venerdì 11 dicembre 2020

Vite quasi parallele. Capitolo 99. Il Leone in Inverno


Il suo corpo martoriato, la sua casa fatiscente, la sua azienda colpita al cuore, la sua Contea sconfitta: questo era bilancio che Ettore Ricci si trovò davanti quando finalmente, dopo interminabili mesi di ospedale, riuscì a tornare a Casemurate, nel dicembre del 1990.
Cosa restava, dopo una vita di lavoro, di sacrificio, ma anche di ambizione e di desiderio?
Un cumulo di macerie.


Ma Villa Orsini era decorata con le luminarie di Natale, e la famiglia al completo lo attendeva come un re ferito in battaglia e tornato per l'ultima volta nella sua patria, a morire.
Ettore sapeva che quello sarebbe stato il suo ultimo Natale.
Diana lo aspettava sulla soglia, come la fata Morgana che accoglie Artù morente nell'isola di Avalon, da dove un giorno tornerà, secondo la speranza dei Bretoni, la speranza vana...
Accennò un mezzo sorriso, mentre sua figlia Silvia lo faceva accomodare sulla sedia a rotelle, il regalo natalizio che mai avrebbe pensato di poter gradire.
Tutta la sua famiglia era lì, il clan Ricci-Orsini al completo, riunito per l'ultima volta nella sua interezza, per onorare il patriarca e nel contempo prendere congedo da lui.
Lo guardavano come se fosse già morto, come avessero davanti una statua o un fantasma, ma la realtà era ancora peggiore: ciò che vedevano era un relitto.
Di fronte all'improvvisa coscienza del fatto che ormai tutto si era compiutoEttore non poté fare a meno di provare quel senso di rimpianto tipico di coloro che, soltanto in extremis rebus, si rendono conto di aver dedicato troppo tempo a cose vane e troppo poco a tutto il resto.
La vita è ciò che accade mentre noi pensiamo ad altro.
Quante cose si era perso!
Pensò ai luoghi che non avrebbe visto mai, ai viaggi che avrebbe voluto fare con Diana, ed aveva sempre rimandato, perché c'erano questioni più urgenti,  a come sarebbero diventati i suoi nipoti da adulti e a come sarebbe stato bello poter conoscerli meglio...
Non aveva saputo apprezzare abbastanza ciò che già era suo, affannandosi sempre a desiderare qualcosa di più.
Gli anni erano trascorsi veloci, rincorrendosi freneticamente come falene intorno al lume della sua vita, un fuoco che aveva scottato tutti coloro che si erano avvicinati troppo. 
Ed ora quel fuoco si stava spegnendo...
Ma c'era quell'ultimo Natale, quell'ultima occasione per stare con i suoi cari.
Si concentrò sul momento presenteperché alla fine aveva compreso che il presente è l'unica cosa che abbiamo, l'unica occasione sicura per fare ciò che va fatto, finché siamo in tempo, finché ne abbiamo le forze, finché ne abbiamo la possibilità.
Un giorno anche suo nipote Roberto avrebbe imparato quella lezione, quando però gran parte delle occasioni più importanti erano andate perdute irreparabilmente.



Le questioni pratiche erano già state sistemate, in un modo o nell'altro.
Aveva saldato i debiti col Fisco e aveva fatto testamento in maniera scrupolosa, discutendolo con i familiari.
La Villa Orsini e un terzo del Feudo sarebbero andati in eredità a Diana Orsini, che per la prima volta in vita sua sarebbe diventata proprietaria di ciò che un tempo era stato dei suoi antenati.
I rimanenti due terzi del Feudo Orsini dovevano essere ripartiti tra le figlie di Ettore e Diana.
Il Consiglio di Amministrazione sarebbe stato composto nella maniera seguente: Presidente Diana Orsini Balducci di Casemurate, Vicepresidente e Amministratore Delegato Amilcare Spreti di Serachieda, Tesoriere e Direttore Generale Saverio Zanetti Protonotari Campi, Consiglieri con diritto di voto e gettone di presenza gli altri soci: Francesco Monterovere, Adriana Ricci, Carolina Gagni di Montescudo, Maria Teresa Tartaglia, Cassio Baglioni detto "la Marmotta", Sebastiano Luciani detto "Bastcianò" e altri due eventualmente nominati dalla Bancaccia e dai soci di minoranza.

Signoria Rurale medievale


Erano tempi di crisi economica per tutti. 
Una volta Roberto gli aveva chiesto: <<Stiamo per fallire?>> ed Ettore aveva risposto <<Ti stai ponendo la domanda sbagliata>> E allora il nipote gli aveva chiesto <<Quale sarebbe la domanda giusta?>> Ettore aveva abbozzato un mezzo sorriso, con la mezza faccia non paralizzata: <<La domanda giusta, mio caro ragazzo, è : "Chi non fallirà?">>
Roberto non capiva: <<Cosa intendi dire?>>
Il vecchio allora allora alzava l'indice della mano buona, toccandosi la tempia e ruotando il dito orizzontalmente: <<Dicono che sei intelligente, e allora usalo quel cervello! La crisi ci mostra subito chi detiene il potere reale e qual è il suo disegno: chi ci guadagna, chi viene salvato e chi viene sacrificato. E poi c'è chi deve imparare a rimanere a galla da solo, senza più aiuti e salvagenti>>
Roberto comprese:
<<E questi siamo noi>>
Il vecchio gratificò il nipote con un mezzo sorriso:
<<Oh, ecco il mio ragazzo!>>






Ogni tanto Ettore rimaneva in silenzio, e contemplava sua moglie, chiedendosi se alla fine fosse riuscita davvero ad amarlo.
Non avevano più parlato del processo. Lei aveva testimoniato a suo favore con grande convinzione.
Ma lo aveva fatto per salvare lui o per salvare l'onore e il patrimonio della famiglia?
Tante volte avrebbe voluto parlarle liberamente di tutto ciò che per una vita intera non si erano detti. Ma quelle parole rimasero sempre e soltanto nel pensiero.
"Diana, gli occhi tuoi pieni e lucenti mi hanno incantato un pomeriggio lontano più di cinquant'anni fa. 
Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea delle malefatte che un uomo di potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo della sua azienda e della sua famiglia.
Per troppi anni, nel Feudo Orsini, il Potere sono stato io. 
Io, con la mia mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te.
 Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità...
 La responsabilità diretta o indiretta per tutte le malefatte che sono state commesse sotto questo tetto dal 1935 in avanti.
La responsabilità nell'aver permesso che un folle, di sua iniziativa, eliminasse chiunque poteva costituire una minaccia per il nostro sistema di potere.
Sì, io avrei potuto fermare Michele e non l'ho fatto. Questo mi rende suo connivente.
Pertanto ho sulla coscienza la vita di un numero di persone maggiore persino di quello che la gente pensa.
Isabella, Arturo, il Conte Achille avvelenato, Federico, mio fratello Oreste che voleva confessare troppe cose alle autorità in cambio della salvezza finanziaria, tutti loro, per vocazione o per bisogno, irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. 
Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e io non potevo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. 
"
Questi pensieri, che lo terrorizzavano, non li aveva confessati a nessuno, nemmeno ai sacerdoti che più volte gli avevano somministrato l'Estrema Unzione.

Ettore Ricci si spense un mese dopo, nel sonno, all'età di 81 anni.
Fu castigo o fu misericordia?
A Roberto piacque pensare che in fondo, alla fine, suo nonno avesse trovato la pace.
I funerali si tennero in forma strettamente privata e la notizia della morte venne data solo, come si dice in questi casi, "a esequie avvenute".
Mentre i resti mortali di Ettore Ricci venivano tumulati nella lugubre cappella dei Ricci-Orsini, nel cimitero di Casemurate, "sotto la volta nera", più buia dell'avello dell'Escoriale più istoriata del Mausoleo di Galla Placidia, a Roberto parve che anche la sua lunga e dorata infanzia, in quel preciso istante, fosse stata sepolta definitivamente insieme al nonno.







Poi lo sguardo di Roberto andò verso sua nonna, bellissima e solenne, resa ancora più nobile e distinta dal lutto e dalla saggezza degli anni.
Diana Orsini Balducci, vedova Ricci, diciottesima Contessa di Casemurate, si stagliava come una statua davanti all'abisso.
Il suo volto era immobile, il suo sguardo imperscrutabile, mentre fissava il sepolcro del marito, avvolta nei veli neri del lutto sollevati dal vento.




Che cosa stava pensando del suo defunto marito? Di quel marito che era stata costretta a sposare contro la sua volontà, per salvare l'onore e il patrimonio della famiglia Orsini, e che aveva continuato a difendere a spada tratta fino all'ultimo, tra processi e scandali, sempre per salvare l'onore e il patrimonio della famiglia Orsini!



Diana forse aveva preferito credere che Ettore, pur essendo capace di atti deplorevoli, non fosse un uomo pericoloso
Forse spericolato, questo sì, ma non malvagio.
Diana, come tutti coloro che erano cresciuti con la consapevolezza di doversi dedicare alla conservazione di ciò che era stato loro trasmesso per tradizione e forse per Mandato Celeste, temeva il Caos al di sopra di ogni cosa.
Ed Ettore, sotto molti aspetti, era stato la personificazione del Caos. Ma lei era riuscita a fare in modo che quell'uragano generasse anche energia utile e costruttiva. 
Aveva preferito non sapere la verità, perché ci sono cose nella vita che è meglio non vedere, non sentire, neppure pensare.
Aveva circonfuso la memoria di suo marito in un'aura di mistero.
E questo mistero sarebbe diventato per lei qualcosa da mettere a posto, nella galleria dei ritratti, dove non mancavano gli sguardi oscuri e minacciosi.
E avrebbe conservato tutto questo con la stessa infinita ed eterna devozione nei confronti della sua villa vittoriana fatiscente, della sua antica ed eccentrica famiglia e della sua Contea, meravigliosa e sconfitta: solo così Ettore avrebbe potuto ancora trovare posto tra i "buoni",  ed essere annoverato nella gloriosa compagnia degli illustri antenati di una grande stirpe.

Sulla lapide, per volontà di Diana Orsini, venne inciso il sonetto "Memoria inmortal de don Pedro Girón, duque de Osuna, muerto en la prisión", di Francisco De Quevedo, in spagnolo e con traduzione in italiano

Faltar pudo su patria al grande Osuna,
Pero no a su defensa sus hazañas;
Diéronle muerte y cárcel las Españas,
De quien él hizo esclava la Fortuna.
    Llloraron sus envidias una a una
Con las propias naciones las extrañas;
Su tumba son de Flandes las campañas,
Y su epitafio la sangrienta luna.
    En sus exequias encendió el Vesubio
Parténope, y Trinacria al Mongibelo;
El llanto militar creció en diluvio.
    Diole el mejor lugar Marte en su cielo;
La Mosa, el Rhin, el Tajo y el Danubio
Murmuran con dolor su desconsuelo.

Venir men poté la patria al grande Osuna,
ma non alla difesa le sue imprese;
morte e carcer gli diedero le Spagne,
cui egli schiava aveva fatto la fortuna.
Pianser le loro invidie a una a una,
con la propria nazione le straniere.
Sua tomba son di Fiandra le campagne,
e il suo epitaffio la sanguigna Luna.
S'incendiò per le sue esequie anche il Vesuvio,
Partenope e Trinacria al Mongibello;
il pianto militar crebbe a diluvio.
Di Marte avrà in ciel luogo migliore;
la Mosa, il Reno, il Tago ed il Danubio
mormoran con lamento il lor dolore.


Risultati immagini per entierro del duque de orgaz

Note dell'Autore 
1) Il quadro è "La Sepoltura del conte di Orgaz" (El Entierro del conde de Orgaz), dipinto a olio su tela realizzato nel 1586 da El Greco. È conservato nella Chiesa di Santo Tomé (Toledo), Castiglia, Regno di Spagna.
2) Il monologo di Ettore Ricci è ispirato a quello di Giulio Andreotti nel film "Il Divo" di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo.
3) Il titolo del capitolo si ispira al film Il leone d'inverno (The Lion in Winter) del 1968 diretto da Anthony Harvey, tratto dall'omonima opera teatrale del 1966 di James Goldman, ambientato negli ultimi anni di regno di Enrico II Plantageneto, che riunisce la sua famiglia per ultimo Natale, dovendo constatare però che la moglie Eleonora d'Aquitania e i figli superstiti Riccardo Cuor di Leone, Goffredo di Bretagna e Giovanni Senzaterra, tramano continuamente per impadronirsi del trono e del potere.
Il personaggio di Eleonora fu magistralmente interpretato da Katharine Hepurn, che ottenne così il terzo Oscar.
Nel 2003 fu realizzata una versione televisiva per la regia di Andrei Konchalowskj, con Glenn Close nel ruolo di Eleonora d’Aquitania, la quale per questa interpretazione si aggiudicò il suo primo Golden Globe (categoria “Miglior attrice in una mini-serie o film per la televisione”).



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