era un pensiero pericoloso, che Eldarion non aveva mai espresso a nessuno, nemmeno a suo padre.
Forse il Ramingo mi avrebbe capito, ma non il Re. Lui vedeva solo il bene, poiché era un uomo senza macchia, un uomo che non conosceva certe cose, certe meschinità e non solo non le conosceva, ma non poteva nemmeno immaginare che esistessero.
Per tanto tempo suo padre Aragorn era vissuto nell'ombra, prima che il destino lo chiamasse alle grandi imprese che lo avevano portato alla gloria e al regno.
Intere generazioni sono nate, cresciute e decedute durante il suo regno. Nemmeno i più vecchi ricordano i tempi in cui Elessar non era il Re, i tempi in cui Gondor era limitato alla sola roccaforte bianca.
Ed ora che Elessar era andato incontro al suo destino mortale, il popolo di Minas Tirith era rimasto attonito, confuso, come se il sole fosse venuto meno.
Poteva esistere Gondor senza re Elessar? Quasi tutti se lo domandavano.
Ora sono chiamato a dare loro una risposta, a dimostrare che Gondor potrebbe persino diventare migliore se gli uomini di buona volontà si unissero a me, nel governo del regno.
Eldarion sospirò e volse lo sguardo verso il fondo della grande sala delle udienze.
L'Alto Trono bianco di Gondor pareva avvolto nell'ombra, e il seggio nero dei sovrintendenti, occupato per tutto il regno dalla regina Arwen, spiccava maggiormente.


Ancalime avrebbe reclamato il seggio nero. Arwen gliel'avrebbe ceduto e Silmarien non avrebbe avuto nulla da obiettare.

Ancalime guida il partito della guerra. Io invece ho sempre detestato le armi. Ero scarso come cavaliere e peggio ancora come duellante nei tornei.
Nessuno aveva il coraggio di deriderlo, almeno non in presenza di suo padre, ma il Re era consapevole dell'imbarazzo generato da quella situazione.
Quando il suo sguardo si posava su Eldarion, c'era comunque benevolenza e tenerezza, come se si trovasse davanti a un bambino mai cresciuto.

Disse bene Merry Brandybuck, quando mi sussurrò che era lo stesso sguardo con cui il vecchio Re osservava gli Hobbit. 
Povero Merry, per lui era un complimento!

Più diretto era stato Gimli, forse il più simpatico tra gli amici di suo padre. Un giorno, dopo troppe pinte di birra, il vecchio nano si era lasciato sfuggire una frase rivelatrice: <<Non è colpa tua ragazzo! Le grandi cose le abbiamo già fatte tutte noi... abbiamo raggiunto la vetta e adesso si può solo scendere>>

Già. Si poteva solo scendere.

Legolas non diceva niente, ma i suoi occhi mostravano nel contempo apprensione e pena.
C'era stato un tempo in cui Eldarion aveva nutrito una sconfinata ammirazione per l'elfo amico di suo padre. Per quanto la parentela tra la famiglia di Legolas e quella di Arwen fosse piuttosto lontana, l'elfo era sempre stato come uno zio per Eldarion e un modello da seguire.

Poi però la sua brama di azione e di allenamento cresce di giorno in giorno. Sembra quasi che abbia nostalgia delle guerre. Non è pronto per andare all'Ovest, e mia madre si sta appoggiando a lui.
Ogni volta che Eldarion faceva notare all'elfo che l'eccessiva vicinanza alla Regina Vedova poteva essere mal equivocata, Legolas assumeva un'aria di disappunto che valeva più di mille parole.

Solo mio padre, tra gli uomini, si era guadagnato il suo completo rispetto. E, tra le donne, mia sorella Silmarien, la più giovane e la più bella. Legolas aiuta mia madre, ma i suoi sguardi ricadono su mia sorella.




Silmarien era rimasta giovane anche nello spirito, a differenza di Eldarion ed Ancalime. Era la più "elfica", tra i figli di Aragorn ed Arwen.
In lei c'era l'amore per gli elfi ereditato dai Principi di Andunie, vissuti nella perduta Numenor.
Ancalime invece era cinica e disillusa nei confronti degli Elfi rimasti nella Terra di Mezzo.
Eldarion cercava di mediare tra le due fazioni capeggiate dalle sue sorelle.
Cercava di essere equidistante, ma a volte questo finiva per scontentare tutti, lo aveva sperimentato molte volte, durante i suoi tentativi di mediazione, quando era solo l'erede al trono.
La longevità mi ha condotto alla saggezza e alla pazienza, ma questo dono ha un suo prezzo. 
Il mondo cambia e io resto indietro.
I giovani scambiano la mia prudenza per viltà e codardia. 
Considerano le mie meditazioni come mancanza di iniziativa e di argomentazione.
Non sanno che la mia memoria è carica di troppi ricordi, troppi lutti, troppi rimpianti per il bel tempo andato, per tutto ciò che non tornerà, tutto ciò che è perduto per sempre.
Che ne sanno loro di com'era bella la Terra di Mezzo quando io ero giovane? Che ne sanno di com'era pura l'aria e limpida l'acqua, prima che ogni terra selvaggia diventasse terra da coltivare o su cui costruire?
Niente. Non ne sapevano niente, né potevano saperlo. A loro non interessava il passato: guardavano solo in avanti.
Forse hanno ragione loro. Forse io sono solo un nostalgico reazionario in un mondo che cambia e che mi è sempre più estraneo.

Era davvero un dono, quello concesso ai discendenti di Numenor e ai Mezzelfi?
Vivere sì, ma non ad ogni costo. Regnare, sì, ma non su un reame che ha dimenticato la sua storia e perduto la sua identità.

Era questo il punto. L'Albero di Gondor era tornato ad appassire. Tutti dicevano che la causa era la morte del vecchio Re e forse in parte era vero, ma il motivo principale era un altro.
Abbiamo perso il legame con le nostre radici e non ce ne siamo nemmeno accorti.
Eppure uno dei motti del Re era "le radici profonde non gelano".
Il collegamento tra le radici e il tronco si sta spezzando.

Nessuno lo sapeva meglio di lui, nemmeno le sue sorelle, a cui non spettava l'onere della successione.
Io conosco la fragilità del Regno Unito di Arnor e Gondor. Solo io ne vedo le crepe.

Ma c'era un altro motivo di preoccupazione.
I miei figli sembrano più vecchi di me. La loro madre non era una Dunedain e loro non hanno avuto il dono. Credevo fosse meglio per loro, ma poi li ho visti declinare e indebolirsi, e guardarmi con il risentimento di chi si sente escluso da un diritto di eredità ancestrale.
La moglie di Eldarion era morta da tempo.
Lui l'aveva amata perdutamente, anche se all'inizio le nozze erano state favorite da ragioni politiche.

Si chiamava Anduril, "Fiamma dell'Occidente", come la spada di Elessar, ed era di nobile stirpe, primogenita di Faramir, primo ministro di Gondor, e di sua moglie Eowyn, principessa di Rohan.
Era stata un'unione felice, benedetta da figli e figlie, per molti anni, ma poi era accaduto l'inevitabile: mentre lui si manteneva giovane, per il sangue elfico e numenoreano che scorreva nelle sue vene, lei deperiva con l'età. Non per questo Eldarion l'aveva amata di meno, ma era stato straziante perderla così, un poco alla volta, giorno per giorno.
Mia madre mi aveva messo in guardia. "Il dolore non appartiene ai morti, ma ai sopravvissuti"

Ecco perché sua madre in quel momento cercava il conforto di Legolas: lui era vissuto a lungo quasi quanto lei, e aveva condiviso gli anni dell'ombra prima di quelli della gloria.
Io, Arwen, Legolas e Gimli siamo gli ultimi sopravvissuti di un mondo che non c'è più. Io sono il più giovane, e Legolas partirà per l'Ovest. Alla fine resterò soltanto io.


English version

Anyone looking at the new king, Eldarion, son of King Elessar and Queen Arwen, would have given him twenty-five years at most, perhaps less.

And instead he was one hundred and eighteen.

He was born during the second year of his father's reign, along with his twin, Princess Ancalime.

No premonition of Arwen had foreseen a twin birth: Eldarion, the male heir of the United Kingdom of Arnor and Gondor, was the prince who had been promised in the prophecies of the Elves and Dunedain linked to the Ancient Way, and for this reason he had been welcomed with great celebrations.

Ancalime, who was the first to emerge from her mother's womb, had aroused disbelief and uproar from the beginning, and even a certain uneasiness, because deviation from the prophecies was considered a sign of bad omen.

And so, Eldarion had received far more attention than his twin from the beginning, even though the King and Queen tried to treat them fairly.

She would make a great warrior, if they let her, Eldarion thought, and she would make a great Queen too, if I gave up the throne.

Eldarion had been on the verge of signing and sealing an edict to this effect, but then he had reflected and concluded that Ancalime was too power-hungry to be a just ruler, there was too much anger and too much greed in her.

Eldarion understood this: Ancalime, at first, simply asked for justice and fairness, and equal treatment and opportunity. After all, she was the twin, she was the same age as Eldarion, and so why discard her from the beginning from the possibility of succession?

This different treatment had profoundly influenced the development of both.

Eldarion was, above all else, the son and heir. It had never existed independently. Anyone who looked at him could not help but think of his father, his mother, his illustrious ancestors or the task that awaited him, wondering if he was up to it.

There was a huge expectation of him, and in the long run this had become a burden.

Those who knew the exploits of Aragorn Elessar, or those of Elrond, or of the princes of Andunie, of the House of Elendil, could only consider it difficult that that "boy", born in cotton wool and raised in an era of peace and wealth, could be able to match the heroism and greatness of his father, or the thousand-year-old charismatic wisdom of his elven maternal ancestors.

Those who didn't know the legends simply saw a young man who in their eyes seemed like an eternal twenty-year-old, with no experience.

The people of Gondor just couldn't accept the idea that the aforementioned "boy" had become first a man, then an old man, while maintaining the appearance of a young man and finally a real old man in his soul.

And this accentuated the main problem, namely the fact that he had been crown prince for too long.

I come to the Throne old and tired, disillusioned, with no desire to reign. The youthful enthusiasm is so long gone that I struggle to remember it.

Only a fool, at this age, can believe that power is something desirable, or even just useful for doing good.

I have seen too many failures and too many useless "victories" to understand that the world can truly be improved thanks to the good will of a single honest man in a society made corrupt by indolence.

It was a dangerous thought, one that Eldarion had never expressed to anyone, not even his father.

Perhaps the Ranger would have understood me, but not the King. He saw only the good, since he was a man without blemish, a man who did not know certain things, certain meannesses and not only did he not know them, but he could not even imagine that they existed.

For a long time his father Aragorn had lived in the shadows, before fate called him to the great deeds that had brought him glory and kingdom.

Entire generations were born, raised and died during his reign. Not even the oldest remember the times when Elessar was not King, the times when Gondor was limited to the white stronghold alone.

And now that Elessar had met his mortal fate, the people of Minas Tirith were left astonished, confused, as if the sun had failed.

Could Gondor exist without King Elessar? Almost everyone wondered that.

Now I am called to give them an answer, to prove that Gondor might even become better if men of good will would join me in ruling the kingdom.

Eldarion sighed and looked towards the back of the great audience hall.

The High White Throne of Gondor seemed shrouded in shadow, and the black seat of the Stewards, occupied throughout the kingdom by Queen Arwen, stood out the most.

Ancalime would have claimed the black seat. Arwen would have given it to him and Silmarien would have had no objection.


Ancalime leads the war party. I, on the other hand, have always hated guns. I was poor as a knight and even worse as a duelist in tournaments.

No one had the courage to mock him, at least not in the presence of his father, but the King was aware of the embarrassment generated by that situation.

When his gaze fell on Eldarion, there was still benevolence and tenderness, as if he were looking at a child who had never grown up.

Merry Brandybuck said it well, when she whispered to me that it was the same look with which the old King looked at the Hobbits.

Poor Merry, for him it was a compliment!

Gimli, perhaps the nicest of his father's friends, had been more direct. One day, after too many pints of beer, the old dwarf let slip a revealing phrase: <<It's not your fault, boy! We have already done all the great things... we have reached the top and now we can only go down>>

Already. You could only go down.

Legolas said nothing, but his eyes showed both apprehension and pain.

There had been a time when Eldarion had had boundless admiration for his father's elf friend. Although the relationship between Legolas's family and Arwen's was quite distant, the elf had always been like an uncle to Eldarion and a role model to follow.

But then his hunger for action and training grows day by day. It almost seems like he is nostalgic for wars. He's not ready to go West, and my mother is leaning on him.

Every time Eldarion pointed out to the elf that excessive closeness to the Dowager Queen could be misunderstood, Legolas assumed an air of disappointment that was worth a thousand words.

Only my father, among men, had earned his complete respect. And, among the women, my sister Silmarien, the youngest and most beautiful. Legolas helps my mother, but his gaze falls on my sister.

Silmarien had also remained young in spirit, unlike Eldarion and Ancalime. She was the most "elven" of the children of Aragorn and Arwen.

In her there was the love for elves inherited from the Princes of Andunie, who lived in the lost Numenor.

Ancalime, on the other hand, was cynical and disillusioned towards the Elves who remained in Middle-earth.

Eldarion tried to mediate between the two factions led by his sisters.

He tried to be equidistant, but sometimes this ended up displeasing everyone, he had experienced this many times, during his attempts at mediation, when he was only the heir to the throne.

Longevity has led me to wisdom and patience, but this gift comes at a price.

The world changes and I'm left behind.

Young people mistake my prudence for cowardice and cowardice.

They consider my meditations as a lack of initiative and argumentation.

They don't know that my memory is full of too many memories, too many mournings, too many regrets for the good times gone by, for everything that will not return, everything that is lost forever.

What do they know how beautiful Middle-earth was when I was young? What do they know about how pure the air was and how clear the water was, before every wild land became land to be cultivated or built on?

Nothing. They knew nothing about it, nor could they know it. They weren't interested in the past: they only looked forward.

Maybe they are right. Maybe I'm just a nostalgic reactionary in a changing world that is increasingly alien to me.

Was it really a gift, the one given to the descendants of Numenor and the Half-elves?

Living yes, but not at any cost. Reign, yes, but not over a realm that has forgotten its history and lost its identity.

That was the point. The Tree of Gondor had withered again. Everyone said that the cause was the death of the old King and perhaps it was partly true, but the main reason was another.

We have lost the connection with our roots and we didn't even realize it.

Yet one of the King's mottos was "deep roots do not freeze".

The connection between the roots and the trunk is breaking.

No one knew this better than him, not even his sisters, who were not responsible for the succession.

I know the fragility of the United Kingdom of Arnor and Gondor. Only I see the cracks.

But there was another cause for concern.

My kids look older than me. Their mother was not a Dunedain and they did not have the gift. I thought it was better for them, but then I saw them decline and weaken, and look at me with the resentment of those who feel excluded from an ancestral inheritance right.

Eldarion's wife was long dead.

He had loved her madly, even if at the beginning the wedding had been favored by political reasons.

Her name was Anduril, "Flame of the West", like the sword of Elessar, and she was of noble lineage, eldest daughter of Faramir, prime minister of Gondor, and his wife Eowyn, princess of Rohan.

It had been a happy union, blessed with sons and daughters, for many years, but then the inevitable had happened: while he remained young, due to the Elven and Numenorean blood that flowed in his veins, she wasted away with age. That didn't make Eldarion love her any less, but it had been heartbreaking to lose her like this, little by little, day by day.

My mother had warned me. "Pain does not belong to the dead, but to the survivors"

That was why his mother sought Legolas's comfort at that moment: he had lived almost as long as she had, and had shared the years of shadow before those of glory.

I, Arwen, Legolas and Gimli are the last survivors of a world that no longer exists. I am the youngest, and Legolas will leave for the West. In the end only me will remain.

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