venerdì 2 giugno 2017

La teoria psicologica sociale cognitiva di Albert Bandura

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Albert Bandura (Mundare Alberta4 dicembre 1925) è uno psicologo canadese, noto per il suo lavoro sulla teoria dell'apprendimento sociale e, nei suoi esiti sulla teoria sociale cognitiva.

Biografia

Ha ottenuto notorietà per l'esperimento della bambola Bobo sull'aggressività infantile per imitazione, dove un gruppo di bambini prendeva come esempio, per capacità visiva, degli adulti che in una stanza, senza che il loro comportamento venisse commentato, picchiavano il pupazzo Bobo. Altri coetanei invece, vedevano degli adulti sedersi, sempre in assoluto silenzio, accanto a Bobo. Infine tutti questi bambini venivano condotti in una stanza piena di giocattoli tra cui c'era anche un pupazzo uguale a Bobo. Su 10 bambini che picchiavano il pupazzo 8 erano quelli che lo avevano visto fare in precedenza da un adulto. Questo mostra come se un modello che noi seguiamo compie una determinata azione, noi siamo tentati di imitarlo e questo accade soprattutto nei bambini, che non hanno ancora l'esperienza per capire da soli se quel comportamento è corretto o no. Nel campo delle motivazioni risulta prezioso il suo apporto espresso tramite il concetto di Self Efficacy. Quest'ultimo lega il comportamento umano all'autopercezione del proprio funzionamento interiore e alla relativa capacità di sfruttare i dati ottenuti per il raggiungimento dei cosiddetti "Oggetti Meta", che corrispondono alla fonte di soddisfacimento di ciascun bisogno psicologico.
Ha trascorso la maggior parte della sua carriera alla Stanford University ed è stato eletto presidente della American Psychological Association. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi durante la sua carriera, incluso il William James Award dall'Association for Psychological Science, il Distinguished Scientific Contributions Award e il Premio E. L. Thorndike dall'American Psychological Association.

L'apprendimento sociale di Albert Bandura

Un primo pilastro fondante il cognitivismo sociale è stato identificato nelle ricerche di Albert Bandura e colleghi sull'apprendimento per osservazione. Esse hanno infatti ampliato le conoscenze sui processi di apprendimento, richiamando l'attenzione sui diversi modi in cui le esperienze sociali contribuiscono alla personalità e alla regolazione della condotta. Bandura, distanziandosi significativamente dall'allora declinante comportamentismo, sottolineava come l'apprendimento non avvenga solo per contatto diretto con gli elementi che influenzano la condotta, ma come esso possa essere mediato attraverso l'osservazione di altre persone attraverso un processo di modellamento. Entro questa prospettiva, l'accento inizia ad essere posto sulle strutture cognitive alla base dei comportamenti, in termini di aspettative, attribuzioni causali, valutazioni sulle capacità proprie ed altrui. La riflessione di Bandura sul costrutto indicato con il nome di "autoefficacia percepita" (perceived self efficacy), segna il punto di approdo degli sviluppi della teoria dell'apprendimento sociale e la nascita della teoria sociale cognitiva (Bandura, 1997).
Nella teoria sociocognitiva l'agentività umana opera all'interno di una struttura causale interdipendente che coinvolge una causazione reciproca triadica. L'agentività (agency) è la facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale. L'agente (agent) è qualcosa o qualcuno che produce o è capace di produrre un effetto: una causa attiva o efficiente. Caratteristica essenziale dell'agentività personale è la facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi.
I fattori triadici:
  • personali interni (eventi cognitivi, affettivi e biologici)
  • il comportamento
  • gli eventi ambientali
Operano come fattori causali interagenti che si influenzano reciprocamente in modo bidirezionale. Il fatto che le tre classi di fattori causali si influenzino reciprocamente non significa che esse abbiano lo stesso peso. La loro influenza relativa varierà a seconda delle attività e delle circostanze. Le mutue influenze e i loro effetti reciproci non compaiono simultaneamente come un'entità olistica. Ci vuole tempo perché un fattore causale eserciti una sua influenza. Non esiste una distinzione dicotomica fra una struttura sociale non rappresentata da persone e un'agentività personale decontestualizzata. Troviamo sempre un'interazione dinamica fra gli individui e coloro che presiedono alle operazioni istituzionalizzate dei sistemi sociali. Tale interazione implica transazioni in cui si producono effetti fra i funzionari istituzionali e coloro che cercano di adattarsi alle loro pratiche o di modificarle.

Teoria dell'apprendimento sociale

Bandura è stato un autore fondamentale nel passaggio dall'approccio comportamentista verso la definizione del cognitivismo.
La sua teoria risulta una delle più rilevanti per la sua estesa analisi dei fattori individuali e contestuali che determinano il funzionamento della personalità. Tale teoria si costruisce intorno a due principi chiave: il primo riguarda le linee concettuali e gli assunti alla base della condotta individuale, il secondo riguarda la tipologia di variabili finalizzate alla costruzione di un modello teorico sui processi sottostanti alla condotta.

Il punto di partenza della teoria dell'apprendimento sociale

La teoria dell'apprendimento sociale rappresenta una delle prime teorie di Albert Bandura. L'autore evidenziò come l'apprendimento non implicasse esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma che avvenisse anche attraverso esperienze indirette, sviluppate attraverso l'osservazione di altre persone. Bandura ha adoperato il termine modellamento (modeling) per identificare un processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello.
Esemplificativi risultano in questo senso gli studi condotti sull'imitazione di condotte aggressive da parte di bambini che osservavano un modello (vedi Esperimento della bambola Bobo). Bandura sintetizza una serie di proprietà agenti in una situazione di modellamento, che influiscono nell'impatto delle informazioni apprese sulla prestazione: la somiglianza delle prestazioni, la somiglianza delle caratteristiche personali tra osservatore e modello, la molteplicità e varietà dei modelli, ed infine la competenza del modello. Viene identificata come caratteristica fondamentale dell'apprendimento osservativo (o apprendimento vicario) l'identificazione che si instaura tra modello e modellato. Più essa sarà elevata, più l'apprendimento avrà effetto sulla condotta del modellato.

Lo sviluppo della teoria sociale cognitiva

Il passaggio dalla teoria dell'apprendimento sociale alla teoria sociale cognitiva avviene attraverso lo sviluppo di un nuovo costrutto di analisi della condotta: l'autoefficacia percepita. Bandura si distacca da approcci comportamentisti che ha adottato all'inizio della sua teoria, per poi definire e costruire un approccio orientato ai processi cognitivi allo studio dell'adattamento dell'individuo nell'ambiente. Bandura sintetizza la capacità umana di operare attivamente in un contesto nel costrutto dell'agenticità umana.

L'agentività umana

Il concetto di agentività umana (human agency), punto cardine dell'intera teoria social-cognitiva, può essere definito come la capacità di agire attivamente e trasformativamente nel contesto in cui si è inseriti. Tale funzione umana, che riguarda sia i singoli individui che i gruppi, si traduce operativamente nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi. Nella valutazione del ruolo dell'intenzionalità, Bandura distingue la condotta mirata al raggiungimento di un risultato, dagli effetti che l'esecuzione di tale corso d'azione produce. L'agentività è intesa come una funzione riguardante gli atti compiuti intenzionalmente, indipendentemente dal loro esito. Punto di partenza nello studio di questa facoltà è la convinzione di poter esercitare attivamente una influenza sugli eventi. Questo orientamento proattivo è inserito da Bandura in un approccio multi-dominio relativo alle determinanti della condotta. Tale approccio riconosce che la maggior parte del comportamento umano sia determinato da molti fattori interagenti tra loro.
Bandura identifica tre classi di cause che influenzano la condotta:
  1. i fattori personali interni, costituiti da elementi cognitivi, affettivi e biologici;
  2. il comportamento messo in atto in un dato contesto;
  3. gli eventi ambientali che circoscrivono l'individuo e la condotta.
L'agentività umana opera all'interno di una struttura causale interdipendente che coinvolge questi tre nuclei d'influenza in una relazione reciproca e triadica. Il peso dell'influenza dei fattori presi in considerazione varia a seconda delle attività, delle circostanze, e del tempo necessario ad un elemento per sviluppare i suoi effetti.
Un valore centrale nel determinare i cambiamenti e gli sviluppi delle condotte delle persone è attribuito da Bandura ai sistemi sociali. L'autore riconosce che l'agentività opera entro una rete di influenze sociali e strutturali. Nelle transazioni tra questi domini le persone risultano sia produttori che prodotti dei sistemi sociali che regolano la loro condotta. Le strutture sociali, il cui scopo è organizzare e regolare l'attività degli individui e dei gruppi, sono esse stesse una creazione delle persone che le costituiscono. Tali luoghi, a loro volta, impongono vincoli e forniscono risorse per lo sviluppo delle persone e dei gruppi che ne fanno parte. Le strutture sociali e organizzative forniscono una serie di pratiche sociali condivise, mentre all'interno di tali regole rimane molta variabilità personale per quanto riguarda la loro applicazione. Bandura evidenzia come le persone con un elevato grado di agentività sappiano trarre vantaggio dalle opportunità offerte dalle strutture sociali, e costruire modi per aggirare i vincoli istituzionali della stessa struttura. Al contrario le persone inefficaci sono meno capaci di sfruttare le risorse offerte dal sistema, e più soggette a scoraggiamenti in caso di problemi imposti da esso.
Nello sviluppo di tale ottica multi-dominio, gli effetti che la condotta produce sia sull'individuo che sull'ambiente, sono analizzati in termini probabilistici, piuttosto che deterministici. Il concetto di probabilismo viene sottolineato con molta enfasi da Bandura a proposito del ruolo che gli accadimenti causali hanno nel corso dello sviluppo individuale. Si ricerca in sintesi un approccio interazionista allo studio delle condotte degli individui. Nelle caratteristiche intrinseche all'interazionismo definite dal reciproco determinismo triadico, l'azione si configura sia come stimolo che come risposta rispetto alla personalità e all'ambiente.
Le azioni delle persone, ed i loro effetti, danno forma alle competenze, ai sentimenti, alle credenze sul sé. La circolarità del modello P (persona) C (comportamento) A (ambiente), è incentrata sulla definizione di due tipi di esiti del comportamento: i risultati esterni, e le reazioni di autovalutazione. Tali conseguenze possono risultare complementari o contrapposte, con esiti assolutamente diversi in termini di raggiungimento degli scopi prefissati.

Le capacità personali

Un ruolo centrale è ricoperto dalle capacità personali. Attraverso tali processi cognitivi, le persone sono in grado di conoscere sé stesse ed il mondo, al fine di regolare in esso il proprio comportamento. In particolare, Bandura identifica cinque capacità di base:
  1. la capacità di simbolizzazione, che corrisponde alla capacità delle persone di rappresentare simbolicamente la conoscenza. Il linguaggio rappresenta l'esempio più evidente della capacità cognitiva di ragionare usando simboli astratti.
  2. La capacità vicaria, ovvero la capacità di acquisire conoscenze, abilità o competenze mediante l'osservazione o il modellamento di altre persone.
  3. La capacità di previsione, ovvero la capacità di anticipare gli eventi futuri, estremamente rilevante sia a livello emotivo che motivazionale, in termini, per esempio, di timore degli eventi che hanno da venire.
  4. La capacità di autoregolazione, che corrisponde alla capacità di stabilire obiettivi e di valutare le proprie azioni facendo riferimento a standard interni di prestazione.
  5. La capacità di autoriflessione, che corrisponde alla capacità di riflettere in modo consapevole su noi stessi.
Queste capacità, pur essendo funzionalmente distinte, operano abitualmente in sinergia. Le persone regolano la propria vita emotiva e sociale grazie al sistema interagente di processi autoreferenziali che derivano dalle capacità di base. Stabilire obiettivi, monitorare il comportamento in funzione di standard personali, prevedere gli esiti delle azioni in relazione al contesto entro il quale si agisce, valutare e riflettere sulle capacità di affrontare le sfide future, e capitalizzare dall'esperienza propria ed altrui, consentono alle persone di esercitare quell'autoinfluenza alla base dei processi di causazione reciproca e rendono possibile l'agenticità umana.

Condotta proattiva e convinzioni di efficacia

Bandura identifica nel senso di efficacia l'elemento chiave per l'analisi dell'agenticità umana. Le credenze delle persone riguardanti la loro efficacia nel gestire gli eventi, influenzano le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la vulnerabilità allo stress ed in generale la qualità della prestazione. L'efficacia personale è intesa come una capacità generativa in cui le sottoabilità cognitive, sociali, emozionali e comportamentali sono coordinate e organizzate in maniera efficiente per assolvere a scopi specifici. Le convinzioni di efficacia esercitano la propria funzione agentica in modo diverso a seconda del dominio d'azione e del contesto analizzato.

Fonti esperienziali dell'autoefficacia

Le convinzioni riguardo alla propria efficacia personale costituiscono uno degli aspetti principali della conoscenza di sé. Bandura identifica quattro fonti di informazioni principali per la costruzione dell'efficacia:
  • Le esperienze comportamentali dirette di gestione efficace, che hanno la funzione di indicatori di capacità.
  • Le esperienze vicarie e di modellamento (cardine della teoria dell'apprendimento sociale), che alterano le convinzioni di efficacia attraverso la trasmissione di competenze e il confronto con le prestazioni ottenute dalle altre persone.
  • La persuasione verbale ed altri tipi di influenza sociale, che infondono e costituiscono la possibilità di possedere competenze da sperimentare.
  • Gli stati fisiologici ed affettivi, in base ai quali le persone giudicano la loro forza, vulnerabilità, reattività al disfunzionamento.
Ogni mezzo di influenza, sia esso sociale, cognitivo o affettivo, a seconda della sua natura, può operare attraverso una o più di questi canali di informazione e costruzione dell'efficacia. Benché ci siano alcuni processi cognitivi alla base dell'elaborazione aggregativa dei giudizi di efficacia a partire dalle sue fonti, la formazione di un'idea di sé tiene conto delle possibili valutazioni altrui, e può risultare potenzialmente pericolosa per l'autostima, ed instaurare dinamiche distorcenti a scopo difensivo. Oltre all'effetto di distorsione dei giudizi legato agli stati emotivi le persone mostrano capacità cognitive di integrare informazioni multidimensionali limitate. La capacità di selezionare, ponderare, e integrare le informazioni di efficacia rilevanti, migliora con lo sviluppo delle abilità autoregolatorie. In questo senso la verifica delle proprie capacità autovalutative richiede non solo la conoscenza delle proprie capacità, ma anche la comprensione dei tipi di abilità richiesti per la specifica prestazione.
Il senso di efficacia percepita è il processo cognitivo chiave identificato dallo psicologo sociale Albert Bandura per l'analisi dell'agenticità umana. Il contesto teorico entro cui questo costrutto si sviluppa è la teoria sociale cognitiva. L'autoefficacia percepita può essere definita come una capacità generativa (che ha la funzione di organizzare elementi particolari) il cui scopo è quello di orientare le singole sottoabilità cognitive, sociali, emozionali e comportamentali in maniera efficiente per assolvere a scopi specifici.

Valutazione dell'autoefficacia

Le credenze delle persone riguardanti la loro efficacia nel gestire gli eventi, influenzano le scelte, le aspirazioni, i livelli di sforzo, di perseveranza, la resilienza, la vulnerabilità allo stress e in generale la qualità della prestazione. Indagare le convinzioni di autoefficacia personale relativamente ad un dato comportamento può allora permettere di predire la condotta dell'individuo in quello specifico dominio comportamentale.
Le convinzioni di efficacia esercitano la propria funzione agentica in modo diverso a seconda della tipologia d'azione analizzata:
  • Relativamente alla realizzazione di prestazioni elevate, emergono come elementi mediatori le convinzioni associate alla propria efficacia autoregolatoria, ossia la capacità della persona di orchestrare in maniera efficace le singole sottoabilità impiegate. L'efficacia in uno specifico ambito non è data dal semplice possedere le singole sottoabilità. Condizione necessaria ma non sufficiente per un senso di efficacia resistente è allora uno stabile senso di efficacia autoregolatoria. Esso consente agli individui di ottenere prestazioni elevate utilizzando proattivamente le singole abilità, anche all'interno di un ambiente che non facilita il raggiungimento del proprio scopo.
  • Per quanto riguarda le convinzioni di efficacia sulla gestione delle emozioni e delle relazioni interpersonali, si evidenzia una relazione causale tra efficacia emotiva (relativa alla regolazione dell'affettività negativa e all'espressione dell'affettività positiva) ed efficacia interpersonale (convinzioni relative alla gestione delle relazioni con profitto e soddisfazione).
  • Il senso di autoefficacia agisce anche sulla determinazione e sulla scelta degli obiettivi personali. In questo senso l'importanza primaria di credenze di efficacia, incentrate sulla controllabilità dell'ambiente entro cui la scelta è operata, risulta fondamentale nella scelta dei propri obiettivi. Con una scarsa controllabilità percepita, si riducono le aspirazioni e gli obiettivi che esse ispirano.

Misura delle convinzioni di autoefficacia

La valutazione del senso di autoefficacia è operativamente definita dalla misura delle credenze ad esso associate. La scala Likert rappresenta uno strumento chiave nella sua misurazione attraverso strumenti carta - matita. La metodologia standard di misurazione delle convinzioni di efficacia, prevede che gli item (vedi psicometria) descrivano compiti di diverso livello e complessità, e che le persone valutino la forza della loro convinzione di saper fare le attività richieste ed implicate. Le convinzioni sono chiaramente espresse in termini di "so fare".
Bandura suggerisce di registrare la forza delle convinzioni di autoefficacia su una scala a 100 punti che, con intervalli a 10 passi, parte da 0 ("non lo so fare") e arriva alla sicurezza totale (100: "sono certo di saperlo fare"). Le scale di misura dell'efficacia sono unipolari e vanno da 0 a 100, il massimo di livello di forza. Non includono numeri negativi poiché non è possibile ipotizzare una gradazione più bassa dell'incapacità totale. Per ottenere un indice della forza del senso di efficacia nell'ambito delle attività in esame, è sufficiente costruire una media degli item somministrati (vedi psicometria). Bandura propone una metodologia di misura dell'autoefficacia legata ad un livello intermedio di specificità nei confronti dell'azione, proponendo la focalizzazione degli item su una categoria di prestazioni all'interno dello stesso ambito di attività.
L'autore mette inoltre in evidenza come il livello ottimale di generalità della valutazione varia
  • a seconda di ciò che si vuole predire,
  • in base a quanto si conoscono anticipatamente le richieste della situazione.
Se lo scopo è predire un particolare livello di prestazione in una situazione data e conosciuta, la misura ottimale sarà molto specifica, poiché ottimizzerà la varianza spiegata. Al contrario, quando la situazione in cui è richiesta la performance è meno stabile e strutturata, è richiesto un livello di maggiore generalità. Le persone giudicano infatti la loro efficacia rispetto ad una gamma differenziata di richieste poste dal compito entro un dato contesto.
Per sviluppare un coerente strumento di misura delle convinzioni di efficacia che tenga conto sia della multidimensionalità (vedi Scala Likert) che della contesto-specificità (vedi teoria sociale cognitiva) di questo costrutto, risulta necessaria un'esplicita analisi concettuale dei requisiti chiave nell'attività oggetto d'analisi. Lo scopo di tale ricerca preliminare è l'identificazione delle caratteristiche che permettono lo svolgimento delle attività non occasionalmente, ma regolarmente, anche in presenza di condizioni ostili, in modo tale da comprendere gli elementi che portano alla prestazione eccellente. Uno spunto operativo sulle indagini preliminari per la costruzione di scale di valutazione dell'autoefficacia autoregolatoria, può consistere nel domandare alle persone di descrivere i fattori che rendono loro difficile eseguire regolarmente l'attività richiesta.
Bandura sottolinea infine come, se si limita la misura all'utilizzo di item fortemente correlati tra loro, si ottengano scale che misurino in modo ridondante soltanto un segmento del senso di efficacia. In questo senso l'autore afferma che un solido schema concettuale nella costruzione degli items può aiutare a verificare la struttura delle convinzioni di efficacia relativamente alla prestazione che si vuole predire.

Bibliografia

  • Bandura, A. (1997), Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Edizioni Erickson, Trento, 2000.
  • Bandura, A. (2001), Guida alla costruzione delle scale di autoefficacia. In Caprara G.V. (a cura di), La valutazione dell'autoefficacia. Edizioni Erickson, Trento.
  • Zimmerman, B. J., & Schunk, D. H. (Eds.) (2003). Educational psychology: A century of contributions. Mahwah, NJ, US: Erlbaum.

Voci correlate

La psicologia sistemica

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Con il termine psicologia sistemica si è soliti fare riferimento a quel complesso di ipotesi e ricerche che, nel tentativo di superare l'ottica centrata esclusivamente sull'individuo tipica della psicologia tradizionale, fanno riferimento alla teoria generale dei sistemi di autori come Ludwig von Bertalanffy e alla cibernetica per lo studio della comunicazione e, dunque, della psicologia.
Gli autori principali che hanno fondato questo orientamento, a partire dalla fine degli anni '50 al Mental Research Institute di Palo Alto (v. anche Scuola di Palo Alto), sono Paul Watzlawick e Gregory Bateson.

Opere essenziali

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La Scuola di Palo Alto è una scuola di psicoterapia statunitense che trae il suo nome dalla località californiana dove sorge il Mental Research Institute, centro di ricerca e terapia psicologica fondato da Donald deAvila Jackson nel 1959, a sua volta largamente ispirata dalla Terapia della Gestalt di Fritz Perls.

Le origini

A seguito della persecuzione degli ebrei e della psicoanalisi da parte del nazismo e del fascismo, molti studiosi europei di psicologia si trasferirono negli Stati Uniti, dando origine ad una fiorente scuola di psicoterapia alla quale gli statunitensi si rivolsero in massa. La cosiddetta terapia breve (o brief therapy) è uno dei risultati più significativi fra le innovazioni introdotte dagli psicoterapeuti della Scuola di Palo Alto.
Invece di interessarsi dell'origine storica individuale dei problemi psichici, la psicoterapia breve interviene sui sintomi, per curarli attraverso una focalizzazione dell'intervento terapeutico sui problemi relazionali mostrati dal soggetto, tramite un'attenzione sui processi del "qui ed ora" e sui paradossi logici di autosostentamento della sintomatologia stessa. Il risultato, a volte inatteso, è che spesso anche le cause profonde di tali problemi (psicodinamica) finiscono con l'emergere, integrando ed espandendo la stessa pratica psicoanalitica.
I più noti esponenti sono Gregory BatesonPaul WatzlawickDonald deAvila Jackson, John Weakland, Richard Fish.

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Contributi

Watzlawick portò numerosi contributi allo studio della mente. Sebbene sia ricordato soprattutto per essere l'autore principale di "Pragmatica della comunicazione umana", pietra miliare della psicologia che si occupa degli effetti pratici della comunicazione e che, accanto agli studi di Bateson e del gruppo di Palo Alto, introduce l'approccio sistemico alla psicologia, sono stati fondamentali i suoi contributi più diretti alla psicoterapia, con libri come "Change. La formazione e la soluzione dei problemi" e "Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica". Inoltre, con "La realtà inventata" riunisce una serie di autori che, con i loro scritti, portano incisivi contributi alla teoria costruttivista.

Pragmatica della comunicazione umana

Nel 1967 Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin e Don D. Jackson, pubblicano "Pragmatics of Human Communication. A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes", che riporta appunto gli studi condotti al MRI sugli effetti pragmatici che la comunicazione umana ha sui modelli interattivi e sulle patologie, con una disamina del ruolo dei paradossi comunicativi.
"Due tesi sono centrali in questo libro: 1) il comportamento patologico (nevrosi, psicosi, e in genere le psicopatologie) non esiste nell'individuo isolato ma è soltanto un tipo di interazione patologica tra individui; 2) è possibile, studiando la comunicazione, individuare delle 'patologie' della comunicazione e dimostrare che sono esse a produrre le interazioni patologiche".[13]
Gli autori aprono il testo con due capitoli tesi a sistematizzare le conoscenze relative alla teoria della comunicazione. La conclusione del primo pone degli importanti presupposti teorici:
  • il concetto di scatola nera: gli autori fanno notare la paradossale autoreferenzialità di discipline come la psicologia e la psichiatria, i cui studiosi studiano la mente con la propria mente. Oltre ai limiti che ciò comporta, l'impossibilità, da un lato, di vedere "il lavoro" della mente e ciò che realmente accade in essa, e il concentrarsi, dall'altro, unicamente sulle informazioni in entrata e con i risultati di questo "lavoro", portò gli studiosi degli anni quaranta—cinquanta (spesso riconducibili a una matrice comportamentista), ad usare il concetto di "scatola nera". Watzlawick e soci adottarono questa visione, sostenendo che anche se non si "escludono interferenze con quanto si verifica 'realmente' all'interno della scatola, le cognizioni che se ne possono trarre non sono indispensabili per studiare la funzione del dispositivo nel sistema più grande di cui fa parte", in modo tale che "non abbiamo bisogno di ricorrere ad alcuna ipotesi intrapsichica (che è fondamentalmente indimostrabile) e possiamo limitarci ad osservare i rapporti di ingresso-uscita, cioè la comunicazione" (tr. it. p. 36).
  • consapevolezza e non consapevolezza: tenendo comunque conto dell'importanza di stabilire se un comportamento sia consapevole, inconsapevole, volontario, involontario o sintomatico, gli autori mostrano come in realtà sia rilevante il "significato" che ad esso viene dato. "Se a qualcuno viene pestato un piede, per lui è molto importante sapere se il comportamento dell'altro è stato intenzionale o involontario. Ma l'opinione che si fa in proposito si basa necessariamente sulla sua valutazione dei motivi dell'altro e quindi su una ipotesi di ciò che passa dentro la testa dell'altro", ipotesi che si dimostra essere "una nozione oggettivamente indecidibile" e che quindi "esula dai fini che si prefigge lo studio della comunicazione umana" (p. 37). Si noti come ciò vale sia nell'attribuzione di significato ai comportamenti nella vita quotidiana, sia nello studio scientifico della mente.
  • presente e passato: riconoscendo senza dubbio il ruolo del passato sul comportamento attuale, nel corso del primo capitolo gli autori mostrano la fallacia e l'assenza di oggettività nel rievocare eventi, unitamente al fatto che "qualunque persona A che parli del suo passato alla persona B è strettamente legata alla relazione in corso tra queste due persone (e ne è determinata)" (p. 37). L'indagine del passato viene ritenuta inattendibile; si preferisce l'osservazione diretta della comunicazione nel suo qui-e-ora (hic et nunc), che permette l'identificazione di modelli di comunicazione utili da un punto di vista diagnostico e per la messa a punto delle più appropriate strategie terapeutiche.
  • causa ed effetto: conclusione logica del precedente presupposto teorico è che le cause di un disturbo perdono importanza, mentre gli effetti ne acquistano notevolmente, difatti, gli effetti che sintomi o disturbi complessi hanno sul contesto, sul sistema in cui si esprimono, fanno assumere al sintomo/disturbo il ruolo di "regola del gioco" (inteso come sequenze di comportamento governate da regole, in linea con la matematica Teoria dei Giochi) giocato in quel particolare contesto. "In genere, riteniamo che il sintomo sia un comportamento i cui effetti influenzano profondamente l'ambiente del malato. A questo proposito si può enunciare una regola empirica: dove resta oscuro il perché? di un comportamento, la domanda a quale scopo? è possibile che dia una risposta valida" (p. 38).
  • la circolarità dei modelli di comunicazione: gli autori attingono alla cibernetica (la disciplina che studia i processi di autoregolazione e comunicazione degli organismi naturali e dei sistemi artificiali) adoperando il concetto di "retroazione", secondo cui "parte dei dati in uscita sono reintrodotti nel sistema come informazione circa l'uscita stessa" (p. 24). Ci troviamo così in sistemi aperti in cui il comportamento a determina b che torna ad influenzare a; ma allora è a ad aver determinato b o viceversa? "È patologica la comunicazione di una data famiglia perché uno dei suoi membri è psicotico, o uno dei suoi membri è psicotico perché la comunicazione è patologica?" (p. 39). Diviene perciò privo di senso parlare del principio o della fine di una catena di eventi: "non c'è fine né principio in un cerchio" (p. 38).
  • la relatività delle nozioni di "normalità" e "anormalità": infine gli autori mostrano come un comportamento acquisisca un senso specifico all'interno del contesto in cui si attua; "sanità" e "insanità" perdono così il loro significato, poiché ciò che è sano in un contesto può non esserlo in un altro, e l'osservatore può giudicare un dato comportamento come "normale" o "anormale" a seconda della sua ottica preconcetta. "Ne consegue che la 'schizofrenia' considerata come una malattia incurabile e progressiva della mente di un individuo e la 'schizofrenia' considerata come l'unica reazione possibile a un contesto di comunicazione assurdo e insostenibile (una reazione che segue, e perciò perpetua, le regole di tale contesto) sono due cose del tutto diverse" (p. 39).
I presupposti teorici elencati nel primo capitolo del libro aprono la strada a quelli che, ancora attualmente, vengono considerati i fondamentali assiomi della comunicazione umana:
  1. L'impossibilità di non-comunicare
  2. Livelli comunicativi di contenuto e di relazione
  3. La punteggiatura della sequenza di eventi
  4. Comunicazione numerica e analogica
  5. Interazione complementare e simmetrica

Change: la formazione e la soluzione dei problemi

Concetto chiave di questo libro è quello di "tentata soluzione", che raggruppa tutti gli sforzi effettuati per risolvere un problema che in realtà non fanno altro che mantenerlo o crearne uno ex novo.

Il linguaggio del cambiamento

Qui vengono analizzati gli elementi di comunicazione terapeutica, secondo un'impostazione di terapia breve ad approccio strategico.

La realtà inventata

In questo libro verranno dati importanti contributi alla teoria costruttivista.

Note

  1. ^ Titolo originale "How Real is Real?: Confusion, Disinformation, Communication", Vintage Books, 1976, p. XIII
  2. ^ Nardone, G. (2000). Oltre i limiti della paura. Milano: Bur.
  3. ^ Don Jackson Biography
  4. ^ http://www.centroditerapiastrategica.org/journal%20articles/Articoli_Italiano/ray.pdf
  5. ^ a b c d e f Ray, W. (2007). Prefazione. In P. Watzlawick, Guardarsi dentro rende ciechi (pp. 5-9). Milano: Ponte alle Grazie.
  6. ^ a b c d Segal, L. (1995). Terapia breve: il modello del Mental Research Institute. In A.S. Gurman e D.P. Kniskern (a cura di), Manuale di terapia della famiglia (pp. 102-129). Torino: Bollati Boringhieri.
  7. ^ SCUOLA DI PALO ALTO (CALIFORNIA): PAUL WATZLAWICK (1921-2007). Un omaggio di Umberto Galimberti - a cura di Federico La Sala
  8. ^ a b c Palo Alto Online Palo Alto Weekly: Communications theorist Paul Watzlawick dies (April 4, 2007)
  9. ^ a b c d e f http://www.mri.org/pdfs/Paul_Obit_ART.pdf
  10. ^ Galimberti, U. (1999). Enciclopedia di psicologia (voce: Watzlawick, Paul). Torino: Garzanti.
  11. ^ a b Paul Watzlawick - pioneering psychotherapist
  12. ^ v. Bibliografia: "La realtà della realtà"
  13. ^ Karl H. Pribram, nell'aletta dell'edizione italiana Astrolabio, 1971

Bibliografia

  • Watzlawick, P. (1963). A Review of the Double Bind Theory, in Family Process, v. 2, 1, pp. 132–153.
  • Watzlawick, P. (1964). An Anthology of Human Communication. Palo Alto: Science and Behaviour Books.
  • Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio.
  • Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R. (1974). Change. La formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.
  • Watzlawick, P. (1976). La realtà della realtà. Roma: Astrolabio.
  • Watzlawick, P. (1977). Il linguaggio del cambiamento. Elementi di comunicazione terapeutica. Milano: Feltrinelli.
  • Watzlawick, P. (1978). America, istruzioni per l'uso Milano: Feltrinelli.
  • Watzlawick, P., Weakland, J.H. (1978). La prospettiva relazionale. Roma: Astrolabio.
  • Watzlawick, P. (a cura di). (1981). La realtà inventata: contributi al costruttivismo. Milano: Feltrinelli.
  • Watzlawick, P. (1983). Istruzioni per rendersi infelici Milano: Feltrinelli.
  • Watzlawick, P. (1986). Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico Milano: Feltrinelli.
  • Nardone, G., Watzlawick, P. (1990). L'arte del cambiamento. Milano: Ponte alle Grazie.
  • Watzlawick, P. (1991). Il codino del barone di Munchhausen. Ovvero: psicoterapia e realtà. Saggi e relazioni. Milano: Feltrinelli.
  • Watzlawick, P., Nardone, G. (a cura di) (1997). Terapia breve strategica. Milano: Raffaello Cortina.
  • Loriedo, C., Nardone, G., Watzlawick, P., Zeig, J.K. (2002). Strategie e stratagemmi della Psicoterapia. Milano: Franco Angeli.
  • Nardone, G., Loriedo C., Zeig J., Watzlawick P. (2006). Ipnosi e terapie ipnotiche. Milano: Ponte alle Grazie.
  • Watzlawick, P. (2007). Guardarsi dentro rende ciechi. Milano: Ponte alle Grazie.

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Terapia centrata sulla persona secondo Carl Rogers

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La Terapia non direttiva o Terapia centrata sul cliente, formulata da Carl Rogers, è una forma di psicoterapia che si basa su una teoria della personalità (la psicologia umanistica) secondo la quale l'individuo tende all'autorealizzazione, e struttura il proprio  ricercando un accordo tra la valutazione-accettazione dei valori suggerita dall'esterno, e quelli conformi alla richiesta di autorealizzazione.
Secondo tale approccio, l'accettazione di comportamenti impropri (ovvero incongruenti col sistema di valori rivolti all'autorealizzazione del soggetto) sarebbe causa del disagio che motiva il ricorso alla terapia, la quale ha lo scopo di rivitalizzare le naturali capacità di autoregolazione del cliente.

Bibliografia

  • Carl Rogers, Psicoterapia di consultazione, Astrolabio 1971 (prima edizione americana 1942),
  • Carl Rogers, Terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia 1997 (prima edizione americana 1951),
  • Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente, Martinelli 1970 (raccolta di saggi sui concetti importanti pubblicati in parte in Client-Centered Therapy in parte apparsi in altri volumi o articoli di riviste),
  • Carl Rogers, Un modo di essere, Martinelli 1983 (prima edizione americana 1980)
  • Pierre-Bernard Marquet, Carl Rogers o la libertà della persona, Astrolabio 1972.
  • Valeria Vaccari, "Una teoria umanistica della personalità: la Client - Centered Therapy di Carl Rogers", in Monti, F. (a cura di), "Note su alcuni percorsi della personalità", CLUEB, Bologna.

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Disturbi della personalità nelle teorie psicologiche e in psichiatria

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Legame tra dinamiche psicologiche e neuropsichiatriche

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La psicoterapia Psicodinamica


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In psicologia clinica con psicoterapia psicodinamica ci si riferisce a una forma di psicoterapia basata principalmente sulla concezione e sulle metodologie della psicoanalisi e più in generale della psicologia dinamica, ma che si sviluppa con incontri meno frequenti e con una durata considerevolmente ridotta rispetto al vero e proprio trattamento psicoanalitico. Il setting nella Psicoterapia Psicodinamica è quindi in parte differente, e la tecnica utilizzata è più eclettica.

Descrizione

La frequenza tipica delle sedute è di una o due sedute per settimana, e la durata del trattamento può essere fissata a priori oppure mantenuta aperta per un periodo di valutazione iniziale. Sono stati elaborati differenti modelli di Psicoterapia dinamica breve, per il trattamento di sintomi focali, ma in genere l'indicazione per la Psicoterapia Psicodinamica prevede accanto al trattamento dei sintomi un intervento più ampio finalizzato allo sviluppo delle risorse personali. Pertanto la durata del trattamento, seppur limitata, è solitamente più ampia, meno focale e maggiormente espressiva.
L'essenza della Psicoterapia Psicodinamica consiste nell'esplorazione dei diversi aspetti del  che non sono completamente conosciuti, e delle influenze che ne derivano in special modo nelle relazioni attuali e negli eventuali sintomi psicopatologici. Inoltre, questi aspetti vengono conosciuti sulla base della loro implicita influenza nella relazione terapeutica. La tecnica psicodinamica contemporanea è in una certa misura differente da quella formulata da Sigmund Freud cento anni fa.
In letteratura è possibile individuare sette focus intorno a cui si sviluppa la psicoterapia psicodinamica:
1) Il focus sugli affetti e sull'espressione delle emozioni;
2) L'esplorazione dei tentativi di gestione dei pensieri e delle emozioni disturbanti (difese);
3) L'identificazione dei temi ricorrenti e dei pattern caratteristici;
4) La discussione dell'esperienza passata (dal punto di vista dello sviluppo);
5) Il focus sulle relazioni interpersonali;
6) Il focus sulla relazione terapeutica;
7) L'esplorazione delle fantasie e della vita immaginativa.[1]

La psicodinamica è l'insieme di meccanismi e processi psichici sottesi al comportamento e più in generale alla personalità di un individuo, preso singolarmente o in relazione ad altri.
È ormai impossibile parlare di psicodinamica senza riferirsi all'inconscio, dal momento che, a partire dalla rivoluzione psicoanalitica in poi, i processi mentali legati al comportamento manifesto sono considerati attraverso un'ottica inconscia, vale a dire agenti "sotto" il livello di consapevolezza del soggetto.

Psicologia dinamica

La branca della psicologia che studia, analizza e descrive gli aspetti della psicodinamica è la psicologia dinamica, sviluppatasi ampiamente grazie al contributo di Sigmund Freud. Ma non va assolutamente considerata quale sinonimo di psicoanalisi. L'accezione "dinamica" sta ad indicare prevalentemente l'esistenza di forze o attività psichiche che possono interagire o entrare in conflitto, dando origine a caratteristiche di personalità e comportamenti che, se pervasivi e disadattivi, sono considerati come sintomi di un disturbo psichico.

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Il concetto di conflitto psichico è centrale nella psicologia dinamica, e si riferisce primariamente all'idea freudiana del costante conflitto fra desiderio e difesa, vale a dire fra un movimento verso un oggetto, un obiettivo ed una serie di "impedimenti" dettati dalla morale o da altre regole comportamentali apprese. Questa definizione sembrerebbe circoscrivere l'interesse della psicologia dinamica al ramo delle nevrosi, benché si siano sviluppate, nel corso del tempo, delle teorie psicodinamiche relative a disturbi diversi, come le psicosi ed i disturbi di personalità, relative al rapporto con la realtà ed alle relazioni.
Gli stessi modelli psicodinamici, intesi nell'accezione storica originaria "pulsionalista" di inizio Novecento (ed attualmente in buona parte superati e revisionati), sono accomunati dalla concezione del funzionamento mentale come il risultato di un conflitto. Il conflitto è dato dalla opposizione tra potenti forze inconsce che richiedono l'espressione e la soddisfazione immediata, e forze opposte che impongono un controllo, e limitano l'espressione reprimendola o permettendone la soddisfazione in modalità socialmente accettabili. Il conflitto, in altri termini, può essere concettualizzato come la contrapposizione tra un desiderio ed una difesa contro il desiderio stesso.

Costituzione ed esperienza

È da sempre occasione di dibattito la natura costituzionale od esperienziale dei diversi disturbi mentali, e quindi dei processi legati alla loro genesi. Freud considerava la psicodinamica come un'eredità della natura umana, visto che definì una serie di meccanismi prettamente "regolari" fra le persone (meccanismi di difesa, natura del conflitto psichico, organizzazione delle istanze psichiche). L'esperienza, in questo senso, interverrebbe a deviare, spostare o arricchire i percorsi soliti dell'attività psichica, orientata verso un oggetto o un obiettivo.
Ad esempio il bambino che sugge al seno materno risponde all'esigenza di nutrirsi, ma la piacevolezza legata all'esperienza, dovuta alla libido orale, lo porterà a ricercare il piacere della stimolazione oro-alimentare. Le ripetute esperienze dell'allattamento incideranno sulla personalità del bambino e dell'adulto, determinando alcune caratteristiche riconoscibili.
Lo stesso accadrebbe con esperienze negative o traumatiche, con conseguenze diverse e disadattive sul comportamento. Altri autori hanno rifiutato il primato dell'inconscio nei processi psicodinamici del bambino, riconoscendogli delle competenze psichiche superiori e già organizzate, di natura perciò costituzionale e individuale. È comunque possibile sostenere che gli aspetti inerenti alla psicodinamica siano per lo più costituzionali, dal momento che le attività principali, i meccanismi ed i processi psichici sembrano essere gli stessi per ogni persona, delineando fra l'altro una continuità fra "normalità" e "patologia" nella psicologia, dal momento che le stesse funzioni che regolano la vita psichica dei cosiddetti "sani" possono portare a dei disturbi psichici.

Note

  1. ^ Jonathan K. Shedler (2010) "The Efficacy of Psychodynamic Psychotherapy", American Psychologist, Vol. 65. No.2, February–March 2010.

Bibliografia

  • Gabbard Glen, O. (2005). Introduzione alla Psicoterapia Psicodinamica. Raffaello Cortina, Milano.

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