giovedì 27 luglio 2017

Lo Zen


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Con il termine Zen (禅) ci si riferisce a un insieme di scuole buddhiste giapponesi che derivano per dottrine e lignaggi dalle scuole cinesi del Buddhismo Chán a loro volta fondate, secondo la tradizione, dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Per questa ragione talvolta si definisce Zen anche la tradizione cinese Chán, ma anche le tradizioni Sòn coreana e Thiền vietnamita.

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Etimologia del termine Zen (禅)

Zen è la pronuncia nipponica del carattere cinese 禅. Nella manualistica occidentale questo carattere quando viene trascritto in caratteri latini per riportare la sua pronuncia cinese, seguendo il metodo pinyin viene indicato come Chán o in Wade-Giles Ch'an. È da tenere presente, tuttavia, che Chán (e Ch'an) (pronunciato [tʂʰǎn]) è la restituzione del carattere in cinese, lingua ufficiale della Repubblica popolare cinese, derivata a sua volta dal dialetto di Pechino. Tuttavia il carattere 禅 in cinese medio veniva, probabilmente, pronunciato come [d͡ʑiᴇn]. Ed è molto probabile che i maestri cinesi dei pellegrini giapponesi, nonché i missionari cinesi della scuola Chán giunti in Giappone intorno al XIII secolo, pronunciassero questo carattere in cinese medio, da qui la resa in giapponese di Zen.
Questo termine è dunque un prestito linguistico dalla lingua cinese media, e fu utilizzato fin dalla prima introduzione del Buddhismo in Cina per rendere foneticamente il termine sanscrito dhyāna ("visione") che nell'insegnamento del Buddha indicava i graduali stati di coscienza caratterizzati da profonda comprensione che scaturiscono dall'esercizio del samādhi, ossia la concentrazione meditativa raggiunta con la meditazione di calma (Samatha, in giapponese shi, "stare fermi") e anche con quella di consapevolezza (Vipassana, in giapponese kan, "contemplare"), da cui la meditazione seduti praticata nel chán/zen (ma anche nel Tendai), shikan/shikantaza ("sedere in shikan")[1], definita poi, nelle scuole zen giapponesi, nella tipica postura dello zazen ("sedere in zen").[2][3]
In seguito la parola dhyana, in diverse forme composte, qui sempre restituite in cinese come chánsēng (禪僧, monaco meditante) e chánshī (禪師, maestro di meditazione) divenne una definizione generica per una categoria di religiosi che si dedicavano specialmente alla meditazione. Sembra che in questo ambito sia nata la tradizione e che adotterà questo termine come vera e propria denominazione specifica del proprio lignaggio (cinese: Chánzōng, giapponese: Zenshū 禅宗, la tradizione/scuola del Buddhismo Zen).

Origini e diffusione


Il padiglione principale del tempio Tofuku-ji a Kyoto. Seppur costruito, nel 1236, secondo i voleri di Fujiwara Michiie patrono Enni Ben'en, come luogo di pratica TendaiShingon e Zen, divenne presto un tempio della scuola Zen Rinzai e risulta oggi il tempio Zen più antico del Giappone.
Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Buddhismo Chán.

L'ingresso al tempio Eihei-ji, il tempio principale della scuola Zen Sōtō fondato, da Dōgen nel 1244, nei pressi di Echizen.
Le scuole del Buddhismo Zen derivano per lignaggi, dottrine e testi strettamente (anche se con delle specifiche evoluzioni) da quelle del Buddhismo Chán fondato in Cina dal leggendario monaco indiano Bodhidharma, che faceva risalire il proprio lignaggio direttamente al Buddha, tramite il discepolo Mahākāśyapa. Furono trasferite nell'arcipelago giapponese da monaci Tendai di ritorno dai loro viaggi in Cina. Oppure, successivamente, trasferite da monaci cinesi missionari in Giappone. L'introduzione del Buddhismo Zen, come scuola autonoma, in Giappone ha avuto un processo piuttosto sofferto. Tali difficoltà non si riscontrarono tanto nel trasferimento di dottrine, testi e lignaggi quanto piuttosto nel rendere autonomo lo Zen dalla scuola Tendai.

Il primo lignaggio Zen: Saichō e la scuola Gozu

Saichō (767-822), il fondatore del Buddhismo Tendai, introdusse nel IX secolo in Giappone anche gli insegnamenti del Buddhismo Chán Beizōng (北宗, Scuola settentrionale) ricevendo, sempre in Cina, anche il lignaggio della scuola buddhista Chán denominata Niútóuchán (anche 牛頭宗, Niútóu zōng), fondata da Fǎróng (594-657), che scomparirà dalla Cina pochi decenni dopo ma che egli trasferirà in Giappone come scuola Gozu (牛頭宗, Gozu shū). Le dottrine Chán erano quindi regolarmente studiate e praticate sul Monte Hiei, sede della scuola Tendai, fin dal IX secolo.

EisaiDainichi NōninEnni Ben'en e la scuola Rinzai

Nel XII secolo, il monaco tendai Eisai (1141-1215) studiò il Chán durante il suo secondo soggiorno in Cina, sotto la guida del maestro Xuan Huaichang (虛庵懷敞, giapp. Kian Esho, date sconosciute), appartenente al ramo Huánglóng (黃龍, giapp. Ōryū) della denominazione Línjì (臨濟, giapp. Rinzai). Tornato in Giappone, ebbe difficoltà a insegnare tali dottrine al di fuori del contesto curricolare tradizionale previsto dal principale monastero Tendai, l'Enryaku-ji. Nonostante questo, Eisai non uscirà mai dalla scuola Tendai. Un primo tentativo di una scuola autonoma Zen fu compiuto da un altro monaco tendaiDainichi Nōnin (大日能忍, morto nel 1196?)[4] che inviati due discepoli in Cina, ottenne il lignaggio cinese[5] dal maestro Zhuan Deguang (1121–1203) a sua volta erede del Dharma del maestro di denominazione LinjiDahui Zonggao (大慧宗杲, 1089–1163)[6] fondando la Daruma shū (達磨宗). Un tentativo finito piuttosto male se consideriamo che, nel 1194, un decreto imperiale proibirà le sue dottrine e distruggerà la sua scuola con i suoi monasteri[7]. Dopo gli importanti tentativi di Eisai e di Dainichi Nōnin, miglior successo lo ottenne Enni Ben'en (圓爾辯圓, anche Shōichi Kokushi, 1201-1280) altro importante monaco tendai che studiò il Chán dapprima sul Monte Hiei, poi durante un pellegrinaggio in Cina da dove fu il primo a trasferire il ramo Yōgi (楊岐, cin. Yángqí) della denominazione Linji, appreso sotto il maestro cinese Wúzhǔn Shīfàn (無準師範, giapp. Bujun Shipan o Bushun Shihan, 1177–1249).

L'arrivo dei maestri cinesi e la fondazione dei primi templi Zen


Immagine di Eisai (1141-1215), tradizionale fondatore dello Zen Rinzai.
Se neanche Enni Ben'en si distaccò dalla scuola Tendai, il fatto che ricoprisse il ruolo di abate del prestigioso monastero Tōfuku-ji (東福寺)[8], a Kyoto, diede grande prestigio alle dottrine Zen da lui insegnate. Ormai i tempi erano maturi perché alcuni maestri cinesi del Chán potessero giungere in GiapponeLánxī Dàolóng (溪道隆, giapp. Rankei Dōryū, 1213-1278 ), fondatore, nel 1253, del monastero Kenchō-ji (建長寺) a KamakuraWùān Pǔníng (兀菴普寧, giapp. Gottan Funei, 1197–1276), vissuto solo 4 anni in Giappone, dove ricoprì il ruolo di abate del tempio Kennin-ji (建仁寺), fondato da Eisai a Kyoto nel 1202; Dàxiū Zhèngniàn (大休正念, giapp. Daikyū Shōnen, 1214–1289), che fondò il monastero Kinpōzan Jōchi-ji (金宝山浄智寺) a Kamakura; infine Wúxué Zǔyuán (無學祖元, giapp. Mugaku Sogen, 1226–1286), che fu l'abate del monastero Engaku-ji(円覚寺) a Kamakura.

Dōgen e i primi lignaggi autonomi dal Tendai


Immagine di Dōgen (1200-1253), fondatore dello Zen Sōtō.
Nello stesso periodo, un altro monaco tendai nonché discepolo di EisaiDōgen (1200-1253), anche lui di ritorno dalla Cina dove aveva studiato sul Monte Tiantong (天童山 Tiantong shan) sotto la guida del maestro, di denominazione Caódòng, (曹洞) Rujing (如淨, 1163-1228), ottenne il certificato di "illuminazione" e il lignaggio di trasmissione (傳法, cin. chuánfǎ, giapp. denpō) della scuola Chán Caódòng. Tornato in Giappone nel 1225, Dōgen si trasferirà nel 1230 nel tempio Anyo-in (安養院) alla periferia di Kyoto, consumando una frattura definitiva con la scuola Tendai e fondando la scuola giapponese Zen Sōtō[9].

La diffusione dello Zen in Occidente


Lo statunitense Richard Zentatsu Baker (1936-) uno dei primi maestri zen occidentali.
È difficile stabilire quali siano stati i primi approfonditi contatti tra occidentali e il Buddhismo Zen. I flussi di immigrazione ed emigrazione tra i diversi continenti avviatisi in modo massiccio sul finire del XIX secolo hanno consentito lo scambio di idee e culture non solo materiali. Il primo episodio di conversione formale di un occidentale al Buddhismo Zen lo si registra tuttavia nel 1906 quando la moglie di Alexander Russel avvia la prima pratica formalmente registrata di zazen e koan con il maestro Zen giapponese Shaku Sōyen (釈 宗演, 1859–1919) giunto a Chicago nel 1893 su invito di circoli cristiani che promossero, in quell'anno, il World's Parliament of Religion. Shaku Sōyen ebbe modo di conoscere, in quella occasione, i coniugi Russel e fu da questi invitato a tornare negli Stati Uniti nel 1905. Dopo Shaku Sōyen giunsero i suoi discepoli: D.T. Suzuki (鈴木 大拙 Suzuki Daisetsu, 1870–1966) nel 1899, Shaku Sokatsu (1869–1954) nel 1906 e Senzaki Nyogen (千崎 如幻, 1876-1958) nel 1905. Fu tuttavia il discepolo di Shaku SokatsuSasaki Shigetsu (meglio conosciuto come Sokei-an, 佐々木 指月-曹渓庵, 1882—1945) a fondare a New York, nel 1931, la Buddhist Society of America (poi ridenominata come First Zen Institute) che seguì fino alla sua morte nel 1945. Negli stessi anni operava, ma a San Francisco e a Los AngelesSenzaki Nyogen che fondò diversi gruppi di meditazione Zen aperti ai giovani americani. Grande influenza sulla cultura occidentale la ebbe D.T. Suzuki attivo negli Stati Uniti dal 1897 al 1909 e poi durante gli anni cinquanta. Egli operò a LaSalle (Illinois), come traduttore e studioso, per la casa editrice Court Publishing Company di proprietà del cittadino americano di origini tedesche Paul Carus (1852‑1919), già conoscente dello stesso Shaku Sōyen. È comunque nel Dopoguerra che il Buddhismo Zen prende piede negli Stati Uniti, grazie anche al movimento beat. Bisognerà tuttavia aspettare la fine degli anni sessanta per vedere i primi maestri zen occidentali, tra questi vanno ricordati: Richard Zentatsu Baker (1936, di scuola Soto) attivo a San FranciscoPhilip Kapleau (1912–2004, di scuola Sanbo Kyodan anche detta scuola di Harada Yasutani, sintetizza sia le dottrine Soto che quelle Rinzai) attivo a Rochester e Robert Aitken (1917, anche lui di scuola Sanbo Kyodan), attivo ad Honolulu. In Europa va ricordata l'opera del monaco di scuola SotoTaisen Deshimaru (1914-1982) che fu tra i primi, sul finire degli anni sessanta a Parigi, a raccogliere intorno alla sua figura discepoli europei molti dei quali poi ordinati monaci.

Le scuole del Buddhismo Zen


Un autoritratto di Hakuin Ekaku (1686-1769), importante riformatore della scuola Zen Rinzai (Eisei Bunko Museum, Tokyo).
Le scuole del Buddhismo Zen, pur con delle differenze, conservano tutte la centralità della pratica meditativa denominata zazen (座禅), una minore attenzione allo studio dei sutra e una cura particolare (presente peraltro anche nelle altre scuole) nei confronti della trasmissione del "lignaggio" (戒脈, cin. jiè mài, giapp. kai myaku) che procede, secondo questa tradizione, mediante l'ishin denshin (以心傳心, cin. yǐxīn chuánxīn, trasmissione "da mente a mente")[10] ovvero da maestro a discepolo senza l'utilizzo delle parole, ovvero per tramite di una intuizione improvvisa che genera l'illuminazione profonda (悟, cin. , giapp. go o satori). Le scuole Zen Rinzai e Sōtō sono, unitamente all'associazione laica di derivazione Nichiren Soka Gakkai, le scuole buddhiste giapponesi più diffuse oggi in Occidente.

Scuola Zen Rinzai (臨濟宗, Rinzai shū)

La scuola Rinzai deriva dalla denominazione Línjì (臨済) del Buddhismo Chán. Il primo a trasferire dottrine e lignaggi di questa scuola fu il monaco giapponese d scuola Tendai Eisai di ritorno dal suo secondo viaggio in Cina. Dopo essere stata a lungo inglobata nella scuola Tendai, lo Zen Rinzai divenne una scuola autonoma a partire dal XIII secolo. Questa separazione si realizzò proprio grazie ai maestri cinesi di scuole chán línjì (臨済), Lánxī Dàolóng, fondatore, nel 1253, del monastero Kenchō-ji a KamakuraWùān Pǔníng, abate del tempio Kennin-ji a KyotoDàxiū Zhèngniàn che fondò il monastero Kinpōzan Jōchi-ji a Kamakura; infine Wúxué Zǔyuán che fu l'abate del monastero Engaku-ji a Kamakura. Questi maestri, che furono per lo più invitati dalle autorità di governo giapponese, insegnarono lo Zen Rinzai con le relative dottrine e pratiche esattamente come era impartito nella Cina del XIII secolo. Con gli shogun Ashikaga lo Zen Rinzai ottenne ulteriori riconoscimenti e protezioni da parte del governo. Dopo aver subìto influenza dalla scuola Zen Obaku, fu riformata da Hakuin Ekaku (白隠慧鶴, 1686-1769) il quale eliminò le pratiche nenbutsu proprie della scuola Obaku, centrando le dottrine e le pratiche Rinzai sullo studio dei kōan e sullo zazen. Tutti i maestri Zen Rinzai conservano oggi nel loro lignaggio il nome di Hakuin.

Scuola Zen Sōtō (曹洞宗, Sōtō shū)

Questa scuola fu fondata dal monaco tendai Dōgen (道元, 1200-1253) quando nel 1230, trasferendosi nel tempio Anyo-in (安養院) alla periferia di Kyoto, avviò la separazione con la scuola Tendai. La dottrina di questa scuola è riportata nell'opera di Dōgen, lo Shōbōgenzō (正法限蔵, La Custodia della Visione del Vero Dharma) e consiste nella pratica dello zazen secondo la modalità denominata shikantaza (只管打坐, Solo sedersi). Oggi questa è la scuola Zen più importante del Giappone con circa quindicimila templi e trentuno monasteri. Appartenente a questa scuola fu Haku'un Yasutani (安谷白雲, 1885-1973), fondatore della Sanbō-Kyōdan (三宝教団) una scuola Zen che cerca di coniugare il Sōtō con il Rinzai e che si è diffusa in Occidente.

Scuola Zen Fuke (普化宗, Fuke shū)


Un monaco Zen fuke (komusō) con il caratteristico copricapo mentre suona il flauto shakuhachi in una stampa del 1867.
La scuola Zen Fuke origina da un movimento di ex samurai itineranti denominati komusō (虚无僧, lett. monaco della vacuità). I monaci komusō, già di osservanza Rinzai, vivevano di elemosine suonando il flauto shakuhachi (尺八), indossando un cappello fatto di canne che gli oscurava buona parte del volto, questo rappresentava la loro pratica meditativa denominata suizen (吹禪). La scuola Zen Fuke vantava le sue origini dal monaco cinese di scuola chán Pǔhuà (普化, giapp. Fuke) vissuto durante la Dinastia Tang da cui la scuola prende il nome. Pǔhuà, contemporaneo e stretto amico di Línjì Yìxuán(臨済義玄, giapp. Rinzai Gigen, ?–866), fu un maestro dai comportamenti iconoclasti e gioiosi, uso a camminare cantando al suono di una piccola campana. Secondo questa tradizione la scuola Fuke fu portata in Giappone da Shinchi Kakushin (心地覺心, 1207–1298); secondo gli studiosi[11] invece tale scuola nacque in Giappone durante l'Era Tokugawa. Vietata dal Governo imperiale nel 1871 la scuola scomparve. Testo storico di questa scuola fu il Kyotaku Denki (虚铎传记, Campana della vacuità) opera del XVIII secolo.

Scuola Zen Ōbaku (黃檗宗, Ōbaku shū)

La scuola Zen Ōbaku è una delle tre scuole Zen esistenti oggi in Giappone. La sua nascita la si deve al monaco cinese chán di tradizione Línjì (臨済), Yǐnyuán Lóngqí (隱元隆琦, giapp. Ingen Ryūki, 1592-1673) giunto in Giappone nel 1654. Questa scuola è molto simile allo Zen Rinzai conservando tuttavia alcune peculiarità cinesi proprie del suo fondatore. Innanzitutto una maggiore attenzione ai sutra rispetto alla scuola Rinzai versata principalmente allo studio dei kōan, in secondo luogo alla pratica del nenbutsu tipiche della scuole della Terra Pura già inserite in Cina nella scuola Chán da Zhū Hóng (株宏, 1535-1615) nel XVI secolo; infine l'osservanza dei precetti del Cāturvargīya-vinaya (四分律 Shibunritsu) e non solo quelli del Brahmajālasūtra (梵網經 Bonmō kyō) come è tradizione invece per le scuole Zen Rinzai e Sōtō e per la scuola Tendai. Influenzò profondamente la scuola Rinzai fino a quando la riforma attuata da Hakuin Ekaku (白隠慧鶴, 1686-1769) non eliminò dalla scuola Rinzai la pratica del nenbutsu a favore del solo studio dei kōan e della pratica dello zazen.

I fondamenti dello Zen


Ensō, simbolo zen. Calligrafia di Kanjūrō Shibata XX (二十代柴田勘十郎, 1921-), maestro di kyūdō.
La dottrina buddhista Zen si fonda, come lo stesso Buddhismo Chán da cui strettamente deriva, sul rifiuto di riconoscere autorità alle scritture buddhiste (sutra). Questo non significa che lo Zen rigetti le scritture buddhiste. Anzi, alcune di esse come il Sutra del Cuore, il Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra o lo stesso Laṅkāvatārasūtra, sono spesso utilizzate durante le funzioni religiose e nella formazione dei discepoli. Dōgen Zenji (道元禅師, 1200-1253), fondatore giapponese della scuola Zen Sōtō (曹洞宗 Sōtō-shū) ebbe a dichiarare nella sua opera fondamentale, lo Shōbōgenzō:
« Il Sutra del Loto è il re dei sutra: riconoscetelo come il vostro grande maestro. Comparato a questo sutra tutti gli altri si pongono soltanto come suoi contenuti, perché esso soltanto esprime la Verità ultima. Gli altri presentano soltanto insegnamenti provvisori, non le vere intenzioni del Buddha. »
(DōgenShōbōgenzō[12])
L'unica autorità che il Buddhismo Zen riconosce e su cui fonda il proprio insegnamento è tuttavia la particolare esperienza che viene indicata come 悟 (satori o go, "Comprensione della Realtà") o anche 見性 (kenshō, "guardare la propria natura di Buddha" ovvero "attualizzare la propria natura 'illuminata'"). Questa esperienza non viene semplicemente identificata come "intuizione" quanto piuttosto come una esperienza improvvisa e profonda che consente la "visione del cuore delle cose" la quale risulta essere identica alla "natura di Buddha" (佛性 busshō). Tale "natura di Buddha" è la natura di tutta la realtà, del cosmo e del Sé e corrisponde alla stessa vacuità (空 ) indicata dall'Ensō(円相), un simbolo dalla forma circolare tra i più significativi dello Zen. Il satori, essendo un'esperienza transitoria che pure cambia la mente e può essere ripetuto, non corrisponde esattamente al nirvāṇa obiettivo delle scuole del Buddhismo dei Nikaya: se quest'ultimo si presenta infatti fondamentalmente come rinuncia al mondo e distacco da esso, il satori è una forma di bodhi che si propone una partecipazione attiva e consapevole al mondo anche se percepito nella sua dimensione di vacuità.
(EN)
« Essentially Satori is a sudden experience, and it is often described as a ‘turning over’ of the mind, just as a pair of scales will suddenly turn over when a sufficient amount of material has been poured into one pan to overbalance the weight in the other. »
(IT)
« Il satori è essenzialmente un’esperienza improvvisa, e spesso viene descritto come un capovolgimento della mente, proprio come improvvisamente ruota l’asse della bilancia quando mettiamo nel piatto un peso superiore a quello dell’altro piatto. »
(Alan WattsThe Spirit of Zen. A way of life, work and art in the Far East. New York, Grove Press, 1958, pp. 65 e 68)
Lo Zen evita la speculazione intellettuale e si distingue anche dalle altre scuole buddhiste mahāyāna per aver reso centrale la pratica meditativa (zazen) nelle sue forme di shikantaza (meditazione sul respiro, la mente e la vacuità, effettuata da seduti) o accompagnata dallo studio dei kōan.
L'importanza dello zazen e di non fraintenderlo è stata trattata da diversi maestri in molti koan e storie zen, ad esempio:
« Maestro Nangaku si recò dal maestro Baso e chiese: «Adesso, grande monaco, quale la sua intenzione nel praticare zazen?» Baso Do-itsu rispose: «Voglio diventare un buddha». Nangaku Ejo afferrò un pezzo di tegola e si mise a levigarla su di una pietra davanti alla capanna di Baso. Baso Do-itsu disse: «Maestro! Cosa sta facendo?» Nangaku Ejo rispose: «Sto levigando questa tegola per farne uno specchio». Baso Do-itsu disse: «Come mai si potrebbe fare uno specchio con una tegola?» Nangaku Ejo rispose: «Come mai si potrebbe fare di sé un buddha praticando zazen»? Baso Do-itsu rispose: «Cosa bisogna fare, allora?» Nangaku Ejo disse: «Quando un uomo viaggia in vettura, se la vettura non va avanti, cosa deve fare? Picchiare la vettura, o picchiare i buoi che la trascinano?» Baso Do-itsu rimase senza risposta. Nangaku Ejo insegnò in più: «Imparare zazen è imparare che sei un buddha in zazen. Quando si impara zazen, è diverso del comportamento quotidiano come sedere o coricarsi. Eppure, quando si impara di essere un buddha in zazen, quel buddha sta al di là di ogni forma fissa». »
(Eihei DōgenShinji Shôbôgenzô, 8[13])
Gudō Wafu Nishijima così spiegò questo passo:
« Questo koan è abitualmente interpretato nel senso che non è possibile diventare un buddha unicamente con la pratica di zazen. Ma l'interpretazione di maestro Dogen era diversa assai. Egli attacca proprio l'idea del diventare intenzionalmente. Quando ci si siede in zazen, si è già un buddha.[14] »
Molti maestri chán/zen (ad esempio Línjì Yìxuán o Ikkyū Sōjun) si caratterizzarono anche per la loro iconoclastia, volta a scardinare le convenzioni religiose e le rigidità mentali a queste sottese[15]. Collegate allo Zen è possibile inoltre trovare numerose pratiche appartenenti a campi eterogenei. Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo Zen ispirò la poesia (haiku), la cerimonia del tè (cha no yu o chadō), l'arte di disporre i fiori (ikebana), l'arte della calligrafia (shodō), la pittura (zen-ga), il teatro (), l'arte culinaria (zen-ryōrishojin ryōrifucha ryōri) ed è alla base delle arti marziali (es. aikidōkaratejūdō), dell'arte della spada (kendō) e del tiro con l'arco (kyūdō).

Principali monasteri Zen in Giappone

  • Zen Rinzai
    • Kencho-ji - Kenchojiha - 8, Yamanouchi, Kamakura-shi, Kanagawa
    • Nanzenji - Nanzenjiha - Nanzenji, Fukuchi-cho, Sakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
    • Daitoku-ji - Daitokujiha - 53, Murasakino, Daitokuji-machi, Kitaku, Kyoto-shi, Kyoto
    • Myōshin-ji - Myōshinjiha - 64, Hanazono, Myōshinji-machi, Ukyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
  • Zen Sōtō
    • Eihei-ji - Sōtōshū - Eihei-ji-cho, Yoshida-gun, Fukui
    • Sōji-ji - Sōtōshū - 2-1-1, Tsurumi, Tsurumi-ku, Yokohama-shi, Kanagawa
  • Zen Ōbaku
    • Mampuku-ji - Ōbakushū - Gokanosho, Uji-shi, Kyoto

Note

  1. ^ Zhìyǐ. Tóngméng Zhǐguān
  2. ^ Watanabe Toshirō (渡邊敏郎), Edmund R. Skrzypczak, and Paul Snowden, eds. (2003), Kenkyusha's New Japanese-English Dictionary (新和英大辞典), 5th edition, Kenkyusha, p. 1125.
  3. ^ Fischer-Schreiber, Ingrid; Schuhmacher, Stephan; Woerner, Gert (1989). The Encyclopedia of Eastern Philosophy and Religion: Buddhism, Hinduism, Taoism, Zen, p, 321
  4. ^ Il pensiero di Dainichi Nōnin, riportato nell'opera del suo allievo Kakuan (覚晏), lo Shin'yō teiji (心要提示), influenzerà profondamente la successiva opera di Dōgen che, tuttavia, accuserà, insieme ad EisaiDainichi Nōnin di "contraddizione" in quanto se da una parte aveva rigettato le pratiche esoteriche (mikkyō) del Tendai in favore delle dottrine Chán, dall'altra aveva anche rifiutato la pratica meditativa, aspetto principale del Chán cinese.
  5. ^ La ragione di non essersi recato lui di persona in Cina e di non aver quindi ricevuto direttamente il lignaggio fece sì che questo non venne mai riconosciuto in Giappone.
  6. ^ Autore dello Zhèngfǎyǎn zàng (正法眼藏, giapp. Shōbōgenzō) conosciuto come lo Shōbōgenzō cinese.
  7. ^ Solo un gruppo di suoi seguaci resistette nel monastero Tendai Hajaku-ji, nella remota provincia dei Echizen (oggi Prefettura di Fukui), fino al 1241 quando aderiranno alla scuola Sōtō fondata da Dōgen.
  8. ^ Costruito nel 1236 secondo i voleri di Fujiwara Michiie, patrono Enni Ben'en, come luogo di pratica Tendai, Shingon e Zen, divenne presto un tempio della scuola Zen Rinzai e risulta oggi il tempio Zen più antico del Giappone.
  9. ^ Oltre a queste personalità occorre ricordare che nello stesso periodo operavano Shinchi Kakushin (心地覺心 , 1207–1298), che introdusse in Giappone una delle più importanti collezioni di gong'an cinesi, il Wúmén guān (無門關, giapp. Mumon kan, Il passo di frontiera di Wumen, raccolta di quarantotto gong'an della scuola Chán, T.D. 2005.48.292c-299c, composto nel 1228 in 1 fascicolo da Wumen Huikai, 無門慧開, 1183-1260), e Nampo Jōmin(南浦紹明, conosciuto anche come Daiō Kokushi, 1235–1308), che ricevette il lignaggio dal maestro Xūtáng (虛堂, 1185–1269) e da cui si sviluppò il monastero Zen Rinzai Daitoku-ji(大徳寺).
  10. ^ Il carattere 心 (xīn, xin primo tono) significa cuore (sanscrito: hṛd) ma, anticamente in Cina, si riteneva che questo fosse l'organo del pensiero e quindi significava anche mente pensante (sanscrito: citta); decisamente impropria è invece la traduzione occorsa in alcuni casi di "anima" o "essenza" (sanscrito: atman) è noto infatti che le scuole Chan, come tutte le scuole Mahayana, ne denunciano l'inconsistenza.
  11. ^ Cfr., tra gli altri, James H. Sanford. Shakuhachi Zen: The Fukeshū/Komusō Monumenta Nipponica, Vol. 32, No. 4, Winter 1977, pp. 411-440.
  12. ^ Tokyo, Nakayama Shobo, 1983, 4, p.40
  13. ^ Il koan origina in realtà da un altro, più antico, in lingua cinese, cfr. John McRae, Seeing Through Zen. Encounter, Transformation, and Genealogy in Chinese Chan Buddhism, The University Press Group Ltd, 2003, p.81
  14. ^ Nishijima, Master Dogen's Shinji Shobogenzo, 2003
  15. ^
    « By the middle of the ninth century, sensitized to the recursive danger of imposing a means-end structure on the relationship between Buddhist practice and Buddhist enlightenment, a significant number of Chan communities had adopted a critical and iconoclastic stance toward the gradualism of a Buddhist establishment that insisted on disciplined study and practice as a necessary precursor to expressing one’s own, originally enlightened and enlightening nature. This stance was graphically epitomized by Linji’s (d. 866) denunciation of Buddhist scriptures as “hitching posts for donkeys” and his fierce insistence that true practitioners must be ready even to “kill ‘Buddha’” en route to becoming “true persons of no rank,” responding to each situation as needed to improvise an enlightening turn in its dynamics. »
    (Peter D. Hershock, Public Zen, Personal Zen: A Buddhist Introduction. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2014, pos. 66/277)
    « But rather than turning to the historical Buddha as a model, he took the route of personally exemplifying the at times shocking capacity for relating freely that featured so prominently in the recorded encounter dialogues and kōans attributed to such Tang dynasty Chan masters as Mazu, Huangbo, and Linji. In turn dismayed and angered by what he saw as the decadent aestheticism and almost fetishistic desire for power that shaped life in both gozan and rinka temples, Ikkyū came to feel a special kinship with Linji and his iconoclastic disdain for convention. But whereas Linji seems to have maintained a relatively uncontroversial monastic lifestyle, Ikkyū went well beyond rhetorical iconoclasm, making a shambles of both monastic and social convention. »
    (Peter D. Hershock, Public Zen, Personal Zen: A Buddhist Introduction. Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2014, pos. 200/277)

Bibliografia

  • Giuseppe Jiso Forzani. I Fiori del Vuoto. Introduzione alla filosofia giapponese. Torino, Bollati Boringheri, 2006
  • Alan W. WattsLa via dello Zen. New York, Feltrinelli, 2006, prima edizione 1957
  • Susan Moon, Lo zen e l'arte di invecchiare bene,Terranova edizioni, 2011
  • Helen J. Baroni. Obaku Zen: The Emergence of the Third Sect of Zen in Tokugawa Japan. Honolulu, University of Hawaii Press, 2000
  • Gudō Wafu NishijimaHow to Practice Zazen (1976), con Joe Langdon
  • OshoIl manifesto dello Zen. Libertà da sé stessi, 1998
  • Eugen Herrigel. La via dello Zen. Roma, Edizioni Mediterranee, 1993
  • William M. Bodiford. Soto Zen in Medieval Japan. Honolulu, University of Hawaii Press, 1993
  • Heinrich Dumoulin. Zen Buddhism: A History, Vol. 1-2: Japan. New York, Macmillan, 1990
  • D.T. SuzukiSaggi sul Buddhismo Zen (3 vol.). Roma, Edizioni Mediterranee, 1989
  • Toshihiko Izutsu. "La filosofia del Buddhismo Zen". Roma, Ubaldini Editore, 1984
  • N. Goldberg. Scrivere Zen Ubaldini Editore, 1987
  • Robert M. PirsigLo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, 1974
  • D.T. Suzuki. Introduzione al Buddhismo Zen. Roma, Ubaldini Editori, 1970
  • Nyogen Senzaki e Paul Reps, 101 storie zen, Piccola Biblioteca Adelphi, traduzione di Adriana Motti, Adelphi, 1973, pp. 112. ISBN 88-459-0160-2
  • Max Deeg. Komuso and “Shakuhachi-Zen”: From Historical Legitimation to the Spiritualisation of a Buddhist Denomination in the Edo Period, Japanese Religion 32 (1-2), 7-38, 2007
  • Jørn Borup. Japanese Rinzai Zen Buddhism: Myōshinji, a Living Religion, Brill 2008
  • Heine, Steven, A Critical Survey of Works on Zen since Yampolsky, Philosophy East & West Volume 57 (4), 577–592, 2007

Voci correlate

mercoledì 26 luglio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 83. L'apogeo della famiglia Monterovere

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Nel gennaio del 1994, in occasione dell'ottantacinquesimo compleanno del patriarca Romano Monterovere, tutti i membri della famiglia si riunirono per festeggiare, e quella fu l'ultima occasione in cui l'intero clan, al completo, si sarebbe seduto intorno alla stessa tavola.
I festeggiamenti si tennero a Monterovere Boica, il paese d'origine della famiglia, nel castello omonimo, comprato dal "barone" universitario Lorenzo Monterovere, Cavaliere di Malta e Iniziato agli Arcani Supremi.
Dei tre figli di Romano Monterovere e della defunta Giulia Lanni, quello che aveva avuto più successo era certamente Lorenzo, che però era l'unico a non essersi sposato e a non aver avuto figli (si sospettava che fosse omosessuale).
Al secondo posto, in termini di successo materiale, veniva Enrichetta Monterovere, direttrice dell'Azienda Escavatrice ed Idraulica Fratelli Monterovere, un vero colosso nell'ambito dei Consorzi di Bonifica e Irrigazione della Romagna Centrale, anche grazie all'alleanza con lo zio, l'Onorevole Tommaso Monterovere, deputato del Partito Democratico della Sinistra.
Il potere di Enrichetta all'interno dell'Azienda di famiglia era molto solido, grazie al sostegno del padre, dello zio, della zia Anita e di vari cugini, figli dei defunti fratelli e sorelle del vecchio patriarca Romano.
Al terzo posto vi era il primogenito, Francesco Monterovere, marito di Silvia Ricci-Orsini e padre di Riccardo Monterovere.
Francesco era considerato il miglior professore di matematica e fisica di Forlì, così come sua moglie era ritenuta la migliore insegnante di italiano, latino e greco della città.
Il salotto di Silvia Ricci-Orsini Monterovere era il più prestigioso di tutta la Romagna Centrale, perché vi confluivano, oltre ai personaggi legati al Feudo Orsini e all'Azienda Monterovere, anche gli intellettuali colleghi di Silvia o di Francesco e gran parte dei loro ex-alunni che erano rimasti molto legati con i loro docenti del Liceo.
Il 1994 può essere considerato l'anno dell'apogeo del prestigio del salotto di Silvia e Francesco.
Parte di quel prestigio derivava dal fatto che Riccardo Monterovere aveva ottenuto brillanti risultati sia nello studio che nelle relazioni sociali: in quegli anni era legato alla bionda Vittoria Zampetti, sua bellissima, sensibike e intelligente compagna di classe, figlia di un noto industriale e di una parente del clan Ricci-Orsini.
Con queste premesse si potrebbe pensare che Riccardo Monterovere fosse, come si suol dire, "in una botte di ferro", essendo erede di due famiglie benestanti, impegnato sentimentalmente con una ereditiera, e pronto a diplomarsi alla Maturità con il massimo dei voti.
Le aspettative erano grandi e le speranze ancora di più, eppure il sole dell'avvenire di Riccardo Monterovere era giunto allo Zenit e da quel momento non fece altro che calare.
Fu colpa sua o si trattò semplicemente di sfortuna?
Ogni analisi seria deve incominciare da un'autoanalisi e dunque sì, possiamo dirlo con certezza, Riccardo commise moltissimi errori basati su un eccesso di autostima.
Si riteneva psicologicamente forte e in grado di ottenere tutto quello (e non era poco) che la sua smisurata ambizione gli aveva posto come obiettivo, e cioè il diventare un grande dirigente d'azienda e di unire sotto la sua guida l'Azienda Monterovere, il Feudo Orsini e, se Vittoria gli avesse dato fiducia, forse anche le Industrie Zampetti.
Per prepararsi al meglio a questo ruolo, aveva già deciso di iscriversi all'Università Bocconi di Milano, dove si sarebbe trasferito per laurearsi in Economia.
Quella scelta aveva lasciato perplesse molte persone, a partire dai suoi genitori e dagli altri parenti, che lo vedevano più che altro come un intellettuale e un letterato, distante dalle dinamiche carrieristiche del mondo degli affari.
E avevano assolutamente ragione.
Ma Riccardo sentiva dentro di sé lo spirito da avventuriero del nonno materno, il compianto Ettore Ricci, il quale, come un personaggio di Balzac, aveva fatto della scalata sociale e del successo materiale le sue ragioni di vita.
Quello però era solo un quarto del suo DNA.
Gli altri tre quarti erano molto diversi.
Riccardo non voleva ammettere a se stesso di avere in sé dei punti deboli che derivavano dai geni degli altri tre nonni: l'eccessiva sensibilità di Diana Orsini, la nonna aristocratica tendente alla malinconia, alla permalosità e agli sbalzi d'umore; l'ipocondria ossessiva di Romano Monterovere, che viveva nel terrore delle malattie; la tendenza alla pigrizia della compianta Giulia Lanni, che per tutta la sua vita era stata sofferente di emicrania, stanchezza cronica e disturbi cardiocircolatori.
Quei tre quarti di DNA erano decisamente poco predisposti per sopportare il peso delle eccessive ambizioni di Riccardo Monterovere, e tutti questi nodi erano destinati a venire al pettine nel momento in cui, finiti gli studi, egli si sarebbe dovuto cimentare con la vita reale.
Come molti giovani della sua generazione, Riccardo aveva creduto che la maggior parte delle cose si potessero imparare sui libri, e questo era un errore grossolano, perché una qualsiasi persona di buon senso avrebbe saputo che l'esperienza pratica è la migliore maestra, e l'elemento portante della formazione personale e professionale.
Ma Riccardo commise un altro errore, forse ancora peggiore dei precedenti, e cioè l'aver dato per scontato di essere veramente degno dei sentimenti di Vittoria Zampetti, la quale poteva decisamente sperare in un partner molto migliore di lui.
Ma valeva anche il viceversa, nel senso che Riccardo non poteva immaginare che negli anni futuri trascorsi a Milano avrebbe incontrato tante ragazze interessanti, alcune delle quali gli avrebbero fatto perdere la testa, provocandogli le prime crisi, che come crepe si sarebbero diffuse in tutto l'edificio della sua vita da gigante con i piedi d'argilla.
C'erano insomma tutti gli ingredienti per una miscela esplosiva.
Molti lo avvertirono dei pericoli a cui andava incontro e tra questi ci fu lo zio Lorenzo, il quale gli disse apertamente:
<<Quando avrai assaggiato la presunta ambrosia degli Dei e avrai scoperto che l'uva era veramente acerba, allora potrai contare sul mio appoggio per ricominciare da capo, e questa volta nella giusta direzione>>

lunedì 24 luglio 2017

Vite quasi parallele. Capitolo 82. La Sopravvissuta

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Diana Orsini vagava sola nella casa dei suoi antenati.
Se n'erano andati via tutti.
I più si trovavano sotto la volta nera della cappella di famiglia, riuniti nel sonno eterno.
Suo padre, sua madre, i suoi fratelli, le sue sorelle e infine suo marito.
Gli altri erano andati a vivere altrove: le figlie, i nipoti.
Rimaneva con lei soltanto l'anziana governante e l'ancor più anziano marito di lei.
Persino le cognate avevano preferito lasciare Villa Orsini dopo la morte di Ettore Ricci.
La verità era che Ettore era stato, nel bene e nel male, l'anima di quella casa, di quella famiglia e di quella Contea.
E questo nonostante il fatto che, per la maggior parte di tutti i lunghi cinquantasei anni del loro matrimonio, Ettore e Diana non fossero andati molto d'accordo, per usare un eufemismo.
<<Era un uomo difficile>> diceva spesso Diana ai nipoti <<ma adesso che non c'è più mi manca terribilmenteEra come un elemento della natura, un temporale estivo, a volte persino un uragano, ma pur sempre meglio di questa siccità, di questa inerzia, di questa quiete da museo, di questo morto viluppo di memorie che non è più una casa, ma un reliquiario>>
Certo c'era ancora il suo giardino, il suo prato pieno di fiori di campo, dove lei amava farsi fotografare dai nipoti.
Trovava conforto nella poesia, specie nei versi di Montale, che leggeva spesso a suo nipote Riccardo:
<<So che si può vivere non esistendo, emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno l’ha veduto. So che si può esistere non vivendo,  con radici strappate da ogni vento, se anche non muove foglia e non un soffio increspa l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone. So che non c’è magia di filtro o d’infusione che possano spiegare come di te s’azzufino dita e capelli, come il tuo riso esploda nel suo ringraziamento...>>
Lei e Riccardo amavano commentare quei versi, o adattarli alle proprie circostanze.
<< Da giovane temevo le orme degli intrusi. Erano tanti e il più impresentabile 
di tutti era Ettore, perché gli altri almeno stavano zitti. Ma lui no... lui non passava inosservato... 
Se mai questa Contea ha avuto un'anima, lui era quell'anima.
Non gli Orsini: noi eravamo qui solo di passaggio>>
Il nipote colse un significato implicito:
<<Eravamo? Perché parli di noi al passato?>>
Diana sorrise:
<<Io sono l'ultima degli Orsini. L'ultima Contessa di Casemurate. Con me si estinguerà il vincolo che lega il mio cognome a questa terra. 

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Ma tu, Riccardo, tu sei il futuro... tu non hai obblighi verso questo luogo, capisci quel che intendo dire?
Non sprecare la tua vita per riscattare il Feudo Orsini dai suoi debiti!
Questo è un mio fardello, a cui dedicherò tutte le mie forze, per tutti i giorni che mi rimangono. E i tuoi zii faranno il resto, quando non ci sarò più. 
Voi nipoti potrete vendere tutto e godervi la vita>>
Riccardo sapeva che sua nonna aveva ragione, ma c'era una promessa fatta ad Ettore in punto di morte:
<<Il nonno, prima di morire, mi ha fatto giurare di dedicare i miei studi all'economia, affinché un giorno possa dare il mio contributo al riscatto del Feudo Orsini>>
Diana sospirò:
<<Lui è morto. Tu sei vivo, e hai tutta la vita davanti. Non buttare via la tua giovinezza in queste meschinità. Economia? No... tu sei un letterato, un poeta, uno spirito creativo e libero!
E soprattutto sei un Monterovere! Segui l'esempio di tuo padre, che è un grande insegnante, o di tuo zio, che è un docente universitario di fama internazionale!
Lascia perdere questa terra amara... troppe lacrime l'hanno irrigata, e troppo sangue...>>

Riccardo prese la mano di sua nonna:
<<Io sono cresciuto qui. Questa casa, questo giardino, tutta questa terra... sono parte della mia vita. Qui ho trascorso i miei anni più belli. Solo qui mi sento veramente a casa...>>
Diana scosse il capo:
<<Gli anni più belli? Ma tu non hai neanche diciott'anni! Gli anni più belli devono ancora venire! E non saranno certo qui. Questo posto è già adesso un mortorio, un cimitero!
Una volta che sarò morta anch'io, cosa resterà qui, se non un cumulo di memorie?
Vuoi forse sprecare la tua vita diventando un adoratore di ceneri?>>
Riccardo la fissò, ed era come fissare se stesso, perché lei aveva gli stessi occhi che lui aveva ereditato:
<<Il mio compito è mantenere viva la fiamma>>
Lei ricambiò lo sguardo:
<<E lo farai, ma in un altro modo!>>
Lui non capiva:
<<E quale sarebbe?>>
Diana sorrise:
<<Racconta la nostra storia. Scrivila. Fa' in modo che ne resti traccia nella memoria degli altri. In fondo la mia vita è stata come un romanzo. Ti autorizzo a scrivere di me e di queste terre, che verranno ricordate perché tu avrai scritto un romanzo su di loro. Questo è il modo migliore per rendere omaggio al luogo della tua infanzia. E' l'unica immortalità consentita. Certe cose non tornano più, ma possono essere raccontate agli altri e poi concluse firmando il libro con un sigillo d'oro>>
Non era la risposta che Riccardo si aspettava:
<<Vorresti fare di me un letterato? Chi mai potrebbe leggere i miei scritti? Studiare Lettere, al giorno d'oggi, è una garanzia di disoccupazione e frustrazioni>>
Lei socchiuse gli occhi:
<<Fare un lavoro che non piace è peggio che essere disoccupati. E il denaro per sopravvivere non ti mancherà, a questo ho già pensato io.
Riguardo alle frustrazioni, chi può dirlo? A volte sono proprio loro a permetterci di crescere, e di andare avanti>>
Lui era troppo giovane per capire:
<<Ma tutti dicono che Lettere è una scelta troppo facile. La fanno in tanti, in troppi>>
Lei sollevò le spalle:
<<Ma solo pochi hanno la vera vocazione. Non dare retta a chi pensa solo al profitto. Hai visto tuo nonno? Vuoi fare la sua stessa fine? Vuoi diventare come lui?>>
Era quello il punto, e Riccardo lo sapeva:
<<Io ho il suo sangue nelle vene. Io gli assomiglio più di quanto possa sembrare, e questo lui l'aveva capito, per questo ha scelto me. Non come erede degli Orsini, ma come erede di Ettore Ricci>>
Diana scosse il capo:
<<Non di Ettore, ma del suo lato oscuro. C'è una parte di lui che non conosci, ma forse è giunto il tempo che io ti racconti la verità su alcune questioni. 
Ettore non era malvagio, ma la sua ambizione lo ha portato a dare ascolto a cattivi maestri.
So quel che dico.
Sono gli stessi che ti consigliano di sacrificare la tua vocazione e la tua integrità per inseguire il profitto a tutti i costi.
Keynes, l'unico economista che aveva un cuore, li chiamava "animal spirits".
Non dare ascolto a questi "spiriti animali": non sanno niente e, cosa ancora peggiore, non imparano mai>>

Teorie psicologiche

Psychology Theories

domenica 23 luglio 2017

Cosa farebbero i personaggi dei film Disney al giorno d'oggi

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Sondaggio IPR Marketing sulle intenzioni di voto a fine luglio 2017

I dati del sondaggio

Centrodestra (FI + Lega + FdI + Italia Civica + Liste minori) = 34%
Centrosinistra (PD + MPD + Campo Progressista + Alternativa Popolare + Liste minori) = 31%
Movimento 5 Stelle = 28%

Forza Italia 12,5 %
Lega            12,5%
FdI                5,0%
Italia Civica  3,0%
AltriCd          1,0%

PD                24%
MDP-CP         6%
AP                   3%
AltriCs            1%

Sinistra Italiana 2%

M5S               28%

Altri partiti       2%

Situazione della guerra in Siria e mappa dell'Isis









File:Syrian, Iraqi, and Lebanese insurgencies.png



Dopo la caduta di Mosul e l'assedio di Raqqa, l'Isis si è ritirato in una sacca territoriale che comprende parte della Siria centrale e orientale, la valle dell'Eufrate, il confine tra Siria e Iraq, e molte aree desertiche, dove sono presenti pozzi di petrolio.
In Siria è in vigore un armistizio tra il governo e i ribelli, in modo che gli sforzi si concentrino nella lotta contro l'Isis.
Tuttavia esistono ancora zone di forte instabilità:
1) Nel Nord tra i Turchi e i Curdi, specie nella regione di Afrin, e tra le fazioni ribelli di Ahrar al-Sham (filo-turca, salafita e vicina alla Fratellanza Mussulmana) e Tahrir Al-Sham (filo-saudita, wahabita, ex Fronte al-Nusra, affiliato al gruppo terroristico di Al Qaeda).
2) Nella zona centrale dove è in corso l'offensiva per la liberazione di Deir ez Zor (su tre fronti), dove sarà possibile una contesa, oltre che con l'Isis, anche con le forze curde del Rojava e del SDM (Syrian Democratic Force), supportati degli Usa al fine di controllare tutte le zone di confine tra Siria e Iraq, e la stessa città di Deir ez Zor, da cui si snodano tutte le direttrici più importanti per la circolazione.
3) Nel sud le tensioni sono tra il governo siriano e l'FSA (i cosiddetti ribelli moderati, filo-statunitensi) che controllano alcune "zone cuscinetto" al confine con Israele e Giordania, e alcuni nodi autostradali al confine tra Siria e Iraq. Anche in questo caso gli Usa sostengono i ribelli al fine di impedire il collegamento via terra tra i governi sciiti filo-russi e filo-iraniani di Siria e Iraq (e quindi anche il transito delle milizie Hezbollah addestrate in Iran per combattere in Siria a fianco del governo del presidente Assad).

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Qui sotto, l'avanzata delle truppe siriane (in rosso) nella direttrice 1 verso l'Eufrate (in giallo la zona Curda)



Syrian Army Reaches Euphrates, Cuts Off Al-Bukamal-Aleppo Highway. What Now?

   Controlled by the Syrian opposition
   Controlled by the Ba'athist Syrian government
   Controlled by the Iraqi government
   Controlled by the Lebanese Government
   Controlled by Hezbollah
   Controlled by the Islamic State of Iraq and the Levant (ISIL, ISIS, IS, Daesh)
   Controlled by Tahrir al-Sham (HTS) ex Al Nusra - Al Qaeda
   Controlled by the Rojava (Syrian Democratic Forces)
   Controlled by Iraqi Kurdistan
   Controlled by the Turkish Army and Euphrates Shield rebel forces
   Disputed territory

The Syrian Arab Army (SAA) Tiger Forces and the National Defense Forces (NDF) have reportedly reached the Euphrates River south of the ISIS-held city of Raqqah and cut off the Al-Bukamal-Aleppo highway in the area.

According to pro-government sources, the Tiger Forces and the NDF have recaptured Al-Dakhilah, Bir Al-Sabkhawi, and Al-Sabkhawi from ISIS terrorists in the southern countryside of Raqqah. With this move, government forces took control of a part of the Al-Bukamal-Aleppo highway that may be used for a push to Deir Ezzor.

Thus, the army and its allies repeaed the al-Bab-style operation when they built a buffer zone in order to stop a possible Turksih advance into central Syria. Control over  the Al-Bukamal-Aleppo highway prevents a possible US-backed operation in the direction of Deir Ezzor from the area of Raqqah.