venerdì 22 novembre 2013

Il dandy. Significato e storia del dandismo, un fenomeno non solo estetico.



Nel saggio Il pittore della vita moderna, Charles Baudelaire descrive il dandy come colui che eleva l’estetica ad una religione. Era il 1863 e il fenomeno del dandismo stava entrando nella sua fase "metafisica", come culto "integralista" della Bellezza in tutte le sue forme e manifestazioni, da quelle più concrete, come la cura della propria immagine, a quelle più astratte, come la teorizzazione dell'Estetismo.
Ma se l'Estetismo, inteso come una delle manifestazioni del Decadentismo europeo di fine Ottocento e inizio Novecento, fu l'apogeo filosofico-culturale del dandismo, le sue origini vanno ricercate prima di tutto in Inghilterra,
nel periodo Regency (1810-1820), quello in cui sono ambientati i romanzi di Jane Austen, durante la Reggenza del Principe di Galles e futuro re Giorgio IV).
L'etimologia del termine è incerta. Incominciò ad essere usato con riferimento a Beau Brummel (Londra 1778 - Caen 1840), l'elegante e raffinato gentleman che per anni fu uno dei più influenti amici e consiglieri del futuro re Giorgio IV, prima di cadere in disgrazia presso il Reggente a causa dei debiti contratti per far fronte al proprio costosissimo tenore di vita. 

File:BrummellDighton1805.jpg



Se osserviamo i ritratti di Beau Brummel e di Giorgio IV possiamo vedere quanto la ricercata raffinatezza di Brummel abbia influito sui gusti del futuro sovrano, che a sua volta influenzò la moda e lo stile di vita di gran parte dell'aristocrazia, compreso Lord George Byron (Londra 1788 - Missolungi, Grecia 1824) il poeta romantico che a livello culturale fu il primo vero dandy.
Non a caso spesso il ritratto di Byron viene associato a quello di Oscar Wilde (Dublino 1854 - Parigi 1900) il grande scrittore che con i suoi romanzi (in particolare Il ritratto di Dorian Gray) e il suo stile di vita portò alla massima gloria e notorietà la figura del dandy.



I tratti caratteristici del dandy sono la ricerca di eleganza e perfezione non solo nel vestire, ma anche negli atteggiamenti e nei gusti personali, la consapevolezza di una certa superiorità intellettuale, la ricercatezza e l'originalità. 



























Il dandy è, a modo suo, un ribelle, nel senso che la sua concezione della vita ed il suo stesso modo di vivere sono una contestazione perenne alla banalità che accomuna il perbenismo della classe dirigente benpensante e la rozzezza delle masse. 
Non è un caso che i dandy più famosi, pur avendo raggiunto il successo e la popolarità, siano stati sostanzialmente incapaci di integrarsi nel tessuto sociale ed abbiano concluso le loro vite in un esilio più o meno dorato. Brummel e Wilde morirono "in esilio" in Francia dopo aver dato scandalo. Byron scelse la morte eroica in Grecia (la realtà della sua fine fu molto meno eroica, in quanto ad ucciderlo non furono le truppe nemiche, ma una banale malattia infettiva).



Byron è l'eccezione, in quanto era aristocratico di nascita, mentre quasi tutti i dandy non sono di sangue nobile, ma si ritengono depositari e interpreti di un'aristocrazia dello spirito e dello stile.
Certo il tenore di vita di un dandy era costosissimo. C'era bisogno di una notevole disponibilità di mezzi economici per poter essere sempre all'altezza del comandamento: "bisogna fare della propria vita come se fosse un'opera d'arte", espresso da Gabriele D'Annunzio (Pescara 1863 - Gardone Rivera 1938), anch'egli tra i massimi esponenti del dandismo. La frase dannunziana viene pronunciata da Andrea Sperelli, il protagonista del suo romanzo più famoso Il Piacere, pubblicato nel 1893.



D'Annunzio opera un'efficacissima sintesi delle tre principali correnti dell'Estetismo: 
- quella inglese (comprendente anche certi aspetti di alcuni personaggi di Dickens), 
- quella francese (si pensi ai protagonisti di alcuni romanzi di Stendhal, Balzac, Flaubert, ma soprattutto Huysmans, oppure ai "poeti maledetti", in particolare Baudelaire e Verlaine)
- quella tedesca (che si esprime principalmente attraverso la musica di Wagner e la filosofia di Nietsche)
Non bisogna però identificare il dandismo con l'estetismo.
L'esteta è più concentrato sulla contemplazione della bellezza, mentre il dandy applica la propria concezione della bellezza a tutti gli aspetti della sua vita.La sua estetica, pur avendo alcuni elementi costanti, è fortemente personalizzata.
Il dandy non segue la moda: la crea.



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2 commenti:

  1. Uomini indubbiamente molto interessanti ed affascinanti. Innamorati troppo di sé stessi, però.
    Penso che comunque l'eleganza e la sua ricerca (sia nei modi di fare che nell'abbigliamento) siano necessari, soprattutto in questo periodo, pieno di avvenimenti e persone "brutte" e volgari.
    Comunque, ho sempre amato sia Oscar Wilde (purtroppo ingiustamente condannato) e Gabriele D'Annunzio (ed il suo Vittoriale: splendido)!
    Complimenti e a presto, Federica

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    1. Sì, credo anch'io che l'elemento comune tra i vari esponenti del dandismo fosse una personalità narcisistica. L'eleganza era e forse può essere ancora un mezzo per indicare una via di perfezionamento e di innalzamento verso un ideale superiore che si definiva come l'opposto della banalità e della volgarità. L'elemento ribelle stava nel fatto che in genere l'eleganza era considerata un valore sentito di più dalle donne che dagli uomini, che preferivano distinguersi per la forza o la fermezza o altri aspetti considerati più virili. Ma a questo si può obiettare dicendo che comunque lord Brummel era stato un ufficiale in guerra, ed aveva conosciuto il Principe del Galles durante le campagne contro Napoleone. Lord Byron morì durante la guerra per l'indipendenza della Grecia, eletta a quei tempi come patria ideale. D'Annunzio, che nella prima parte della sua vita si era distinto per la letteratura, l'eleganza e la mondanità, stupì tutti mostrando doti militari e politiche sorprendenti. Forse questi aspetti vengono messi in secondo piano dal fatto che Oscar Wilde credeva più nella forza della parola che in quella delle armi. Wilde fu comunque eroico a modo suo nel momento in cui con i suoi famosi aforismi denunciava l'ipocrisia moralista dell'età vittoriana. Credo che per la società londinese l'interminabile regno della regina Vittoria, incupita dalla vecchiaia e dalla vedovanza, fosse percepito come oppressivo dalle generazioni che erano nate e cresciute e si erano spente prima della longeva sovrana. Purtroppo Wilde non fece in tempo a vedere l'età edoardiana, che invece fu, per reazione, improntata ad uno stile di vita meno austero, che venne poi identificato nella Belle Epoque. In fondo Wilde era stato un precursore dell'epoca che seguì e avrebbe trovato una minore ostilità in patria sotto il regno di Edoardo VII. Purtroppo invece morì di meningite, a Parigi, un anno prima della morte della regina Vittoria, che sotto tanti aspetti era stata il principale bersaglio della sua ironia.
      Forse anche adesso in Inghilterra si incomincia a sentire una certa estenuazione per il protrarsi del regno di Elisabetta II. Ma tornando all'età vittoriana, mi viene in mente che ho dimenticato di parlare dei Preraffaelliti, in particolare di Gabriel Rossetti che viene annoverato tra gli esponenti del dandismo. Penso che ritornerò sull'argomento nei prossimi post, anche perché devo poi parlare di come il fenomeno si è evoluto nel Novecento ed è sopravvissuto fino ai giorni nostri, seppure in modi molti diversi.
      Grazie e a presto!
      ;-)

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