venerdì 1 gennaio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 101. La sopravvissuta e l'erede


Diana vagava sola nella casa dei suoi antenati.
I loro ritratti la fissavano dalle pareti con sguardo corrucciato. L'unica Orsini che aveva osato accennare un sorriso, nel "ritratto ufficiale", era stata lei stessa, ed ora le due Diane, quella del passato e quella del presente, si osservavano a vicenda. La prima, dal ritratto, osservava la "se stessa" reale con aria indulgente, e gli occhi scuri e profondi come abissi sembravano intravvedere, con malinconia dignitosa e maestoso coraggio, tutte le avversità che l'attendevano in agguato nella seconda parte della sua vita.
E adesso cosa mi resta?
"Che ne fu del re don Juan? E degli Infanti di Aragona, che ne è stato? Cosa resta di tanta nobiltà? Le giostre ed i tornei, i cimieri e le armature... Nient'altro fu che vento? Che cosa sono stati se non erbe di campo"
Della sua grande famiglia, era rimasta soltanto lei a presidiare Villa Orsini.
Per tre rami fiorì la mia stirpe, per sette manieri silvani, ma presto fu stanca del fiero blasone, piegò sotto il peso degli anni, l'antico retaggio degli avi è tutto ciò che io conquisto ed apporto: sono ormai senza patria nel mondo...
Villa Orsini non era mai stata così silenziosa.
Se n'erano andati via tutti.
Il valzer degli addii si era concluso e ognuno era partito per la sua strada.
I più si trovavano sotto la volta nera della cappella di famiglia, riuniti nel sonno eterno.
Suo padre, sua madre, i suoi fratelli Eugenio e Arturo, (il primo morto di meningite quando era solo un bambino), le sue sorelle Giovanna (morta per l'influenza spagnola) e Isabella.
E infine suo marito.
Tutti continuavano a vivere in lei, come se nel momento della dipartita le loro anime fossero confluite nella sua, per darle forza, per dirle: siamo con te, non siamo mai andati via.
Le conferivano una sorta di "mandato celeste" per guidare con saggezza e benevolenza il resto della famiglia, i vivi, anche se non abitavano più con lei : l'ultima sorella che le restava, Ginevra; la cognata nubile, Adriana, che dopo la morte di Ettore si era trasferita in città per stare più vicina al resto della famiglia Ricci; e poi le figlie e i nipoti, che ormai erano cresciuti e avevano la loro vita.
Persino il personale di servizio era ridotto al minimo: la nuova governante, Monica, (molto più discreta di colei che l'aveva preceduta, la terribile Ida Braghiri), non aveva bisogno di collaboratori, perché ormai in casa non c'era molto da fare, e alcune stanze erano state persino chiuse, con i mobili ricoperti da tele contro la polvere.
Pareva di essere in un mausoleo o in una cripta.
Inoltre, a rendere Villa Orsini ancora più tetra e più simile a un maniero inglese era stato il tipo di restauro che il conte Luigi Carlo, trisavolo di Diana, aveva portato a termine a metà Ottocento, in un eccentrico stile neogotico vittoriano già allora piuttosto cupo e minaccioso. A a distanza di un secolo e mezzo pareva un castello abbandonato in preda agli spettri.


Il parco si stava trasformando in un bosco pieno di sterpaglie, che Diana percorreva assorta nei suoi pensieri, riflettendo sulle origini del declino degli Orsini di Casemurate.
Il conte Luigi Carlo conosceva i nomi dei suoi antenati meglio di quelli dei suoi figli e nipoti.
Se ne stava in vecchi saloni con teste di cervo alle pareti, meditando sulle sottigliezze dell'araldica, e saliva nelle sue torri neogotiche per immergersi nel passato e dimenticare il presente.
E fu così che la nostra stirpe andò in rovina e il comando passò, per dirla con Dante, alla "gente nova e' subiti guadagni".
Certo, era tutto molto romantico, e la tentazione di rifugiarsi nel passato era molto forte, e in alcuni casi poteva persino essere giusta, ma a pagare il prezzo di tutto questo erano stati i suoi discendenti.
Le finanze di famiglia non si erano più risollevate, e soltanto il matrimonio di Diana con Ettore Ricci aveva permesso al Feudo Orsini di sopravvivere e persino di prosperare, anche se solo per un breve periodo.
A tal proposito,  Diana ripensava a un colloquio che aveva avuto col nipote Roberto, poco dopo la morte di Ettore.
Mentre passeggiavano sulle rive del Bevano, la Contessa aveva detto al figlio di sua figlia Silvia:
<< Io sono l'ultima degli Orsini di Casemurate. Con me si estinguerà il vincolo che lega il mio cognome a questa terra.  
Dopo di me, il titolo comitale passerà, pro-forma, a tua zia Margherita e quindi alla famiglia Spreti da Serachieda, che era già detentrice della Marca casemuratense ravennate.
Tu avrai in eredità un fondo fiduciario che sono riuscita a mettere al sicuro dalle grinfie dei creditori: ti permetterà di dedicarti a ciò per cui sei portato, e cioè allo studio della storia e della letteratura, e alla tua passione per la scrittura.
Tutto questo per dire che non hai obblighi verso questo luogo .
La manutenzione di questa casa ha costi insostenibili e la gestione del Feudo richiederà l'ingresso di nuovi soci, che prima o poi ci metteranno in minoranza: sic transit gloria mundi.
Ma non importa! Ciò che conta è che non devi sentirti vincolato a una promessa fatta in un momento di debolezza... io so che Ettore ha fatto leva sul tuo profondo senso della famiglia, me l'ha confessato, alla fine, ma non aveva il diritto di far ricadere su di te un simile peso.
Una promessa estorta in quel modo non vale. 
In troppi hanno già pagato per difendere l'onore e il patrimonio dei Ricci-Orsini!
Questo è un mio fardello, a cui dedicherò tutte le mie forze, per tutti i giorni che mi rimangono. 
E i tuoi zii faranno il resto, quando non ci sarò più. 
Voi nipoti potrete vendere tutte le quote e rifarvi una vita>>
Roberto sentiva che nelle parole di sua nonna c'era grande generosità e molto buon senso, ma lui non voleva venir meno alla promessa fatta al nonno morente:
<<"Le radici profonde non gelano". Lo diceva Tolkien e lo diceva anche il nonno, a modo suo, naturalmente. Non puoi chiedermi di agire in maniera non coerente ai miei ideali>>


Diana sospirò:
<<I tuoi ideali sono cavallereschi e cortesi, e dunque appartengono a un mondo che non esiste più e che forse non è mai esistito, se non nei poemi e nei romanzi.
Tu citi Tolkien e allora pensa alla sua scelta di vita: studiava e insegnava all'università, scriveva e inventava lingue immaginarie parlate da personaggi immaginari in mondi immaginari. E tutto questo è confluito nelle storie che raccontava ai suoi figli e infine nei suoi romanzi.
Se avesse fatto l'amministratore di un'azienda agricola, non avrebbe avuto il tempo e gli strumenti culturali per creare la sua grande opera letteraria.
Ha valorizzato le sue qualità ed è la stessa cosa che io vorrei per te: preferirei un milione di volte vederti impegnato in un'attività intellettuale, piuttosto che a controllare gli spaventosi bilanci del Feudo Orsini.
Ettore è morto. Tu sei vivo, e hai tutta la vita davanti. Non buttare via la tua giovinezza in queste meschinità. 
E poi sei un Monterovere! Segui l'esempio di tuo padre, che è un grande insegnante, o di tuo zio, che è un docente universitario!
Lascia perdere questa terra amara... troppe lacrime l'hanno irrigata, e troppo sangue... e ormai "altra messe non dà">>
Roberto prese la mano di sua nonna:
<<Io sono cresciuto qui.  Questa casa, questo giardino... sono parte di me. Qui ho trascorso i miei anni più belli. Solo qui mi sento veramente a casa...>>
Diana scosse il capo:
<<Gli anni più belli? Ma tu non hai neanche diciassette anni! Vorresti forse seppellirti vivo in questo "morto viluppo di memorie"? Già ai tempi del mio trisavolo questa casa stava andando a pezzi, ma lui era convinto di poterla trasformare in un castello medievale e si concentrò solo sugli archi a sesto acuto, le bifore, le torrette col tetto a punta, i camini in stile Tudor, le guglie, i gargoyle... e lasciò che tutto il resto continuasse a cadere a pezzi, perché in fondo questo aggiungeva un'aura davvero medievale al tutto, tralasciando però di aggiungere il trascurabile dettaglio che non gli era rimasto un centesimo. 
Ma tanto bastava costringere i figli e le figlie a sposare gente ricca e tutto si risolveva... ebbene sappi che in tutto questo non c'è stato proprio nulla di romantico. Questo non è un castello con una principessa da salvare. Questa è una tomba, un cimitero! 
L'ultima principessa ha ottant'anni, ormai, e per lei è troppo tardi, perché è questo che sono: prigioniera da una vita... prigioniera del sogno dei miei padri e di quello di mio marito.
Una volta che sarò morta anch'io, cosa resterà qui, se non un cumulo di macerie?
Vuoi forse sprecare la tua vita diventando un adoratore di ceneri?>>


Roberto la fissò, ed era come fissare se stesso, perché lei aveva gli stessi occhi che lui aveva ereditato:
<<Il mio compito è mantenere viva la fiamma>>
Lei ricambiò lo sguardo:
<<E lo farai, ma in un altro modo!>>
Lui non capiva:
<<E quale sarebbe?>>
Diana sorrise:
<<Racconta la nostra storia. Tutta la verità, fino in fondo. Ti autorizzo a farlo. Scrivila, se vuoi.
 Fa' in modo che ne resti traccia. In fondo la mia vita è stata come un romanzo. Ti autorizzo a scrivere di me e di queste terre, che verranno ricordate perché tu avrai scritto un romanzo su di loro. Questo è il modo migliore per rendere omaggio al luogo della tua infanzia. E' l'unica immortalità consentita. Certe cose non tornano più, ma possono essere raccontate...
Pensa a Camelot, il centro dell'universo cavalleresco e cortese: tutti sanno la storia di Camelot, è una storia eterna, eppure Camelot non esiste e non è mai esistita, perché se fosse esistita, la sua realtà sarebbe stata molto più deludente rispetto all'immagine che ne abbiamo tratto dai poemi e dai romanzi
Ciò che onorerà al meglio la nostra storia non sarà un cantiere o un bilancio: sarà la magia della parola e il potere creativo dell'immaginazione.
Solo così la tua nonna Diana, anziana principessa di questo castello potrà essere liberata >>



Non era la risposta che Roberto si aspettava:
<<La storia della nostra famiglia attirerebbe molti più lettori se io riportassi il Feudo Orsini e la Villa Orsini agli splendori un tempo. Ma tu non credi che io ne sia capace.
Dimmi la verità: tu pensi che io sia troppo debole per il mondo degli affari. Alla fine è quello che pensano tutti...>>
Diana si accigliò:
<<Non è una questione di forza o di debolezza, è una questione che riguarda i tuoi talenti, che sono di tipo umanistico, e se tu li tradirai, allora sì che sarai un debole! La vera forza sta nel valorizzare ciò che siamo!>>
Roberto sapeva che sua nonna aveva ragione, ma si trovava in quella turbolenta fase dell'adolescenza in cui ancora l'identità delle persone non è del tutto definita, e dunque è arduo conoscere se stessi, se ancora questo Sé non si è definito.
<<Vorresti fare di me un letterato e quindi un insegnante, uno dei tanti. Ma io vedo che i miei insegnanti sono logorati da un lavoro che la società non valorizza. I miei genitori non vedono l'ora di andare in pensione. Gli studenti di oggi, i miei coetanei, sono per lo più persone squallide, a cui non interessa nulla di storia o di letteratura. E per quel che riguarda l'università, si sa come funzionano le cose... dottorati, borse di studio, precariato e poi alla fine vengono assunti solo i raccomandati>>
Lei inarcò le sopracciglia:
<<Ma tuo zio Lorenzo ti aiuterebbe, ne sono certa>>
Il nipote scosse il capo:
<<Io non voglio questo tipo di favori. Non mi piace dover dire troppe volte grazie alla stessa persona. E comunque, che ti piaccia o no, nelle mie vene scorre anche il sangue di Ettore Ricci, e quello delle infinite generazioni di agricoltori che hanno coltivato questa terra fin dalla notte dei tempi.
Lui aveva con la terra un rapporto quasi simbiotico
Io gli assomiglio più di quanto possa sembrare, e questo lui l'aveva capito. Perciò ha scelto me. Non tanto come erede degli Orsini, quanto come successore di Ettore Ricci>>
Diana ponderò a lungo quelle parole, soppesandole nel suo cuore, ma non se ne rallegrò, perché erano presagio di sofferenza e di sventura:
<<Certo Ettore era l'animatore di questa terra, di questa casa e di questa famiglia. E se mai la Contea di Casemurate ha avuto un'anima, quell'anima era lui.
Ettore non era malvagio, aveva soltanto troppa energia dentro di sé e questo fuoco lo ha consumato. Si è lasciato possedere dai suoi istinti predatori, gli stessi che portano alcune persone a sacrificare tutto in nome del profitto e del successo.
Non dare ascolto a questi istinti : non sanno niente e, cosa ancora peggiore, non imparano mai>>

 



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