venerdì 10 marzo 2017

La Siria come centro dell'Impero dei Selèucidi

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Le origini


In giallo l'impero seleucide
Dopo la morte di Alessandro Magno (323 a.C.), il potere effettivo passò nelle mani dei suoi generali, i diadochi, che si divisero le sue immense conquiste. La Persia fu suddivisa tra vari satrapi macedoni, tra i quali emerse presto la figura di Seleucosatrapo di Babilonia.
Seleuco si fece incoronare re di Babilonia e nel 306 a.C. impose la sua autorità su tutte le province orientali. Nel 301 a.C. Antigono Monoftalmo, che governava l'Asia Minore e la Siria, fu sconfitto da una coalizione degli altri diadochi: Seleuco si impossessò della Siria dove, sulle rive dell'Oronte, fondò Antiochia, in onore di suo padre. L'impero di Seleuco raggiunse la sua massima estensione nel 281 a.C., quando Lisimaco, signore di Tracia e Asia Minore, fu sconfitto e ucciso alla battaglia di Corupedio; Seleuco inglobò nei suoi possedimenti l'Anatolia e si apprestava a invadere le terre europee di Lisimaco, quando fu assassinato, ormai ottantenne, da un sicario dell'egiziano Tolomeo Cerauno.

I primi sovrani


L'impero Seleucide circa all'epoca di Antioco I
La corona passò al figlio Antioco I, e da questi al figlio Antioco II, che regnarono con il titolo persiano di Gran Re su un impero che si estendeva dall'Afghanistan al Mar Egeo. Antioco I (divenuto re nel 281 a.C.) dovette affrontare fin da subito la notevole sfida di mantenere unite le immense conquiste territoriali del padre, impresa che lo tenne impegnato per quasi tutta la vita e gli riuscì solo in parte. Per prima cosa decise di abbandonare la Tracia, regione troppo periferica per essere difesa efficientemente e fonte di un pericoloso contenzioso con il re di Macedonia Antigono II Gonata; dopo questo fatto stipulò un patto di amiciza con il sovrano Antigonide, che fu alla base della alleanza storica fra Seleucidi e Antigonidi contro i Tolomei. Dovette poi affrontare una ribellione nel distretto di Seleucis, il più importante del regno, che riuscì a schiacciare perdendo però quasi tutti i suoi elefanti, facendosene inviare di nuovi dalla provincia di Battria. Dovette poi far fronte alla terribile invasione dei Galati, ovvero dei celti: queste popolazioni negli anni precedenti erano penetrate nei Balcani e si erano stabilite in Tracia. I numerosi regnanti dell'Asia Minore li convocarono perché combattessero al loro servizio e accettarono di trasportarli al di là del Ellesponto; tuttavia la situazione sfuggi loro di mano e i Galati cominciarono a seminare terrore per tutta l'Anatolia. Antioco dovette dunque affrontare nel 275 a.C. una terrificante armata celtica composta da più di 40.000 uomini; nella grandiosa Battaglia d'Elefanti riuscì a sconfiggere con un piccolo esercito la potente armata galata utilizzando astutamente i pachidermi indiani. Questa grande vittoria gli valse l'appellativo di Soter, "il Salvatore". Più tardi dovette affrontare Tolomeo II Filadelfo nella cosiddetta Prima guerra siriaca; la causa di questa guerra era che sia i Seleucidi sia i Tolomei reclamavano la regione di Celesiria, che corrisponde circa al Libano e alla Palestina. In questa guerra Antioco perse il controllo di alcune zone dell'Asia Minore ma riuscì a conservare la Celesiria fino a Damasco. Il regno di Antioco fu segnato anche da spedizioni geografiche atte a comprendere a fondo le nuove regioni che i greci si trovarono a dominare; la prima esplorò il Mar Nero, la seconda, che fu anche una spedizione militare, le terre degli Sciti. In questa epoca Antioco si assicurò anche la fedeltà degli abitanti della Mesopotamia ricostruendo il grande tempio di Ezida in Babilonia e assumendo caratteristiche regali tipiche della cultura Babilonese. Negli ultimi anni tentò di recuperare il controllo delle province di Asia Minore, ma fu rovinosamente sconfitto nei pressi di Sardi dalle forze del regno di Pergamo, morendo poco tempo dopo. Nel 261 a.C. gli successe il figlio Antioco II, che intraprese una serie di conflitti contro i Tolemei (Seconda guerra siriaca) che terminò con la cacciata dei Tolomei dall'Asia Minore. Le città liberate dal governo tolemaico venerarono Antioco come un dio, e infatti egli assunse l'epiteto di Teos. Tolomeo Filadelfo, finita la guerra, consolidò la pace con Antioco mediante un matrimonio tra lo stesso sovrano Seleucide e la figlia Berenice, per sposare la quale Antioco ripudiò Laodice I. Pare che Antioco abbia inoltre riconquistato parti della Tracia. Morì improvvisamente poco dopo, secondo alcuni avvelenato dalla ex-moglie Laodice: la sua improvvisa morte causò una crisi dinastica che portò l'impero sull'orlo del crollo.

La Terza Guerra Siriaca e la crisi

Alla morte di Antioco Teo la successione sarebbe dovuta passare al figlio avuto con Berenice, ma Laodice aveva avvelenato il marito proprio per mettere sul trono il figlioletto Seleuco II (detto Callinico, "dalla splendida vittoria"): Berenice chiese aiuto al fratello Tolomeo III Euvergete che calò in Siria con un immenso esercito dando inizio alla terza guerra siriaca. Le armate Tolemaiche occuparono rapidamente la Siria, ma non riuscirono a impedire che prima del loro arrivo Berenice e suo figlio venissero uccisi da Laodice. Tolomeo decise comunque di continuare la spedizione e dopo aver devastato la Siria si diresse verso la Mesopotamia, entrò a Babilonia (ma non riuscì a prenderne la rocca) e ottenne la sottomissione delle province orientali: nel frattempo suo figlio Magas con la flotta occupò la costa dell'Asia Minore e la Tracia. Nel frattempo, a complicare ulteriormente la situazione di Seleuco, suo fratello Antioco Ierace si ribellò cercando di fondare un regno autonomo in Turchia, e alleatosi con i Galati, sconfisse il fratello nella disastrosa battaglia di Ancyra. Ciononostante Seleuco riuscì in qualche modo a riprendersi dalle sconfitte e a riprendere la Siria, anche se poco dopo dovette interrompere il contrattacco a causa di una ennesima sconfitta militare per mano egizia. Il trattato di pace, benché umiliante (i Seleucidi furono costretti a cedere la città ancestrale di Seleucia di Pieria e la costa dell'Asia Minore) permise a Seleuco di mantenere il proprio regno. Poco dopo il fratello Antioco Ierace fu sconfitto dalle forze di Pergamo, e Seleuco ne approfittò per restaurare parte del proprio potere in Asia Minore. Ma la conseguenza più grave fu che i satrapi delle province orientali approfittarono dei disastri di Seleuco per rendersi indipendenti: Diodoto fondò il regno della Battria, che sopravvisse fino al 125 a.C., e la dinastia arsacide fondò in Partia un piccolo ma agguerrito stato che col tempo avrebbe soppiantato i Seleucidi. Seleuco tentò di recuperare quantomeno la Partia, ma Arsace riuscì non solo a respingere l'invasione ma addirittura, secondo alcuni, a catturare il re. Anche il tentativo di prendere la Cappadocia terminò in un disastro nel quale Seleuco perse 20.000 uomini. Alla morte di Seleuco il regno era fortemente indebolito, ma quantomeno aveva evitato il collasso; gli successe nel 225 a.C. il figlio Seleuco III, che tentò di restaurare l'autorità imperiale in Asia Minore ma rimase ucciso dai propri mercenari nel 223 a.C. La campagna in Asia fu continuata da suo zio Acheo, che riuscì efficacemente a respingere le forze del regno di Pergamo costringendo Attalo I a barricarsi a Pergamo.

Busto di Antioco il Grande, sotto il quale l'impero Seleucide raggiunse la sua massima estensione.

La restaurazione di Antioco il Grande e la guerra contro Roma

Dopo la morte di Seleuco la corona passò a suo fratello Antioco III, che avrebbe dimostrato eccellenti qualità militari e lo spirito di un vero re, diventando forse il più grande dei Seleucidi, dopo lo stesso Seleuco Nicatore. Al momento della sua ascesa al trono, il regno toccava tuttavia il suo minimo storico: lo zio Acheo, in presumibile accordo con i Tolomei, si era ribellato e aveva deciso di fondare un proprio regno in Asia Minore. Allo stesso modo i due fratelli Molone e Alessandro avevano reso indipendenti le province di Media e Persia; all'impero rimanevano dunque solo la Siria e la Mesopotamia. Inoltre la corte era dominata dal corrotto ministro Ermia di Caria, che desiderava la debolezza del regno in modo da rendere il sovrano più malleabile. Tuttavia Antioco reagì con prontezza: sconfisse in battaglia Molone, costringendo al suicidio i due satrapi ribelli; dopodiché costrinse il principe ribelle Ariobazane ad accettare la sovranità Seleucide. Ripristinata in parte l'autorità imperiale ad oriente, Antioco tentò di entrare in possesso della Celesiria, che riteneva essere una legittima proprietà della sua famiglia: iniziò così la quarta guerra siriaca (219 a.C.217 a.C.) . Sebbene Antioco fosse riuscito nei primi due anni a sconfiggere più volte i Tolomei e a occupare tutta la regione, Tolomeo IV lo sconfisse nella grande battaglia di Raphia. Al Seleucide fu tuttavia consentito di rimanere in possesso di Seleucia di Pieria. Nel 216 a.C. si volse contro l'usurpatore Acheo, che fu costretto a rinchiudersi a Sardi, espugnata dopo un breve assedio; Acheo fu catturato poco dopo mentre tentava di fuggire dalla rocca e fu immediatamente messo a morte. Riunita così gran parte del regno, Antioco decise di riconquistare definitivamente le province orientali intraprendendo una colossale spedizione orientale detta Anabasi, con un esercito di ben 100.000 fanti e 20.000 cavalieri: Antioco riuscì rapidamente a sottomettere l'Armenia, per poi avanzare contro il regno dei Parti. I Parti tentarono di arrestare l'avanzata di Antioco asserragliandosi nelle gole della catena montuosa dell'Elburz ma furono sconfitti nella battaglia di Monte Labo; successivamente Antioco riuscì a espugnare la città di Siringe. I Parti dovettero dunque accettare la sovranità Seleucide e diventare tributari. Antioco avanzò poi contro il regno greco-battriano: il re di Battria, Eutidemo I, tentò di impedire alle truppe Seleucidi di avanzare nei suoi territori mandando una grande armata di cavalleria a presidiare i guadi del fiume Ario, ma Antioco battendosi personalmente con valore li sconfisse (battaglia dell'Ario). Dopo avere assediato per due volte la città di Bactra, accettò la sottomissione di Eutidemo e cementò il patto di pace con un matrimonio dinastico. Antioco arrivò infine in India dove il re Sofagaseno gli regalò degli elefanti e ripristinò l'antico patto di alleanza fra i Seleuco e Chandragupta Maurya. Dopo la spedizione, Antioco venne soprannominato Megas, "il grande", per le qualità delle quali aveva dato prova. Durante il ritorno sottomise e rese tributario il regno arabo di Gerrha.

La spartizione dell'Asia Minore dopo il trattato di Apamea. In rosso, l'impero Seleucide.
Dopo avere ripristinato il prestigio e le ricchezze dell'impero, Antioco si alleò con Filippo V di Macedonia per spartirsi i domini del regno Tolemaico iniziando la quinta guerra siriaca, nella quale il Seleucide vendicò la sconfitta di Raphia sconfiggendo nel 198 a.C. le forze Tolemaiche nella grande battaglia di Panion, chiudendo dunque la disputa sul possesso della Celesiria a favore dei Seleucidi. Antioco portò a fondo i propri progetti di restaurazione imperiale: negli anni successivi occupò gran parte delle città dell'Anatolia e giunse fino in Tracia, dove ricostruì l'antica città di Lisimachia. Il sovrano si ritenne dunque soddisfatto di avere ricomposto totalmente l'impero dei suoi avi. Tuttavia la potenza di Antioco cominciava a innervosire i Romani, coi quali cominciò un periodo di "guerra fredda" caratterizzato da un progressivo aumento della tensione, tanto che Antioco accolse nella sua corte il famoso generale cartaginese Annibale. Nel 192 a.C. Antioco fece il primo passo con una spedizione in Grecia, contando sul supporto della lega etolica e altri stati greci: iniziò così la guerra Romano-Siriaca. Tuttavia fu sconfitto dalle truppe romane nella battaglia delle Termopili, dopo la quale fu costretto a ritirarsi in Asia. Dopo una serie di sconfitte navali, non poté impedire ai Romani di sbarcare in Asia Minore, e fu infine definitivamente sconfitto nella disastrosa battaglia di Magnesia. A seguito dell'umiliante pace di Apamea il sovrano dovette pagare una esorbitante indennità di 15.000 talenti, cedere tutte le province al di là del Monte Tauro, rinunciare alla propria flotta e far uccidere tutti i propri elefanti da guerra. Antioco morì nel 187 a.C. mentre tentava di saccheggiare un tempio per ottenere le ricchezze necessarie a pagare il tributo.

La fase di stabilità


Antioco Epifane arrivò quasi a far crollare il regno Tolemaico, secolare rivale dei Seleucidi.
La sconfitta contro i romani causò la fine delle aspirazione universalistiche dei Seleucidi, che continuarono tuttavia ad essere lo stato più potente del vicino e medio oriente. Il regno di Seleuco IV Filopatore fu sostanzialmente povero di avvenimenti: il figlio di Antioco il Grande infatti si attenne scrupolosamente ai termini della pace di Apamea e governò senza mai intraprendere guerre. Tuttavia dovette tassare le ricchezze dei templi per ottenere il denaro necessario al pagamento del tributo, perdendo prestigio e popolarità presso i sudditi. Quando nel 175 a.C. Seleuco fu assassinato dal suo ministro Eliodoro, il fratello Antioco IV Epifane ne approfittò per impossessarsi del trono. Come il padre, Antioco fu un sovrano energico e un abile militare. Nel 170 a.C., quando venne a sapere che i Tolomei stavano organizzando una campagna per riprendere il possesso della Celesiria, Antioco lanciò un attacco preventivo in Egitto che diede inizio alla sesta guerra siriaca. Sbaraglia l'armata nemica a Pelusio, Antioco devastò l'Egitto e arrivo persino a volerne diventare re: tuttavia quando ormai Antioco stava assediando Alessandria, i Romani mandarono un'ambasceria per intimare al Seleucide di ritirarsi immediatamente. Antioco dovette obbedire, segnando in modo definitivo la sudditanza degli stati ellenistici alla potenza romana. Di ritorno, saccheggiò Gerusalemme e proibì la pratica della religione ebraica; di reazione, gli ebrei, capeggiati dalla famiglia dei Maccabei, si ribellarono, divenendo presto una spina nel fianco dell'impero. Antioco organizzò, al ritorno dalla spedizione in Egitto, una fastosa parata nel sobborgo di Dafne, che divenne nota come la più grande festa mai celebrata nella storia: lo scopo era presumibilmente di mettere in ombra l'insuccesso politico della campagna in Egitto e dare anzi un prova di ricchezza e potenza. In seguito Antioco sconfisse i banditi che infestavano la Cilicia e schiaccio la ribellione di Artaxias I d'Armenia, costringendolo ad accettare la sovranità Seleucide. Negli ultimi anni tentò, come il padre, un spedizione in Oriente, presumibilmente per ridimensionare la crescente potenza dei parti; tuttavia morì improvvisamente di malattia in mezzo alla spedizione.
Il trono passò nel 164 a.C. al figlio Antioco V Eupatore, che governò con il sostegno del tutore Lisia. Il giovane re affrontò risolutamente la questione della ribellione ebraica, sconfiggendo i ribelli nella grande battaglia di Beth-Zacharia. Non riuscì tuttavia a concludere la questione perché giunse la notizia che un generale ribelle aveva occupato la capitale, Antiochia. Lisia e il re decisero dunque di concedere la libertà religiosa agli ebrei a patto che essi accettassero la sottomissione. Tornati alla capitale, schiacciarono facilmente la sommossa. Tuttavia il loro potere fu gravemente danneggiato da una delegazione romana che girò per le città della Siria facendo uccidere tutti gli elefanti in accordo con i termini delle pace di Apamea. La situazione si fece ancora più difficile quando il legato romano fu ucciso da un siriano esasperato per il servilismo del sovrano. Non fu dunque difficile per Demetrio I, figlio di Seleuco IV, all'epoca ostaggio a Roma, prendere il possesso del regno con un colpo di mano. Dopo avere fatto uccidere Antioco e Lisia, il nuovo re dovette affrontare la ribellione di Timarco, che all'epoca di Antioco Epifane e di suo figlio era a capo delle province orientali. Costui si dichiarò indipendente e invase Babilonia: Demetrio riuscì a sconfiggerlo e ucciderlo, e fu chiamato Soter ("il salvatore") per essere riuscito a tenere unito il regno. Dopodiché, Demetrio decise di espandere il regno: l'azione si articolò su tre fronti. Per prima cosa sostenne l'ascesa di Oroferne sul trono di Cappadocia in opposizione ad Ariarate V, che invece era sostenuto dal regno di Pergamo; in secondo luogo tentò di corrompere il governatore Tolemaico di Cipro affinché gli cedesse l'isola, ma il governatore fu scoperto e ucciso, dunque la manovra fallì; infine si risolse a sottomettere ancora più risolutamente gli ebrei. Nonostante inizialmente il suo generale Bacchide fosse riuscito a uccidere il leader dei ribelli, Giuda Maccabeo, anche quest'operazione si concluse con un fallimento. Questa politica ebbe anzi il risultato di attirare l'inimicizia di tutte le potenze locali, che finirono per appoggiare un presunto figlio di Antioco Epifane, un uomo di nome Alessandro Bala. Alessandro in realtà era un ragazzo comune che tuttavia assomigliava vagamente ad Antioco Epifane, e il popolo lo riconobbe perché Demetrio era assai odiato. Col sostegno di Tolomeo VIAttalo II e implicitamente dai Romani, il giovane reclamò il trono: cominciò così una guerra civile. Demetrio riuscì comunque a vincere una prima battaglia. Tuttavia, in un secondo scontro, dopo avere ucciso migliaia di nemici, morì in mezzo ai combattimenti. Alessandro si insediò così sul trono nel 150 a.C, mentre i figli di Demetrio andarono in esilio.

Il declino

Dopo la morte di Demetrio il regno perse gran parte della sua potenza, logorato dalle guerre civili continuamente alimentate dai romani e dagli stati vicini per tenere il regno di Siria in uno stato di costante debolezza. I Parti, specialmente sotto il regno di Mitridate il Grande, approfittarono di questa debolezza per invadere le ricche province di Persia e di Media, forse già durante la rivolta di Timarco; allo stesso modo i Giudei estero i loro territori approfittando delle lotte dinastiche. Alessandro, per aumentare il sostegno al proprio governo, garantì numerosi privilegi agli ebrei che divennero formalmente indipendenti. Nel 145 a.C. Tolomeo VI decise di non supportare più Bala e sostenne anzi Demetrio II Nicatore, figlio di Demetrio Sotere, che sbarcò in Siria con un esercito di mercenari. I due occuparono Antiochia mentre Bala stava schiacciando una rivolta di Cilicia: Alessandro tentò disperatamente di recuperare il proprio regno nella battaglia di Enoparo, dove venne sconfitto. Venne ucciso poco dopo da un principe arabo dal quale si era rifugiato, mentre Tolomeo morì a causa delle ferite. Demetrio restava dunque unico re di Siria. Tuttavia il re era assai impopolare: il suo governo era infatti sostenuto dai mercenari cretesi, che iniziarono un tirannico regime di saccheggi e abusi. Gli antiocheni si ribellarono in massa e il sovrano rischiò il trono, finché un corpo di tremila mercenari ebraici non riuscì a salvarlo appiccando fuoco agli edifici della città, che fu quasi rasa al suolo. Dopo un terribile massacro, la rivolta venne soppressa. Tuttavia poco dopo Diodoto, un generale che aveva servito sotto Bala, lo scacciò da Antiochia e mise sul trono il figlio di Alessandro, Antioco VI. Cominciò così un dura guerra civile, nella quale Demetrio controllava Seleucia, la Cilicia, la Mesopotamia e la Celesiria mentre Diodoto controllava la Siria centrale. Nel 141 a.C. i Parti invasero Babilonia e Demetrio fu costretto a contrattaccare. Il Seleucide riuscì a sconfiggere più volte i Parti, tuttavia fu preso prigioniero durante una ambasciata e la sua spedizione fallì.
Diodoto nel frattempo aveva fatto uccidere il giovane Antioco VI e si era fatto incoronare con il nome di Trifone. La ex moglie di Demetrio, asserragliata a Seleucia, richiamò il fratello di Demetrio, Antioco VII Sidete, allora in esilio a Side, perché prendesse il trono. Antioco dimostrò di essere l'ultimo Seleucide di una certa statura: nel 139 a.C. sbarcò a Seleucia e riuscì a sconfiggere Trifone in battaglia, costringendolo a chiudersi prima a Dora, poi ad Apamea, nella quale l'usurpatore si suicidò. Dopodiché Antioco riuscì a riunificare tutta li Siria, che ormai si era quasi disgregata. Nel 132 a.C. attaccò la Giudea e assediò Gerusalemme, costringendo Giovanni Ircano I a pagare un tributo, sottomettersi e fornire soldati per le future guerre di Sidete. Nel 130 a.C. Antioco attraversò l'Eufrate con 80.000 uomini (di cui 10.000 giudei comandati da Ircano) e sconfisse i Parti di Fraate II in tre battaglie campali, riconquistando la Mesopotamia, la Persia e la Media. L'anno successivo tuttavia fu ucciso in una imboscata: i vari corpi della spedizione, che si erano sparsi per la Media durante l'inverno, furono massacrati mentre erano divisi. Finì così il periodo ellenistico in Iran e in Mesopotamia, nonostante l'eroico sforzo del Sidete. L'influenza culturale greca sopravvisse ancora per un poco, tanto che i re parti continuarono a coniare monete con legende in greco e alcuni di loro si diedero l'epiteto di filoelleno, "amico dei greci". Nel frattempo Demetrio II era stato rilasciato dai Parti, speranzosi del fatto che avrebbe iniziato una guerra civile contro il fratello rendendo più facile il loro lavoro. Quando Antioco Sidete fu ucciso, Fraate tentò di ricatturarlo ma lo trovò reinsediato sul trono di Siria. Avrebbe invaso la Siria, se non fosse stato invaso dai nomadi Saci. Tuttavia il regno non risorse: Demetrio venne ucciso poco dopo e il regno continuò a essere attanagliato da guerre civili fino all'annessione romana, nel 64 a.C ad opera di Pompeo, che trasformò la Siria in una provincia romana.

Politica e amministrazione

Politica interna


Tavoletta astronomica babilonese di epoca Seleucide. Sotto il governo Seleucide la cultura babilonese ebbe un nuovo impulso.
L'impero Seleucide soffriva del problema di essere un impero sostanzialmente greco-macedone in pieno territorio asiatico, senza nessun contatto con la madrepatria. I sovrani si resero immediatamente conto che era impossibile gestire un impero così vasto in maniera diretta. La prima soluzione fu di fondare numerose colonie militari abitate da greci (katoikie), che avrebbero garantito non solo un serbatoio costante di reclute da impiegare nella falange macedone, ma anche un discreto controllo sul territorio e sulle rotte commerciali. Sia Seleuco Nicatore che suo figlio Antioco Soter fondarono un enorme numero di città, popolate presumibilmente da coloni greci o attraverso la pratica del sinecismo: le piccole comunità rurali, che erano povere e si indebitavano facilmente, venivano costrette a fondersi in città produttrici di ricchezza e più facili da controllare. Benché le due città più grandi furono Antiochia sull'Oronte e Seleucia sul Tigri, non esisteva una autentica capitale: vi erano capoluoghi regionali, ciascuno dotato di un palazzo reale che avrebbe ospitato il re o il ministro da lui inviato. Tuttavia ahe così sarebbe stato impossibile gestire un territorio così vasto, articolato in ben 73 satrapie. Dunque fu operata una sorta di divisione amministrativa fra zone ad amministrazione diretta e indiretta: vi erano territori sotto il controllo diretto del sovrano, come la Siria, che sarebbe stato l'autentico cuore pulsante dell'impero, alcune province in Asia Minore, la Media e la Mesopotamia; queste zone sarebbero state amministrate da burocrati e paggi imperiali.
Altre zone sarebbero invece state lasciate in una condizione si semi-indipendenza: i popoli sottomessi avrebbero avuto diritto ad avere un proprio sovrano e proprie leggi, ma avrebbero dovuto pagare un tributo al governo centrale. Un esempio è quello dei giudei, che erano governati da un sommo sacerdote ebraico, delle città greche dell'Asia Minore, che avevano un governo autonomo, della Persia, governata da un Frataraka (una sorta di figura sacerdotale) e dei territori amministrati dai templi. I sovrani avevano comunque una certa influenza su queste zone: potevano scegliere di persona il governante e dargli ordini indiretti: ad esempio, tentavano di far sì che le classi dominanti assorbissero la cultura ellenica e diventassero, oltre che asiatici, culturalmente greci. Questa politica culturale avrebbe dovuto garantire un rapporto empatico fra le classi dominanti e il sovrano, mentre la diffusione della lingua greca in tutta l'Asia avrebbe permesso una maggiore mobilità e uno sviluppo dei commerci. La politica culturale dei Seleucidi consisteva in parte nell'ellenizzazione dei popoli conquistati, in parte nell'assimilazione delle loro particolarità culturali per creare un rapporto empatico. Infatti il centro di tutte queste numerose entità autonome, semi-autonome o non autonome era proprio la figura del sovrano.

Il Sovrano


Moneta di Antioco VI. Si noti come la corona ricordi i raggi solari, stabilendo una analogia fra il sovrano e l'entità divina del sole.
I Seleucidi dovettero immediatamente affrontare il problema di gestire un impero pressoché sconfinato e composto da realtà culturali assai differenti tra di loro. Se le città greche dell'Asia Minore erano abituate ad avere dei governi autonomi, i Mesopotamici al contrario concepivano una regalità divinizzata, mentre i macedoni che abitavano l'impero vedevano nella figura del re principalmente un condottiero. I Seleucidi dovettero dunque far convergere tutte queste esigenze nella propria persona, assumendo numerosi volti a seconda della cultura che vi era trattata: alcuni storici hanno individuato un calzante paragone dei sovrani ellenistici come attori, sempre attenti a interpretare un parte calzante con la cultura dei luoghi dominati. Ad esempio per governare più facilmente la Mesopotamia, i Seleucidi assunsero epiteti e ritualità degli antichi sovrani Babilonesi, creando una sorta di immaginaria continuità fra gli antichi re di Babilonia e se stessi. Un esempio formidabile è quello del completamento del tempio di Ezida ad opera di Antioco Soter: nel cilindro che ci testimonia questa opera del sovrano, troviamo l'immagine di un monarca perfettamente integrato nella cultura babilonese, che ne diventa anzi protettore e continuatore. Allo stesso modo il re, più che cercare di farsi riconoscere come monarca assoluto dalle città greche, vuole apparire come un protettore, un benefattore, un custode della libertà. Al monarca vengono attribuite caratteristiche divine, saggezza, potenza militare, universalismo: sono proprio le sue straordinarie qualità a renderlo degno di possedere l'impero, un possesso che trova legittimazione nel diritto di lancia: come Alessandro Magno aveva reclamato l'Asia con la forza delle armi, così i sovrani Seleucidi la mantenevano in virtù della loro potenza e ricchezza. Infatti, come nella tradizione macedone, la monarchia ha una forte caratterizzazione militare: il sovrano deve dimostrare continuamente di essere degno del suo status attraverso le imprese militari e combattendo in testa alle truppe; non a caso molti sovrani morirono in combattimento. Il monarca non doveva tuttavia mostrare il proprio potere solo attraverso le armi, ma anche con la magnificenza: grandi parate, sfarzose feste, ricchi donativi ai templi e finanziamenti a grandiose opere pubbliche in tutto il mondo erano i mezzi attraverso i quali il re dimostrava splendore e teneva alto il prestigio del regno.

L'erede al trono e la famiglia reale

Immediatamente dopo il sovrano per importanza viene il suo primo figlio, erede al trono: costui deve accompagnare il padre nelle imprese militari per guadagnare esperienza e abilità: quanto è abbastanza maturo viene fatto co-reggente e investito della dignità di viceré delle province orientali, garantendo così non solo un controllo più attento dei territori ma anche una successione armoniosa. Seleuco Nicatore iniziò questa tradizione facendo prima comandare a suo figlio l'ala sinistra del suo esercito nella battaglia di Ipso, poi nominandolo viceré delle province orientali. Così fece lo stesso Antioco con suo figlio Seleuco, che tuttavia si ribellò e fu ucciso. Anche Antioco III fece guidare a suo figlio Antioco il prestigioso corpo dei catafratti e più tardi lo nominò ancora viceré delle province imperiali. In generale, tutti i figli del sovrano venivano investiti di cariche importanti, come Seleuco IV che durante il regno del padre amministrò la Tracia; anche la regina aveva un ruolo importante nell'amministrazione, soprattutto quando il re era impegnato in campagne militari.

Filoi e gli etnarchi

Sotto la famiglia reale vi erano tutte quelle figure che avrebbero formato la classe dominante dell'impero, ovvero i Filoi, gli "amici" del re. Questi burocrati potevano avere compiti molti variegati: dall'amministrare satrapie e province, alla diplomazia, fino a ricoprire la carica di ufficiali militari. Un esempio è quello di Zeusi, amico d'infanzia di Antioco il Grande, che partecipò alla spedizione contro Molone in qualità di generale, divenne poi satrapo delle Lidia, comandò la falange Seleucide durante la battaglia di Magnesia e si occupò più tardi delle trattative di pace. Altre cariche erano quelle di governatore, primo ministro e tesoriere. Questa variegata e flessibile classe dirigente avrebbe permesso di controllare efficientemente l'impero, disponendo anche di una grande libertà d'azione rispetto al governo centrale. Oltre ai paggi reali, che erano allevati a corte assieme al sovrano, i filoi potevano essere anche stranieri volenterosi di offrire i propri servigi. Un esempio famoso è quello di Annibale, che sotto Antioco il Grande amministrò la Fenicia e divenne ammiraglio di una flotta Seleucide. Come già accennato, altre zone erano invece affidate a etnarchi dipendenti dal governo centrale.

Economia

Il regno Seleucide si trovava in una fortunata posizione geografica: il suo territorio comprendeva gran parte della via della seta, le strade reali persiane e molte delle rotte commerciali che conducevano i prodotti orientali in occidente: questo permise alla dinastia di accumulare una enorme prosperità. Sotto il governo Seleucide, grazie all'accorta amministrazione del re e dei suoi ministri, la Siria aumentò enormemente la propria popolazione e divenne una terra straordinariamente prospera: la cosiddetta Tetrapoli siriana, ovvero il quadrangolo costituito dalle quattro città di Antiochia sull'OronteSeleucia di PieriaLaodicea sul mare e Apamea, divenne forse la regione più ricca del mondo conosciuto. La straordinaria prosperità di cui l'Asia godette sotto i Seleucidi è testimoniata anche dalla grande fama di sfarzo e lusso di cui godettero i Siriani e i greci di Siria nel mondo romano: non di rado gli eserciti Seleucidi sono descritti come magnifici, dotati di armi impreziosite con metalli pregiati, come pure le grandi parate a Dafne (fra cui spicca quella di Antioco Epifane) entrarono quasi nella leggenda; non a caso il trionfo dei romani su Antioco il Grande fu definito il più grande e sfarzoso mai avvenuto. Questa grande ricchezza ebbe origine anche dalla mentalità più imprenditoriale dei burocrati greci rispetto al lassismo dei satrapi Achemenidi. Anche l'urbanizzazione dell'Asia e l'efficiente sistema tributario e di tassazione ebbero un ruolo importante nel garantire la prosperità dell'impero. I Seleucidi riuscirono dunque a creare forme di governo durevoli ed efficienti che furono certamente alla base della grande potenza militare dell'impero. Le originali soluzioni amministrative consentirono alla dinastia di governare eccellentemente un impero vasto e multietnico, che avrebbe avuto una vita molto più lunga se i romani non avessero prematuramente mandato in crisi l'impero prima con la sconfitta della guerra siriaca e poi mantenendo il regno in uno stato di costante guerra civile.

Ritratto di un giovane principe seleucide, II secolo a.C.

L'esercito seleucide

Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Esercito seleucide.
I Seleucidi furono in grado di schierare eserciti molto potenti. A Raphia, per esempio, avevano radunato ben 62.000 fanti, 6.000 cavalieri (2.000 iranici, 2.000 siriani e 2.000 Galati mercenari) e 102 elefanti indiani. Il nerbo di queste forze era la falange, formata da 20.000 pezeteri e 10.000 falangiti scelti (Argiraspidi). Le truppe erano di nazionalità molto variegata: per esempio, c'erano 5.000 mercenari greci, 10.000 guerrieri arabi, 3.000 Lidi, 3.000 Cilici, 19.000 Macedoni, 8.000 Persiani, 2.000 Medi, 2.000 Dahi, 3.000 Cretesi, 2.000 Carmani e 2.000 Cissi. La città di Apamea - racconta Strabone (XVI, 2) - aveva scuderie, costruite sempre da Seleuco, per 30.000 giumente, 3.000 cavalli e 500 elefanti. Giustino (XLI, 5-7) racconta che nel 209 Antioco partì da Ecbatana con 100.000 fanti e 20.000 cavalieri, dando il via ad una grande campagna militare a Hecatompylos (Sharud), attraverso Rhagai e le Porte Caspie. L'esercito di Antioco, nella battaglia nella pianura frigia del 190 a.C. contro i Romani (in cui Annibale svolse il ruolo di consigliere[1]) mise in campo 60.000 fanti e 12.000 cavalieri.

Note

  1. ^ Poco dopo la battaglia di Zama del 202 a.C. era stato costretto all'esilio e si era rifugiato da Antioco.

Bibliografia

Voci correlate

giovedì 9 marzo 2017

La Siria nell'Impero di Alessandro Magno e dei Diadochi

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Gli ultimi anni della dinastia achemenide furono segnati da debolezza e decadenza. Il potente e immenso impero collassò in soli otto anni sotto i colpi infertigli dal giovane re dei MacedoniAlessandro Magno.
La debolezza della Persia si svelò ai greci nel 401 a.C., quando Ciro il giovane, secondogenito di Dario II e satrapo di Sardi, ingaggiò diecimila mercenari greci per rafforzare le sue pretese al trono imperiale, occupato dal fratello maggiore Artaserse II, riuscendo ad arrivare a Cunassa vicino a Babilonia, dove morì in battaglia: questi fatti sono narrati ne l'Anabasi di Senofonte. Ciò rivelò non solo la debolezza militare ma anche l'instabilità politica degli ultimi anni del periodo achemenide.
Filippo il Macedone, padrone di gran parte della Grecia, e suo figlio Alessandro decisero di approfittare di questa situazione. Dopo la morte di Filippo, Alessandro portò il suo esercito in Asia Minore nel 334 a.C., e si impossessò rapidamente di LidiaFenicia ed Egitto, sconfisse i Persiani di Dario III ad Isso e conquistò la capitale dell'impero, Susa. Dopo aver debellato le ultime resistenze, l'impero Persiano cadde così definitivamente nelle sue mani.
Lungo il suo percorso di conquista, Alessandro fondò numerose città, tutte chiamate "Alessandria". Nei secoli successivi queste città furono i centri da cui si irradiò in Oriente la cultura greca, processo che viene detto ellenismo.
L'impero di Alessandro si frantumò subito dopo la sua morte, suddiviso tra i suoi generali, i cosiddetti Diadochi, ma la Persia rimase sotto il controllo dei greci. La Siria spettò inizialmente ad Antigono Monoftalmo, ma cadde ben presto sotto il dominio di Seleuco, fondatore della dinastia dei Seleucudu

La Siria come provincia dell'Impero Persiano Achemenide

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Dopo la caduta del regno degli Assiri, i Medi ne prendono il posto, regnando su una parte molto estesa dei territori assiri, e dominando una grande varietà di genti tra cui vi erano i Persiani, fino all'avvento di Ciro il Grande (Kuruš).
La prese di potere dei Persiani avvenne quando Ciro radunò tutti i clan sotto il suo comando, e nel 550 a.C. sconfisse i Medi di Astiage, il quale fu catturato dai suoi stessi nobili e consegnato a Ciro, ora shah, o imperatore, di un regno persiano unificato. Dopo aver assunto il controllo sul resto della Media e del suo esteso impero medio-orientale, Ciro condusse i Medi e i Persiani uniti verso ulteriori conquiste. Sottomise la Lidia in Asia Minore, e varie regioni orientali in Asia centrale. Infine nel 539 a.C., Ciro entrò trionfante nell'antica città di Babilonia. Dopo la sua vittoria, promise pace ai Babilonesi e annunciò che non vi sarebbero state rappresaglie, e che ne avrebbe rispettato le istituzioni, la religione e la cultura. Ciro fu ucciso in battaglia in Asia centrale, prima di poter compiere la conquista dell'Egitto, che fu portata a termine da suo figlio Cambise. Quest'ultimo venne assassinato e dopo il regno di un presunto usurpatore, divenne il Gran Re un parente di una linea collaterale degli achemenidi, Dario I, figlio di Istaspe. Sotto Dario I l'impero achemenide raggiunse la massima estensione: si spingeva infatti fino all'Indo ad est e fino alla Tracia ad ovest. Dario cercò di conquistare la Grecia, ma la sua spedizione fu sconfitta nella battaglia di Maratona. Suo figlio Serse I ritentò l'impresa, ma fu respinto dai greci, guidati da Temistocle, vittoriosi dopo la battaglia di Salamina (480 a.C.).
L'impero achemenide fu il più grande e potente impero mai visto fino ad allora. Ancora più rilevante, esso fu ben governato ed organizzato. Dario divise il suo impero in una ventina di satrapie (province), ognuna amministrata da un satrapo (governatore), molti dei quali avevano legami personali con lo shah, essendo per la maggior parte parenti del Gran Re. Istituì un sistema di tributi per tassare ogni satrapia, adottò e migliorò il già avanzato sistema postale assiro e costruì la famosa Strada Regia, collegando tra loro gli estremi dell'impero. Spostò l'amministrazione centrale da Persepoli a Susa, più vicina a Babilonia e al centro del regno. I Persiani furono tolleranti verso le culture locali, seguendo il precedente instaurato da Ciro il Grande, atteggiamento che ridusse notevolmente le rivolte dei popoli soggetti. Un esempio rilevante di questo atteggiamento tollerante fu il permesso dato nel 537 a.C. da Ciro agli ebrei (che erano stati deportati dai babilonesi in seguito all'esilio e alla distruzione di Gerusalemme), di tornare in Palestina e di ricostruire l'ormai distrutto tempio di Gerusalemme, evento profetizzato secoli prima dal profeta ebreo Daniele.
Durante il periodo achemenide, lo zoroastrismo divenne la religione dei sovrani e della maggioranza dei Persiani. Il suo fondatore Zoroastro visse intorno al 600 a.C. e riorganizzò il pantheon tradizionale nella direzione del monoteismo, enfatizzandone gli aspetti dualistici della lotta eterna tra il Bene e il Male, in attesa della battaglia finale ancora da venire. Lo Zoroastrismo sarebbe diventato, così come le pratiche misteriche della tribù dei Magi, un tratto caratteristico della cultura persiana.
La Persia achemenide riunì per la prima volta nella storia sotto un'unica guida popoli e regni molto diversi tra loro, che furono in contatto l'uno con l'altro entro i confini di un territorio vastissimo.
L'Impero achemenide stabilì inediti principi di diritti umani nel sesto secolo a.C. sotto Ciro il Grande. Dopo la sua conquista di Babilonia nel 539 a.C., il re promulgò il cilindro di Ciro, scoperto nel 1878, e oggi riconosciuto da molti come il primo documento sui diritti umani. Il cilindro dichiarava che ai cittadini dell'impero sarebbe stato permesso di praticare la loro religione liberamente. Aboliva anche la schiavitù, così tutti i palazzi dei re di Persia erano costruiti da lavoratori pagati in un'epoca di largo uso della manodopera servile. Queste due riforme trovano conferma nei libri biblici delle CronacheNeemia, e Esdra, che stabiliscono che Ciro liberò due seguaci dell'ebraismo dalla schiavitù e gli permise di fare ritorno alla loro terra. Il cilindro attualmente è conservato al British Museum, e una replica è conservata al Quartier Generale delle Nazioni Unite.
Nell'Impero achemenide, ai cittadini di tutte le religioni e gruppi etnici venivano concessi gli stessi diritti, e le donne avevano gli stessi diritti degli uomini. Il cilindro di Ciro documenta inoltre la protezione dei diritti di libertà e sicurezza, libertà di movimento, il diritto alla proprietà e diritti economici e sociali.

Le origini della Siria come parte occidentale dell'Impero Assiro

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Il nome Siria deriva da Assiria e stava ad indicare la parte occidentale dell'Impero Assiro nella sua prima espansione. Comprendeva le zone costiere del Mediterraneo tra Tarso e la Fenicia (esclusa) e si estendeva fino a Damasco.
In precedenza quella zona era stata abitata da numerosi popoli, in particolare gli Aramei, dalla cui fusione con gli Assiri derivò il primo nucleo del popolo siriano.
Con la successiva espansione dell'Impero Assiro, la Siria inglobò anche la Fenicia, corrispondente all'attuale Libano e si estese fino ai confini dei regni di Israele e Giuda.
Successivamente fu parte del Secondo Impero Babilonese e poi divenne una satrapia dell'Impero Persiano.

L'Isis si sta disgregando: Raqqa, Mosul e la valle dell'Eufrate stanno per essere liberate



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Sia in Iraq che in Siria lo Stato Islamico sta crollando. Da sud avanzano gli eserciti regolari del governo iracheno e di quello siriano (quest'ultimo supportato dall'esercito russo e dai gruppi armati scitti filo-iraniani). Da nord avanzano i Curdi, con il supporto di truppe speciali degli Stati Uniti, i cui marines sono entrati ufficialmente nello scenario bellico per sferrare il colpo definitivo all'Isis e al suo califfo Al-Baghdadi.
Le azioni si stanno concentrando nelle valli dell'alto Tigri e dell'alto Eufrate, in particolare intorno alle due capitali dell'Isis, Raqqa in Siria e Mosul in Iraq.
Mosul è circondata: la parte orientale è già stata liberata, la parte occidentale ha ceduto vari quartieri e la sua caduta è questione di giorni, forse solo di ore.

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Su Raqqa sta per essere sferrato l'attacco decisivo da parte delle truppe curdo-statunitensi.
Questa operazione ha un valore fortemente simbolico, dal momento che Raqqa è considerata la capitale dell'Isis ed è la sede del suo governo.
Queste vittorie contro il Daesh sono state rese possibili da una collaborazione tra gli schieramenti che fino a pochi mesi fa si facevano la guerra tra loro, specialmente in Siria.
Bisogna prendere atto che la nuova amministrazione americana di Trump ha reso più agevole un accordo informale, ma pragmaticamente efficace con la Russia di Putin, tramite un filo diretto che ha collegato la conferenza di pace di Ginevra con quella di Astana.
Di fatto l'accordo prevede, a livello tattico, i seguenti punti:
1) La suddivisione delle aree di competenza militare all'interno della Siria: a nord dell'Eufrate c'è l'area di competenza curdo-statunitense, a sud l'area di competenza siriano-russa.
2) Il blocco dell'avanzata turca da nord, con la suddivisione del territorio curdo di Manbji in due zone militari: una russo-siriana, a stretto contatto con quella turca, e una curdo-statunitense nella città stessa di Manbji, che era stata apertamente dichiarata dallo stesso Erdogan come "prossimo obiettivo dell'operazione Scudo dell'Eufrate". L'accordo russo-statunitense ha bloccato le ambizioni di Erdogan, che dovrà trovare un altro modo per tenere impegnato il suo inquieto esercito.
3) La cooperazione di tutte le forze in campo per la sconfitta definitiva dell'Isis
Certo la guerra non finirà con la caduta dello Stato Islamico, perché la Siria è comunque frammentata in un mosaico di zone di influenza sotto il controllo di numerosi gruppi armati che riprenderanno a combattersi per ragioni etniche, religiose e geopolitiche molto complesse.
L'Isis non è infatti l'unico gruppo terrorista operante in Siria.
C'è anche il Fronte Al-Nusra, che pur avendo cambiato nome ed essendosi mascherato dietro alleanze con altri gruppi del Fronte Islamico sunnita, resta comunque un'organizzazione terroristica e jihadista di stampo fondamentalista islamico facente capo ad Al-Qaeda.
E' possibile che, all'interno dei territori controllati dalle forze che vogliono rovesciare il presidente siriano Assad, possa avvenire una resa dei conti, approfittando della tregua in corso.
Nei pressi di Idlib, capoluogo del Fronte Islamico, c'è stato uno scontro tra il gruppo Tharir al-Sham, guidato da Al-Nusra, e il gruppo Ahrar al-Sham, che pur professando un islamismo fondamentalista sunnita e jihadista di matrice salafita e wahabita, rifiuta però l'affiliazione ad Al-Qaeda e i metodi terroristici basati sugli attentati (per questa ragione tale gruppo rientra nell'ambigua coalizione dei cosiddetti "ribelli moderati", che non sono affatto moderati, ma che risultano, per ora, meno feroci degli altri).

Russia e Stati Uniti collaborano per fermare l'avanzata turca contro i Curdi siriani

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Continua, nel nord della Siria, una guerra fra tre schieramenti per il controllo della riva sinistra dell'Eufrate, nella zona del distretto di Mambji Hierapolis Bambyce.
Tre schieramenti a cui appartengono 4 stati sovrani e 2 gruppi etnici e religiosi.
Il primo schieramento, quello che detiene la sovranità legale del territorio, fa capo al legittimo governo della Siria e al suo alleato strategico, la Russia, ed è indicato in rosa.
Il secondo schieramento fa capo alla Turchia, che ha di fatto invaso il nord della Siria, con l'operazione Scudo dell'Eufrate, per schierarsi a fianco dei gruppi jihadisti che con un ridicolo eufemismo sono chiamati "ribelli moderati" e che invece sono fondamentalisti islamici legati ad Al-Qaeda. La zona controllata da questo schieramento è contrassegnata in verde.
Il terzo schieramento fa capo agli Stati Uniti (con il supporto di Gran Bretagna e Francia) ed è intervenuto per affiancare i Curdi Rojava dell'YPG nella guerra contro l'Isis, arrivando ad assediare la loro capitale, Raqqa. La zona controllata da questo schieramento è contrassegnata in giallo.
Il punto di maggiore contesa tra questi tre schieramenti è la provincia di Manbji, dove, al fine di evitare un'offensiva turca, gli altri due gruppi si sono divisi le zone da difendere.
I russo-siriani difendono la zona ovest, a diretto contatto con i Turchi.
Gli americano-curdi presidiano Manbji e la zona orientale fino all'Eufrate.
In queste ore si stanno tenendo in Turchia colloqui tra i rappresentati delle parti in causa per evitare che questo conflitto si infiammi.
Il grafico qui sotto rappresenta la complessa rete di rapporti tra le parti in causa.
Bisogna tenere presente che la situazione è in continuo mutamento e che i gruppi jihadisti ed islamisti cambiano spesso nome, raggruppamento di appartenenza e coalizione, arrivando anche a combattersi tra loro, contrariamente all'idea che i mainstream media vorrebbero propagandare riguardo ad una presunta unità delle opposizioni armate al governo siriano.
Per esempio il Fronte Al-Nusra, che è una vera e propria organizzazione terroristica saldamente legata ad Al-Qaeda e comandata dall'autoproclamato emiro di Idlib, Abū Muḥammad al-Jawlānī  ha cambiato nome in Jabhat Fateh al-Sham ("Fronte per la conquista del Levante") e il 26 gennaio 2017, il gruppo si è fuso con quattro formazioni minori, assumendo il nome Hayat Tahrir al-Sham ("Organizzazione per la liberazione del Levante").
La motivazione è quella di confondere gli osservatori internazionali, evitando di essere chiaramente riconosciuta come organizzazione terroristica.
Inoltre gli jihadisti di Aḥrār al-Shām (in arabo: أحرار الشام‎, che significa "Uomini liberi della Grande Siria") gruppo islamista siriano che raduna varie formazioni minori d'impronta ideologica islamista e salafita, che formarono all'incirca una brigata, è confluito all'interno del Fronte Islamico, il quale a sua volta si nasconde dietro la bandiera falsamente democratica dell'Opposizione siriana.

mercoledì 8 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 42. Diana Orsini diventa nonna

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In un ritratto a olio del 1969, all'età di 56 anni, Diana Orsini Balducci, Contessa di Casemurate, dimostrava ancora grande fascino e attrattiva, anche se due anni prima era diventata nonna.
L'arrivo del primo nipote è sempre un evento che segna uno spartiacque nella vita di una persona.
Nel caso di Diana Orsini si trattò di uno spartiacque completamente positivo, perché il rapporto che la legò ai suoi numerosi nipoti e pronipoti fu così speciale che continuò a vivere nella memoria e nell'immaginario di ognuno di loro per molto tempo, assumendo a lungo andare quei contorni mitici che erano presenti in embrione nella storia romanzesca di una famiglia a cui ci si sentiva fieri di appartenere.
Il primo nipote di Diana ed Ettore Ricci si chiamava Fabrizio Spreti, ed era nato nel 1967 dal matrimonio di Margherita Ricci-Orsini con Ercole Spreti, proprietario terriero e fratello minore del marchese Vittorio Spreti di Serachieda.
I due si erano sposati nel giugno del 1965, presso la Chiesa di Pievequinta, come tradizione di famiglia, ma la festa si era tenuta a Villa Spreti, per sancire l'alleanza tra le due nobili casate che per secoli si erano contese il controllo della Contea di Casemurate.
Margherita ed Ercole andarono a vivere in una tenuta che era parte del Feudo Spreti, convalidando così, anche dal punto di vista residenziale ed economico, l'alleanza degli Spreti con i Ricci-Orsini, che si concretizzò poi con la creazione di una Società in Accomandita Semplice per la gestione del Latifondo, la cui amministrazione fu affidata ad Ettore Ricci.
Per Ettore fu il coronamento di una scalata sociale che durava da una vita.
Diana aveva assistito a quel matrimonio con un senso di liberazione.
Si chiudeva infatti un ciclo, iniziato trent'anni prima con le sue stesse nozze.
Allora si era trattato di sacrificarsi per salvare la famiglia dalla rovina economica.
Ora, dopo decenni di sofferenze, si raccoglievano i frutti benefici di quel sacrifico.
I Ricci-Orsini erano al centro di una rete di alleanze che estendeva la loro influenza ben oltre i confini angusti della Villa, del Feudo e della Contea, e c'era più bisogno di ricorrere alla decrepita Signorina De Toschi per ottenere una raccomandazione, di cui peraltro, all'epoca, non avevano nemmeno bisogno.
Ai tempi in cui fu dipinto il ritratto, le tre figlie di Diana ed Ettore erano ormai adulte e con una loro vita.
Margherita aveva dato alla luce Fabrizio, Silvia si era laureata e Isabella si era fidanzata.
Ettore era completamente assorbito dal lavoro e non si prendeva nemmeno più la briga di nascondere le sue avventure extraconiugali.
La vecchia Contessa Madre Emilia aveva trovato un suo equilibrio, passando il tempo nel Salotto Liberty ad assaporare i suoi vini pregiati e i suoi pasticcini, leggendo romanzi rosa e riviste di gossip: diventò una simpatica vecchietta e una bisnonna molto divertente per i suoi tanti pronipoti che ancora ricordano i giorni in cui porgeva loro biscotti burrosi intinti nel rosolio.
Questa fu una sorta di età dell'oro, non tanto per il primo nipote, che forse portava con sé la responsabilità gravosa dei primogeniti, quanto piuttosto per gli altri che vennero in seguito, soprattutto per quello più giovane, che sarebbe nato dieci anni dopo, e che fu senza dubbio il più amato, e protetto e coccolato da tutta la famiglia
Molto tempo dopo, quel nipote più giovane, divenuto adulto, si sarebbe chiesto se fosse possibile essere stati troppo amati, troppo coccolati, forse troppo felici...
Si sarebbe anche chiesto, quel nipote più giovane, quando non era più giovane, se fosse un atto di orgoglio scrivere di sé in terza persona, come Cesare.
Forse di questo, e di altri atti di orgoglio, avrebbe chiesto perdono, pur senza conoscere mai la risposta.
Ma se c'è un'attenuante, nel voler rievocare da lontano certe vicende dai contorni romanzeschi, i cui protagonisti sono morti o hanno raggiunto la vecchiaia, è per l'intima convinzione che gran parte di ciò che sarebbe accaduto in seguito a chi scrive, affondava le sue radici nella storia di tante persone, le cui vite, quasi parallele, avevano finito per incontrarsi tutte in un unico punto e cioè lo stesso scrivente.
Tutti quei personaggi continuavano a vivere e a discutere e ad agitarsi dentro di lui.
E se c'era la percezione di far parte di qualcosa di grande, di speciale, quasi come se si stesse vivendo dentro a un film, ciò era dovuto al fatto che tante persone così straordinarie non potevano incrociare le loro vite senza lasciare un segno che, nel bene o nel male, sarebbe rimasto indelebile nella memoria di molti.
E dunque il romanzo di questi personaggi e delle loro vite quasi parallele, trovando un autore in colui che per molto tempo fu il più giovane della stessa loro discendenza, deve continuare, affinché sia fatta luce su tutti gli eventi straordinari che seguirono, perché se è vero che la pace in famiglia era tornata, è anche vero che non sarebbe durata per sempre.

martedì 7 marzo 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 41. Gli anni universitari di Francesco Monterovere

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La generazione che ha avuto vent'anni negli Anni Sessanta del Ventesimo Secolo è stata, sotto molti aspetti, baciata dalla Fortuna.
Dopo un'infanzia che li aveva temprati nei rigori del dopoguerra e nell'ultimo persistere di una tradizione educativa millenaria di stampo patriarcale e conservatore, si erano affacciati all'adolescenza negli anni del Miracolo Economico, ed erano approdati alla giovinezza in un momento in cui c'erano grandi opportunità di lavoro.
Per le generazioni successive avvenne il contrario, e in parte anche perché la generazione di coloro che erano stati giovani negli anni '60 si era presa tutto e aveva lasciato terra bruciata.
Come andarono esattamente le cose per i coetanei di Francesco Monterovere?
Erano divenuti giovani adulti nel periodo in cui nasceva la Società dei Consumi, col suo sottofondo rock e pop proveniente dal mondo anglosassone, allo stesso modo dei film e di tutto un immaginario collettivo che nel giro di pochi anni liquidò come provinciale e grezzo tutto ciò che c'era stato prima.
Di fronte a questo cambio di paradigma, ognuno poteva reagire a modo suo, ma era molto difficile poter resistere alle tentazioni di quel facile paradiso edonistico.
Questa era la situazione generale nel periodo in cui, tra il 1959 e il 1964, Francesco Monterovere fu studente universitario
Si trattava quindi di un periodo antecedente alla Contestazione del 1968, quando ormai Francesco era già divenuto insegnante e quindi era passato "dall'altra parte della cattedra".
Fosse nato qualche anno più tardi, la probabilità di diventare un perfetto sessantottino sarebbe stata molto elevata. Per sua fortuna non fu così.
Era un ribelle, sicuramente, ed era pieno di sogni e di desideri, ma non fu mai (e questo gli fa onore) uno schiavo delle mode consumiste che in quegli anni conquistavano il popolo italiano con molta più efficacia di un'invasione militare.
Bastano alcuni esempi per rendere l'idea.
Conosceva la musica leggera, ne apprezzava alcuni interpreti a lui coetanei, ma prediligeva la musica classica, appresa negli anni in cui aveva studiato il pianoforte.
Grazie ad una certa Leonia Lanni, cugina di sua madre, che lavorava in teatro, Francesco aveva i biglietti gratis, in un periodo in cui i teatri erano ormai semi-deserti, e questo gli permise di assistere alle performance di grandi attori e alla rappresentazione di opere liriche, e pertanto, in seguito, di avvicinarsi al cinema con una maggiore attenzione verso i film qualitativamente più interessanti.
Si portava dietro il fratello Lorenzo e poi, finito lo spettacolo, cenavano dalla zia Anita, con cui commentavano con spirito critico le varie rappresentazioni.
Il salotto di Anita Monterovere era un centro culturale rilevante, nella Faenza di quegli anni, dove si incontravano relitti del passato ancora intrisi delle emozioni della Belle Epoque e giovani promesse proiettate verso la Contestazione, forti delle letture degli Esistenzialisti e della Scuola di Francorforte.
Quando, molto tempo dopo, Francesco Monterovere creò, insieme alla futura moglie Silvia Ricci-Orsini, un Salotto ancora più brillante, nella vicina Forlì, la vecchia zia Anita se ne ebbe a male, sentendosi completamente surclassata, superata e datata, e ne diede la colpa alla giovane sposa del nipote e alla sua onnipresente e aristocratica famiglia.
Si stavano creando, senza che nessuno potesse anche solo immaginarlo nelle fantasie più sfrenate, le premesse di quello che sarebbe stato un poema tragicomico dagli esiti esplosivi.
Ma non dobbiamo precorrere i tempi: all'epoca Francesco non era ancora pronto per innamorarsi, ma già stava sperimentando i rapporti con il gentil sesso, se ci è consentito usare ancora questa formula che oggi può apparire desueta e persino politicamente scorretta.
Con qualche soldo che gli veniva passato sottobanco dalla nonna paterna Eleonora e dal nonno materno, l'ingegner Lanni, Francesco aveva potuto permettersi una iniziazione al sesso presso discrete "signorine" di Bologna che, dopo l'approvazione della Legge Merlin (1958) che chiudeva le case di appuntamento, si erano messe ad esercitare la professione di "massaggiatrici" in proprio.
E qui vale la pena raccontare una curiosa circostanza, riguardante una di queste gentili ragazze bolognesi che, pur avendo grandi aspirazioni per il futuro, dovevano cercare di arrotondare qualche spicciolo per il presente. Si faceva chiamare Roberta, ma era il suo secondo nome. Per vie traverse Francesco apprese poi il nome vero e completo, Raffaella Pelloni. 
Pochi anni dopo, con grande sconcerto, la vide riapparire in televisione con i capelli biondi a caschetto e col cognome d'arte di Carrà.
E che questo rimanga fra noi!
Tra i compagni di studi, presso la facoltà di Matematica e Fisica, aveva fatto amicizia con due fratelli, Ruggero e Claudio Rossi, con cui condivise le esperienze goliardiche tipiche degli studenti fuori sede a Bologna.
Essendo pendolare tra Faenza e Bologna, non poté assistere a tutte le lezioni, né partecipare alla vita notturna, a meno che qualche amico non lo ospitasse, ma ebbe il vantaggio che gli derivava dalla capacità di prepararsi in pochi giorni per gli esami, con ottimo esito, lasciandogli molto tempo libero.
Superata la fase della ribellione fine a sé stessa, si taglio i capelli proprio quando gli altri incominciavano a farseli crescere.
Attraversò, come tutti i ventenni dotati di una certa intelligenza e sensibilità. un periodo di crisi interiore, fatta di dubbi e ripensamenti, dalla quale uscì rafforzato e pronto ad affrontare la laurea e il mondo del lavoro.