venerdì 19 maggio 2017

Gli aplogruppi y-DNA prevalenti nelle varie regioni dell'Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente

Dominant Y-DNA haplogroups in Europe and Middle East

In genetica umana, gli aplogruppi del cromosoma Y sono raggruppamenti di combinazioni di marcatori (aplotipi) definiti dalle differenze nella regione non-ricombinante del DNA del cromosoma Y (chiamato NRY da Non-Recombining Y-chromosome). Queste differenze fanno riferimento a polimorfismi biallelici (SNPs, Single Nucleotide Polymorphisms).
IL YCC (Y-Chromosome Consortium) ha stabilito un sistema per definire gli aplogruppi del cromosoma Y basato sulle lettere da A a T, con ulteriori divisioni usando numeri e lettere in pedice.
Il cromosoma Y ancestrale (scherzosamente definito dagli studiosi "Adamo") è quello appartenuto ad un maschio teorico che rappresenta il più recente progenitore comune (MRCA Most Recent Common Ancestor) di tutti i maschi attuali lungo la linea patrilineare, visto che il cromosoma Y è unicamente trasmesso dal padre ai figli maschi.
La stima di quando questo individuo teorico sia vissuto varia a seconda degli studi.

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Albero filogenetico dell'umanità (cromosoma Y)


Aplogruppi del cromosoma Y dominanti in Europa
Y, il cosiddetto "'Adamo ancestrale'"
  • A0 (P305): incontrato nel Camerun, nell'Algeria e nel Ghana.[1]
  • A1 (L985, V168): presente nell'Africa subsahariana, specialmente tra i Boscimani (dell'etnia Khoisan)[2] e i popoli nilotici (Sudan del Sud).
    • BT (SRY1532.1/SRY10831.1, M42, M94, M139, M299), il cosiddetto "Noè genetico"
      • B (M60, M181, P85, P90): diffuso in gran parte dell'Africa subsahariana, particolarmente tra i Pigmei[2] e gli Hadza.
      • CT (M168, M294, P9.1)
        • DE (M1/YAP, M145/P205, M203, P144, P153, P165, P167, P183), il cosiddetto "Cam genetico"
        • CF (P143), il cosiddetto "Sem genetico"
          • C (M130/RPS4Y711, M216, P184, P255, P260): presente nell'Eurasia orientale.
          • F (M89, M213/P137, M235, P14, P133, P134, P135, P136, P138, P139, P140, P141, P142, P145, P146, P148, P149, P151, P157, P158, P159, P160, P161, P163, P166, P187), il cosiddetto "Adamo euroasiatico"
            • F*: presente specialmente nei popoli tribali indigeni dell'India.[9]
            • G (M201, P257, U2, U3, U6, U7, U12, U17, U20, U21, U27, U33): Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso.[10] Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa meridionale.
            • H (M69, M370): diffuso principalmente nel Subcontinente indiano[11] e negli zingari.
            • IJK (L15/M523/S137, L16/M522S138, L69.1(=G)/S163.1)
              • IJ (M429/P125, P123, P124, P126, P127, P129, P130, S2, S22)
                • I (M170, M258, P19, P38, P212, U179): diffuso maggiormente e quasi esclusivamente in Europa, disceso da tribù proto europee.[12]
                  • I1 (L64, L75, L80, L81, L118, L121/S62, L123, L124/S64, L125/S65, L157.1, L186, L187, M253, M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111) ramo settentrionale/nordico
                  • I2 (L68, M438/P215/S31) ramo meridionale/balcanico
                • J (12f2.1, M304, P209, S6, S34, S35): il più importante tra i popoli del Vicino Oriente.[13], il cosiddetto "Abramo genetico"
                  • J1 ramo mediorientale meridionale/arabico, del cosiddetto "Ismaele genetico"
                  • J2 ramo mediorientale settentrionale/anatolico, del cosiddetto "Israele genetico"
              • K (M9, P128, P131, P132), il cosiddetto "Jafet genetico"
                • K*: diffuso specialmente nell'Oceania.
                • LT (L298/P326)
                • MNOPS (M526)
                  • M (P256): prevalente nella Melanesia.[15]
                  • NO (M214, P188, P192, P193, P194, P195)
                  • P (92R7, M45, M74/N12, P27.1/P207, P69, P226, P228, P230, P235, P237, P239, P240, P243, P244, P281, P282, P283, P284, P295)
                    • Q (M242): è l'aplogruppo principale in quasi tutti i Nativi americani.[18]
                    • R (M207/UTY2, M306/S1, P224, P227, P229, P232, P280, P285, S4, S8, S9, V45), disceso da tribù eurasiatiche
                  • S (M230,P202, P204): presente principalmente nella Papua Nuova Guinea.[15]

Migrazioni

Gli umani moderni, secondo studi del cromosoma Y, sono originari dell'Africa subsahariana e hanno poi colonizzato l'Eurasia (circa 70 mila anni fa)[22] seguendo la costa meridionale dell'Asia.[23] I gruppi che partirono dall'Africa, si sarebbero successivamente dispersi secondo la seguente mappa:

Mappa delle migrazioni dell'uomo secondo gli Aplogruppi del cromosoma Y (numeri sono gli anni prima del presente).

Aplogruppi principali

I principali aplogruppi del cromosoma Y comprendono:

Aplogruppi del cromosoma Y umano
progenitore comune più recente
A
BT
 BCT
DECF
 DECF
 GHIJK
IJK-M9
IJLTK-M526
LT MS P NO
MSQRNO
R1R2
R1aR1b

Aplogruppi A e B

L'ancestro comune di tutti i lignaggi è l'Adamo cromosomico con 140.000 anni.[24] I lignaggi del cromosoma Y più antichi sono gli aplogruppi A e B, e si trovano soltanto nell'Africa Sub-Sahariana o in popolazioni con la stessa origine come, per esempio, gli Afroamericani portati oltreoceano con la tratta degli schiavi. Le frequenze più importanti di A si trovano tra i Boscimani, i Khung e i Sudanesi. Le frequenze più elevate di B tra i Pigmei Biaka e Mbuti. Come si evince dall'albero filogenetico degli aplogruppi del cromosoma Y, tutta la diversità moderna si è generata in Africa, per cui le popolazioni contemporanee sono discendenti degli Africani che restarono in Africa o di quelle popolazioni che emigrarono fuori dall'Africa per popolare il resto dei continenti.

Probabile origine dei maggiori aplogruppi.
L'aplogruppo A è ancestrale e parafiletico. La sua relazione con B va secondo il seguente albero:
 Adamo Y 
 A0

 A1 
 A1a

  
 A2

 A3

 BT 
 B

 CT






Aplogruppi CT (DE e CF)

Le mutazioni M168 e M294 (CT o CR), assenti in A e B, definiscono tutti gli aplogruppi da C a T. Queste mutazioni precedettero la migrazione fuori dall'Africa, essendo presenti sia in Africa che al di fuori. Le mutazioni che caratterizzano DE (M145, M203) si verificarono in Africa più di 65.000 anni fa. L'aplogruppo E rimase originariamente in Africa e le sue più alte frequenze si riscontrano in Africa Sub-Sahariana occidentale (81%) ed Etiopia (68%). Il sub-clade E1b1b è di origine africana e si disperse per tutto il mediterraneo raggiungendo la frequenza del 27% in Grecia.

Il percorso della migrazione di M130, la mutazione che caratterizza l'aplogruppo C
L'aplogruppo D si trova soltanto in Asia, soprattutto nell'Himalaya e in Giappone, dove fu introdotto dai primi colonizzatori. Le mutazioni tipiche che definiscono gli aplogruppi citati nel testo:
  • CT (M168, M294)
    • DE (M1, M145, M203)
      • D (M174)
      • E (M40, M96)
        • E1
        • E2
    • CF (P143)
      • C (M130, M216)
      • F o FT (P14, M89) (vedi il seguito)

Aplogruppo F (FT)

Gli aplogruppi che discendono dal'aplogruppo F rappresentano il 90% della popolazione mondiale, ma si distribuiscono quasi esclusivamente fuori dall'Africa sub-sahariana. IJ corrisponde probabilmente a una ondata migratoria dal Medio-Oriente o all'Asia occidentale a partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon. L'aplogruppo G, originatosi anch'esso in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan, intorno a 30.000 anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico, oppure, vista la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico. L'aplogruppo H si originò forse in India 30-40.000 anni fa, dove persistette fino a ridiffondere in epoche storiche con i Gitani. L'aplogruppo K si originò probabilmente nell'Asia sud-occidentale e da lì si diffuse in Africa, Eurasia, Australia e Sud-Pacifico. Mutazioni che caratterizzano gli aplogruppi citati nella sezione:

Aplogruppo F e i suoi discendenti.
  • F (M89)
    • G M201
    • H M69
    • IJK
      • IJ S2, S22
        • I M170, M258
        • J M304, S6, S34, S35
          • J1 M267
          • J2 M172
      • K M9

Aplogruppo I

L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area prima dell'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio balcanico durante la glaciazione e che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.
Le principali sub-cladi dell'aplogruppo I sono:
I1 (M253, M307, P30, P40) (ex I1a) con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa nord- orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle invasioni vichinghe o anglosassoni.
I2 (S31) (ex I1b) che include I2a1 (P37.2) ovvero la forma più comune nei Balcani e in Sardegna (dove rappresenta l'aplogruppo più cospicuo con una percentuale del 38% tra i maschi Sardi nella variante I2a1a1, M26) e I2a2 (P214) che raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale con un picco in Germania. Dalla linea I2a2 è derivato I2a2a1 (M284) tipico delle Isole Britanniche.

Aplogruppo K

L'aplogruppo L si trova principalmente nel sud dell'Asia. L'aplogruppo M è prevalente nelle isole Papua e Nuova Guinea. Gli aplogruppi N e O comparvero 35-40.000 anni fa in Asia orientale.
L'aplogruppo N si originò probabilmente in Mongolia e si diffuse fino all'estremo Oriente e la Siberia come ad ovest, essendo il gruppo più comune tra i popoli uralici. L'aplogruppo O si trova in Estremo Oriente. L'aplogruppo P si trova soprattutto come sottotipi Q o R (vedi il seguito), raramente non differenziato. Si evolse probabilmente nell'Asia centrale o nella regione di Altai. Anche l'aplogruppo Q si originò nell'Asia centrale, migrò verso est e raggiunse l'America del nord attraverso lo stretto di Bering. L'aplogruppo K è caratterizzato dai seguenti aplotipi e dalle seguenti mutazioni che li caratterizzano:
  • K M9
    • LT
      • L M11, M20
      • T M70
    • MNOPS rs2033003
      • M P256
      • NO M214 35-40.000 anni
        • N LLY22g
        • O M175
      • P M45
        • Q M242
        • R M207, M306
      • S M230

Aplogruppo R

Tutti gli aplotipi afferenti all'aplogruppo R condividono le mutazioni M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive: R1a, R1b e R2.
La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India, e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione, molto probabilmente in Asia occidentale[25] e si è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandere verso nord con il progressivo mitigarsi del clima a partire da 14.000 anni fa.[senza fonte]
Non vi è in realtà prova dell'esistenza di R1b in Europa prima del neolitico; il primo campione di R1b europeo è stato rinvenuto in Spagna ad Els Trocs circa 7000 anni fa[26], ma gli R1b attualmente presenti in Europa occidentale non discendono dalla sua clade (V88, attualmente diffusa in Africa). Si suppone infatti che gli R1b europei siano giunti con le espansioni indoeuropee dalla Russia meridionale, in quanto nella Cultura di Jamna sono stati rinvenuti vari campioni di R1b-L23 (principale clade di R1b diffusa in Europa).[26]
R2 è comune nel subcontinente indiano. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.

Note

  1. ^ Scozzari R, Massaia A, D'Atanasio E, Myres NM, Perego UA, et al. (2012) Molecular Dissection of the Basal Clades in the Human Y Chromosome Phylogenetic Tree. PLoS ONE 7(11): e49170. doi:10.1371/journal.pone.0049170
  2. ^ a b Elizabeth Wood et al. 2005 Contrasting patterns of Y chromosome and mtDNA variation in Africa: evidence for sex-biased demographic processes European Journal of Human Genetics 13, 867–876. doi:10.1038/sj.ejhg.5201408
  3. ^ Michael E. Wealea et al. 2003. Rare deep-rooting Y chromosome lineages in humans: Lessons for Phylogeography. Genetics 165 (1): 229–34
  4. ^ Shi H, Zhong H, Peng Y, et al. (2008). "Y chromosome evidence of earliest modern human settlement in East Asia and multiple origins of Tibetan and Japanese populations". BMC Biol. 6: 45. doi:10.1186/1741-7007-6-45. PMID 18959782. PMC 2605740. http://www.biomedcentral.com/1741-7007/6/45.
  5. ^ Tatiana Karafet et al 2008, New binary polymorphisms reshape and increase resolution of the human Y chromosomal haplogroup tree
  6. ^ Y-DNA Haplogroup C and its Subclades - 2010
  7. ^ Georgi Hudjashov, Toomas Kivisild, Peter A. Underhill et al., "Revealing the prehistoric settlement of Australia by Y chromosome and mtDNA analysis," PNAS, vol. 104, no. 21, pp. 8726–8730 (May 22, 2007)
  8. ^ Laura Scheinfeldt et al 2006, "Unexpected NRY Chromosome Variation in Northern Island Melanesia," Molecular Biology and Evolution 23(8):1628–1641. doi:10.1093/molbev/msl028
  9. ^ Cordaux, Richard et al 2004, Independent Origins of Indian Caste and Tribal Paternal Lineages
  10. ^ Y-DNA Haplogroup G and its Subclades - 2010
  11. ^ R. Spencer Wells et al.: "The Eurasian Heartland: A continental perspective on Y-chromosome diversity." Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America v.98(18); Aug 28, 2001
  12. ^ Rootsi S, Magri C, Kivisild T, et al. (July 2004). "Phylogeography of Y-chromosome haplogroup I reveals distinct domains of prehistoric gene flow in europe". Am. J. Hum. Genet. 75 (1): 128–37. doi:10.1086/422196. PMID 15162323. PMC 1181996. http://linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S0002-9297(07)62002-3.
  13. ^ Semino O, Magri C, Benuzzi G, et al. (May 2004). "Origin, diffusion, and differentiation of Y-chromosome haplogroups E and J: inferences on the neolithization of Europe and later migratory events in the Mediterranean area". Am. J. Hum. Genet. 74 (5): 1023–34. doi:10.1086/386295. PMID 15069642. PMC 1181965. http://linkinghub.elsevier.com/retrieve/pii/S0002-9297(07)64366-3.
  14. ^ Wells RS, Yuldasheva N, Ruzibakiev R, et al. (August 2001). "The Eurasian heartland: A continental perspective on Y-chromosome diversity". Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. 98 (18): 10244–9. doi:10.1073/pnas.171305098. PMID 11526236. PMC 56946. http://www.pnas.org/cgi/pmidlookup?view=long&pmid=11526236.
  15. ^ a b Kayser M, Brauer S, Weiss G, Schiefenho¨vel W, Underhill P, Shen P, Oefner P, Tommaseo-Ponzetta M, Stoneking (2003) Reduced Y-Chromosome, but Not Mitochondrial DNA, Diversity in Human Populations from West New Guinea Am J Hum Genet 72:281–302
  16. ^ Siiri Rootsi, Lev A Zhivotovsky, Marian Baldovič et al., "A counter-clockwise northern route of the Y-chromosome haplogroup N from Southeast Asia towards Europe," European Journal of Human Genetics (2007) 15, 204–211
  17. ^ Map of Y Haplogroups
  18. ^ Maria-Catira Bortolini et al 2003 Y-Chromosome Evidence for Differing Ancient Demographic Histories in the Americas
  19. ^ Peter A Underhill et al 2009, Separating the post-Glacial coancestry of European and Asian Y chromosomes within haplogroup R1a
  20. ^ Y-Chromosome Biallelic Haplogroups
  21. ^ Manoukian, Jean-Grégoire (2006). A Synthesis of Haplogroup R2
  22. ^ Karafet, Tatiana et al. (2008), New binary polymorphisms reshape and increase resolution of the human Y chromosomal haplogroup treeGenome ResearchDOI10.1101/gr.7172008
  23. ^ Kivisild et al 2003, The Genetic Heritage of the Earliest Settlers Persists Both in Indian Tribal and Caste Populations
  24. ^ Cruciani, Fulvio et al 2011, A Revised Root for the Human Y Chromosomal Phylogenetic Tree: The Origin of Patrilineal Diversity in Africa
  25. ^ (EN) Natalie M. Myres, Siiri Rootsi e Alice A. Lin, A major Y-chromosome haplogroup R1b Holocene era founder effect in Central and Western Europe, in European Journal of Human Genetics, vol. 19, nº 1, 1º gennaio 2011, pp. 95-101, DOI:10.1038/ejhg.2010.146URL consultato il 18 dicembre 2015.
  26. ^ a b (EN) Wolfgang Haak, Iosif Lazaridis e Nick Patterson, Massive migration from the steppe was a source for Indo-European languages in Europe, in Nature, vol. 522, nº 7555, 11 giugno 2015, pp. 207-211, DOI:10.1038/nature14317URL consultato il 18 dicembre 2015.

Voci correlate

Gruppi linguistici dell'Europa e del Mediterraneo intorno al II millennio a.C.

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Gruppi linguistici della Mesopotamia nel II millennio a.C.

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Il sito archeologico dell'antica Mari in Mesopotamia


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Mari è stata una città mesopotamica, contemporanea di Uruk, nata intorno alla fine del IV millennio a.C. (primi insediamenti intorno al V millennio a.C.) sul medio corso del fiume Eufrate.
Fu un importante centro sumerico nel III millennio a.C. e arrivò al massimo splendore agli inizi del II millennio a.C., finché non fu distrutta dal re Hammurabi di Babilonia nel 1759 a.C.[1].
Il sito archeologico (Tell Hariri), si trova oggi in Siria, a circa 11 km dalla cittadina di Abou Kemal[1] (o Al Bukamal[2]) e a circa 30 km dalla frontiera con l'Iraq; costituisce uno fra i più importanti siti archeologici mesopotamici.[3]

Situazione geografica

La città si apre nella valle dell'Eufrate, a valle di Deir el-Zor particolarmente ampia. La steppa arida (con una piovosità di circa 150 mm annui) venne resa coltivabile attraverso un'ampia rete di canali di irrigazione e di dighe, permettendo di sfruttare il fertile suolo alluvionale.
La rete di irrigazione, che favorisce inoltre le comunicazioni per via fluviale, si appoggia su un bacino di ritenuta che in inverno veniva alimentato dall'acqua piovana.
Alcune tavolette sembrano attestare che durante l'epoca amorrita le casse statali fossero alimentate dai forti dazi (circa il 20% del valore) imposti alle merci di passaggio. Mari fu tuttavia un centro commerciale principalmente terrestre, a causa della scarsa navigabilità dell'Eufrate poco più a valle.

Storia

Mari negli archivi di Ebla

Le prime menzioni storiche della città compaiono in testi del XXIV secolo a.C. rinvenuti nel sito di Ebla: in quest'epoca i sovrani eblaiti sono tributari di Mari, ma conquisteranno in seguito l'indipendenza.
Questo primo periodo di fioritura di Mari si concluse con la conquista da parte del primo sovrano di AkkadSargon il Grande, che la distrusse intorno al 2330 a.C.

Gli šakkanakku


Lo šakkanakku Puzur, (Musei archeologici di Istanbul, fine del III millennio a.C.)
Con la fine dell'impero accadico, nel XXIII secolo a.C. Mari ritorna all'indipendenza. Restano al potere i governatori militari insediati dai re accadici e conservano la titolatura sumera di šagin (in sumero) o šakkanakku (in accadico).
I re della terza dinastia di Ur, che dominano la Mesopotamia dalla fine del XXII secolo a.C., non intaccano l'indipendenza della città. In questo periodo abbiamo solo scarse fonti scritte, ma i resti archeologici ne testimoniano la prosperità.
Nel corso del XXI secolo a.C. la dinastia degli šakkanakku scomparve e il XX secolo a.C. sembra essere stato un periodo oscuro, nel corso del quale la città dovette vivere un momento difficile.

Epoca amorrea


Disco iscritto del re Yakhdun-Lim (Museo del Louvre1800 a.C. circa)

Storia

Yakhdun-Lim (regno 1810 a.C./1793 a.C.) è il primo re di Mari del periodo successivo ad essere ben conosciuto, mentre del padre, Yaggid-Lim, non si sa nulla. Si dedicò ad estendere il suo regno verso ovest, sottomettendo Terqa (Tell Ashara) e Tuttul (Tell Bi'a), e verso il fiume Khabur a nord, vincendo il re amorreo di EkallatumSamsi-Addu.
Si alleò quindi con Eshnunna (Tell Asmar) e venne per questo in conflitto con il re di Aleppo che per rappresaglia fomentò contro di lui una rivolta dei nomadi Benjaminiti. Il suo regno terminò con un colpo di Stato che portò sul trono il figlio, Sumu-Yamam.
Samsi-Addu, che era stato sconfitto da Yakhdun-Lim, invase il regno di Mari e intorno al 1782 a.C. vi pose sul trono il proprio giovane figlio Yasmakh-Addu, mantenendo tuttavia il controllo.[3] Yasmakh-Addu aveva preso in sposa la figlia del re di Qatna (Tell Mishrife) e fu ancora in rapporti tesi con il re di Aleppo Sumu-epukh.
Alla morte di Samsi-Addu nel 1775 a.C., un discendente della famiglia reale di Mari, Zimri-Lim, riuscì a riprendersi il trono di Mari con l'appoggio del re di Aleppo, del quale rimase alleato o vassallo.
Fu quindi in conflitto con il re di Eshnunna, che fomentò una rivolta dei Benjaminiti, i quali vennero però sconfitti. Si alleò quindi con il re di Elam contro Eshnunna, ma quando questa città cadde, l'Elam minacciò le posizioni di Mari nella regione del Khabur a nord.
Zimri-Lim si alleò dunque con il re di BabiloniaHammurabi, che anch'egli aveva sostenuto in precedenza l'Elam. La coalizione formatasi contro l'Elam ne impedì le mire espansionistiche. In seguito aiutò Hammurabi a prendere Larsa, ma con la caduta di questa città Hammurabi rivolse i suoi interessi verso nord, minacciando le posizioni di Mari. I successivi avvenimenti non sono ben conosciuti, ma Mari venne presa e distrutta dai Babilonesi nel 1759 a.C.[1].

Organizzazione del regno

Grazie agli archivi in tavolette di argilla rinvenuti negli archivi del palazzo reale, l'organizzazione del regno all'epoca di Zimri-Lim è ben conosciuta.
A capo del regno era il re (šarrum), coadiuvato da un visir che controllava l'economia del regno (šukkallum) e da un consiglio che lo assisteva nel prendere le decisioni (pirištum).

Tavoletta dell'archivio reale del re Zimri-Lim con la quale si ordina la costruzione di una ghiacciaia nella città di Terqa (Museo del Louvre, 1800 a.C. circa)
Il regno era suddiviso in quattro province, legate alle città di Mari, TerqaSaggaratum e Qatturan, e al territorio di Suhum, con statuto particolare. A capo di ciascuna provincia era posto un governatore (šapitum), coadiuvato da un intendente (abu bītim), da un responsabile dei domini (ša sikkatim) e dal capo dei pascoli, che controllava le tribù nomadi (merhūm).
L'esercito riprendeva l'organizzazione del regno di Ur nel corso della terza dinastia di Ur. Era suddiviso in unità di dieci uomini (eširtum, comandata da un waklum) che potevano essere raggruppate per cinque (comandate da un laputtum) o per dieci (pirsum, comandata da un rab pirsim). Esistevano raggruppamenti di due o tre pirsum, con duecento o trecento soldati (comandati da un rabi amurrim) e infine un'armata di circa mille uomini (ummānum) era comandata da un generale (âlik pān ṣābim) che faceva parte dei grandi dignitari del regno. Esistevano inoltre diversi tipi di unità: guarnigioni cittadine (sāb birtim), guardia di palazzo (sāb bāb ekallim), un corpo di genieri (sāb tupšikkānim), e ancora corpi per spedizioni militari e corpi formati da etnie specifiche.

Sito archeologico

Gli scavi delle rovine di Mari sono stati intrapresi a partire dal 1933 dall'archeologo francese André Parrot che, nelle sue ricerche durate oltre vent'anni, trovò l'archivio reale con circa ventimila tavolette d'argilla contenenti iscrizioni la cui decifrazione permise, tra l'altro, di datare più esattamente il periodo di regno di Hammurabi. Gli scavi furono poi ripresi nel 1979 da Jean-Claude Margueron. Nel corso di circa 40 campagne di scavo è stato scavato circa un quindicesimo dell'estensione totale del sito, di circa 14 ettari. In una profondità di circa 14,5 metri si distinguono chiaramente tre livelli di occupazione, dei quali solo il più recente (Mari III) è stato largamente documentato, mentre i primi due non hanno ancora rivelato tutti i loro segreti[4]

Mari I

I primi livelli di occupazione del sito risalgono alla fine del IV millennio a.C. e la città acquisì poi importanza agli inizi del III millennio a.C.
A quest'epoca si deve la creazione della rete di irrigazione sulla riva destra dell'Eufrate, che permetteva la coltivazione della valle.
Secondo Jean-Claude Margueron, direttore degli scavi dal 1979, apparterrebbe a quest'epoca anche lo scavo di un canale di circa 120 km di lunghezza che collegava il fiume Eufrate al fiume Khabur, a circa 10 km a valle di Mari. Secondo altri invece, poiché non viene citato in nessuna delle fonti antiche, sarebbe una realizzazione molto più tarda.
La città venne fondata ad una certa distanza dal fiume, per evitare il pericolo di inondazioni, e per lo stesso motivo era circondata da una diga di contenimento. Un canale permetteva l'approvvigionamento d'acqua e l'accesso al porto della città.
Le difese erano assicurate da una cinta di mura di 1.300 m di diametro, ma della città si sono rinvenute solo alcune case, in quanto gran parte di essa è ricoperta dai livelli successivi. Gli oggetti in bronzo rinvenuti testimoniano lo sviluppo della metallurgia.

Mari II


Sigillo rinvenuto a Mari della metà del III millennio a.C.
Per ragioni sconosciute la città perse di importanza per riacquistarla poi a metà del III millennio a.C.
A quest'epoca risale un tempio dedicato alla dea Ištar, rimesso in luce nella parte ovest del tell principale.
Altri templi sono stati rimessi in luce nella zona centrale, dedicati a divinità del pantheon sumero (NinhursagŠamaš, il re divinizzato Ninni-Zaza e ancora Ištar (Ishtarat) e forse Dagon), a cui si aggiunge il "Massiccio rosso", un'alta terrazza che doveva anch'essa sostenere un tempio. Non è stato invece identificato il tempio, noto dai documenti, dedicato a Itur-Mêr, divinità tutelare della città.
Accanto ai templi si collocava il "Recinto sacro", nel sito che in seguito sarebbe stato occupato dal palazzo reale del II millennio, costituito da numerosi piccoli ambienti che circondano uno spazio centrale. Nei pressi si trovava il primo palazzo ("palazzo presargonide"), anch'esso poi ricoperto dal palazzo reale successivo. Sono state rimesse in luce anche alcune abitazioni e statue e oggetti preziosi.
La distruzione della città fu probabilmente dovuta ad una ritorsione del re accadico Naram-Sin nel XXIII secolo a.C. contro la città che si era ribellata.

Mari III


Leone in rame proveniente dal "Tempio dei leoni" di Mari (Museo del Louvre, II millennio a.C.)
All'epoca dei šakkanakku la città fu ampiamente rinnovata. Venne costruito una grande cinta in mattoni crudi e fu costruito un nuovo palazzo reale, che comprendeva all'interno il "Recinto sacro" dell'epoca precedente. Un secondo palazzo ospitava i membri della famiglia reale o la residenza del re stesso. Grandi ipogei sotterranei dovevano ospitare le tombe reali, saccheggiate in seguito. Vennero rinnovati alcuni dei templi e fu costruito su un'alta terrazza il "Tempio dei leoni".

Le ultime fasi

Dopo la distruzione babilonese, Mari diviene una piccola borgata priva di importanza, in seguito allo spostamento delle rotte commerciali, che incominciarono ad evitare il medio corso dell'Eufrate, la cui valle perse di importanza.[1]
Il sito venne definitivamente abbandonato in epoca seleucide.

Palazzo reale del II millennio a.C.


Corridoio del palazzo reale di Mari.
Considerato uno dei capolavori dell'architettura antica orientale[5] ed all'epoca una delle meraviglie del mondo,[1] il palazzo reale (noto anche come palazzo di Zimri-Lim)[5] costituisce il monumento più imponente della città. Fu costantemente rinnovato fino alla distruzione babilonese del 1759 a.C.[5] e i livelli meglio conosciuti sono quelli immediatamente precedenti alla rovina, legati al regno di Zimri-Lim.[senza fonte]
Il suo stato di conservazione era ottimo al momento della scoperta, ma l'esposizione agli agenti atmosferici ne ha accelerato il degrado, come per gli altri edifici di Mari.
Copre circa 3 ettari, con circa 300 ambienti o cortili al piano terra ((e in origine aveva anche un secondo piano, raggiungendo un numero di circa 550 ambienti di diversa ampiezza.)) Era un insieme perfettamente organizzato in unità funzionali, ben delimitate architettonicamente e servite da grandi cortili: scuderie, magazzini, uffici amministrativi, alloggi per il personale, cucine. Questo insieme permetteva di assicurare la sicurezza del re e lo svolgimento dei compiti di amministrazione del regno. Non vi erano invece ospitate officine artigianali.[1][5]
Il palazzo comprendeva spazi sacri e un luogo di culto della dea Ištar e, nella parte occidentale, sale di rappresentanza ufficiali, con il "Cortile del palmeto" e sul lato orientale una "Sala del trono" di 25 m x 11 m, alta almeno 12 m. Al di sopra di ambienti adibiti a magazzino erano gli appartamenti reali, mentre un edificio separato ("Casa delle donne") ospitava probabilmente le mogli e le concubine reali.[1]
I tetti potevano essere utilizzati come posti di sorveglianza in tempo di guerra, mentre in tempo di pace erano adoperati come luoghi dove prendere fresco.[1]
Una delle maggiori testimonianze del palazzo includono le pitture murali, ritrovate nella sala delle udienze e nel cortile interno dell'edificio.[5]
Dall'edificio sono state ritrovate all'incirca 25.000 tavolette cuneiformi e molte statue.[1]

Tempio di Ištar


Statua dell'intendente reale Ebih-Il, rinvenuta nel tempio di Ištar
Il tempio dedicato alla dea Ištar, nella zona occidentale del tell, fu continuamente ricostruito sullo stesso luogo, a partire dalle prime fasi della storia della città. La sovrapposizione degli strati archeologici relativi alle diverse fasi dell'edificio raggiunge uno spessore di 6 m. È possibile che i successivi templi siano rimasti in uso per circa sei secoli.
Un primo edificio sacro è quasi sconosciuto, essendo stato obliterato dalle costruzioni successive. Successivamente venne costruito un tempio monumentale (area di circa 26 m x 25 m) su fondamenta in blocchi di alabastro.
Nella fase successiva il complesso sacro comprendeva un sacello sul lato occidentale e una casa per i sacerdoti su quello orientale; un podio a forma di barca inglobava ceramiche votive. Il tempio vero e proprio fu quindi ospitato in una semplice cella rettangolare di 9 m x7 m, i cui muri erano spessi non meno di 3 m.
Per le fasi successive furono rinvenute negli scavi tracce di resti combusti di sacrifici e una statua dedicata alla dea dal re "Lamgi-Mari", che si definiva "grande governatore del dio Enlil". Nel cortile del tempio si rinvenne inoltre una statuetta dell'intendente Ebih-Il, in gesso, con inserti di lapislazzuli e conchiglia.

L'archivio di Mari

L'archivio del palazzo reale di Mari fu scoperto dagli archeologi francesi negli anni trenta ed oggi la maggior parte di esso è stata pubblicata [6] [7] [8] [9][10] Si tratta di più di 25.000 tavolette di argilla scritte in lingua accadica. Questa era la lingua ufficiale dello stato, tuttavia i nomi propri e qualche indizio sintattico ci mostrano che la lingua comunemente parlata a Mari era una lingua semitica occidentale. Quasi tutte le tavolette risalgono agli ultimi cinquant'anni di indipendenza di Mari (ca. 1800 – 1750 a.C.).
Esse costituiscono l'archivio di stato del regno di Mari e ci forniscono informazioni circa le istituzioni e le tradizioni del regno ed inoltre ci resituiscono i nomi delle persone che vissero in quel tempo. Più di ottomila tavolette sono rappresentate da lettere, le altre consistono in documenti amministrativi, giudiziari e contabili. La scoperta degli archivi ha portato ad una completa revisione della cronologia del Vicino Oriente antico nell'epoca che precede il primo impero babilonese, ed ha fornito più di cinquecento nomi di località tanto da ridisegnare la carta geografica della prima metà del secondo millennio a.C.[11].

Note

  1. ^ a b c d e f g h i André Parrot, I Sumeri, Feltrinelli, 1960, pp. 254-261, 282.
  2. ^ Vedi il nome riportato in Google maps
  3. ^ a b André Parrot, Gli Assiri, Feltrinelli, 1963, pp. 2, 327.
  4. ^ Scheda su Mari nel sito dell'Unesco: Mari & Europos-Dura sites of Euphrates Valley
  5. ^ a b c d e Seton Lloyd, Hans Wolfgang Müller, Architettura delle origini, Electa Editrice, 1980, pp. 23-25.
  6. ^ André Parrot, Les Fouilles de Mari. Deuxième campagne (hiver 1934-35), Syria, T. 17, Fasc. 1, pp. 1-31, 1936
  7. ^ André Parrot, Les fouilles de Mari. Première campagne (hiver 1933-34). Rapport préliminaire, Syria, T. 16, Fasc. 1, pp. 1-28, 1935
  8. ^ André Parrot, Les Fouilles de Mari. Septiéme Campagne (Hiver 1951–1952), Syria, T. 29, Fasc. 3/4, pp. 183-203, 1952
  9. ^ André Parrot, Les fouilles de Mari: Douzième campagne (Automne 1961), Syria, T. 39, Fasc. 3/4, pp. 151-179, 1962
  10. ^ Tutte le relazioni delle campagne pubblicate sul periodico "Syria. Archéologie, Art et histoire" negli anni dal 1920 al 2000 sono ora disponibili online, a questo indirizzo.
  11. ^ Jack M. Sasson, The King and I a Mari King in Changing Perceptions, in Journal of the American Oriental Society, vol. 118, nº 4, American Oriental Society, ottobre–dicembre 1998, pp. 453–470, DOI:10.2307/604782JSTOR 604782.

Bibliografia

  • André Parrot, Mission archéologique de Mari, 4 volumi, Geuthner, Parigi 1958-1968.
  • Jean-Claude Margueron, Recherches sur les palais mésopotamiens de l'âge du bronze, Paris 1982.
  • Jean-Marie Durand, Le document épistolaires du palais de Mari, 3 volumi, Le Cerf, LAPO, Paris 1997, 1998 e 2000.
  • Nele Ziegler, Dominique Charpin, Mari et le Proche-Orient à l'époque amorrite. Essai d'histoire politique (Florilegium. Marianum V), Paris, 2003.
  • Jean-Claude Margueron, Mari: métropole de l'Euphrate au IIe et au début du IIe millénaire av. J.-C., ERC, 2004.
  • Collana Archives Royales de Mari. Transcription et traduction (ARMT): pubblicazione dei testi cuneiformi provenienti dall'archivio del palazzo reale di Mari.
  • Rivista Mari. Annales des recherches interdisciplinaires (MARI), consacrata in primo luogo alle ricerche archeologiche sulla città.
  • Collana Florilegium Marianum.