lunedì 15 marzo 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 115. Rêverie 1912 , il ritratto perduto di Emilia Paulucci di Calboli



 A metà giugno, come concordato, la viscontessa Antonietta Visconti-Ordelaffi di Bertinoro e sua figlia Aurora furono ospiti della contessa Diana Orsini Paulucci di Casemurate, per un tè delle quattro, all'inglese, a cui presenziarono anche il nostro Roberto Monterovere, che si trovava nella residenza di sua nonna da alcuni giorni, e sua madre Silvia.
Mancavano, naturalmente, il Visconte e sua nonna Clotilde, ma anche Francesco Monterovere, offeso dal fatto che l'altro capofamiglia avesse dato forfait.
Francesco aveva comunque promesso a Roberto che avrebbe fatto da anfitrione nella successiva cena presso la residenza cervese dei Monterovere.
Roberto non sapeva, all'epoca, che era stata sua madre, Silvia Ricci-Orsini Monterovere a sconsigliare al marito, notoriamente poco diplomatico, di rimandare la sua partecipazione, sentenziando, con autoironia: 
"I Monterovere è meglio conoscerli uno alla volta, altrimenti si rischia un'intossicazione".

E così all'incontro furono presenti sette persone: la governante signora Rita, la contessa Diana, sua figlia Silvia, il nostro Roberto, la viscontessa Antonietta, la nostra Aurora e l'immancabile chauffeur Battista.
Purtroppo, la Legge di Murphy agì anche quella volta e si concretizzò nel fatto che il traffico della Cervese di Forlì (da non confondere con la più moderna e più ampia Cervese di Cesena) già solitamente congestionato a causa del fatto che la strada era una sorta di collo di bottiglia stretto e tortuoso (fin dai primordi, quando quelle zone erano, come già ricordato, tutte ricoperte da paludi e foreste), quel giorno era praticamente fermo per due fattori concomitanti: l'ennesimo incidente presso l'incrocio di Carpinello (all'epoca non c'erano ancora le rotonde) e un "esodo" verso Cervia da parte di tutti i Forlivesi, essendo l'inizio ufficiale della stagione balneare del 1992.

Il risultato fu che Antonietta e Aurora arrivarono con due ore e mezzo di ritardo.
Naturalmente non era colpa loro, perché anzi erano partite in anticipo, intorno alle 15.30, per poi rimanere imbottigliate nel traffico nella zona tra Carpinello e Pievequinta, (dove un tempo sorgeva "e bosk de Marlinon", un antico bosco di cui resta solo un'immensa quercia).
Il traffico era visibile anche da Villa Orsini, per cui Diana, Silvia e Roberto sapevano che il ritardo era più che giustificato.

Finalmente, alle 18.30, la BMW di Battista (che grazie al cielo aveva l'aria condizionata) fece il suo ingresso nel vialetto di Villa Orsini.
Ne uscirono le due nobildonne e il fedele autista,  il quale teneva in mano un misterioso pacco.

La governante, felicissima che fossero riuscite ad arrivare prima dell'ora di cena, invitò tutti ad entrare, sorridendo con bonaria indulgenza.
Per quell'occasione solenne, Aurora aveva scelto un look che fosse nel contempo formale e speciale, ispirato allo stile floreale del Salotto Liberty. Già mesi prima, in vista di questo invito, aveva commissionato un vestito a giacca su misura, con pantaloni a palazzo (wide-leg pants, si dice nel mondo della moda), con una base color malva su cui era applicata una fitta "stampa" floreale con i contorni in indaco e i petali color lavanda in tutte le sue sfumature, in particolare il rosa, il blu pervinca e il magenta.
Sotto la giacca indossava una blusa di seta di un rosa chiarissimo, con maniche e polsini a sbuffo, ondulati con volant.
Il trucco, molto leggero, mostrava una prevalenza del rosa, i capelli erano sciolti e ancora più biondi del solito. Le scarpe erano nere, a punta, con tacco alto nascosto dai pantaloni svasati. Era favolosa!






Nell'atrio del maniero i padroni di casa attendevano con comprensiva clemenza,

Diana Orsini vestiva con abiti scuri, poiché era ancora in lutto per la morte di suo marito Ettore, l'anno precedente. Il lutto stretto, e quindi l'obbligo del nero, era terminato da alcuni mesi, nei quali, gradualmente Diana era passata al blu scuro nelle varianti indaco, notte, oltremare e zaffiro,
che per molto tempo rimasero le prime scelte del suo guardaroba.
La gente giudicava strana quell'insistenza nel portare colori scuri in memoria di un marito con cui non era mai andata d'accordo.
Solo pochissimi riuscivano a capire che Diana Orsini portava il lutto per tutti i suoi cari, quelli morti anzitempo (due fratelli, due sorelle e il padre), quelli che aveva amato di più (Federico Traversari) e quelli che erano venuti meno negli ultimi anni, e cioè la madre Emilia, animatrice del Salotto Liberty e naturalmente Ettore Ricci, che era stato, nel bene e nel male, la colonna della casa e della famiglia.
Ma più in generale questo lutto si estendeva alla sua casa fatiscente e alla sua Contea sconfitta. le cui secolari tradizioni si stavano perdendo.







Silvia Ricci-Orsini Monterovere univa il decoro con lo stile indossando il venerato "tubino nero" inventato da Coco Chanel, perfezionato dal conte Hubert de Givenchy e indossato da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, la pellicola che dal 1961 in avanti ha rovinato intere generazioni di giovani donne, inoculando nella loro mente un'esagerata aspettativa nei confronti della vita, dell'amore, degli uomini e quant'altro.






Roberto era in tenuta da Piccolo Lord di campagna, pettinatura compresa, una mise che si portava dietro dall'infanzia e che, con coraggioso sprezzo del ridicolo ed olimpica indifferenza nei confronti di ogni commento sarcastico, continuò a portarsi dietro, salvo rare e brevi eccezioni, per il resto della sua esistenza mortale. In fondo era ancora e sarebbe sempre rimasto ciò che era stato nella sua età più felice: il bambino della campagna.




Diana si fece avanti, porgendo la mano alla viscontessa Antonietta, la quale sussurrò <<Vostra Grazia>> e, accennando persino a una riverenza, le baciò l'anello di ametista che gli Orsini di Casemurate si tramandavano di generazione in generazione dal remoto giorno in cui papa Niccolò III concesse l'investitura comitale ai suoi nipoti Bertoldo e Bernardo.
La Contessa sorrise e disse: <<Suvvia, mia cara, non sono ancora una "santa reliquia">>, che era una delle sue battute preferite, specie in tarda età e poi aggiunse <<Lei è davvero incantevole, viscontessa, e ha trasmesso tutto il suo charme a sua figlia Aurora>> 
Quest'ultima si esibì in riverenza e baciamano ancor meglio della madre, al che Diana, non potendo più avvalersi della sua battuta precedente, sfoggiò un sorriso ancora più benevolo:
<<Sei davvero uno splendore, Aurora, e che eleganza! Il tuo stile è divino e devo dire che coglie perfettamente l'atmosfera del mio salotto, che evidentemente mio nipote ti ha descritto>> e poi sospirò, chiedendosi, come tutti e come sempre, cosa mai avesse spinto una fanciulla tanto perfetta a mettersi con un personaggio eccentrico, sbadato e scontroso come Roberto.

Fu poi la volta di Silvia, che senza tante cerimonie abbracciò Antonietta come se fosse la sua migliore amica nell'universo, e poi ripeté l'abbraccio con Aurora, accompagnandolo però con il tipico sguardo inquisitorio e scettico che hanno le madri di figli maschi quando conoscono l'aspirante fidanzata del loro "pargolo", che continuano a difendere con la determinazione di una chioccia che vede minacciato il suo pulcino.
Del resto Silvia aveva capito subito che, nel rapporto tra Aurora e Roberto, era la ragazza che comandava, come del resto Silvia stessa, a sua volta, comandava ogni aspetto domestico della vita del povero Francesco Monterovere.
Subito la viscontessa si sentì in dovere di scusarsi:
<<Vostra Grazia, sono desolata per questo terribile ritardo. Non avevamo mai visto un ingorgo del genere. Oltre tutto, per l'emozione, mi sono dimenticata il mio Motorola MicroTac Platinum a casa... sì, il telefono cellulare, voi non l'avete? Se io l'avessi avuto con me, avrei subito chiamato per avvertire del ritardo e porre a tutti voi le mie scuse>>
Diana, con un cenno, indicò che non era necessaria alcuna scusa, e aggiunse:
<<Il traffico era bloccato anche a Casemurate, per cui non c'è nulla di cui dobbiate scusarvi. 
Piuttosto, dopo un viaggio così disagevole, se volete rinfrescarvi, la signora Rita vi indicherà la stanza da bagno>>
La viscontessa Antonietta, sollevata, ringraziò e accettò subito la cortesia, e dopo di lei fu il turno di Battista, che, per precauzione, si portò dietro pure il misterioso pacco.
Al contrario, Aurora rispose che era a posto così.
Roberto non ne era convinto: conosceva ormai certe stravaganti abitudini delle sua ragazza e anche i veri motivi che c'erano dietro. Era stata lei stessa a rivelargli tutto, la prima sera che erano usciti insieme, mentre erano al cinema.
Aveva sperato che, almeno per un giorno, Aurora avrebbe cercato di contrastare alcune ossessioni feticistiche sviluppate in seguito a traumi infantili.
Ma purtroppo, sperare che lei cambiasse tali masochistiche erotizzazioni senza l'aiuto di un terapeuta era un po' come la speranza dei Bretoni nel ritorno di re Artù da Avalon: una speranza vana.

Nel frattempo, Diana Orsini mostrò alcuni ritratti dei precedenti Conti di Casemurate, fino ad arrivare al proprio:
<<Io sono la diciottesima, come la Duchessa d'Alba, nelle cui vene scorre il sangue degli Stuart.
 Ma le generazioni che mi separano dal primo Conte, Bernardo Orsini, sono molte di più: il fatto è che spesso, purtroppo, i figli sono morti prima dei genitori. 
Tra l'altro, anche nella nostra famiglia, l'erede del Conte in carica porta un altro titolo, e cioè Visconte di San Zaccaria... certo non è il massimo, ma da queste parti bisogna sapersi accontentare>>
Subito Aurora intervenne con entusiasmo:
<<Ah, quindi siete dei visconti anche voi! E chi detiene il titolo adesso?>>
Diana sorrise:
<<Dunque, è un discorso che faccio fatica a comprendere persino io. 
Teoricamente spetterebbe al figlio primogenito maschio, ma io non ho figli maschi, come il mio defunto marito non perdeva occasione di ricordarmi.
Tuttavia, Ettore era riuscito, appena in tempo, ad ottenere dalla Consulta Araldica, la successione del cognome Orsini (senza però il cognome Paulucci, che mia madre mi trasmise perché i Calboli, dopo la morte di suo fratello Fulcieri, avevano ottenuto dalla stessa Consulta la trasmissione per via femminile del cognome). 
Così le mie figlie sono diventate le tre considerevoli sorelle Ricci-Orsini.
Riguardo ai titoli, il discorso è più complicato.
Ci sono delle regole della Consulta, che pur essendo stata formalmente abrogata dalla Repubblica, è arbitra in queste materie.
Quando morì il conte Achille, mio padre, la Consulta espresse una sentenza in mio favore, per cui, almeno agli occhi dei Pari, ho ereditato tutti i titoli di mio padre e li posso trasmettere alle mie figlie, seguendo la linea di successione.
Ora, la mia primogenita Margherita, essendo già, iure uxoris, Marchesa Spreti di Serachieda, ha rinunciato a favore della mia secondogenita Silvia, qui presente, la quale dopo molti tentennamenti si è degnata di accettare questo titolo di viscontessa di San Zaccaria, che le spetta suo iure, ma non lo usa, perché il suo Salotto Intellettuale è frequentato da personaggi di estrema sinistra che se lo sapessero le taglierebbero la testa...>>
Silvia intevenne:
<<Mamma, non incominciare con i tuoi sermoni altrimenti non ne usciamo vivi...>>
Ad Aurora brillavano gli occhi dalla gioia:
<<Quindi lei, signora Monterovere, potrebbe diventare la prossima Contessa?>>
Silvia fece un gesto vago con le mani, come se questi discorsi fossero per lei privi di qualunque rilevanza:
<<Mah, non lo so, forse ci vorrebbe un'altra sentenza, non è ben chiaro. 
Però, sinceramente, io preferirei mantenere un profilo basso, a differenza di mia madre e di mio figlio, che starebbero a parlare all'infinito di genealogie, araldica, stemmi, cavalieri e feudi, inserendo anche aneddoti, dettagli, curiosità e via dicendo sulle "gloriose" imprese dei nostri antenati, sorvolando sul fatto che erano pieni di debiti.
Adesso poi Roberto ha trovato un nuovo complice, mio cognato Lorenzo, che è fissato con un certo castello, non so dove... 
In ogni caso è del tutto prematuro parlare della successione di Diana Orsini, che come potete vedere è un'ottantenne in forma smagliante e potrebbe anche campare più di me!>>

Nel frattempo, la viscontessa Antonietta aveva fatto ritorno, fresca come una rosa, e aveva rivolto un cenno all'autista factotum.
A quel punto Battista si profuse in un grande inchino immotivato, per poi dichiarare solennemente:
<<Vostra Grazia, mi permetta di consegnarle questo presente come pensiero da parte dei Visconti di Bertinoro>>
L'attenzione di tutti si concentrò dunque sul pacco, che era piatto, rettangolare e molto grande.
Si capiva subito che era un quadro, ma nessun membro del clan Ricci-Orsini pensava si trattasse proprio di quel quadro.
E invece sì, era proprio lui...
Fu Antonietta a darle la felice comunicazione:
<<In verità, più che un presente, è una restituzione di qualcosa che avrebbe dovuto essere vostro.
E' un dipinto del 1912, intitolato Rêverie, realizzato da un pittore dell'età edoardiana, avente come soggetto qualcuno che forse Vostra Grazia potrebbe riconoscere>>
Diana era così ansiosa di verificare se fosse davvero ciò che lei pensava, che quasi lo strappò dalle mani di Battista, il quale osò perfino ricordarle che si trattava di un "oggetto delicato e di valore".
Rita era già pronta con le forbici per tagliare i lacci, la scatola e i cartoni vari.
Nel giro di meno di un minuto, Diana poté constatare che finalmente, dopo ottant'anni, poteva osservare con i suoi occhi quel dipinto di cui aveva tanto sentito parlare.

E a quel punto, tutta la sua usuale compostezza lasciò il posto ad una strana energia, quasi euforica, che le derivava dalla possibilità di chiudere un conto in sospeso da una vita.
<<Non ci posso credere! E' il ritratto di mia madre a ventidue anni. E sapete perché era così triste? Perché era incinta della sottoscritta, e Achille Orsini, mio padre, non l'aveva ancora sposata. 
Non avete idea di che scandalo fu, quando io nacqui dopo soli quattro mesi dalla cerimonia nuziale.
Ma forse donna Clotilde ve ne avrà parlato, perché poi è anche il motivo per cui il quadro è rimasto alla famiglia di mia madre, i Paulucci di Calboli, che vi hanno venduto il palazzo. 
Mio nonno materno, il conte Raniero, non sapeva nulla delle condizioni di mia madre, quando commissionò il quadro, e lei, pace all'anima sua, non aveva il coraggio di dirglielo. All'epoca una cosa del genere era uno scandalo intollerabile, specie in una cittadina di provincia.
E infatti dopo che il conte Orsini fu costretto a sposare mia madre Emilia, senza ricevere nemmeno un centesimo di dote, i Calboli non vollero avere più nulla a che fare con noi, e si tennero pure il quadro. 
E lo nascosero in soffitta! 
Come quello di Dorian Gray, e magari è proprio per questo che mia madre è vissuta così a lungo e in buona salute fisica, pur avendo abitudini non del tutto salutari.
Vi sembrerà assurdo, ma per anni non riuscivo a togliermi dalla testa l'idea che fosse il ritratto ad invecchiare al posto suo!>>





Tutti sorrisero, perché in effetti il paragone con Dorian Gray aveva un suo fondamento, 
La storia della lunga vita di donna Emilia Orsini Paulucci di Calboli, contessa iure uxoris di Casemurate, era risaputa, anzi, era diventata una leggenda, una delle tante che costellavano la Contea, il Feudo Orsini, il Maniero e soprattutto l'oasi felina di Confluentia Turriculae et Bevanus, considerata sede del culto pagano delle sacerdotesse della Vallis Padusa sive Candiana.

Diana era commossa:
<<Cara Antonietta, lei mi ha donato ciò che io ho pregato per anni di poter vedere almeno una volta nella vita.
Mia madre me ne parlava sempre, specie quando era depressa o ubriaca.
E infatti aveva incominciato a soffrire di crisi depressive proprio in quel periodo. 
Reverie... "fantasticheria"... Ah, se quel povero pittore avesse saputo a cosa stava pensando realmente mia madre! 
Eppure l'avrebbe dovuto capire, perché fu lei a scegliere quella posa strana, col cuscino, non solo per stare più comoda, ma perché il cuscino le coprisse un'eccessiva rotondità del ventre.
Dopo la mia nascita le venne pure l'esaurimento nervoso post partum, e fu da allora che iniziò a bere il Cabernet-Sauvignon al ritmo di una bottiglia al giorno.
Certo, c'erano anche altri problemi, più materiali, a cui poi si aggiunse tutta una serie di lutti, ma voi dovete capire che io sono cresciuta con il costante senso di colpa di aver causato la rovina di mia madre, cosa che lei peraltro provvedeva sempre a ricordarmi.
Ma io poi l'ho ripagata con la stessa moneta, perché non le ho mai perdonato il fatto di avermi costretta a sposare Ettore Ricci affinché pagasse tutti i debiti contratti da mio padre>>
A quel punto Silvia Ricci-Orsini Monterovere intervenne a gamba tesa:
<<Mamma, capisco l'emozione, ma c'è il tè in salotto che si raffredda. Facciamo entrare, insieme ai nostri ospiti, il ritratto perduto di nonna Emilia in quella che è stata la sua stanza preferita, il suo regno, il Salotto Liberty
Venire, care... è stato un pensiero così gentile da parte vostra, ringraziate anche il Visconte e la cara donna Clotilde, che è la gentilezza fatta persona>>
Naturalmente era un elogio ironico, perché tutti sapevano che i Ricci-Orsini detestavano, ricambiati, quella vecchia arpia di donna Clotilde Visconti-Ordelaffi

Entrarono dunque, e collocarono temporaneamente il ritratto proprio sulla poltrona preferita della defunta contessa Emilia, il cui spirito non aveva mai abbandonato il Salotto, tanto che la governante, nelle notti di luna piena, lasciava sempre sul tavolino un calice di Cabernet-Savignon, che alla mattina trovava miracolosamente vuoto. 
Chi lo bevesse, in memoria della buon'anima, non si seppe mai, anche se molti, in paese, evocavano i nomi di certe streghe che si nascondevano presso la confluenza della Torricchia nel Bevano.
Antonietta ed Aurora si sedettero sul divano floreale, che aveva ispirato l'intera scelta dei colori e dell'arredo di tutto il Salotto Liberty e di conseguenza anche del look della ragazza amata da Roberto.





Mentre la viscontessa Antonietta osservava il Salotto come se fosse la Sala del Trono di Versailles, a parlare per prima fu Aurora:
<<Io invidio molto Roberto per avere una famiglia così anticonvenzionale. Nel senso buono del termine, voglio dire...>> precisò dopo aver notato che le labbra di Silvia si erano leggermente arricciate <<...è una storia da romanzo! Una bisnonna che arriva a novantotto anni bevendo una bottiglia di vino al giorno... è qualcosa di veramente leggendario. 
E poi tutta la concatenazione degli eventi: il quadro, la gravidanza, il matrimonio, e poi di nuovo per la generazione successiva, il matrimonio combinato, le tre figlie, la guerra, i tradimenti, le morti misteriose, i nemici, gli scandali, le streghe, i processi, altri lutti, e poi tutto ricomincia per la terza e la quarta generazione... ma nemmeno "Via col vento" si sogna di avere una trama così avventurosa...>>
Antonietta si riscosse e diede un'occhiataccia alla figlia, che si interruppe subito.
Ma Diana sorrise:
<<Hai proprio ragione, Aurora. Io ho voluto raccontare tutto a Roberto, perché a volte, quando ci ripenso, mi chiedo io stessa come abbiamo fatto a sopravvivere. Ogni volta che tentavamo di rialzarci, ecco che ci cadeva un tegola in testa. 
Ma sai qual è la nostra forza? 
L'essere sempre e comunque orgogliosi di far parte di questa famiglia. E' un sentimento spontaneo, una specie di "mistica partecipatoria".
C'è una frase de "Il Marchese del Grillo", un film che rivedrei all'infinito, in cui il Marchese fa capire chiaramente il concetto. A tutti quelli che gli sparlano dietro e gli domandano chi si crede di essere per comportarsi in quel modo scandaloso, lui risponde: "Perché io so' io e voi nun siete un..." >> Si fermò in tempo: aveva reso l'idea.
Tutti risero, ma Aurora più degli altri.
La ragazza rideva proprio a crepapelle e Roberto si mise subito in allerta e con grande prontezza di spirito ed elegante nonchalance, le si recò vicino e le disse:
<<Vieni, amore, ti faccio vedere il resto della casa>>
Poi le porse la mano, l'aiutò ad alzarsi e con galante fermezza la condusse fuori dal salotto e poi, constatando di aver visto giusto. la scortò gentilmente e rapidamente in direzione del bagno, 
Arrivarono appena in tempo, un istante prima che la diga di Assuan cedesse e un'alluvione inondasse il costosissimo abito floreale su misura, per non parlare di tutto il resto.
Dopo due minuti ininterrotti di Diluvio Universale, alla fine le fonti del Nilo si esaurirono e Aurora, secondo un copione antico, ma reso più eccitante dalla presenza del suo garçon, passò dall'estasi para-orgasmica alla vergogna, e il suo viso assunse lo sguardo compunto dell'infante che sa di aver combinato una marachella. 
Roberto, che avrebbe voluto e dovuto porre un argine a tutto questo, ne era invece diventato complice. Aurora aveva sviluppato alcune malsane abitudini a partire dalla prima infanzia, quando, tra le altre cose, era stata costretta a fare "la damigella in interminabili matrimoni di illustri sconosciuti" o a presenziare per ore e ore, senza pause, ad altri simili eventi e cerimonie, come se fosse una Principessa del Sangue Reale che deve apprendere certe abilità. Era stata donna Clotilde a imporre quelle regole, con l'approvazione del Visconte e degli istitutori di vario genere che si erano presi cura di lei e di suo cugino. In seguito, durante l'adolescenza, in correlazione a tutto questo e la "scoperta di come si può stimolare il punto G in maniera alternativa" [testuali parole di lei], aveva sviluppato un delirante rituale con effetto incredibilmente e incomprensibilmente auto-erotico. Intendiamoci, non era l'unico segreto che Aurora nascondeva, ma forse il più strano
E la cosa peggiore era che poteva danneggiare sia se stessa che gli altri che si trovano coinvolti, loro malgrado, in quelle follie.
Roberto avrebbe avuto il dovere di avvertirla, invece si era vincolato al rispetto della "Promessa del Cinema Astoria", che tra loro aveva ormai la stessa importanza del Giuramento di Strasburgo tra Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico.
Ma quella era solo una mezza verità. 
L'altra mezza era che Roberto aveva accettato senza riserve il ruolo di "cavalier servente" di Aurora, completamente soggiogato dalla bellezza e dalla personalità di lei, e disposto a compiacerla in tutti i modi, pur di stare insieme a lei.
E le richieste della donzella si facevano di giorno in giorno più esigenti, in modo tale da invischiare il suo innamorato nelle sue stesse ossessioni, inoculando virus di depravazione nel candore ingenuo che Roberto era riuscito a mantenere puro per i suoi primi diciassette anni di vita.
Molti anni dopo, ripensando retrospettivamente alla follia a cui quell'amore l'aveva condotto, e alle conseguenze che ne erano derivate, Roberto trovò un nome appropriato per questo tipo di dinamica di coppia, e cioè il "Morbo di Windsor". La motivazione è ovvia: tutti sanno che i componenti maschili della dinastia hanno mostrato la tendenza ad essere soggiogati da donne forti come Wallis Simpson, Camilla Parker-Bowles, Meghan Markle, ma anche, seppur in maniera più costruttiva, la compianta Elizabeth Bowes-Lyon, che era la colonna a cui Giorgio VI si era appoggiato per trovare quella sicurezza che i genitori non gli avevano trasmesso.

Ma nel 1992, Roberto e Aurora erano disposti ad accettare, ironicamente, un'unica similitudine "reale" e cioè quella con Filippo I d'Asburgo, detto il Bello e Giovanna di Castiglia, detta la la Pazza.





In particolare Roberto, pur sapendo bene che Filippo I, Duca di Borgona, era morto giovanissimo, probabilmente avvelenato per ordine del suocero Ferdinando d'Aragona o del suo primo ministro cardinale Cisneros, pochi giorni dopo essere stato riconosciuto Re d Castiglia iure uxoris et suo iure, lo aveva preso a modello di riferimento, sia a livello estetico che a livello di politica matrimoniale.

Nel frattempo, ritrovata l'abituale compostezza, Aurora ringraziò Roberto:
<<Grazie, Rob, mi hai salvato la vita. Se avessi profanato il Salotto Liberty mia madre mi avrebbe scuoiata viva, e temo che lo avresti fatto anche tu. 
E' che proprio non pensavo che avrei riso tanto. Voglio dire, tua nonna è molto più simpatica di quanto mi aspettassi in base ai racconti di mia madre. Tu me l'avevi descritta come una persona quasi sempre malinconica e triste, per cui non ero preparata ad una battuta come quella del Marchese del Grillo>>
Roberto le rispose con una considerazione che riteneva molto importante:
<<Si può essere allegri e tristi nello stesso momento. A me succede spesso.
E' un modo con cui le persone tendenzialmente malinconiche reagiscono alla propria stessa malinconia: più sono tristi e più vogliono scherzare e ridere. 
Diana è così, la sua vita è sempre stata sospesa tra l'elegia e l'ironia, tra l'umorismo e la tragedia>>
Aurora annuì:
<<Credo che questa cosa dell'essere tristi e allegri insieme valga anche per me. Con in più il fatto che il conflitto tra la maschera e il mio "io" segreto diventa sempre più ingestibile>>
Lui la abbracciò;
<<Non preoccuparti. Puoi sempre contare su di me, come ti ho promesso l'altra sera al cinema.
Io ti amerò sempre e per sempre>>
Lei sorrise, sollevata:
<<Anch'io>>
Dopo un tenero bacio, Roberto disse:
<<E poi volevo dirti grazie per il quadro. Credo che Diana sia riuscita ad esorcizzare un senso di colpa infondato. Ha visto che in fondo quel quadro, per quanto di gran valore economico, come ci assicura il fido Battista, è comunque solo un quadro. 
Forse soltanto oggi è riuscita a seppellire definitivamente sua madre
Credo che fosse in vena di battute perché si sentiva finalmente libera dai fantasmi del passato.
E questo incontro è stato così spassoso, che il ghiaccio si è rotto subito, e nel momento in cui ridevamo, gli altri erano così presi dal discorso che non si sono accorti di nulla, riguardo al tuo problema idrico>>
Lei sorrise e poi lo abbracciò.
<<Come sei buono con me! Solo tu riesci a capire i traumi che ti ho descritto e quel che ne è derivato. 
Ora ti dico una cosa di cui presto o tardi ti saresti accorto comunque. 
Mio cugino Felix non solo sa tutto di queste cose, ma le sente, le prova e le vive anche lui, perché siamo cresciuti come gemelli, e abbiamo condiviso tutto.
Ma adesso io ho te, ti terrò stretto, e Felix dovrà farsene una ragione, come anche mio padre.
Temo però che tua madre abbia già capito che ho qualche rotella fuori posto, e non mi sembra di esserle particolarmente simpatica>>
Roberto minimizzò:
<<Mia madre ha un carattere diverso da Diana, è più simile ad Ettore e alla madre di lui, la severa maestra Clara Ricci, dal ferreo contegno, che ha scritto anche una fondamentale "Storia di Casemurate", pubblicata presso "Il Ponte Vecchio" di Cesena.
Però, mia madre è molto meno severa. E' molto affettuosa anche. Lei vuole vedermi felice ed io con te sono felice. Sempre>>
Ma "sempre" è una parola che non si dovrebbe dire mai.



domenica 7 marzo 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 113. Lorenzo Monterovere, l'Iniziato agli Arcani Supremi

 



E' giunto il momento di parlare più dettagliatamente del misterioso Lorenzo Monterovere, il figlio minore di Romano Monterovere e di Giulia Lanni.
Era molto diverso dai fratelli Francesco ed Enrichetta, con i quali ebbe poco a che fare essendo molto più giovane di loro ed avendo scelto, per vocazione, di entrare in seminario il prima possibile.
Per molto tempo la sua vocazione al sacerdozio rimase solida e profonda, eppure, poco dopo la laurea in Teologia, decise, con grande sconcerto di tutti, decise di non proseguire il cammino verso l'ordinazione presbiteriale.
Poco tempo dopo vinse una borsa di studio per un dottorato in Storia delle Religioni all'Università di Jena, in Germania, sotto la guida dell'illustre professor Franz Kranz, il grande filosofo metafisico, che a sua volta era stato un allievo del germanista Erich von Tomaten, l'autore del celeberrimo saggio "Das tausendjaehrige Reich". Successivamente, Lorenzo divenne assistente del professor Raffaele Pettazzoni alla Sapienza di Roma e infine vinse il concorso per l'incarico ricercatore confermato all'Università di Bologna, diventando poi Associato e infine Professore Ordinario di Storia delle Religioni.
Fin dall'inizio decise di specializzare il proprio ambito di ricerca nello studio delle religioni esoteriche e misteriche, di cui divenne uno dei massimi esperti a livello mondiale.

Fisicamente aveva una certa somiglianza con Mario Monti, ma si vestiva in maniera molto più eccentrica, prediligendo il colore viola in tutte le sue possibili tonalità (dal lilla al prugna) e con tutti gli abbinamenti immaginabili riguardo ai capi del guardaroba.


I genitori di Lorenzo, pur contenti del suo successo e della sua carriera, trovavano tuttavia strano il fatto che non si fosse sposato.
Alcuni sussurravano che fosse gay, ma non vi fu mai una prova certa al riguardo.
Le insinuazioni derivavano, oltre che dalle "50 sfumature di viola" con cui si vestiva, anche da certi aspetti personali come una voce un po' stridula, una risatina querula, un atteggiamento lezioso, a tratti un po' petulante, un viso oppure anche dal fatto che, a semestri alterni, partiva per un "viaggio di ricerca" di qualche mese in Grecia o in Egitto, portandosi dietro alcuni giovani allievi, molto prestanti, che poi vincevano cospicue borse di studio o importanti concorsi .
Ma mettendo da parte le solite dicerie delle malelingue, va invece detto che i viaggi all'estero derivavano anche dal fatto che le più stimate università gli conferivano lauree ad honorem, lo imploravano di tenere almeno una lectio magistralis, e gli proponevano contratti molto vantaggiosi e incarichi di massimo prestigio, che lui accettava soltanto se non distavano molto dalla sua residenza bolognese.
Non volle mai lasciare Bologna, dove aveva stretto amicizia con Umberto Eco, il quale ammetteva che buona parte della sua erudizione derivava dai consigli di lettura dell' "amico Lorenzo".
Come Eco, anche Monterovere aveva pubblicato testi fondamentali, di grande valore accademico e di grande successo editoriale.
E non possiamo non menzionare almeno i titoli più noti e le opere imprescindibili: 
 1) La tomba di Zeus (1969);
 2) L'auto-evirazione di Attis nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli (1971);
 3) I Coribanti e la Patera di Parabiago (1973);
 4) Dies Sanguinis (1976) [vincitore del Premio Strega];
 5) In difesa di Agave (1978);
 6) La versione di Lucifero (1981) [vincitore del Premio Bancarella];
 7) Abraxas e Yaldabaoth (1985);
 8)Rex Mundi (1988);
 9) L'Oro di Tolosa: dai Celti ai Templari (1992);
10) Et in Arcadia Ego (1994); 
11) Dal Mabinogion al Santo Graal (1996);
12)Artorius Rex : Glastonbury, Modena e Otranto (1997);
13) In insula Avalonia : la spada, la lancia e il calderone (1998);
14) Il culto di Belenos, la discendenza messianica e la linea di San Michele (1999), 
15) Il Regno Millenario (2000).




Si può notare un progressivo avvicinarsi dell'indagine esoterica dall'età arcaica fino al pieno Medioevo e al tema del pellegrinaggio mistico nei Luoghi Sacri.
Tratteremo in un capitolo successivo delle opere che il Professore scrisse nel nuovo Millennio.
In tutto questo tempo, la residenza ufficiale rimase a Bologna in quanto vicina alle "terre d'origine degli antenati".
E tuttavia i suoi parenti in vita sembravano essere l'ultimo dei suoi pensieri.
Non era così: Lorenzo li teneva d'occhio da lontano, tramite sua zia Anita, che sapeva sempre tutto di tutti, per quanto non fosse mai imparziale nelle sue ricostruzioni.
Ma il Professore sapeva depurate un racconto dalla sua faziosità, era quasi un'abitudine spontanea per un filologo classico come lui, abituato a lavorare su testi greci e latini, diffidando sempre dalla pretesa neutralità dell'autore (cosa impossibile, anche con le migliori intenzioni, perché "la verità dei fatti raramente è pura e quasi mai semplice", e la realtà percepita da un punto di vista non è mai la Realtà vera, il Noumeno kantiano, "Das Ding an sich").
Per depurare la versione della zia Anita, Lorenzo telefonava ogni tanto ai "fratelli Monterovere" superstiti: Edoardo, l'eterno assessore alle infrastrutture dell'Emilia-Romagna, e, molto raramente, a Romano, suo padre.
Ad Anita aveva rivelato un suo progetto di ricerca genealogica riguardante i Monterovere e il loro eventuale legame con i Montecuccoli di Querciagrossa, presso Pavullo nel Frignano modenese.
Questa iniziativa, che poteva sembrare vana e inconsistente, si fondava però sui racconti dell'antico trisavolo Ferdinando, quello che, nel primo capitolo di questo romanzo, morì cadendo da cavallo presso il sito detto "L'Orma del Diavolo", dove un tempo aveva sede la secolare Quercia Sacra dove i celto-liguri Friniati e i Galli Boi (respinti sulle colline dai Romani) adoravano Belenos, l'equivalente celtico dell'Apollo romano, e poi abbattuta per ordine dell'imperatore Teodosio e dell'arcivescovo Ambrogio.




Si pensò all'inizio che l'interesse di Lorenzo fosse puramente accademico, ma il testo sul culto di Belenos presso la Quercia Sacra, il cui ricordo era rimasto nei secoli tanto a lungo da dare il nome al borgo di Querciagrossa, ai piedi del castello di Montecuccolo, era scritto in maniera tale da far pensare che tutti quei miti e quelle religioni scomparse da tempo lo riguardassero personalmente.
In effetti c'erano alcuni elementi, riscontrabili solo da lettori molto attenti, nelle note a piè e di pagina e nei riferimenti bibliografici, che sembravano collegare due località sacre ai Galli Cisalpini e alla religione druidica, ossia Querciagrossa, di cui si è già detto, e ovviamente Casemurate, nostra antica conoscenza, in particolare riguardo a un culto pagano-celtico nel Bosco Sacro delle farnie, dei cerri e delle roveri che al tempo dei Romani assunse il nome di Confluentia.
Riguardo a questo luogo e a questo nome, i lettori più accorti si sono soffermati sulle note personali dell'autore, in cui il Professore fornisce una descrizione meticolosa di tale luogo, anche nei giorni nostri, in particolare la sua collocazione, presso la confluenza del grande fosso Torricchia nel torrente Bevano, dove i proprietari del terreno circostante, gli Orsini, avevano autorizzato la creazione di una Colonia Felina gestita da anziane sorelle.
Qualcuno fece notare che tale luogo si trovava nella proprietà della suocera di Francesco Monterovere, fratello maggiore di Lorenzo.
Il Professore si spinse anche, in una Lectio Magistralis sulla Vallis Padusa, a sostenere l'ipotesi che il cosiddetto culto misterico delle Signore della Palude fosse anticamente collegato a tutti gli insediamenti pre-appenninici, lambiti dalla Palude Padusa stessa, specialmente nella sua parte navigabile, il "piscosus Amnis Padusae" di cui ci parla Virgilio nell'Eneide (11, 457-458).




Tale perizia nel ricostruire il rapporto tra i culti celto-pagani e l'enorme estensione della Padusa Palus, derivava a Lorenzo non solo dalla conoscenza delle opere di bonifica su cui l'Azienda Monterovere si era specializzata, ma anche, e forse soprattutto, sugli insegnamenti di suo nonno, l'ingegner Lanni, il Profeta delle Acque, il visionario che per primo aveva avuto l'intuizione da cui poi nacque il Canale Emiliano Romagnolo.
Ma anche la possibilità di verificare di persona il corso del Bevano, la Confluentia, la Valle Standiana, l'Ortazzo e l'Ortazzino, gli furono di grande aiuto.
A Casemurate molti avevano intuito chi lui fosse e soprattutto chi lo avesse mandato.
Tutti sapevano che l'Iniziato aveva intenzione di compiere ulteriori ricerche.
Non destò dunque stupore il fatto che nei decenni che seguirono gli eventi del 1992, l'Anno della Falsa Primavera, si ebbe un riavvicinamento tra i due fratelli, e un sempre maggiore coinvolgimento, da parte di Lorenzo, del nipote Roberto, specialmente quando, dopo il "periodo milanese" (1994-1999), risiedette a Bologna per lungo tempo, dal 2001 al 2017.
I lettori ci perdoneranno per questa anticipazione, ma va detto che nella prima parte di tale periodo lo zio Lorenzo venne nominato direttore artistico del restauro del Castello di Montecuccolo, e poi ne mantenne l'usufrutto per conto dell'Ordine degli Iniziati agli Arcani Supremi, una società segreta di cui non si sapeva nulla tranne il nome altisonante, ma non esplicativo, e il fatto che potesse contare su potenti affiliati in tutti i gangli dell'alta società.
Ma nel 1992 quell'Ordine era solo un nome e quelle località erano soltanto punti cerchiati su una mappa in riferimento alle colline sovrastanti, ai boschi e alle vallate "d'elfi e funghi" da dove i Monterovere avevano avuto origine.
All'epoca non c'era Google Maps e anche le cartine topografiche non erano del tutto chiare ed esaurienti. Oggi ci sembrerebbero più simili alle antiche mappe su pergamena che alle nostre.
Roberto comunque, consultando ciò che aveva a disposizione, vide che la foresta di Querciagrossa si ritrovava a sud dell'aeroporto di Pavullo, che i maligni sostenevano fosse stato creato come scalo personale dei pezzi grossi dell'Ordine degli Iniziati, diretti al castello di Montecuccolo.







































Nella parte bassa del paese c'era una vecchia trattoria, divenuta un moderno ristorante, con ricette tipiche della zona, di cui Roberto aveva sentito parlare da bambino, quando la bisnonna Eleonora Bonaccorsi Monterovere cucinava i cosiddetti "ciacini", molto simili alle tigelle, ma più buoni.
Per raggiungere le antiche proprietà dei Monterovere c'erano due modi: se da Querciagrossa si prendeva la provinciale 29 si arrivava all'ex tenuta principale della famiglia, venduta da tempo. 
Se invece si saliva lungo la statale 12, verso il monte Cimone, si raggiungevano le località di Sestola e Fanano, dove i Monterovere avevano conservato, per mancanza di acquirenti, delle terre in pendenza, ricoperte di boscaglia e vicine ai ruscelli che confluivano nel Panaro. 
In quelle zone si trovavano baite molto rudimentali, tra cui un "rustico" abitabile che risultò essere, guarda caso, di proprietà di Lorenzo.


Roberto fece molte domande sia al nonno Romano che alla prozia Anita, ricavandone però informazioni generiche e quasi reticenti, come se ci fosse una sorta di "peccato originale" da nascondere, o una "maledizione" da dimenticare.
Molto probabilmente era qualcosa di legato alla morte del trisavolo Ferdinando presso l'Orma del Diavolo e di sicuro Lorenzo sapeva tutto anche riguardo a questo.
Ma come fare a mettersi in contatto con lui?
Teniamo presente che nel 1992 i telefoni cellulari erano quasi sconosciuti (bei tempi, verrebbe da dire!), per cui rintracciare qualcuno che non voleva farsi rintracciare era molto difficile.
E all'epoca Lorenzo non voleva farsi rintracciare facilmente, per motivi che conosceremo in seguito.
Aveva mantenuto privato il numero di telefono della propria residenza, di cui non si conosceva l'ubicazione. 
Non aveva fornito altri recapiti se non quello del suo ufficio all'Università, dove rispondevano gli assistenti e prendevano nota di chi aveva chiamato. Solo in seguito ad attente verifiche era possibile programmare un appuntamento.
Dopo aver seguito scrupolosamente tutta la procedura, finalmente Roberto riuscì a parlare con il Grand'Uomo.
La voce dello zio Lorenzo era ancora più stridula del solito:
<<Roberto! Che sorpresa! A cosa devo l'onore?>>
Forse sapeva già tutto, ma Roberto preferì essere diplomatico:
<<Be', so che sei molto impegnato, ma mi farebbe piacere incontrarti, conoscerti meglio. Ci sono tante cose sul castello di Montecuccolo e sulla foresta di Querciagrossa che vorrei chiederti, visto che Anita e Romano tengono le bocche cucite...>>
Lorenzo rise allegramente, toccando acuti degni una soprano o di un cantore evirato:
<<Ah, ah, hai trovato proprio l'espressione giusta! Bocche cucite. Romano, mio padre, è sempre stato di poche parole. Per la zia Nita è diverso: lei con me parla molto, ma purtroppo da quando Francesco si è sposato...>>
Il nipote conosceva fin troppo bene la questione:
<<Lo so. Ma se lei con te ha parlato, allora ci sono dati che possiamo esaminare>>
Dall'altra parte del telefono si sentì che lo zio stava consultando l'agenda:
<<Ti vedrò molto volentieri. Per il momento ho troppi impegni che non posso rimandare, ma presto ti farò sapere qualcosa e potremo metterci d'accordo>>
La telefonata si concluse con i soliti convenevoli del tipo "salutami i tuoi", "senz'altro" e altre promesse destinate a non essere mantenute, ma necessarie per concludere una telefonata in maniera cortese.
In ogni caso, l'obiettivo era stato raggiunto: presto Roberto avrebbe potuto parlare a tu per tu con lo zio paterno, e gli avrebbe potuto porre quelle domande che al telefono è sempre meglio evitare.
Ebbe la percezione che gli ingranaggi del suo destino si stessero movendo, come quelli di un orologio a pendolo, in cui i due poli di oscillazione erano Casemurate (il feudo materno) e Querciagrossa (la terra dei padri, circondata dai boschi),
C'è un legame tra questi due luoghi: entrambi sono stati insediamenti celtici, entrambi hanno conservato per lungo tempo sopravvivenze di druidismo e culti pagani, entrambi nascondono molti segreti. Potrebbe essere un caso, ma il mio istinto mi dice di no.







venerdì 19 febbraio 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 110. Compagni di merende (immangiabili)


A fine maggio, Felice Porcu entrò in azione. La prima parte del suo piano consisteva nel fingersi amico di Roberto Monterovere al fine di fargli abbassare la guardia e conoscerne i punti deboli.
E così. con grande stupore di tutti, il giovane Porcu in persona invitò a casa sua Roberto "per una merenda".
 All'epoca non era stata ancora coniata l'espressione "compagni di merende", ma in effetti il giovane Porcu aveva una vaga somiglianza con Piero Pacciani.
<<Senti, Roberto>> esordì Felice mettendogli una mano sulla spalla <<Se in passato c'è stata qualche... incomprensione, forse è venuto il momento di metterci una pietra sopra. Hai già conosciuto la mia famiglia in più occasioni, di recente, e i miei genitori avrebbero piacere se uno di questi giorni facessi un salto da noi, per una merenda, che ne dici?>>
Il tono era incredibilmente gentile, fin troppo.
Ma quella era, per dirla con il Padrino "un'offerta che non si può rifiutare". Letteralmente.
<<Ma certo, molto volentieri>>
<<Molto bene, ti farò sapere>>
E così qualche giorno dopo, alle quattro del pomeriggio, Roberto si recò nella Tana del Lupo.
La residenza dei Porcu era una villetta moderna e ben tenuta, senza alcun elemento sinistro che potesse indicare pericoli di qualsiasi sorta.
Quando suonò il campanello, rispose la signora Maria Carolina:
<<Ah, Roberto, sei in perfetto orario, hai proprio "la puntualità dei re">>
Lui non aveva mai saputo che i re fossero puntuali, ma apprezzò la similitudine.
La voce della signora era molto cordiale, e quando venne ad aprire la porta era il ritratto della gentilezza: tutto il contrario di ciò che era stata due mesi prima al compleanno di Aurora.
Col senno di poi, Roberto avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa sotto, e ricordare le parole di Laocoonte nell'Eneide: "Timeo Danaos et dona ferentis", con tanto di arcaismo in -is e lettura in metrica. 
<<Vieni, vieni, seguimi in salotto: c'è mio marito che vuole conoscerti>>
Salirono le scale ed entrarono in un soggiorno molto accogliente.
Taddeo Porcu si alzò subito in piedi, con grande sorriso, e tese subito la mano all'ospite, con un entusiasmo che appariva incredibilmente genuino:
<<Ah, carissimo, vieni vieni, accomodati, sono davvero contento che tu sia qui!>>
La sua voce non aveva accento sardo, come Roberto si sarebbe aspettato, ma anzi schiettamente romagnolo.
Il signor Porcu era un uomo di media altezza, calvo, con una pancia considerevole e con un volto dall'espressione apparentemente allegra e cordiale, con gli occhi neri vigili e attenti. 
Sembrava una persona normale, socievole, anzi, persino una brava persona, uno di cui ci si poteva fidare.
E infatti Roberto, nella sua totale ingenuità, si fidò sin dal primo momento di quell'ometto così rassicurante e gioviale, a metà strada tra Francesco Amadori, quello dei polli, e Giovanni Rana, quello dei tortellini.
Al giorno d'oggi, mentre scriviamo, potremmo aggiungere anche una certa somiglianza con l'illustre epidemiologo Massimo Galli.
Il signor Taddeo fece accomodare Roberto nella poltrona degli ospiti di riguardo e annunciò che Felix stava per arrivare: era andato a casa dei nonni materni, che si erano trasferiti da poco in città.
<<Mio padre era sardo, ma io sono nato a Forlì, e mi sento in tutto e per tutto un romagnolo. 
A Forlì conosco quasi tutti e ho sentito tanto parlare di te e della tua famiglia. E finalmente eccoti qui! Mi piacerebbe proprio che tu e Felix diventaste amici, così magari potreste studiare insieme e sono convinto che farebbe bene a entrambi: tu gli fai da guida negli studi e lui ti fa da guida nelle pubbliche relazioni, ti può presentare tanta gente, tante ragazze...>> e gli fece un occhiolino complice.
Roberto non aveva la minima voglia di studiare col giovane Porcu, ma non poteva neanche dire un no secco, per cui si mostrò possibilista:
<<Se Felice è d'accordo, possiamo senz'altro, ogni tanto, ripassare insieme qualche lezione. 
Per quanto riguarda le pubbliche relazioni, però, io sono già impegnato con una ragazza>>
Era curioso di vedere la reazione del signor Porcu di fronte al vero motivo che stava dietro tutte queste grandi manovre.
Taddeo non si scompose.
<<Oh, ma certo! Ma sai come si dice: l'amore è eterno finché dura!  E voi ragazzi siete così giovani che, prima di impegnarsi in qualcosa di serio, magari potreste divertirvi un po'. Potessi avere io ancora diciassette anni!
Mi ricordo, trent'anni fa...>>
E poi incominciò a raccontare uno dei suoi cavalli di battaglia, cioè la Storia della Cilecca, quando durante una serata in un bordello, a causa dell'emozione, "fece cilecca" e per la prima e unica volta nella sua vita la sua virilità non fu all'altezza della situazione, se così si può dire.
Stava ancora descrivendo i particolari, ma si fermò immediatamente quando arrivò la moglie, con un vassoio pieno di frutta:
<<Allora, qui hai un'ampia scelta: c'è il mango, l'avocado, il kiwi, la papaya, la banana... Serviti pure, non fare complimenti, mi raccomando, mangia pure quanto vuoi!>>
Roberto fu colto dal panico.
Era noto a tutti che lui detestava i frutti esotici!
<<Ehm, signora, io sono desolato, ma purtroppo... non so come dirlo, ma il fatto è che io non amo molto i frutti esotici. Anzi, ad essere sinceri, non li mangio proprio>>
Lei lo osservò con aria contrariata:
<<Ah, che strano... neanche la banana?>>
A Roberto venivano i conati di vomito anche solo a sentir nominare le banane.
<<Ehm, temo di no... i miei hanno tentato in tutti i modi di farmi mangiare questo tipo di frutta, ma hanno solo peggiorato la situazione>>
Maria Carolina continuò a fissarlo con i suoi occhi verdi sbarrati, come se avesse davanti un serial killer.
<<Ah, capisco, forse sei abituato alle merende di Villa Orsini, nel Salotto Liberty dove si mangiano bignè, fette di torta e litri di vino. Non so come abbia fatto la tua povera bisnonna Emilia ad arrivare fino a novantotto anni...>>
Prima che Roberto avesse modo di rispondere, intervenne il signor Porcu, con i suoi modi concilianti e paciosi:
<<Ma insomma, Carolina, se ti dice che non gli piacciono, vuol dire che non gli piacciono! Portargli una merenda come si deve, con un tè e dei biscotti, una cosa all'inglese, così si va sul sicuro, dico bene Roberto?>>
Lui annuì:
<<Sì, grazie, signor Porcu... lei è davvero gentilissimo>>
<<Ah, chiamami Taddeo e dammi del tu... qui devi sentirti come a casa tua! Devi perdonare mia moglie, ha un caratterino un po' spigoloso, ma non voleva metterti in imbarazzo. E' stato Felix a suggerire i frutti esotici, forse perché a lui piacciono molto,  vedrai che quando arriva fa fuori tutto in due minuti!>>
E come se fosse stato evocato da una seduta spiritica, ecco che Felice Porcu, detto Felix, fece il suo ingresso nel salotto:
<<Scusate il ritardo, ma il nonno Paride aveva alcune cose da dirmi. Sai che conosceva tuo nonno Ettore?>>
Roberto avrebbe tanto voluto dire cosa pensava realmente Ettore Ricci di quel fanfarone di Paride Tartaglia, ma ovviamente dovette far buon viso a cattivo gioco:
<<Ma certo! Paride e Onofrio erano come dei fratelli per lui!>>
Omise di dire che Ettore detestava i suoi fratelli.
Intervenne nuovamente il signor Taddeo, sfoderando un sorriso a cinquanta denti:
<<Eh, quelli sì che erano tempi! Nelle campagne tutti si conoscevano tra di loro, c'era ospitalità, si beveva il vino a fiumi ed era come se fossero tutti un'unica grande famiglia. Dovremmo prendere esempio da loro. C'era un clima molto fraterno. Mi ricordo, una volta, trent'anni fa...>>
Felice intervenne subito:
<<Babbo non incominciare con i tuoi aneddoti di trent'anni fa se no non ne usciamo vivi. Piuttosto, portami un piatto e delle posate, non vorrai mica che mangi con le mani, come una bestia?>>
Taddeo scattò in piedi, annuì, corse in cucina e poi apparecchio la tavola che stava in mezzo al salotto.
<<Ecco fatto, servitevi pure, ragazzi. Io purtroppo devo stare a dieta, ecco un altro inconveniente dell'età. Perché insomma, parliamoci chiaro, dopo i cinquanta le cose incominciano ad andare a ramengo: si fa cilecca sempre più spesso a letto, e non ci si può nemmeno consolare con una bella mangiata a tavola. Detto tra noi, mi resta solo la speculazione...>>
Pronunciò la parola con una forte cadenza dialettale che la fece suonare come "speculazioune", con un esteso prolungamento della "u" che in teoria non ci sarebbe dovuta essere.
Inoltre, non si capiva che cosa il signor Porcu intendesse esattamente con quel termine, e lui, infatti continuò il discorso.
<<...sì, la speculazione, la filosofia, il ragionare sulle grandi questioni. Perché io non sono mica un semplice ragioniere! Ah, no, ragazzi. Io, trent'anni fa, ho studiato Sociologia a Trento!>>
Allitterazioni a parte, lo disse con lo stesso tono con cui Totò dichiarava di essere uomo di mondo, avendo fatto il militare a Cuneo
Maria Carolina, arrivando con il tè e i biscotti, non era affatto contenta di quel discorso:
<<Dai, Taddeo, non c'è mica tanto da vantarsi di aver studiato in quel covo di comunisti e brigatisti>>
Il signor Porcu non si lasciò abbattere minimamente:
<<Dovete capire, ragazzi miei, che da giovani si fanno tante cazzate, ed è giusto così. All'epoca io avevo ancora tutti i capelli e li portavo lunghi più dei tuoi, Roberto. Eh, chi l'avrebbe mai detto! Ed ero più magro di voi. Mi ricordo, per esempio, trent'anni fa...>>
E partì a razzo con una storia riguardante le sue avventure universitarie, specialmente le feste con le studentesse, l'elogio del libero amore, l'importanza del sesso come "rapporto umano".
Indubbiamente, il signor Taddeo Porcu era buffo, con le sue idee strampalate e soprattutto con i suoi continui riferimenti a cose successe trent'anni prima e divenute semi-leggendarie solo ed esclusivamente in virtù del passare del tempo.
Non sapeva, il nostro Roberto, che un giorno anche lui, trent'anni dopo, sarebbe diventato ancor più ridicolo, nel ricordare eventi come quel pomeriggio bislacco a casa Porcu, cercando di ricostruire l'assurdità del dialogo e l'odore nauseante del mango e della papaya, mentre Felix le divorava avidamente, sbrodolando dappertutto.
In ogni caso, per quanto demenziale potesse apparire quella situazione, Roberto avrebbe dovuto essere più cauto nel parlare, e invece non poté fare a meno di commentare:
<<Lei ha idee molto progressiste, signor Porcu. Pensi che invece Aurora mi aveva detto che lei votava il Movimento Sociale...>>
Taddeo sorrise ancora di più:
<<E tu credi a tutto quello che ti dice lei?>>
Calò il silenzio.
<<Perché non dovrei crederle?>>
I tre membri della famiglia Porcu si guardarono in faccia e sorrisero, con l'aria di chi la sa lunga e conosce segreti imbarazzanti.
Alla fine fu il buon Taddeo a rispondere, col suo eloquio da affabulatore:
<<Ma no, io dicevo così per dire... nel senso che Aurora vive un po' tra le nuvole... non c'è mica niente di male, intendiamoci, anzi, è una brava ragazza... solo che vive in un mondo tutto suo, come se fosse sotto una campana di vetro... 
E' cresciuta come una principessa ed è abituata a un tenore di vita elevato, a un lusso notevole, e quand'è fuori dal suo palazzo prova un misto di paura e ribrezzo per il resto del mondo.
Per fortuna che c'è Felix che la aiuta a tenere i piedi per terra e le fa da guida nella vita reale. 
Io sono molto fiero di quel che Felix ha sempre fatto per lei, e credo che il loro legame sia così forte proprio per questo.
Felix è un ragazzo molto generoso, e Aurora lo sa bene, per questo sono inseparabili, e la forza del loro legame non cambierà mai, per cui se uno vuol far parte della vita di lei, deve necessariamente far parte anche della vita di Felix. 
Ed è una bella cosa, anche per te Roberto: potete diventare una comitiva, se la aiutate a conoscere un  po' di gente per bene, in qualche club per giovani, tipo il Rotaract, il Lions, o cose del genere... chissà che lì non troviate anche voi qualche bella ragazza, eh... ma sempre per un rapporto umano... come è successo a me trent'anni fa quando...>>
A quel punto intervenne Felice:
<<Sì, certo, babbo, abbiamo capito. Be', dai, Roberto, si può fare... perché no? 
Io conosco tanta gente, ti potrei introdurre in molti circoli esclusivi, dove ci sono i figli della gente che conta. Non devi pensare che abbiano dei pregiudizi se uno è figlio di insegnanti e nipote di contadini, non è certo colpa tua, voglio dire. E poi anche mia madre è insegnante, certo mio padre lavora nell'azienda di famiglia, la Tartaglia Idrocarburi, ma questo non significa che loro accettino solo gli imprenditori o i manager o i professionisti, insomma il mondo produttivo...>>


Roberto, che aveva capito fin troppo bene i messaggi impliciti che gli erano stati comunicati e rispose per le rime:
<<Be', io potrei ricambiare introducendoti nei salotti intellettuali, come quello dei miei genitori, i quali non hanno pregiudizi verso le persone non laureate o non colte>>
Ci fu un interminabile attimo di gelo.
Taddeo Porcu, ripresosi dallo sgomento, intervenne subito:
<<Io e mia moglie saremmo felicissimi di poter partecipare ai famosi sabati presso il salotto di Silvia Monterovere>>
Roberto sorrise:
<<Anche i miei ne saranno molto felici. Ma ora devo andare: vi ringrazio per l'ospitalità. Mi avete fatto sentire come uno di famiglia. Ed è una cosa bellissima, considerando che sono sentimentalmente impegnato con Aurora>>
Taddeo Porcu sorrise:
<<E come l'ha presa mio cognato?>>
Roberto si sentì gelare le vene:
<<Non lo so, non credo che lei gliel'abbia ancora detto>>
Taddeo rise:
<<E' sempre la stessa storia! Vedi, Roberto, io ti ho suggerito di conoscere anche altre ragazze, perché devi capire che le infatuazioni di Aurora durano poco. Noi siamo solo preoccupati per te: devi credermi se ti dico che lei non è quella che sembra. Ti parlo con il cuore in mano, come se tu fossi mio figlio: noi vorremmo evitarti una delusione. Ci sono tante altre belle ragazze meno problematiche che farebbero i salti di gioia se tu volessi corteggiarle. Per esempio le ragazze del Rotaract...>>
Roberto inarcò le sopracciglia:
<<Strano, mi pareva di aver capito, dalle parole di Felix, che le professioni dei miei non fossero poi così tanto valutate in quell'ambiente. Ma questo non ha importanza: come ho già detto, sono impegnato e non credo proprio che Aurora sia il tipo di persona che...>>
La signora Maria Carolina intervenne per sviare il discorso:
<<Ma guarda che al Rotaract ti vorranno senz'altro! Ti troverai benissimo se vorrai aderire. 
Anche Aurora è iscritta, per cui avrai molte occasioni in più per conoscerla meglio e per conoscere anche tutti i suoi corteggiatori... e non sono pochi!>>
I suoi occhi verdi erano diventati quasi gialli, come quelli di una tigre.
Roberto si rese conto che non gli stavano offrendo una via d'uscita:
<<Ne parlerò con Aurora>>
Taddeo Porcu, felicissimo, si alzò e lo abbraccio con un slancio tale da apparire un lottatore di sumo.
<<Benissimo! E poi dovremo organizzare una vacanza insieme, per te, Felix, Aurora e altre belle ragazze che sicuramente faranno la fila per correre dietro a uno come te!>>
A Roberto venne da ridere:
<<Non credo proprio, ma parlerò con Aurora anche riguardo alle vacanze estive>>
Poi si affrettò ad uscire da quella gabbia di matti, che avevano comunque ottenuto il loro scopo, e cioè fargli capire che Felix sarebbe sempre stato nel mezzo e che Aurora...
Vogliono farmi credere che Aurora sia diversa da ciò che appare, che non mi ami, che io sia solo uno dei tanti corteggiatori, e nemmeno dei più degni di considerazione. 
Lui non ci voleva credere, ma il dubbio lo tormentava, perché quando lui le aveva detto "ti amo", lei non aveva fatto altrettanto. E poi c'erano delle stranezze, dei segreti, qualcosa che soltanto lei e Felix sapevano. 
Non credo che siano amanti, ma c'è qualcosa che li unisce, qualcosa che forse potrebbe essere peggio ancora dell'incesto. Ma cosa? Triangoli, feticismi, parafilie? In fondo il sadismo è presente nella loro famiglia... ma Aurora è una ragazza gentile e dolce, non farebbe del male neanche a una mosca.
Devo fidarmi di lei. Amarla senza riserve. Solo così sarò degno di essere preso seriamente in considerazione.