venerdì 2 giugno 2017

Interpretazione dello Schema R di Lacan



Fonte http://www.borghero.it/0a08_schemaR.php

j fallo immaginario
S soggetto
i immagine speculare
M figura immaginaria della madre
a oggetto causa di desiderio
P metafora del nome del padre
A Altro
I ideale dell'io
a' oggetti sostitutivi
moi io

 Lo schema R è un piano proiettivo la cui rappresentazione in due dimensioni (il piano) è soltanto una "messa in piano" ottenuta con un taglio che apre la striscia, vale a dire un taglio che permette di ritornare al poligono fondamentale di partenza con i suoi due bordi vettorizzati . 
Questo permette di capire come il Simbolico e l'Immaginario sono legati tra loro per mezzo del Reale, in modo tale che si possa passare dall'uno all'altro e dall'altro all'uno in modo continuo. La dinamica edipica mette particolarmente bene in evidenza questa proprietà mostrando quanto la conquista del Simbolico rinvii pur sempre all'Immaginario. Infatti, appena entrato nel Simbolico, il soggetto si aliena nell'Immaginario dividendosi. Da questo punto di vista, la striscia del reale concepita nella sua rappresentazione möbica, appare come una rappresentazione essenziale alla comprensione dell'organizzazione strutturale del soggetto. 

Fonte http://www.borghero.it/0a08_schemaR.php


Come si giunge alla sua costruzione


1) Lacan circoscrive il campo di quest'esperienza a "Tre registri, che sono proprio i registri essenziali della realtà umana, registri ben distinti e che si chiamano : il simbolico, l'immaginario e il reale"
Da una parte, l'interazione di queste tre istanze si dimostra strutturalmente isomorfa alla dialettica edipica della quale Lacan, nel solco di Freud, specifica la dinamica a partire dallo stadio dello specchio, dalla funzione fallica, dal complesso di castrazione e dalla metafora del Nome-del-Padre . Dall'altra parte, l'andamento di questi tre registri delinea il modo di strutturazione della soggettività che Lacan non cesserà di approfondire nel prosieguo della sua opera. Così appare subito la disparità intrinseca dalla costituzione del soggetto: vale a dire la separazione irriducibile dall'oggetto del desiderio attraverso la mediazione del fantasma.
Il principio della strutturazione soggettiva è fornito a partire dalla costruzione dello schema R di cui Lacan espone la logica nel suo articolo del 1957-58: "Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi" . L'approccio alla psicosi ne risulta sempre più chiaro nella misura in cui Lacan si impegna in questo studio al fine di delineare il processo psicotico simbolizzandolo con la trasformazione dello schema R in schema I, altrimenti detto "schema di Schreber" .
La densità concettuale dello schema R si coglie profondamente solo a livello della sua infrastruttura interna. Di qui la necessità di sviluppare in modo logico le diverse fasi che concorrono alla sua costruzione. Questa costruzione si può ordinare schematicamente nel modo che segue .
Alle soglie di questa situazione originaria, abitualmente chiamata relazione di indistinzione fusionale, il bambino è impegnato in una dinamica desiderante alienata al desiderio della madre, dato che è esattamente identificato al suo fallo. Si osserva questa alienazione tipica che rappresenta l'identificazione fallica a livello dell'esperienza della fase dello specchio . 
Schematizziamo questa relazione con il disegno seguente:



2)  L'interazione dinamica del desiderio tra la madre ed il bambino non è, tuttavia, coerente se non interviene il concetto di mancanza. Difatti, la madre sentita come mancante può sempre immaginariamente essere colmata con l'oggetto del desiderio che le fa difetto. È per questo che, in modo non meno immaginario, il bambino si identificherà più volentieri all'oggetto che manca all'Altro. Lo spazio di questa relazione non traduce dunque l'esperienza di una pura e semplice dualità, e ancor meno si tratta di "simbiosi", come molto spesso si trova scritto.
 L'indistinzione fusionale si attua perché le preesiste un terzo termine: la mancanza e l'esistenza immaginaria di un oggetto capace di colmarla: il fallo. Ne consegue dunque che è proprio l'oggetto della mancanza in quanto tale, che chiama e nutre la dinamica della relazione fusionale. Di qui la necessità di modificare lo schema originario facendo posto all'intercessione del fallo immaginario j.
Questa prima configurazione triangolare che fonda la logica del desiderio nell'edipo, non mette in gioco che una serie di componenti immaginarie. All'oggetto fallico immaginario, che è supposto colmare la mancanza dell'Altro, risponde l'identificazione immaginaria del bambino a tale oggetto della madre. 
Questo primo triangolo madre-bambino-fallo, che rappresenta lo spazio stesso del registro immaginario, costituisce la cellula di base dello schema R. Da questo livello arcaico possiamo già cogliere come l'oggetto del desiderio interferisca nell'organizzazione potenziale del soggetto considerato, in questo stadio, come "assujet" [termine usato da Lacan].


3) Se il bambino non è tutto per la madre - prova ne è il suo interesse per il padre - è dunque chiaro che non potrà neanche essere l'oggetto che colmerà la sua mancanza. Così la madre si rivela tanto più sprovvista del fallo, nello spazio immaginario della relazione d'indinstinzione fusionale, quanto più il padre si pone come polo d'attrazione che mobilita il suo desiderio. Queste due circostanze significanti bastano, per un certo tempo, a sostenere l'incarnazione del padre immaginario, come fallo rivale del bambino presso l'Altro. Soltanto questa figura del padre può supportare una serie di spostamenti decisivi nella logica desiderante del bambino ormai sospesa alla domanda. «essere o non essere "to be or not to be", il fallo?» [della madre] .
In primo luogo un nuovo protagonista, il padre, si inserisce nella triangolazione immaginaria madre-bambino-fallo.
In secondo luogo, il fallo circola a partire dalla rimessa in questione dell'identificazione fallica. [Il bambino arriva a rappresentare con qualcosa ciò che manca all'altro (Edipo)].
D'altronde, questo vacillamento del posto del fallo induce uno spostamento della madre stessa, nei confronti dello spazio della configurazione immaginaria originale.
Infine tutte queste traslazioni vengono a distribuirsi in funzione della consistenza che assumono le contingenze della realtà, alle quali ormai il bambino non può più sottrarsi.
Lo spostamento dal luogo primitivo immaginario della madre, correlato, sotto l'influenza della realtà, all'intrusione del padre, può essere schematizzato nel modo seguente:





4) La prima fase caratterizzata da questi diversi spostamenti sarebbe tuttavia inoperante nella strutturazione psichica del soggetto, se restasse fissata allo stadio della rivalità fallica immaginaria tra il bambino e il padre presso la madre. La dinamica che permetterà al bambino di superare la rimessa in gioco della sua identificazione fallica, e di conseguenza, di separarsene, presuppone che egli stesso effettui uno spostamento. Ciò è determinato non solo da diverse evenienze della realtà, al di là del campo immaginario originale, ma è anche - addirittura soprattutto - richiesto dall'incidenza di una mediazione significante operata dalla madre [staccarsi dal bambino]. Per altro, è attraverso questa mediazione che la dimensione simbolica fa irruzione nella dialettica edipica.
Quali sono i moventi di tale mediazione?
Quello che importa è che la madre, sia nel suo modo d'essere, sia nel discorso che fa al bambino, si dia da fare per fargli sentire il ruolo privilegiato svolto dal padre nei confronti del suo - di lei - desiderio. In questo modo è in gioco una prescrizione simbolica che consiste nel significargli, senza equivoci né ambiguità, che è da lui - dal suo uomo - che lei conta di ottenere l'oggetto che le manca. Il bambino riceve così, dal discorso materno, la sicurezza che egli non ha nulla da attendersi dalla sua identificazione immaginaria al fallo, nella misura in cui la madre sa simbolicamente significarsi dipendente dal padre e non da lui, quanto all'oggetto del suo desiderio.
Infatti - questo accade quando la significazione simbolica di questa dipendenza materna ha l'aria di una parodia - possono risultare compromesse certe vie di strutturazione psichica ulteriormente aperte al bambino. Lacan vi ritrova esattamente il "punto di ancoraggio" delle perversioni in cui ambiguità simboliche ed equivoci, diventando regole nella realtà, fissano il bambino nel luogo del godimento della rivalità fallica .
La mediazione indotta da questa prescrizione simbolica è strutturante nella misura in cui l'esistenza intrusiva del padre vi fa, lei stessa, simbolicamente eco. Tanto la madre deve significare al bambino la sua dipendenza desiderante nei confronti del padre, tanto quest'ultimo non deve mancare di confermarne l'incidenza ponendosi come colui "che fa da legge per la madre" .
Un notevole avanzamento può allora essere fatto nella logica degli spostamenti evocati precedentemente. Un elemento supplementare esige d'essere preso in esame: l'incursione del registro simbolico che interviene, ormai, nelle nuove relazioni istituite dal bambino tra il padre e la madre. Questa dimensione fa precipitare in effetti il bambino verso un altro luogo in cui il suo desiderio sarà messo alla prova in una nuova posta in gioco: la dialettica dell'avere. Questo suppone che il bambino abbia rinunciato ad identificarsi all'oggetto del desiderio della madre, che abbia quindi accettato di riconoscere il padre non solo come colui che ha il fallo, ma anche come colui che può darlo alla madre, che quindi è dipendente da lui sotto questo punto di vista, perché lei non lo ha.



5) Questo riconoscimento testimonia del fatto che il bambino è costretto a passare sotto le forche caudine della castrazione. Inoltre illustra uno spostamento caratteristico. Cessando di assoggettarsi al desiderio della madre, egli abbandona la sua posizione iniziale di assujet a vantaggio della posizione, che viene delineandosi, di soggetto desiderante. Di conseguenza, questo spostamento modifica il tipo di legame madre-bambino, che quindi non partecipa più esclusivamente allo spazio immaginario della triangolazione d'origine. Al di là della prova di realtà, questo legame si fissa nello spazio simbolico in cui si trovano ormai collocati il padre e la madre.
Questi diversi spostamenti comportano delle relazioni interattive nella strutturazione soggettiva del bambino. Se la linea di collegamento madre-bambino (fig. 3) traduceva graficamente un tipo di relazione strettamente originaria, lo spostamento rispettivamente della madre e del bambino lascerà due luoghi vacanti, in cui si cristallizzeranno, nell'organizzazione psichica, delle vestigia sempre presenti di questi luoghi immaginari anteriori. Nel luogo primitivo in cui il bambino aveva situato la madre, si costituirà una rappresentazione immaginaria dell'oggetto fondamentale del desiderio (la madre), cioè l'immagine speculare i. Quanto al posto in cui il bambino si era inizialmente collocato, esso darà luogo ad una rappresentazione immaginaria di se stesso: il suo io m, richiamando così alla memoria lo statuto alienato di assujet che egli era. All'altro polo, corrispondente alla nuova posizione del bambino, si delinea, in compenso, qualcosa del soggetto che egli verrà ad essere sotto l'istanza dell'Ideale dell'io I che non può avvenire se non con l'incidenza simbolica del padre. Per questa ragione, l'Ideale dell'io, I, viene ad iscriversi logicamente in opposizione all'io, m, nello spazio simbolico.


6) L'organizzazione dello schema ne viene modificata in egual misura. Ormai il triangolo immaginario e il triangolo simbolico si dispongono rispettivamente da una parte e dall'altra della striscia di realtà [il parallelogramma R che rappresenta la realtà], che Lacan chiamerà poi con l'appellativo di reale .
L'ultima tappa della costruzione dello schema R rinvia direttamente al punto d'arrivo della dinamica edipica dialettizzata per intercessione della metafora del Nome del Padre. Tutti gli spostamenti innescati dopo lo spazio immaginario iniziale, sono stati indotti, infatti, dalla portata strutturante della funzione simbolica del padre, inauguralmente introdotta con la mediazione del discorso materno. La sinergia delle diverse figure paterne - padre frustrante, privatore, castrante, donatore - non può assicurare il passaggio strutturante dall'essere all'avere se non nella misura in cui il padre è investito, in ultima analisi, dell'attribuzione fallica. In quanto tale, vale a dire in quanto padre simbolico, egli è così supposto dare alla madre l'oggetto che le manca .
In altri termini, la traslazione dallo spazio immaginario allo spazio simbolico traduce la circolazione dell'oggetto fallico senza la quale il bambino non saprebbe reperire il posto esatto dell'oggetto del desiderio della madre, che gli permette di passare dallo stato di assujet allo stato di soggetto. Questo riferimento, sotteso dal significante Nome del Padre, giustifica l'introduzione sistematica del simbolo P come luogo d'iscrizione del fallo simbolico F. L'oggetto del desiderio della madre si trova così collocato da parte del bambino, che ha la possibilità di divenire allora come un soggetto - al posto della sua identificazione primordiale immaginaria all'oggetto del desiderio materno j - da qui l'iscrizione del simbolo S al posto del fallo immaginario j.
Al termine di questa strutturazione soggettiva, sussiste non di meno, la pregnanza dell'immaginario incarnata dai luoghi i ed m, vale a dire "i due termini immaginari della relazione narcisistica, cioè l'io e l'immagine speculare" .
Così possiamo anche trascrivere sullo schema l'espressione risultante da tutte le rappresentazioni immaginarie dell'altro, che trovano il loro fondamento più importante nella figura primordiale immaginaria della madre M. Il [vettore] iM metaforizza così tutte le diverse figure dell'altro immaginario con l'espressione generale dell'immagine speculare i(a).
Di qui l'opportunità di scrivere l'altro a al posto di M.
All'opposto, sul [vettore] mI verranno ad iscriversi tutte le identificazioni immaginarie formatrici dell'io assogettate all'identificazione paterna dell'Ideale dell'io, I . È dunque legittimo situare al posto di I, il simbolo a', correlativo di a nella relazione immaginaria del soggetto con i suoi oggetti.
D'altra parte, P non simbolizza il Nome-del-Padre se non riguardo ad un'operazione significante inaugurale che è, a dirla giusta, una metafora. Un tale significante non può dunque situarsi se non nel luogo dell'Altro in cui il bambino incontra il significante di un padre per lui. Di conseguenza, il simbolo A trova dunque la sua collocazione al posto di P.
Nella struttura stessa dello schema R, viene così ad integrarsi quella dello schema L della dialettica intersoggettiva, che richiama all'ordine dell'alienazione del soggetto nell'Io come conseguenza diretta dell'accesso al simbolico attraverso la metafora paterna .
Ritroviamo allora la configurazione completa dello schema R quale Lacan ce la propone nel suo studio "Una questione preliminare per ogni possibile trattamento della psicosi" .




La striscia del Reale [che ha per vertici le lettere] "MimI", non solo separa il triangolo immaginario dal triangolo simbolico, ma anche li lega altrettanto bene. Questa particolarità dinamica non può essere compresa altrimenti che accordando alla striscia MimI la struttura del nastro di Möbius . Se Lacan non ha proseguito su questo terreno nel suo seminario Les Psychoses, nondimeno egli evoca questa particolarità in una nota aggiunta nel 1966 al suo testo Una questione preliminare…. Più generalmente Lacan assimilerà, nella stessa epoca, lo schema R alla stesura di un piano proiettivo. La striscia del reale diviene in questo modo come il taglio di Möbius da cui dipende tutta la struttura del cross-cap:

Forse ci sarebbe dell'interesse a riconoscere che cosa di enigmatico allora, ma perfettamente leggibile per chi ne conosce il seguito, come è il caso in cui si voglia prenderlo come riferimento, quello che lo schema R mostra è un piano proiettivo. Precisamente i punti dei quali non a caso (è per gioco) abbiamo scelto le lettere uguali [maiuscole e minuscole] mM, con cui si corrispondono, e che sono quelli da cui si inquadra il solo taglio valido in questo schema (cioè il taglio [vettore] mi, [vettore] MI), evidenziando che questo taglio isola nel campo un nastro di Möbius .

Dilungarsi un po' sulla funzione di questa striscia del reale sembra tanto più importante in quanto sono proprio certe modificazioni strutturali di questo trapezio miMI a permettere di rappresentare quello che avviene nelle psicosi così come lo schema I mette in evidenza.
Per ottenere un nastro di Möbius, basta suturare i due bordi di un poligono fondamentale (un rettangolo) vettorizzati in modo opposto riconducendoli in una stessa direzione, vale a dire effettuando una torsione. Otteniamo così una superficie monolaterale (con una sola faccia e con un solo bordo) che si può percorrere completamnte senza superare mai alcun bordo .
Sullo schema R, se uniamo i ad I e m ad M, conferiamo alla striscia del reale una struttura möbica. Di conseguenza gli spazi dell'Immaginario e del Simbolico costituiranno una sola "rondella" completamente suturata dalla striscia del reale lungo l'unico bordo che costituisce la superficie del nastro di Möbius. In questo senso lo schema R è un piano proiettivo la cui rappresentazione in due dimensioni (il piano) è soltanto una "messa in piano" ottenuta con un taglio che apre la striscia, vale a dire un taglio che permette di ritornare al poligono fondamentale di partenza con i suoi due bordi vettorizzati .
Questo permette di capire come il Simbolico e l'Immaginario sono legati tra loro per mezzo del Reale, in modo tale che si possa passare dall'uno all'altro e dall'altro all'uno in modo continuo. La dinamica edipica mette particolarmente bene in evidenza questa proprietà mostrando quanto la conquista del Simbolico rinvii pur sempre all'Immaginario. Infatti, appena entrato nel Simbolico, il soggetto si aliena nell'Immaginario dividendosi. Da questo punto di vista, la striscia del reale concepita nella sua rappresentazione möbica, appare come una rappresentazione essenziale alla comprensione dell'organizzazione strutturale del soggetto.











Fonte:  http://www.borghero.it/0a08_schemaR.php

Algebra lacaniana

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Semiotica e logica lacaniana

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Sotto, la Matrice Logica Lacaniana
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Simbologia e terminologia lacaniana


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j fallo immaginario
S soggetto
i immagine speculare
M figura immaginaria della madre
a oggetto causa di desiderio
P metafora del nome del padre
A Altro
I ideale dell'io
a' oggetti sostitutivi
moi io

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J sta per Jouissance, cioè per Piacere


Fonte  http://istitutofreudiano.blogspot.it/2015/05/seminario-del-11-aprile-2015-docente.html

«Penso dunque sono», Cartesio.
«Penso: dunque sono», Lacan.
«Penso che sono», Lacan, La terza.
Inizio dalle prime righe de La terza, parlando di Cartesio e del suo cogito. Il cogito cartesiano presenta variazioni nel seminario di Lacan, correlative al cambiamento del modo in cui si coglie il soggetto dell’inconscio. Cartesio dice: “penso dunque sono”. C’è una seconda tappa nell’insegnamento di Lacan dove il cogito è scritto: “penso: dunque sono”. Quello che penso è: “dunque sono”. Un’evoluzione ulteriore è: “sono dove non penso”. 
Nel cogito Cartesio afferma l’esistenza di un soggetto purificato, trasparente, il soggetto trascendentale che è indispensabile per la scienza e per l’uomo moderno, così sicuro di essere se stesso nella misura in cui pensa di essere nel suo pensiero: lì dove penso, io sono. La psicoanalisi lacaniana sposta questo assunto: il soggetto non si deduce da un “io penso” che lo farebbe esistere, non si deduce da quello che vede, o sente, oppure dalle sue determinazioni biologiche o naturali. Il soggetto esiste in quanto rappresentato da un significante per un altro significante (è la nota concezione di Lacan degli anni ‘50, de Il Seminario III Le psicosi o di Una questione preliminare a ogni possibile trattamento della psicosi). La rivoluzione freudiana, di cui Lacan descrive a suo modo i meccanismi significanti (metafora e metonimia), sposta le posizioni cartesiane. Dove sono il giocattolo del mio pensiero (nell’inconscio) non sono, e dove non penso di pensare (cioè nel gioco significante) è proprio lì che penso a quel che sono. Poiché il significante e il significato non hanno un asse comune, l’uomo non può essere collocato in un punto fisso, come luogo centrale in cui significante e significato si corrispondano.
Alfredo Zenoni mostra che: «Il soggetto su cui opera la psicoanalisi non è l’uomo, ma quel che risulta dalla sua abolizione operata dal sapere scientifico, quello che risulta dalla sua dissoluzione nell’insieme delle leggi e dei determinismi (biologici, economici, antropologici…), ma nella misura in cui questo svuotamento non equivale alla completezza del sapere dove quest’uomo si dissolve». È un interessante lavoro di Zenoni intitolato Il corpo dell’essere parlante, nella citazione dice che il soggetto non si riferisce a una completezza, come in Cartesio, ma che si tratta piuttosto del soggetto di una “incompletezza”, come nel Lacan degli anni ’60, e nel ’70 Lacan parlerà piuttosto di “inconsistenza”. Il soggetto risulta da un’operazione di “svuotamento” di godimento, ed esiste in quanto ne è separato. Questo godimento, escluso, solleva un’obiezione al senso, si situa dal lato del fuori senso, come è stato colto da Lacan in diversi modi, dal lato del reale, dell’insopportabile... Negli anni ’60, per Lacan c’è umano solo nella misura in cui c’è un No al godimento, laddove per “umano” intendo iscrizione del soggetto nel legame sociale, e un Nome del Padre che regola il rapporto con il mondo per ogni soggetto, il mondo degli altri, dell’Altro e del suo godimento. Nel Rapporto di Roma del’53, Lacan c’introduce al No al godimento e alla regolazione attraverso il Nome del Padre. La parola è assassinio della cosa, e le formazioni umane hanno per essenza, e non per accidente, la caratteristica di frenare il godimento. Nel ‘70 l’Altro non esiste, e Lacan colloca il corpo e lalangue: «Soltanto attraverso il fatto di parlare il soggetto può avere un corpo e credersi di essere». Il partner del parlessere (non dice più “soggetto dell’inconscio”, ma “parlessere”) è un corpo che si gode (corpo parlante). Mentre l’insegnamento di Lacan si orientava nel fondamento del soggetto dell’inconscio con il significante e le sue combinatorie, ora, invece, Lacan prende la via del corpo e della sua lalingua per porvi le assise del suo parlessere: il soggetto è parlato ma, soprattutto, parlante attraverso un corpo che mobilita il suo essere di godimento. Il desiderio lascia il campo dell’approccio platonico per aggregarsi al corpo e parlare da lì… le testimonianze di passe ce lo testimoniano regolarmente.
Torniamo alla torsione di Lacan del cogito cartesiano. La prima torsione la incontriamo nel seminario L’identificazione (1961-62). “Penso: dunque sono”. Lacan realizza una prima rottura: “Penso dove non sono, dunque sono dove non penso”. L’essere inteso come “sono” si separa dal pensiero, dalla significazione, dal senso, e anche dalla combinatoria significante, per articolarsi al corpo. Il soggetto è sempre incastrato nelle identificazioni, in specularità che gli danno parvenza d’identità, che non cessano di costruirlo come un bricolage, parassitato dal linguaggio. Preso in un linguaggio di cui non è padrone, lalingua parla a sua insaputa e gioca la sua partizione nel corpo. Dunque, è il corpo che parla. Parlato nella misura in cui è parlante, il soggetto è alienato a una lingua che non sempre conosce, alle prese con significanti che lo rappresentano ma il cui significato gli sfugge. È qui che Lacan introduce la dimensione del fuori senso. Anche se nelle sedute di analisi i significanti proliferano, e il senso è loro attribuito dal soggetto stesso, si tratta di mirare a una riduzione del senso. Di tale purificazione del godimento nel campo dell’Altro, di riduzione dell’Altro all’Uno, il soggetto non è che quel niente d’essere che ha fatto tanto parlare e godere.
La seconda torsione, rappresentata da “Sono dove non penso”, si verifica ne La terza, dove dice: “Penso dunque je souis”. Al je suis si sostituisce un je souis, “essere” non come quello dei filosofi, ma “essere” di godimento: condensa essere e godimento in un solo termine. È un io godo condensato. 
La questione dell’essere che fino allora ha occupato i filosofi è individuata da Lacan non con la sostanza ma attraverso il godimento, e il modo di rapportarsi col godimento da parte di ciascuno. 
Da La terza l’essere si coglie attraverso il nodo tra Reale, Immaginario e Simbolico. Un essere che non è l’“Essere” dei filosofi, ma “una parvenza” (presente a partire dal Seminario L’envers de la psychanalyse). Ne La terza Lacan denuncia quelli che si illudono sulla possibilità per il soggetto di raggiungere un sapere costituito, una conoscenza, un sapere sulla verità ultima, invece, il soggetto non ha alla fine che un solo significante che lo rappresenta presso tal sapere: «È un rappresentante, per così dire, di commercio con questo sapere costituito, ossia per Cartesio, com’è d’uso ai suoi tempi, per via dell’inserimento nel discorso in cui è nato, con il discorso che chiamo del padrone, del nobiluccio».

Annodamento
A partire dal parlessere l’essere si trova in ciò che è stretto dal nodo, intorno all’oggetto a. L’annodamento dei tre registri RSI è per Lacan la sola verità che valga, quella dell’essere, “verità” non nel senso di “verità ultima” ma di verità singolare, che è quella dell’essere. Il nodo è l’essere.




Nel punto in cui si stringono i tre anelli troviamo l’oggetto a. L’oggettoa lo rintracciamo in tutto l’insegnamento di Lacan. Esso designa, nel calcolo della logica propria al discorso analitico, ciò che non appartiene al significante (reale, godimento, pulsione). A lungo l’oggetto a è stato un buco, ma a partire da La terza esso è operativo nel registro del reale, a titolo di un oggetto di cui non abbiamo idea, che non è rappresentabile.
Lacan si rivolge a degli analisti, che sono lì per formarsi, per spiegare come si debbano collocare in posizione di parvenza dell’oggetto a, offrire l’oggetto a che l’analista incarna come causa del suo desiderio all’analizzante. E prosegue dicendo che: «questo nodo bisogna esserlo». Quando dice che deve essere in posizione di oggetto a intende di parvenza. Questo non può pensarsi senza la relazione transferale. Il fatto che l’analista si collochi in posizione di oggetto a è ciò che annoda la traslazione, e permette di avvicinarsi al reale non come alla verità ultima ma in un rapporto singolare relativo alle coordinate soggettive. L’oggetto a trova la sua funzione di agente nella scrittura del discorso dell’analista. Nel discorso dell’analista l’oggetto a è in posizione di agente, a differenza del discorso del padrone dove al posto dell’agente abbiamo l’S1 che si impone al soggetto diviso. Tutto l’interesse di una analisi sta nel fatto che l’oggetto sia in posizione di agente, il che permette la realizzazione di un sapere.



Nel discorso dell’analista è l’oggetto a come parvenza che conduce il gioco. Ne La terza Lacan dice che non è «un sembiante più sembiante che al naturale», si tratta di una provocazione verso gli analisti dell’IPA, «E allora siate più distesi, più naturali quando ricevete qualcuno che viene a chiedervi una analisi (...) anche come pagliacci siete giustificati a essere», la nozione di buffone funziona come parvenza, come dire: buffone avvertito.
Lacan prosegue, parlando agli analisti: «Il simbolico, l’immaginario e il reale sono l’enunciato di ciò che opera nella parola, quando vi situate a partire dal discorso analitico, quando – analisti - lo siete». Questi termini emergono “per” e “da” il discorso dell’analista.
Il punto di mira del discorso del padrone è che le cose funzionino, che stiano al passo, esso mette da parte il reale, ovvero ciò che fa punto di arresto, che obietta al buon funzionamento del mondo e dell’io, e che è all’origine della costruzione del sintomo.



Dal soggetto dell’inconscio al parlessere
L’inconscio non è più un discorso da decifrare attraverso una macchina linguistica, ma è un inconscio che si rivela attraverso l’annodamento RSI, dove sono annodati il reale del godimento, il corpo e la struttura dell’apparato inconscio. Attraverso l’attività di cifratura, man mano che si sviluppa la catena parlata, l’inconscio produce un senso: quest’attività è in se stessa l’esercizio di un godimento. Lacan parla di godi-senso, godere del senso, e del senso goduto. Quindi, il godimento accompagna il soggetto dell’inconscio. Ogni soggetto gode dell’attività di cifratura, ma l’esperienza analitica tocca il reale della pulsione. Che tutto il reale nel soggetto non sia simbolizzabile, formulabile in parole, tuttavia non impedisce di considerare questo resto a partire da un inconscio rielaborato per includere il fuori senso, precisamente quello del godimento del corpo, eterogeneo al significante, ma a esso annodato.
Nelle sue conferenze a Sainte-Anne, nel ‘72, Lacan inventa il concetto di lalangue per designare il “brodo di coltura” della materia sonora che non segue il ritaglio linguistico delle parole e le leggi della sintassi. Lalalingua implica il godimento che vi è depositato.  Negli anni ’70, il primo posto è dato al corpo che gode, che parla lalangue. Allo scopo di far apparire gli effetti della lalingua, Lacan usa neologismi da prendere come forzature del linguaggio. E così, nel ’74, introduce il termineparlessere per designare «l’essere carnale devastato dal verbo», «che parla questa cosa che strettamente attiene [solo alla langue], cioè l’essere». Il parlessere reintroduce la dimensione della pulsione nel verbo, laddove il soggetto dell’inconscio e il godimento sono in esilio reciproco, separati.

Il reale. Dalla bellezza all’impossibile
L’etica della psicoanalisi prende il suo punto di partenza dal reale, cioè si interessa a “ciò che non va”, che è senza equivalenza, senza misura. La singolarità è dal lato del reale, costituisce un punto d’arresto, un’impasse, ed è indice di godimento. 
Avevamo un oggetto a che faceva buco e che poi sostiene il nodo, ora vi è un reale che era insopportabile e diventa, invece, indice di godimento. 
Dove il Diritto si occupa dei rapporti, la psicoanalisi si occupa del non rapporto, di ciò che non ha uguali. La psicoanalisi inizia da una discontinuità della vita del soggetto. Il gioco delle equivalenze significanti che la psicoanalisi mette in opera, con l’associazione libera, non è al servizio di un senso condiviso, bensì di un fuori senso singolare. Un soggetto arriva in analisi a partire da ciò che non va, dagli ostacoli che impediscono il buon funzionamento della sua vita. Egli testimonia di un reale con il quale ha a che fare a partire dai sintomi, che gli impediscono di vivere tranquillamente. Eppure, i sintomi, per quanto dolorosi, sono già segni di una creazione soggettiva in atto. La psicoanalisi ha sempre fatto dei sintomi non i segni di una disfatta delle facoltà, di un disfunzionamento o di una debolezza della volontà, ma punto di creazione di un soggetto intorno ad un reale che è opportuno far emergere. È da lì che si deve partire per capire quello che del soggetto cerca di dirsi. La mira degli “educatori dello spirito e del corpo” è di ridurre il sintomo, invece gli analisti raccolgono preziosamente questa costruzione che è già un trattamento del reale con cui il soggetto ha a che fare. La traslazione gioca la propria parte, coglie l’impossibile e si avvicina a un reale inerente alla struttura, struttura eterogenea al senso: «Chiamo sintomo ciò che viene dal reale. Ciò vuol dire che si presenta come un pesciolino il cui becco vorace si richiude solo mettendo del senso sotto i denti. (…) Allora delle due l’una, o questo lo fa proliferare (...) oppure crepa».
Ma Lacan fa un passo in più e precisa: «Il senso del sintomo non è quello con cui lo si alimenta per la sua proliferazione o la sua estinzione. Il senso del sintomo è il reale». E il reale si caratterizza come fuori senso.
Sulla nozione del sintomo come «ciò che il soggetto ha di più reale», riguardo al sintomo nell’insegnamento di Lacan ci sono due tempi. Nei primi tempi Lacan dava al sintomo lo statuto di interpretabile, grazie alle formazioni dell’inconscio. È il sintomo come metafora, come sostituzione significante, è quel che è divulgato oggi quando si afferma che quel che non riesce a dirsi si mostra nel corpo. Il sintomo è inteso come evento di discorso che ha lasciato delle tracce nel corpo, che disturbano il corpo. Il soggetto parla con il proprio corpo e l’esperienza analitica permette di decifrare i significati del sintomo grazie al ritorno del rimosso. Nella nevrosi il sintomo cede attraverso la decifrazione. 
Restare a questa concezione significa trascurare che il sintomo, malgrado generi sofferenza, è anche una fonte di godimento, godimento al quale il soggetto tiene. Una volta chiarito il sintomo sul piano significante (decifrazione), il soggetto non abbandona la parte di godimento che ne trae: è questa parte che Lacan cerca di cogliere nella sua seconda concezione del sintomo. Questa concezione rinvia all’idea di un sintomo-partner, nel senso che il soggetto si garantisce un godimento facendo del proprio sintomo un partner sul quale potrà contare in modo continuativo. Se il sintomo è partner del soggetto, possiamo dire che in psicoanalisi ci sono solo trattamenti sintomatici, quindi il soggetto ha un partner dall’inizio alla fine dell’esperienza analitica; questa esperienza ha di mira un reale al di là del senso. Pertanto non bisogna far proliferare il sintomo con aggiunte di senso, o attraverso un uso selvaggio dell’interpretazione che blocca il lavoro.
Nel Seminario RSI, che viene subito dopo La terza, Lacan persiste nel dire che nutrendo di senso il sintomo non si fa che dargli continuità di sussistenza. In una frase importante, perché tratta del punto di mira della cura, per esempio dice: «è in quanto qualcosa del simbolico è delimitato da ciò che ho chiamato il gioco di parole, l’equivoco che comporta l’abolizione del senso, che tutto quel che concerne il godimento e in particolare il godimento fallico, può parimenti delimitarsi». Il sapere inconscio, che non è un sapere costituito come chiuso, attraverso l’intervento analitico prevale sul sintomo, quindi non partecipa di ulteriore senso, ma di chiusura. 
Ho scelto di entrare ne La terza attraverso la concezione del sintomo, che mi sembra quel che il soggetto ha di più reale, per avanzare sulla mira nella cura analitica, dicendo come sia dalla parte di una riduzione del senso e di una stretta sul godimento fallico.

La cornucopia del sintomo
Per cogliere la nuova concezione del reale e del sintomo nell’insegnamento di Lacan prendiamo in parallelo La terza e ilSeminario RSI, che sono distanziati da un breve lasso di tempo. 




Per capire mettiamo in alto l’anello dell’immaginario, perché in altre lezioni di Lacan il nodo gira e ciò cambia la prospettiva. Lacan mette dal lato dell’Immaginario il corpo, dal lato del Reale la vita, dal lato del Simbolico la morte, e al centro l’a minuscola. Quando Lacan dice che il sintomo è ciò che il soggetto ha di più reale, situa il sintomo da quel lato tratteggiato, che rappresenta il morso del simbolico sul reale. 
In RSI la posizione del sintomo cambia, il sintomo non è più il Simbolico che morde sul Reale ma emana dal Reale e partecipa dell’organizzazione del Simbolico. Il sintomo non si sviluppa più nel campo del Simbolico ma nel campo del Reale. 
Bisogna partire dalla topologia e pensare che quel che Lacan chiama “essere” è nell’annodamento dei tre anelli. Prima de La terza, negli anni ‘50-’60, il sintomo cedeva attraverso la decifrazione, il fatto di dargli senso. In questo primo schema vediamo che il sintomo è il modo in cui il Simbolico morde sul Reale, mentre in RSI il sintomo viene dal Reale e organizza il Simbolico. A partire da questo spostamento, ciò che rileva non è il senso ma il fuori senso.
In primo luogo, il cambiamento riguarda la posizione del sintomo. Lacan situa il senso in posizione opposta alla vita, piuttosto la vita è dal lato del fuori senso. Abbiamo il corpo in posizione opposta al godimento fallico, perché il rapporto sessuale non esiste. Lacan colloca in opposizione alla morte il godimento dell’Altro. In fondo, si tratta di sottrarre a ognuno di questi godimenti l’oggetto a. Quindi l’analista si fa sembiante di oggetto a per cogliere il godimento. La vita è in opposizione al senso, il godimento fallico è opposto al corpo, il godimento dell’Altro è in opposizione con il Simbolico e testimonia che non c’è Altro dell’Altro.


Si tratta di capire come in ogni posizione l’oggetto a sia da sottrarre alla posizione di godimento. Per Lacan, l’operazione analitica mira a ridurre il senso perché il soggetto sia più vicino al suo essere. La psicoanalisi avrebbe potuto prendere la via della guarigione dei sintomi e del loro senso, ma ha fatto la scelta di prendere il sintomo come segno di un modo particolare di godimento.
Lacan dirà che il solo fatto di mettersi a parlare implica già una formazione sintomatica. La posta in gioco è conservare il reale del godimento attraverso la funzione del sintomo, in quanto scrittura di godimento che non è completamente assunta dalla parola. Lacan precisa che «il sintomo è qualcosa che prima di tutto non cessa di scriversi nel reale». E in RSI: «c’è coerenza tra il sintomo e l’inconscio. Definisco il sintomo attraverso il modo in cui ciascuno gode dell’inconscio, in quanto l’inconscio lo determina».

Verso un corpo parlante
Dopo il cogito cartesiano, dopo il passaggio dal soggetto dell’inconscio al parlessere, facendo un ponte con i temi del prossimo Congresso di Rio, andiamo alla nozione di “corpo parlante” presente ne La terza.
Lacan introduce la nozione di “corpo parlante” nel momento stesso in cui inserisce il nodo borromeo nel suo insegnamento. 
Mentre prima si trattava di un corpo “parlato”, ora ciò che chiama il mistero del corpo “parlante” è il reale del nodo, della scrittura nodale. È chiamato “parlante” il corpo, e non più il soggetto.
Nella concezione strutturale di Lacan il corpo è l’immaginario, in quanto lo cogliamo come forma, lo valutiamo nella sua apparenza e lo adoriamo come immagine. Nella nevrosi l’uomo crede di avere un corpo da adorare. Questa credenza è quel che Lacan colloca alla radice dell’immaginario. Nel seminario Il sinthomo parla di “mentalità”. Ilparlessere ha una mentalità, vale a dire dell’amor proprio. Senza questa consistenza mentale del corpo niente terrebbe insieme il parlare a vuoto e il reale del godimento. Ma non c’è solo il corpo in quanto si immagina, c’è anche il corpo che gode di se stesso, giacché si gode: luogo di un godimento opaco perché tocca il reale che, come tale, lo esclude dal senso. Questo godimento è quello del sintomo, che Lacan definisce come evento di corpo.
Il corpo, quindi, partecipa dell’Immaginario e del Reale, «due luoghi della vita che la scienza separa». Ma c’è anche il corpo che rileva del simbolico in quanto simbolizza l’Altro. La tesi risale al seminario La logica del fantasma dove, nella lezione del 10 maggio 1967, l’Altro viene così ridefinito: «Mi son lasciato dire per un tempo che camuffavo sotto questo luogo dell’Altro quello che si chiama gentilmente lo Spirito. La cosa noiosa è che è falso. L’Altro, alla fin fine non l’avete ancora indovinato, è il corpo». L’Altro è il corpo. Nel ‘67 Lacan completa questa tesi ne Il rovescio della psicoanalisi con la domanda: «Cosa è che ha un corpo e non esiste? risposta: l’Altro maiuscolo. Se ci crediamo a questo grande Altro, esso ha un corpo ineliminabile dalla sussistenza che ha detto Sono quel che sono che è tutt’un’ altra tautologia». Il problema è che corpo e godimento si escludono strutturalmente, si escludono attraverso l’incorporazione primordiale, quella del corpo simbolico nel corpo primario, nel corpo organismo. Quest’incorporazione fa sì che l’Altro sia deserto di godimento. Dal momento in cui entriamo nel linguaggio l’Altro come corpo è terrapieno ripulito dal godimento. L’Altro prende corpo, si immerge nel soma al tempo stesso in cui la carne evapora, come nel primo giorno della genesi.
Tuttavia perché vi siano effetti di parola bisogna che l’Altro, cioè il simbolico, costituisca un nodo con l’immaginario e il reale; ciò non impedisce che si vorrebbe godere del corpo dell’Altro, e che ci piacerebbe anche farlo godere, soprattutto quando ci si dà al corpo a corpo. Perché questo godimento del corpo dell’Altro, che si sia uomo o donna, si cerca, lo si suppone, vi si aspira, vi si corre dietro quando si è nella stretta, e vi è una topologia della compattezza, come Lacan spiega all’inizio di Ancora. Gli uni e gli altri corrono dietro a un godimento dell’Altro, causato dal superio, «spinta a godere» che la rilancia e che ne respinge il punto d’arrivo all’infinito. Nella stretta, lo spazio del godimento sessuale mobilita nei partner sessuali la presenza dell’Altro, ove ciascuno aspira a raggiungerlo per godere del corpo che simbolizza, in una corsa dove il superio gioca la propria partita. Infatti, è dal superio che viene l’esigenza dell’infinitezza, l’esistenza di un rapporto sessuale.
Così il godimento del corpo, e dell’Altro che lo simbolizza, resta per ciascuno dei partner inaccessibile. Questo non vuol dire che nessun godimento sia accessibile. Ci sono dei godimenti ai quali ciascuno dei partner ha accesso: godimenti accessibili che vengono come supplenza al rapporto sessuale che non c’è. Quelli che suppliscono, per l’uomo, sono il godimento dell’oggetto del fantasma e il godimento fallico. Il godimento dell’oggetto a è asessuato. Il fantasma fa godere dell’a-sessuato. Questo godimento sostitutivo di quello dell’Altro Lacan lo chiama, in Ancora, «il godimento dell’essere», dell’essere della significanza. Il godimento fallico è il godimento dell’Uno fallico, la cui serie è infinita ma limitata, arrestata dalla castrazione di cui il Φ scrive il limite. Questo godimento dell’Uno è anche quello proprio dell’inconscio. Anche per una donna sono accessibili questi due godimenti, dell’a e del Φ, dell’essere e dell’Uno. Ma per lei è accessibile, ancora, un altro godimento in più, supplementare, che si apre sulla beanza dell’S(A), il godimento del -1, dove è come uno in meno che ella gode.
Se il sintomo ha un involucro formale è anche una parte di noi stessi, un «evento di corpo». L’incontro che Lacan chiama traumatico, giocando sulle parole buco (trou) e traumatico, s’impone come un «para-angoscia» nella nostra modernità, ovvero un modo di rispondere dal proprio posto singolare al godimento tutto, alla tirannia del «tutto». Sulla questione del sintomo e della modernità, Eric Laurent afferma: «Per questa parte di corpo che posso riconoscere come mia, ho accesso al significante dell’Altro in me, a questo messaggio venuto da altrove. Quando sono di fronte all’Altro, l’Altro non è esterno a me, egli è in me. Sono l’Altro che è là. Questo accesso stesso lo possiamo designare come la credenza del soggetto al sintomo. La prova attraverso il sintomo è che esso dà accesso all’inconscio come modo di godere».
L’ultimo insegnamento di Lacan con lalangue e il parlessere decide sulla questione freudiana della divisione (Spaltung). È un rovesciamento di prospettiva dove il reale del godimento è posto innanzitutto nella singolarità in cui si intrecciano il vivente e il verbo.

Conclusione
Come dice Jacques-Alain Miller, il parlessere è un «indice di quel che cambia nella psicoanalisi del XXI secolo, quando essa deve prendere in conto un altro ordine simbolico e un altro reale rispetto a quello sul quale vi era stabilità». Il sinthomo ha tradotto lo spostamento dal sintomo dell’inconscio al parlessere. Nell’introduzione al Congresso di Rio, Jacques-Alain Miller dice: «il sintomo come formazione dell’inconscio strutturato come un linguaggio, è una metafora, un effetto di senso, indotto dalla sostituzione di un significante a un altro. In compenso il sinthomo di un parlessere è un evento di corpo, un affioramento di godimento».
Con il proprio sintomo, ovvero il modo singolare di fare del bricolage con l’incurabile del reale, ciascuno dei creatori (artisti, analisti e analizzanti) vuole arrampicarsi sullo sgabello dell’opera, ossia fare del proprio sintomo uno sgabello per mettere in luce il godimento opaco del sintomo; «il godimento proprio del sintomo esclude il senso». Nel ’75 Lacan inventa questa parola, “sgabello”, “S.K.beau”: un gioco di parole in francese, che scrive come costruita da “S”, “K” e “beau” (bello), per qualificare l’estetica di James Joyce. “S.K.beau” è riutilizzato qui, ci dice Castanet, «con la sua tipografia stupefacente per mettere a nudo il reale con il quale l’artista si confronta che le possibili sublimazioni velano. Al cuore del bello (del vero, del buono, del perfetto, del sublime...) ci sarà sempre questo S.K. enigmatico fuori senso». Che cos’è questo sgabello psicoanalitico, se così possiamo chiamarlo, Jacques-Alain Miller ne parla ne L’inconscio e il corpo parlante: «ciò su cui si issa il parlessere, sale per farsi bello. È il suo piedistallo che gli permette di innalzarsi egli stesso alla dignità della Cosa. (…) Lo sgabello è un concetto trasversale, traduce in modo immaginifico la sublimazione freudiana, ma al suo incrocio con il narcisismo. (…) Lo sgabello è la sublimazione ma in quanto fondata sul non penso del parlessere. Cosa è questo non penso? È la negazione dell’inconscio attraverso cui il parlessere si crede padrone del proprio essere. Con il suo sgabello si crede un padrone bello. Quel che chiamiamo la cultura non è altro che la riserva di sgabelli dove attingiamo quello con cui ci pavoneggiamo e facciamo i gloriosi».

Lo sgabello permette l’accesso a una bellezza ineguagliata che prendendo il reale nel proprio solco mira a un al di là. Antigone potrebbe esserne una figura e una metafora. Perché se Antigone affascina per il suo desiderio, ella affascina soprattutto per lo sfolgorio di bellezza che lascia come scia. Antigone rende effettivamente presente questo limite estremo e superato del Bello, che Sade aveva isolato nella forma del dolore mortale e che Lacan aveva tradotto come «seconda morte». In questa zona della morte il raggio del desiderio si riflette, si rifrange, e dà questo effetto così particolare, l’effetto del bello sul desiderio. Laddove il significante manca per dire La donna, Antigone non trae il proprio sfolgorio che da un superamento ai limiti del senso. Lacan dice nel Seminario VII: «il miraggio della bellezza indica il posto del desiderio in quanto desiderio di niente, rapporto dell’uomo con la propria mancanza a essere». Siamo all’opposto della completezza del sapere e dell’essere. Così, la clinica del parlessere dà alla cura analitica la sua dimensione d’esperienza inventiva. L’incidenza clinica è nota, la clinica lacaniana del parlessere determina un’esperienza che apre per ogni soggetto a un’etica della responsabilità del suo modo singolare di godimento. Jacques-Alain Miller dice: «una volta rovesciati gli sgabelli, bruciati, resta ancora al parlessere analizzato di dimostrare il proprio saperci fare con il reale, la sua capacità di farne un oggetto d’arte, il suo saper dire e il suo saperlo dire bene».

Trascrizione e traduzione: Anna Castallo
Redazione: Giuseppe Perfetto
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S1 indica il significato 1 (proto-significato), significato maestro
S2 indica il significato 2, il sapere, la conoscenza
$ indica il soggetto diviso
a indica l'oggetto
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For those interested in a brief introduction to Lacan’s theory of discourse you can consult my article on discourse theory here, beginning with page 40. Formally we can see why the other three discourses emerge “a priori” wherever there is the appearance of one discourse. If this is the case, then it is by virtue of the fact that discourses form what mathematicians call a group. That is, through a simple clockwise permutation, you are able to generate the other three discourses simply by rotating the symbols in each position one position forward.  180px-MadisThus, if you begin with the discourse of the master, you are able to generate the discourse of the hysteric, the analyst, and the university through a simple clockwise rotation of the terms in each of your initial positions:

180px-Hysdis
Anadis
Unidis For those unacquainted with Lacan’s discourse theory, look carefully at the succession of these four discourses, you will note that beginning with the discourse of the master and then shifting to the discourse of the hysteric, then moving to the discourse of the analyst, and finishing with the discourse of the university, the relations among the terms remains invariant. The terms change their position in each of the four positions they can occupy, but with respect to one another they always maintain a constant position. In this particular universe of discourse (again, see my article for the concept of a “universe of discourse”, which you won’t find in Lacan, but which is a logical extension of his own thought regarding discourse), for example, a can never appear, to put it metaphorically, before the term S2. Consequently, given one discourse, you already have the other three.

As Deleuze put it speaking in the context of Levi-Strauss, “In whatever manner language is acquired, the elements of language must have been given all together, all at once, since they do not exist independently of their possible differential relations” (Logic of Sense, Handsome Continuum Edition, 58). So too with Lacan’s discourse structures. Even if each discourse were to appear diachronically in the order of history in such a way that the others were absent or not present in the social order, nonetheless these other discourses would be virtually there or would exist virtually, simply “awaiting” their opportunity to manifest themselves. What is remarkable, however, is that the discourses don’t seem to arise sequentially with the establishment of a single discourse. Rather, the moment one discourse is instituted you get the sudden actualization of the other three discourses within that universe of discourse.

Take the discourse of the master. What is it that the discourse of the master does? Does it master, dominate, control? No, not really. If you refer back to the discourse of the master you note that on the upper portion of the discourse there is a relation between S1 and S2. S2 refers to the battery of signifiers. We might think of this as a disorganized, chaotic mass of signifiers that float about willy nilly, almost at random. What the discourse of the master does is provide a master-signifier, loosely something like what Derrida referred to as a “transcendental signifier”, that organizes this chaotic mass of signifiers into a unified structure. Thus, for example, when Kant formulated the position of “transcendental idealism” he was situated in the position of the discourse of the master insofar as he provided a signifier that unified philosophy in a particular way, generating a coherent structure or organization. Similarly, when an activist characterizes a series of conflicts as a revolution, he is occupying the position of the discourse of the master insofar as he is unifying a mass of disconnected acts and events under a single signifier that render them capable of generating a sense or an organization.

read on!

What is of interest is that the moment you get the discourse of the master, you also seem to get the appearance of the hysteric or that subject position that contests the legitimacy of the master-signifier and its ability to unify the field of floating signifiers, the analyst or that subject position that occupies what is excluded from the field of floating signifiers and reads the split of the subject through this remainder or excresence that is excluded from the discourse of the master but which drives the discourse of the hysteric, and finally you get the discourse of the university which could either be read as discipleship with respect to the discourse of the master (continuing the work of the master by taking specific cases not addressed by the master and attempting to integrate them in the field inaugurated by the discourse of the master) or that attempts to police other discourses by integrated that which is excluded (objet a) and either denying its existence or showing how some prior discourse already contains that anomalous element.

We see all of this in the blogosphere. You have those occupying the discourse of the hysteric contesting the legitimacy of certain master-signifiers or other discourses. Thus, for example, when I criticize Kant or anti-realism I am, at that time, occupying the discourse of the hysteric by contesting a particular university discourse and discourse of the master. Likewise you get certain discourses of the master such as my discourse when I announce the existence of some strange form of philosophy known as “onticology”. Likewise, with the appearance of this discourse of the master you get certain university discourses where certain things not explored by my version of onticology are investigated using principles of onticology. I’ve been particularly startled to see a number of folks in theology interested in onticology, which was certainly nothing I anticipated but which is also something that I don’t object to in any way.

sinthI find myself wondering, however, where we see the discourse of the analyst appear in the theory blogosphere. If there is one character in the theory blogosphere that occupies the position of the discourse of the analyst, I would have to say this prize goes to Dejan of Cultural Parody Center. In my view, Dejan is often unjustly characterized as a troll. This, however, is, I think, a deep confusion as to what exactly he is up to. Is Dejan vulgar, disgusting, crass and often irritating? Absolutely. He is everything, if Freud’s characterization is to be believed, a Slav is reputed to be. However, I think the crucial difference between a troll and Dejan is the difference between neurosis and perversion… And from my interactions with Dejan here online, I get the sense that he is perhaps the only truly Lacanian pervert I have ever encountered. By this I am not referring to the vulgarity of his comments (if you only saw a number of his comments I regularly delete), but rather to the uncanny proximity between the discourse of the analyst and the relationship to jouissance entertained by the pervert. Structurally the discourse structure of the analyst and the economy of perversion are indistinguishable. Where ordinary neurotics or organized around desire and a defense against jouissance (jouissance being experienced as the dissolution of the neurotic’s status as a subject), the pervert is instead a subject that relates to jouissance, situating himself as having a knowledge of jouissance.

If the difference between the troll and the analyst is a difference between neurosis and perversion, then this is because the troll seeks to wound the other with which he engages, seeking to rescue that other from a terrifying jouissance that would destroy his status as a subject, thereby seeking to return his interlocutor to his status as a subject of lack or desire, whereas the analyst seeks not to wound, but to reveal the functioning of a jouissance within the economy of his interlocutor (this jouissance, of course, being what must be excluded in order for the discourse to maintain itself or perpetuate itself). In the case of perversion, the pervert unlike the neurotic is generally indifferent to the subjective desiring economy of the subjects with which he engages. Although Sade, for example, certainly wounds the bodies of his subjects, he never strikes at their status as subjects in his engagements with them. Likewise, Masoch is largely indifferent to the desiring structure of the women with which he engages in submitting himself to them. Rather, the pervert aims at the core of jouissance that both animates desire and against which desire seeks to defend itself. Deleuze articulates this pithily in Difference and Repetition:

If repetition is possible, it is as much opposed to the moral law as it is to natural law. There are two known ways to overturn moral law. One is by ascending towards the principles: challenging the law as secondary, derived, borrowed or ‘general’; denouncing it as involving a second-hand principle which diverts an orginal force or usurps an original power. The other way, by contrast, is to overturn the law by descending towards the consequences, to which one submits with a too-perfect attention to detail. By adopting the law, a falsely submissive soul manages to evade it and to taste pleasures it was supposed to forbid. We can see this in demonstration by absurdity and working to rule, but also in some forms of masochistic behavior which mock by submission. The first way of overturning the law is ironic, where irony appears as an art of principles, of ascent towards the principle of overturning principles. The second is humour, which is an art of consequences and descents, of suspensions and falls. (5)

The first way, the way of irony, might be said to be the way of neurosis. Here we might think of Freud’s three famous narcissistic wounds, where the neurotic gets his satisfaction, wins back his surplus-jouissance through wounding. The second is the way of perversion, evident in the literature of Sade and Sacher-Masoch. Sade subverts the moral law– which, for those familiar with Lacanian thought is what organizes the economy of desire –through rational-deductive demonstration. As one reads in Philosophy in the Bedroom, the horrifying acts with which Sade and his accomplices engage are the result of a priori rational deductions from the moral laws of reason. Through this he reveals the Sadistic jouissance operative behind the moral law at the level of the unconscious. There is often an element of humorous mirth behind Sade’s exercise of the Law that bleeds through every monotonous page of his writings. Sacher-Masoch, by contrast, adopts the route of complete submission to the Law organized around contractual agreements (Deleuze’s reading of Sacher-Masoch in Coldness and Cruelty is brilliant in comparing the relationship different attitudes to the Law and social organization in Sade and Sacher-Masoch). What is notably absent in both instances, however, is any sort of antagonism directed towards the status as subject of the people with which Sade and Sacher-Masoch engage. In other words, there’s a strange absence of the imaginary dimension in these interpersonal relations. Indeed, there is even a sort of pedagogy at work in the perversions of both of these subjects. The perverse subject seems to wish to teach of jouissance. Where the neurotic subject is characterized by perpetual doubt and the psychotic subject is characterized by certainty, the perverse subject presents himself as animated by a knowledge of jouissance or of that which must be excluded in order for desiring-economy to maintain itself.

Borg-Queen-being-assembledAnd this is just it in the case of Dejan. Perhaps he has been particularly favorable to me over the years, but I have never sensed, in any of my engagements with him any sort of animosity or malice in his engagements. Rather, what he seems to bring to the table, without knowing it I think, is a knowledge of the excluded jouissance that animates desire. As my friend Mel often puts it after reading his posts, “he has an uncanny knowledge of your jouissance.” But it is not a mean spirited knowledge or performance. Where the troll, occupying either the position of the hysteric saving the other from their jouissance or the subject of the university discourse proclaiming, Borg-like that “you will be assimilated”, Dejan simply seems delighted in the presence of an unspoken jouissance in a manner not dissimilar to a squirrel chittering in delight at the find of a buried pile of nuts. In this respect, Dejan’s desire is not the trolls desire to destroy jouissance or save one from their jouissance, but, as Lacan puts it at the close of The Four Fundamental Concepts of Psychoanalysis, the

analyst’s desire is not a pure desire. It is a desire to obtain absolute difference, a desire which intervenes when, confronted with the primary signifier, the subject is, for the first time, in a position to subject himself to it. There only may the signification of a limitless love emerge, because it is outside the limits of the law, where alone it may live. (276)

And in this connection, I’m inclined to say that Dejan is among the only true Christians I’ve ever met in my life, practicing a love that wishes not to see the disappearance of this absolute difference, but which delights in it and wishes to preserve it. What would he do, after all, without these jouissance differentials to plumb and explore? Perhaps this form of agency occupying the position of jouissance or the analyst is something that only those who have practiced analysis can appreciate. John Doyle who is another I would categorize as not at all fitting the category of troll despite being irritating as hell in some of his analyses seems to share a similar fascination. And perhaps this is because the analyst, in occupying a strange social relation with respect to others, encounters an uncanny mirror image in the figure of the pervert.

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9 RESPONSES TO “RANDOM THOUGHTS ON LACANIAN DISCOURSE THEORY: DEJAN AS ANALYST”

john doyle Says:

August 12, 2009 at 6:29 pm
Thanks, Dr. Sinthome. It’s been YEARS since somebody called me an irritating pervert.

larvalsubjects Says:

August 12, 2009 at 6:36 pm
John,

I, of course, mean it in the fondest possible way. I believe, however, it was Dejan I referred to as a pervert, you’re just irritating because your interpretations often hit the real in an uncomfortable sort of way.

Dejan Says:

August 12, 2009 at 7:54 pm
It should be noted that none of my narcissistic bitch readership commented on the post; Jesus, too, was abandoned on the cross, but he kept laughing, laughing hysterically at their pompous asses.

Dejan Says:

August 13, 2009 at 10:00 pm
Dr. Sinthome Kvond wrote the following on my blawg in reaction to this post:

You Lacanians are pretty much crazy. That this is stuff is thought of as some kind of “therapy” or universal diagnosis is, well, I don’t know, all the best.

(Before this he reprimanded you for misrepresenting Lacan’s discourse graphs)

This made me wonder about the economy of kvond’s jouissance, which is always melodramatic and theatrical at certain fixation points, such as the need to punish the Lacanian establishment for SOMETHING, I don’t know what it is Dr. Sinthome for Kvond will not tell me, or his SPINOZIAN PROSELYTISM bordering on far right Christianity.

larvalsubjects Says:

August 13, 2009 at 10:21 pm
When has Lacanian discourse ever been about therapy? The point of situating you in the subject-position of perversion wasn’t to cure you of a particular relation to jouissance, but to suggest that you actually draw endless amusement from the jouissance of others and bringing it into relieve in your parodies. I get the sense that you’d be very sad to see the foibles of the various characters you depict disappear or end and that you actually have a sort of love for them even as you satirize them. Additionally, with the sole exception of your understandable views of Zizek, I’ve never witnessed you holding a grudge or harboring resentment after a hostile exchange. At any rate, if I situated you in the position of analyst then this is because you always approach the others with which you engage from the position of the jouissance that they exclude but which nonetheless animates their discourse. You don’t say “get rid of that enjoyment!”– what analyst does? –but rather “this is your jouissance!” And often you’re right, even in your fictions.

larvalsubjects Says:

August 13, 2009 at 10:50 pm
As for the error in the discourse of the master, Kvond is apparently not bright enough to realize that the jpegs are stolen from the internet not produced by me. This is nonetheless a good thing to point out. Objet a, not $, should be in the position of the product. Oddly Kvond speaks of the discourse of the master as if it is a bad thing, treating it in normative terms.

Dejan Says:

August 13, 2009 at 11:37 pm
Oddly Kvond speaks of the discourse of the master as if it is a bad thing, treating it in normative terms.

Well you know how hard he wants to get tied up and …

Dejan Says:

August 14, 2009 at 12:00 am
That this is stuff is thought of as some kind of “therapy” or universal diagnosis is, well, I don’t know, all the best.

The thing with Kvond is that he always has to apologize, politely, and with a patronizing undertone, for being awful. He often sounds like an L.A. Buddhist guru and this is also the source of his attraction for all things New Age. ”I don’t even want to DESCEND TO THE LEVEL of those Lacanian pigs, who do not appreciate my universal sense of love and balance in the universe”.

Dr Sinthome your analysis has come fairly deep especially because I was stoned while reading it, and suddenly started thinking about the masochistic element of Christianity or the masochism of sacrifice or something like that, which Deleuze being an enlightened bottom understood very well in that S & M text. The question is namely do I enjoy the other’s jouissance because I can’t enjoy my own jouissance, or don’t even know what exactly it is, or do I enjoy the other’s jouissance because I am truly an angellic creature full of Christian love.

Lacan’s Four Discourses « Equivalent Exchange Says:

January 5, 2011 at 4:21 pm
[…] https://larvalsubjects.wordpress.com/2009/08/12/random-thoughts-on-lacanian-discourse-theory-dejan-as… […]

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August 12, 2009 at 4:20 am
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Analysis, Blogging, Boring Stuff About Me, Constellation, Desire, Jouissance, Lacan, Narcissism, Neighbor, position of the analyst, Psychoanalysis, Sinthome
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giovedì 1 giugno 2017

La nevrosi e la perversione secondo Lacan

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NEVROSI, NEGATIVO DELLA PERVERSIONE
di Davide Scapaticci
Nel corso del Seminario VI, Lacan afferma l'esistenza di "un contrasto totale tra la struttura del desiderio del nevrotico e quella del desiderio perverso" (p.507). Il "contrasto totale" qui evocato da Lacan rimanda a quanto già Freud aveva avuto modo di esprimere in modo paradigmatico nei Tre saggi sulla teoria sessuale, ovvero che "la nevrosi è il negativo della perversione". L'inconciliabilità strutturale sta proprio qui. Ma in che senso, per Freud, la nevrosi è il "negativo" della perversione? Nel senso "fotografico" del termine. Il desiderio del nevrotico, infatti, resta collocato su un versante chiaroscurale, in cui le rappresentazioni perverse permangono in uno stato di mera potenzialità, di fantasticheria priva di traduzione reale. E' il soggetto autenticamente perverso, invece, che "riempie di colore", ovvero che agisce sul piano reale quelle stesse intenzioni che nel nevrotico risultano inibite. Si potrebbe dire, in altri termini, che il soggetto perverso realizza ciò che il nevrotico si concede soltanto di elaborare a livello di fantasia. Nella nevrosi, infatti, rimane viva una dialettica tra il soggetto desiderante e la Legge, essa è operativa seppur in termini conflittuali. Il nevrotico potrà arrivare a collocare il godimento nel luogo stesso della Legge (come nel caso dell'ossessivo, il cui plus-godere deriva proprio da una rigida rinuncia al godimento) ma mai -come per contro avviene nel caso del perverso- a collocare la Legge nel luogo del godimento, a fare cioè di quest'ultimo l'unica istanza normativa a cui votarsi.