Jung scrisse quattro saggi sui Mandala, i disegni rituali buddisti e induisti, dopo averli studiati per oltre venti anni. Secondo Jung, durante i periodi di tensione psichica, figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore. Il simbolo del mandala, quindi, non è solo un'affascinante forma espressiva ma, agendo a ritroso, esercita anche un'azione sull'autore del disegno perché in questo simbolo si nasconde un effetto magico molto antico: l'immagine ha lo scopo di tracciare un magico solco intorno al centro, un recinto sacro della personalità più intima, un cerchio protettivo che evita la "dispersione" e tiene lontane le preoccupazioni provocate dall'esterno; oltre a operare al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore, un mandala persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualcosa che tuttora non esiste, a qualcosa di nuovo e di unico. Come afferma Marie-Louise Von Franz (allieva di Jung), il secondo aspetto è ancora più importante del primo, ma non lo contraddice poiché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo.
Un viaggio nell'aldilà: Jung e il paranormale
Tra gli interessi di Jung vi era anche il paranormale, un tipo di ricerca sviluppato già in gioventù, analizzando i fenomeni della sua cugina medium. Egli stesso condusse analisi ed esperimenti parapsicologici. Era convinto di essere un sensitivo. Era convinto di aver avuto diverse premonizioni e una sorta di visione nel 1913 che annunciava la rovina dell'Europa (la prima guerra mondiale). Sosteneva che i fenomeni paranormali fossero segnali dell'inconscio collettivo, come i sogni sono spie dell'inconscio individuale. Cominciò un lavoro analitico su sé stesso, a base di tutta la sua opera, annotando sogni, fantasie e disegnandole anche, in quello che sarebbe diventato il Libro Rosso: non lo pubblicò mai; gli eredi autorizzarono la visione dell'opera solo nel 2001 e la pubblicazione del saggio, di intonazione profetica e ispirato allo stile di Nietzsche, solo nel 2008. Le illustrazioni riprendono la tecnica visionaria di William Blake.
Nel 1920 disse di avere assistito alle manifestazioni di un fantasma mentre si trovava in una villa in Inghilterra, una notte mentre era a letto apri gli occhi e vide accanto a sé una vecchia che lo fissava. Saltato giù dal letto accese una candela e la visione era sparita.[20] Jung tendeva a spiegare i fenomeni, più che come manifestazioni di spiritismo, come manifestazioni di inconsci turbati e particolarmente sensibili; tuttavia sostenne che certi fenomeni erano, a suo parere, inspiegabili, avvicinandosi a una posizione possibilista[21]. Egli organizzava regolari sedute spiritiche e durante una di esse un pesante tavolo di noce si rovesciò e subito dopo un coltello per tagliare il pane, custodito in un cassetto, si spezzò in quattro parti con un rumore simile a un colpo di pistola.[22]
Studiò anche la credenza nella reincarnazione, che interpretava originata dai ricordi dell'inconscio collettivo. Tra le sue altre esperienze, percezioni insolite, allucinazioni senza patologia psicotica, interpretate come segnali dell'inconscio personale e collettivo: tra di esse una forte connessione agli eventi passati, come durante la visita nel 1913 al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Jung tornò con un'amica a Ravenna dieci anni dopo. Nel battistero Neoniano entrambi videro un mosaico, raffigurante Cristo che salva san Pietro dalle acque del lago di Tiberiade, che Jung interpretava come un simbolo inconscio di rinascita psicologica. In realtà tale mosaico non esisteva (è presente invece il battesimo di Cristo nel fiume Giordano), se non nelle intenzioni originali dei costruttori, ed era quindi frutto dell'immaginazione di Jung e della sua accompagnatrice.[23]
Nel 1944 ebbe un incidente domestico e si fratturò una gamba, e, poco dopo, un successivo infarto miocardico, che gli causò una perdita di coscienza. Quando si riprese sostenne di aver avuto, in coma, un'esperienza di pre-morte, comprendente un'esperienza extra-corporea in cui disse di aver visto la Terra dallo spazio (descrivendo una situazione simile a quella che vivranno i primi astronauti e cosmonauti), visioni di un luogo luminoso e viaggi "extradimensionali"[24][25], e descriverà così l'inizio dell'esperienza:
« In stato di incoscienza ebbi deliri e visioni che dovettero cominciare quando ero in pericolo di vita e mi curavano con ossigeno e iniezioni di canfora... Mi pareva di essere sospeso nello spazio, sotto di me, lontano vedevo il globo terrestre avvolto in una splendida luce azzurrina e distinguevo i continenti e l'azzurro scuro del mare. Proprio ai miei piedi c'era Ceylon e dinanzi a me, a distanza, l'India. La mia visuale comprendeva tutta la terra; la sua forma sferica era chiaramente visibile e i suoi contorni splendevano di un bagliore argenteo, in quella meravigliosa luce azzurra. In molti punti il globo sembrava colorato o macchiato di verde scuro, come argento ossidato. Sulla sinistra, in fondo, c'era una vasta distesa, il deserto giallo rossastro dell'Arabia; come se l'argento della terra in quel punto avesse preso una sfumatura di oro massiccio. Poi seguiva il Mar Rosso e lontano — come a sinistra in alto su una carta — potevo scorgere anche un lembo del Mediterraneo, oggetto particolare della mia attenzione. Tutto il resto appariva indistinto. Vedevo anche i nevai dell'Himalaya coperti di neve, ma a quella distanza c'era nebbia e nuvole. Non guardai per nulla verso destra. Sapevo di essere sul punto di lasciare la terra. Più tardi mi informai dell'altezza a cui si dovrebbe stare nello spazio per avere una vista così ampia: circa 1500 chilometri. La vista della terra a tale altezza è la cosa più meravigliosa che avessi mai visto » |
Nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni, commentò anche:
« Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente... Prima o poi, i morti diventeranno un tutt'uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d'essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell'eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo » |
(Intervista a Jung) |
Fanno parte di queste credenze nel paranormale gli scritti che Jung pubblicò nel 1952 sulla sincronicità: secondo questa spiegazione alcuni fenomeni avvengono in modo sincrono senza che vi siano correlazioni di causa-effetto, poiché hanno un'origine comune, un fine comune e una comunanza evidente di significato, e sono parte di uno stesso meccanismo del destino.
Per questi interessi, Jung è stato criticato dagli psicoanalisti classici di scuola freudiana e dai materialisti, per aver dato, a loro avviso, troppo credito al paranormale nel mondo moderno, mescolando indebitamente psicologia, pseudoscienza e religione.[26]
La collaborazione con Pauli
Il fisico teorico e sperimentale Premio Nobel Wolfgang Pauli, inizialmente suo paziente, collaborò con Jung agli studi sulla sincronicità.[30] Il confronto intellettuale generò quella ricerca nota come "il quarto escluso", individuato in fisica classica nel modello di triade e in alchimia nel modello sviluppato da Jung negli studi sull'alchimia, perché questo processo simbolicamente rappresentato completava una triade fino ad allora in attesa di un quarto elemento che sciogliesse i dubbi ancora presenti sulla validità di ciò che era stato compreso, verificato e accettato dalla scienza fino a quel momento. La sincronicità si rivelava così essere il modello ideale per sciogliere molti dei dubbi innescati anche nel modello di triade in fisica classica: 1) tempo 2) spazio 3) causalità; al "quarto escluso" è stato appunto dato il nome di sincronicità.[30]
In analogia alla causalità che agisce in direzione della progressione del tempo e mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso spazio ma in istanti diversi, come per esempio l'entanglement, viene ipotizzata l'esistenza di un principio che mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso tempo ma in spazi diversi. Viene cioè ipotizzato che oltre lo svolgimento di un atto conforme al principio in cui in tempi diversi accadono avvenimenti provocati da una medesima causa, ne esista un altro in cui accadono avvenimenti nello stesso tempo ma in due spazi differenti perché, essendo casuali, non sono direttamente provocati da un effetto, risultando così aderenti a un principio di a-temporalità.[30]
Nel 1952 Jung e Pauli pubblicarono due saggi nel volume Naturerklärung und Psyche. Nel proprio saggio Pauli applicava il concetto di archetipo alla costruzione delle teorie scientifiche di Keplero, mentre Jung intitolava il proprio Sincronicità come Principio di Nessi Acausali. Dopo più di venti anni di dubbi e ripensamenti di carattere etico-intellettuale, l'analista si decise a definire il concetto per cui riteneva "d'essere scientificamente impreparato" a enunciare. Jung, rigoroso e pragmatico scienziato, è infatti imbarazzato verso la comunità scientifica per l'evidente orientamento dei suoi studi in cui evidenze empiriche divengono fenomenologie su cui lavorare con metodo scientifico.[30]
Nella prefazione del saggio scrive che: «la sincronicità è un tentativo di porre i termini del problema in modo che, se non tutti, almeno molti dei suoi aspetti e rapporti diventino visibili e, almeno spero, si apra una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo».[30]
La progressione tematica in Aion: L’archetipo di Cristo: simbolo speculare per il Sé
di Diego Pignatelli Spinazzola presso il sito:
La progressione tematica in Aion: L’archetipo di Cristo
Simbolo speculare per il Sé
Dallo gnosticismo, al cabalismo, all'alchimia, all'esegesi pre-cristiana e talmudica, le immagini di Jung precorrono l'emblematico caleidoscopio della psiche oggettiva, attraverso una progressione di mitemi collegati ancestralmente al retroterra mitologico e simbolico che costellava il mundus archetypus dell'antico medio oriente e del medioevo antico fino ad accendere quella divina scintilla dell'anima mundi che risollevò transitoriamente il lumen naturae della ricerca. Portatore di questo domicilium Jovis o costellazione planetaria, C.G. Jung si erse a spiritus rector della complessità archetipica che intanto fondava il "mundus" delle origini sull'archetipo di Cristo, vero perno centrale e vero cosmogramma mundi dell'istanza archetipica del Sè. Jung non mise tanto l'accento sul pittogramma o mandala Tetramorfo di Cristo quanto sul dominum che questi investiva nella posizione di Re troneggiante alias Sol invictus. La planetaria costellazione che andava dalla Palestina all'Egitto copto e la Siria precostituiva quell'antico domicilium che ebbe poi aurea incidenza nello gnosticismo. L'antico culto siriaco svoltosi in onore alla Dea Madre Derceto Atargatis preconfigurò al suo interno l'archetipo prototipico di Cristo: l'Ichthys. Da queste varianti sorsero poi simboli che si allinearono alla descrizione talmudica, cioè il Leviatano offerto in sacrificio come pasto eletto, sanctior cibus per i pisciculi, così venivano chiamati i primi cristiani. Da questi proto-simboli si sviluppa nella letteratura junghiana il concetto di archetipo del Sè. A dire il vero Jung corroborò questo concetto con una letteratura alchemica che già da Alberto Magno e Pietro Bono aveva "cristificato" il simbolo del Sè nel lapis philosophorum, cardine angolare del concetto alchemico equiparato a Cristo.
Snodando l'immaginale elaborazione che si tematizza in Aion (1951), Jung prende successivamente a prestito da Dorneus termini quali "Caelum" e "Centrum" per indicare quell'indicibile istanza pre-modellatasi sulla fugura archetipica del redentore. Pietra o lapis è un sinonimo alchemico per dire Cristo, immagine speculare del Sè. Il tipo di speculazione infatti che va di pari passo con una progressione simbolica, recupera in Aion (1951), immagini come fossero opere di scavo nell'arabesco paleolitico che Jung ci propone, in quell'Aquarium sapientiae dove i due emisferi, lato nord e lato sud sono governati dai pesci, Cristo e l'Anticristo, a formare un doppio o una croce. Il conflitto morale e la lacerazione degli opposti psichici veniva rappresentato da quella crocifissione dell'ego che anteponeva Cristo all'Anticristo. Questa bipolarità (2 X 2) del extra mundum del Sè e dell'intra mundum evidenziato da Edinger (L'archetipo Cristo. Commentario junghiano sulla vita di Cristo, Zephyro 2000), è un processo che raffigura quella sintesi in un unico archetipo (Cristo) tra l'io ed il Sè, tra il Cristo terreno, Adam secundus e la sua controparte transpersonale, il filius macrocosmi o Redemptor degli alchimisti.
La croce si snoda nella bipolarità stessa tra l'interno e l'esterno, tra l'intimo conflitto tra il Cristo corporeo ed il Cristo transpersonale (corpo/spirito) tra quest'interiore liaison che pone la coscienza difronte alla croce ed alla drammatica antinomia morale degli opposti. La croce come elemento primordiale coagulante dell'esperienza psichica si situa essa stessa quale funzione trascendente al centro di una presupposta bipolarità del Sè. I Dioscuri, Castore e Polluce, il mortale e l'immortale si muovono al centro di un unità complessuale che si divide tra extra mundum e intra mundum. Ci riferiremo a questi come estroversivo ed introversivo nella classica definizione che Jung ne dà nei Tipi psicologici (1921). Se uno è epimeteico l'altro è prometeico, al che il Sé transpersonale restituisce all'ortodossia il suo docetismo, all'agnosticismo il suo gnosticismo, all'essoterismo il suo esoterismo. La croce ci rivela ancora che il mare nostrum dove nuotano i due pesci, è il mare immensum di cui essi sono portatori, perchè nel corpo di quest'indicibile immensità nuotano Castore e Polluce, Cristo e Anticristo come pesci delle origini, modelli prototipici gallegianti sull'oceano dell'origine primordiale definito come contenuto inconscio. Da quest'immagine presa in prestito dal De lapide philosophico di Lambsprinck (1625) è facile notare di come il mare sia il corpo o l'inconscio, mentre i due pesci simboleggiano lo spirito e l'anima.
Nel dramma dell'umanità questi due elementi sebbene secolarizzati hanno sempre rappresentato gli opposti che si lacerano ma che poi si levano dall'antitesi morale della croce per congiungersi nella coniunctio della loro reciprocità nel corpus glorificatum di Cristo, il Rex Gloriae. Il conflitto morale è motivo portante della gran parte delle Opere di Jung. La dicotomia come la lacerazione tra gli opposti ed il problema etico sono la controprova che Jung stava tentando un approccio al problema religioso elevando in reciproca combinazione i due aspetti del Sè ed il mercurius duplex che da questa bipolarità voleva rappresentare proprio quei contenuti e quei processi inconsci riflettendone l'intimo e lacerante conflitto. Ma rinvenendo un tentativo di scavo, le ipotesi junghiane e le corroborazioni metateoriche si aprivano al quanto un varco nel mundus archetypus della psiche oggettiva, calandosi nel corpo sublunare del mito gnostico ed alchemico e con questo penetrando quel mondo immaginale di cui essi sono ancora e tuttora forze edificanti, perchè provenienti da un retroterra-altro che di quell'intra mundum dell'immaginazione attiva parafrasando ancora Edinger (2000), sono le primigenie acque mercuriali.
Diego Pignatelli Spinazzola
Aion Mitraico
Jung e la Gnosi
Riferimenti:
F.E. Edinger, L'archetipo Cristo. Commentario junghiano sulla vita di Cristo, Zephyro Edizioni, Milano 2000.
C.G. Jung, Psicologia e alchimia (1944), in Opere Vol. XII, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
C.G. Jung, Aion: Ricerche sul simbolismo del Sé (1951), in Opere Vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino 2005.
C.G. Jung, Opere Vol. 14 (1955/56) / Mysterium coniunctionis, Curato da M.A. Massimello, Bollati Boringhieri, Collana Gli archi 19, Torino 2008.
C.G. Jung, Tipi psicologici (1921), Newton Compton Editori, Roma 2009.
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