martedì 28 febbraio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 37. Francesco Monterovere fugge dal seminario.

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Nel 1956, Francesco Monterovere aveva diciassette anni ed una sola granitica certezza: non intendeva rimanere un giorno di più in Seminario.
La decisione fu presa dopo che ebbe visionato una foto di se stesso in abito talare.
La foto incriminata, della quale furono poi fatti bruciare persino i negativi, gli era stata scattata da sua zia Anita in un'occasione del tutto particolare e cioè l''ottantacinquesimo compleanno di sua nonna Eleonora Bonaccorsi Monterovere.
Era stata una grande festa di famiglia, a cui tutti i Monterovere, i Bonaccorsi e i Bassi-Pallai avevano partecipato, con abbondanti scorpacciate e libagioni.
Francesco aveva ottenuto il permesso di unirsi alla festa a patto di indossare la tonaca. 
Quando era arrivato, prima degli altri invitati, sua zia Anita, a tradimento, gli aveva scattato la foto, poi gli aveva fornito abiti "borghesi".
La serata era stata piacevole. Francesco aveva rivisto tutti gli altri zii, ma soprattutto i suoi genitori Romano e Giulia, sua sorella Enrichetta, che lavorava già come segretaria dell'Azienda Fratelli Monterovere, e suo fratello Lorenzo, che frequentava il ginnasio.
E qui incominciò la maturazione dell'idea della fuga:
<<Se Lorenzo frequenta il Ginnasio da casa, allora anch'io voglio frequentare l'ultimo anno di Liceo Classico da laico>> aveva detto ai genitori e gli zii.
Alla sera aveva dormito dalla nonna e contava di andare con i genitori a parlare ai Salesiani della sua decisione.
Purtroppo, per una singolare applicazione della Legge di Murphy, il giorno dopo accadde un'imprevista tragedia: suo zio Ferdinando, che aveva mangiato e bevuto con particolare voracità, si sentì male e morì d'infarto a soli cinquantotto anni.
La festa si tramutò subito in lutto, e fu un lutto molto grave, anche perché Nando era il vero dirigente dell'Azienda Fratelli Monterovere, il vero uomo d'affari, e i suoi figli, che pure erano destinati a succedergli in quel ruolo, erano ancora troppo giovani.
Tocco dunque al fratello Romano, seppure di malavoglia, assumere temporaneamente la guida dell'Azienda, insieme al suocero, l'ingegner Lanni.
L'altro fratello, Tommaso, garantì come sempre la "copertura politica" da parte del PCI, specie per garantire i finanziamenti del progetto C.E.R.
Quando Romano spiegò al figlio Francesco che gli eventi di quei giorni richiedevano la sua presenza altrove e gli impedivano di recarsi subito dai salesiani, il ragazzo tornò in seminario, ma con l'intenzione di uscirvi il prima possibile e il momento della fuga fu deciso quando gli arrivò per posta la foto che sua zia Anita gli aveva scattato il giorno del compleanno della nonna.
Vedersi in abito da novizio fu troppo.
Francesco mise subito in atto il piano.
Quella notte, quando i suoi compagni di stanza si furono addormentati, prese il suo zaino e si diresse verso una zona dove l'alto cancello acuminato era affiancato da un ciliegio. Si arrampicò sul ciliegio e si trascinò con le mani lungo un ramo che andava oltre il cancello. 
Il ramo si piegò sempre di più, anche se all'epoca Francesco, pur essendo già alto più di un metro e ottanta, era talmente magro e denutrito da pesare pochissimo.
Si lasciò andare e se la cavò con qualche graffio e una sbucciatura di cui rimase la una cicatrice a forma di croce: l'ultimo ricordo del Seminario.
Si diresse subito dallo zio Tommaso, il quale, essendo comunista, odiava i preti e avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliere il nipote dalle loro grinfie.
L'unico prezzo da pagare fu ascoltare per la milionesima volta i racconti puramente inventati da Tommaso riguardo alle sue presunte imprese eroiche durante la Resistenza.
I Salesiani, non appena si accorsero che Francesco era fuggito, si rivolsero alla sua protettrice, la contessa Zuccini, Dama di San Vincenzo, la quale subito individuò il rischio del pericolo comunista:
<<Quel suo zio è peggio di Lenin!>> dichiarò <<Sarebbe capace di tutto!>>
La delegazione andò ad affrontare il Lenin di Faenza e lo trovò particolarmente bellicoso.
<<Mio nipote non si muove di qua. Garantisco io per lui, e sapete che la mia parola pesa molto, da queste parti>>
Francesco fu irremovibile nel rifiuto di non tornare.
<<Non gli faremo superare l'anno di scuola>> minaccio il prete-vicepreside.
Ma lo zio Tommaso aveva già trovato la soluzione:
<<Darà gli esami di ammissione alla terza Liceo da privatista. E se non sarà presentato bene, sarete voi a fare una brutta figura>>
Alla fine si arrivò ad un compromesso: Francesco sarebbe stato promosso con la media del 6, molto più bassa di quella reale, ma avrebbe potuto accedere all'ultimo anno del Liceo Classico pubblico se, come prevedeva la legge per chi proveniva da scuole confessionali, avesse superato l'esame di ammissione. 
Lo superò con la media dell'otto e finalmente, alle soglie dei 18 anni, fu libero.

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