sabato 10 giugno 2017

Il concetto di Bhakti

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Bhakti (devanagari भक्ति) è un termine sanscrito che nelle tradizioni religiose dell'India indica l'aspetto devozionale della fede[1] in una divinità personale o anche un maestro spirituale, caratterizzato spesso da una partecipazione emotiva intensa e totalizzante. "La via della bhakti" (bhaktimarga[2] o anche Bhakti Yoga) è, in molte di queste tradizioni, uno dei mezzi per ottenere la liberazione (mokṣa).[3]

Aspetti etimologici

La radice del termine bhakti è bhaj, dai molteplici significati, quali ad esempio: distribuire, dividere, donare, possedere, praticare, coltivare, adorare, amare.[4]
Dalla medesima radice abbiamo il termine bhajan, indicante una generica canzone devozionale in uso presso diverse tradizioni dell'induismo.[5]

Storia dei movimenti devozionali


Il poeta Jayadeva si inchina a Vishnu, dipinto del XVIII sec.
I primi movimenti devozionali, così come oggi intesi, trovarono affermazione nell'India del sud, presso le correnti religiose dei Nāyaṉār shivaiti e degli Āl̥vār vishnuiti non prima del VI-VII secolo e.v.[2]
Il termine, bhakti, sembra però già fare la sua apparsa in una Upaniṣad del periodo medio, la Śvetāśvatara Upaniṣad (IV-II secolo a.e.v):
(SA)
« yasya deve parā bhaktir yathā deve tathā gurau - tasyaite kathitā hy arthāḥ prakāśante mahātmanaḥ prakāśante mahātmanaḥ »
(IT)
« Colui il quale possiede la massima fede [bhakti] nel Dio, e come nel Dio così ha nel guru, per costui splendono le verità qui esposte, per costui il quale è un Grande Spirito. Oṃ! Tat sat. Oṃ![6] »
(Śvetāśvatara Upaniṣad, VI, 23; citato Upaniṣad antiche e medie, a cura e traduzione di Pio Filippani-Ronconi, riveduta a cura di Antonella Serena Comba, Universale Bollati Boringhieri, Torino, 2007.)
L'accademico britannico Gavin Flood[7] ipotizza che, comparendo il termine proprio nell'ultima strofa, possa però trattarsi di un'interpolazione successiva. Flood prosegue mettendo in evidenza che comunque il testo presenta più passi nei quali è possibile cogliere il ruolo della bhakti, anche se il termine non è espressamente utilizzato.
È però presso la cultura tamil che la bhakti (in lingua tamilபக்தி) si sviluppa da semplice concetto a movimento religioso vero e proprio. A contribuirvi in maniera decisiva sono la tradizione della poesia amorosa (già delineata in India meridionale nei primi secoli e.v.) e il culto popolare di Murukaṉ, divinità dell'amore e della guerra al contempo. Nei culti del Tamil Nadu sussistevano elementi che si ritrovano anche nel culto del dio greco Dioniso: a officiare le cerimonie erano sacerdotesse che venivano "possedute" dal dio e danzavano in estasi. Nelle epoche successive Murukaṉ finì per essere assimilato a Skanda, figlio di Shiva nella mitologia.[8]
All'incirca nel III secolo la figura del dio Krishna comincia a diffondersi nell'India del Sud, incontrando questi movimenti devozionali col risultato di un allargamento e accrescimento della devozione quale movimento di larga diffusione che avrebbe poi influenzato anche l'India del Nord. Siamo nel VII secolo circa, e la devozione trova espressione letteraria nella poesia dei Nāyaṉār, tradizione poetico-religiosa shivaita, e soprattutto nei canti devozionali degli Āl̥vār[9], tradizione vishnuita.[10] Così si esprime il poeta e musico tamil Appar (VII sec.)[11]:
« Che ragione c'è di cantare i Veda? Capire i Commentari? Praticare quotidianamente la legge morale? Imprarare un Anga o tutti e sei? – Portare il Signore nel proprio cuore, questo solo procura la salvezza. »
(Appar; citato in Louis RenouL'induismo, traduzione di Luciana Meazza, Xenia, 1993, p. 60)
Il Bhāgavata Purāṇa (X secolo ca.), testo fondamentale del vaishnavismo, scritto in sanscrito ma composto nell'India meridionale, è stato molto influenzato dalla letteratura devozionale, e a sua volta finì per influenzare la letteratura sanscrita devozionale dell'India del Nord, soprattutto nel Bengala.[12]
Ed è proprio nei Purāṇa, testi di carattere mitologico, cosmologico e celebrativo composti in un arco di tempo che va dai primi secoli dell'era attuale fino all'epoca moderna, che la bhakti trova la sua espressione letteraria compiuta. L'indologa francese Madeleine Biardeau ha definito i Purāṇa «l'universo della bhakti»[13], nel senso che il teismo successivo al periodo brahmanico è qui evidenziato e "narrato" soprattutto nel suo aspetto devozionale. ShivaVishnu e le Devi sono le divinità principali cui è rivolta questa devozione.
La bhakti era altresì presente nelle tradizioni tantriche dell'India del Nord, non come movimento o cammino come successivamente inteso, ma come elemento del culto in generale. Nella letteratura relativa un esempio di devozione fra i più remoti è quello del filosofo e mistico kashmiro Utpaladeva (X secolo) coi suoi Inni a Shiva (Śivastotrāvalī)[14].[15] Così riassume l'indologo francese André Padoux:
« Una volta superato il vedismo, l'India religiosa è diventata innanzitutto devozionale: la bhakti ha potuto acquisire alcuni tratti tantrici, ma è stato in particolar modo il mondo tantrico a essere connotato dalla devozione. »
(André PadouxTantra, traduzione di Carmela Mastrangelo, a cura di Raffaele Torella, Einaudi, 2011, p. 181)
Ma il testo più noto e determinante per l'affermazione della bhakti è la Bhagavadgītā ("Il canto del Signore")[16], poemetto estratto dalla grande epopea del Mahābhārata. Nel discorso che il dio Krishna fa al condottiero Arjuna prima della battaglia di Kurukshetra, Egli elenca le varie strade della liberazione ponendo l'accento sulla bhakti:
« Colui che, fra i devoti, spiegherà questo mistero supremo, particando la più alta devozione, quelli giungerà a me: è una certezza. Fra gli uomini, nessuno lo supererà nel compimento di opere che mi sono care e sulla terra nessun altro mi sarà più caro di lui. »
(Bhagavadgītā XVIII, 68-69; a cura di Anne-Marie Esnoul, traduzione di Bianca Candian, Adelphi, 2011, p. 172)
Successivamente, Ramanuja (1017–1137), Jayadeva (XI-XII secolo), Vallabhadeva (XV secolo), Rūpa GosvāminJīva Gosvāmin (morti entrambi nel 1591) e Jagannātha Paṇḍitarāja (1590 circa-1665 circa) sono fra i più noti pensatori che espressero, anche in forma poetica, i contenuti e gli obiettivi della bhakti.

La bhakti e le sue espressioni


Altare domestico per l'esecuzione della pūjā, cerimonia di adorazione di una divinità
Così lo storico delle religioni francese Louis Renou definisce la bhakti:
« Partecipazione affettiva dell'uomo al divino, fede amorosa, devozione emotiva che si manifesta con un desiderio appassionato di unione con il Signore, con un abbandono alla volontà divina, con una sottomissione al Signore e agli altri maestri che facilitano l'accesso presso di Lui. »
(Louis RenouL'induismo, traduzione di Luciana Meazza, Xenia, 1993, pp. 59-60)
L'accademico Gavin Flood mette l'accento sulla differenza con le altre strade della liberazione: la bhakti ha sempre privilegiato la sfera emotiva rispetto a quella della conoscenza (jñāna). Alla ricerca di un brahman trascendente e astratto, la bhakti preferisce una rappresentazione personale del divino, la venerazione e l'adorazione, sia nelle forme rituali che mistiche.[17] La bhakti è un'esperienza molto personale, per cui non poche tradizioni finiscono per rifiutare il culto templare e i movimenti istituzionalizzati.[18]
Il mistico indiano Swami Vivekananda (1863 – 1902) mette in evidenza il fatto che la bhakti è amore puro per Dio, non condizionato cioè all'ottenimento di una ricompensa, in questa vita o dopo la morte: la bhakti non è chiedere a Dio qualcosa, ma donarsi partecipando il divino in ogni attività del quotidiano.[19]
Il Bhāgavata Purāṇa, di cui si è già accennato, classifica nove forme di espressione della bhaktiśravaṇa, l'ascolto dei nomi e delle gesta di Dio; kīrtana, il canto degli stessi; smaraṇa, la ripetizione mormorata o mentale degli stessi; pāda-sevana, l'asservimento ai piedi di Dio; archana, la pratica cultuale, espressa a sua volta in sedici componenti (ṣoḍaśopacāra)[20]vandana, la reverenza; dāsya, la sottomissione; sakhya, il rapporto amichevole; ātma-nivedana, l'offerta totale di sé stessi a Dio.[21]
Il Bhakti Sūtra di Nārada (XII sec.) identifica quattro forme di espressione della bhakti verso Krishna, forme basate sui differenti tipi di relazione che il devoto può assumere: compagno, schiavo, genitore, consorte.[22]
Una delle più conosciute forme della bhakti in occidente è quella proposta dal movimento Hare Krishna e dai movimenti Gaudiya Vaisnava in genere: il coinvolgimento emotivo tra devoto e Dio è del tutto personale, intimo, ed escludente qualsiasi forma d'intermediazione sacerdotale: è espressione amorosa che si trasmette reciprocamente tra uomo e Dio. Gli Hare Krishna si rifanno agli insegnamenti espressi nella Bhagavadgītā.[23]

Note

  1. ^ Vedi bhaktispokensanskrit.de.
  2. ^ a b Anna Dallapiccola, Induismo. Dizionario di storia, cultura, religione, traduzione di Maria Cristina Coldagelli, Bruno Mondadori, 2005.
  3. ^ Flood 2006, p. 12.
  4. ^ Nancy M. Martin, North Indian Hindi Devotional Literature; in The Blackwell companion to Hinduism, a cura di in Gavin Flood, Blackwell Publishing, 2003, p. 183.
  5. ^ Bhajan: Hindu Devotional Musichinduism.about.com.
  6. ^ "Oṃ tat sat" (lett.: "Oṃ, questo è l'essere"), è una formula rituale, interpretabile come «L'essenza di tutto è la Parola [il Logos]».
  7. ^ Flood 2006, p. 209.
  8. ^ Flood 2006, pp. 174-176.
  9. ^ Entrambe le correnti sono state successivamente assorbite in tradizioni di più vasta portata, i primi nello Śaivasiddhānta, i secondi nello Śrivaiṣṇava, ma molti dei canti sono tuttora usati nelle liturgie odierne.
  10. ^ Flood 2006, p. 175 e p. 177.
  11. ^ Apparbritannica.com
  12. ^ Flood 2006, p. 179.
  13. ^ Citato in Gavin Flood, The Blackwell companion to Hinduism, Blackwell publishing, 2003, p. 139.
  14. ^ «O sapore infinitamente, dolce di siffatto nettare! Questo desiderio ardente di servire Śiva lo sterminatore: forse che in lui, nell'attimo di tempo, non si rinnovi sempre quel sapore?» UtpaladevaŚivastotrāvalī, citato in Padoux 2011, p. 179.
  15. ^ André PadouxTantra, traduzione di Carmela Mastrangelo, a cura di Raffaele Torella, Einaudi, 2011, p. 179 e segg.
  16. ^ Il testo è di datazione incerta, ma comunque successivo al IV secolo a.e.v. nella sua prima formulazione; più realisticamente composto nei primi secoli dell'era attuale e successivamente anche rimaneggiato.
  17. ^ Flood 2006, p. 180 e p. 186.
  18. ^ Flood 2006, p. 177.
  19. ^ Swami VivekanandaSwami Vivekananda - Bhakti Yogaramakrishna-math.org.
  20. ^ Sedersi, invitare Dio, offrirgli acqua per lavare le gambe, acqua per lavare la bocca, lavare la bocca, lavare le gambe, offrirgli acqua da bere, fiori, incenso, lampade, profumi, cibo, miele o burro chiarificato, indumenti, preghiere, decorare il corpo del Signore.
  21. ^ Da Bhāgavata Purāṇa, VII, 5, 23; Cfr.: Sisir Kumar Das, A History of Indian Literature, 500-1399, Wellwish Printers, 2005, p. 175.
  22. ^ Flood 2006, p. 180.
  23. ^ Vedi The Official Website of The Hare Krishna Movement Organizationiskcon.org.

Bibliografia

Voci correlate

Gruppi armati che partecipano alla battaglia per la liberazione di Raqqa


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Raqqa, la capitale dell'Isis, è prossima a cadere. La città è completamente circondata. I bombardamenti statunitensi (al fosforo bianco), si succedono da giorni e le truppe dell'Alleanza SDF (Syrian Democratic Forces), guidata dai curdi dell'YPG (il partito del popolo del Rojava Kurdistan siriano) è entrata nella periferia della città e si appresta a sferrare l'attacco decisivo.
Le unità combattenti curde e arabe della Federazione della Siria del Nord (Rojava e valle dell'Eufrate) hanno trovato un accordo con la coalizione occidentale per una soluzione federale del dopoguerra, che preveda la trasformazione della Siria in una Confederazione di Repubbliche autonome (sul modello della Bosnia). Tale soluzione trova però l'opposizione del presidente siriano Assad, che mira a riprendere il controllo di gran parte della Syrian Arab Republic.
Soltanto un accordo tra Russia e Stati Uniti potrebbe convincere Assad ad accettare un compromesso, ma i tempi non sono ancora maturi. 
Per il momento la priorità è la sconfitta dell'Isis.
Quello che succederà dopo è un mistero e potrebbe rivelarsi un nuovo Vietnam.

Mappa della situazione militare in Siria e Iraq al 10 giugno 2017



On June 9, the Syrian Arab Army (SAA) and its allied militia groups reached the border with Iraq in the area north of the US-led coalition garrison at the village of At Tanf. This advance dramatically changed the strategic situation in southeastern Syria and de-facto allowed the Syrian-Iranian-Russian alliance to win the race for the border with Iraq.
Strategic Implications Of Syrian Government Forces Success At Border With Iraq
The key goal of the US-led coalition actions near At Tanf was to prevent the SAA from linking up with the allied Popular Mobilization Units (PMU) operating in Iraq and to build a buffer zone controlled by Western-backed militant groups between the two countries.
The PMU is a major power in Iraq and an official part of the Iraqi Armed Forces. It’s currently conducting a large-scale operating against ISIS terrorists at own side of the border. The June 9 advance destroyed the US-led coalition’s plans.
The government forces deployed north of At Tanf also prevent US-backed proxies from advancing on the ISIS-held border town of al-Bukamal. While the US-led forces in southeastern Syria have never had enough manpower and capabilities to do this, the declared aim to retake al-Bukamal from ISIS was an important part of the US propaganda campaign to justify its illegal presence in the area.
The government deploymen north of At Tan may also be described as a response to actions of another US-backed force, the so-called Syrian Democratic Forces (SDF) in the province of Raqqah. The SDF had made a number of steps near Tabqah blocking the SAA from reaching the Raqqah provincial capital.
Now, government forces in southeastern Syrian forces will likely coordinate its efforts with the PMU in order to clear the Syrian-Iraqi border area and to move to al-Bukamal and Qaim. Iran will also be able to incease supplies to the Syrian government via the opened land route.
Some PMU member groups are already participating in the operations in Syria on the side of the SAA. Now, this number will likely be increased.

Gli irriducibili del gasdotto: la grande battaglia per il controllo dei confini meridionali di Siria e Iraq

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La battaglia per il confine si infiamma.
In alto il motivo principale della guerra siriana, il gasdotto che sarebbe dovuto provenire dal Qatar, prima che quest'ultimo cadesse in disgrazia per il suo sostegno ad Hamas, alla Fratellanza Mussulmana e alla distensione con l'Iran,  in basso la mappa della reale situazione di americani e alleati, penetrati nel sud della Siria dalla Giordania nel tentativo di creare una zona cuscinetto tra Siria e Iraq per impedire il transito dei gruppi armati iraniani in sostegno degli Hezbollah libanesi, nemici acerrimi di Israele.
Secondo diversi report (Hezbollah media, Elhaja Manjer , Al Rai e Russian Mod ), poi confermati in giornata, le truppe siriane di Assad, con la copertura dei droni iraniani e degli aerei russi, hanno raggiunto il confine con l'Iraq nei pressi di Al Hasdh e Al Shaabi, aggirando il blocco statunitense presso l'autostrada Damasco-Baghdad e tagliando la strada alla coalizione occidentale nella creazione del cuscinetto che avrebbe dovuto blocare il corridoio sciita.
La manovra ha colto tutti di sorpresa.
Se l'esercito siriano assicurasse l'area di Al Tanf (valico di confine tra Siria, Giordania e Iraq ), gli Stati Uniti e gli alleati avrebbero praticamente perso la guerra.

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Il concetto di Moksha: la liberazione dal Samsara e la comunione con il Brahaman

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Mokṣa (devanagariमोक्ष), sostantivo maschile della lingua sanscrita dal significato di "liberazione", "affrancamento", "emancipazione", "salvezza".[1] Mokṣa è uno dei cardini delle dottrine religiose e spirituali dell'India, comune a tutte le correnti e tradizioni dell'induismo, al jainismo, al sikhismo, e affine al nirvāṇa del buddhismo. La liberazione, variamente interpretata e diversamente conseguibile a seconda del contesto, è principalmente intesa come salvezza dal ciclo delle rinascite (saṃsāra), ma anche quale conseguimento di una condizione spirituale superiore.


Mokṣa nelle Scuole di Pensiero induiste

Nelle tradizioni dell'induismo sono fondamentali i concetti di ātman e brahman. Un errore frequente è quello di considerare questi due concetti (entrambi definiti come “Sé”) un'entità monista comune, un qualcosa che possiede una personalità o degli attributi. Le Scritture induiste come le Upaniṣad e la Bhagavad Gita (e specialmente la scuola di pensiero non-duale Advaita Vedānta), affermano che il Sé si trova al di là dell'essere e del non-essere, oltre qualsiasi senso di tangibilità o comprensione. Mokṣa è considerato il finale e definitivo abbandono della concezione materiale e mondana dell'ego, la perdita del legame della dualità, e il ristabilimento della propria natura fondamentale, sebbene tale natura sia vista come ineffabile e al di là del sensibile.
Ci sono quattro tipi basilari di Yoga (qui inteso come via per raggiungere l'unione con la divinità) per ottenere il mokṣa, la liberazione:
Le differenti Scuole di Pensiero induiste (le darshana) danno più enfasi a certi metodi rispetto ad altri; alcune tra le più famose sono le pratiche yogiche e tantriche sviluppatesi nell'Induismo. Al giorno d'oggi, le due maggiori scuole di pensiero sono l'Advaita Vedānta e la bhakti.
La filosofia della bhakti' vede il Sé come un dio, più spesso una concezione personificata e monoteistica di VishnuShiva o della Dea. Al contrario della tradizione abramica, questo monoteismo non impedisce ad un induista di adorare altri aspetti della divinità, o esseri celesti o maestri, poiché essi sono tutti visti come emanazioni della stessa sorgente. Comunque, è importante notare che la Bhagavad Gita condanna l'adorazione di entità semi-divine, poiché se da un lato questo tipo di adorazione porta benefici e piaceri di ordine materiale e spirituale, esso non aiuta a conseguire la salvezza. Il concetto è quello della dissoluzione di sé nell'amore, dal momento che la reale natura dell'essere si manifesta come amore (prema). Immergendosi interamente nell'amore di della divinità, il kārma (a prescindere se buono o cattivo) dell'individuo viene dissolto, e la verità (sathya) è presto conosciuta e sperimentata.
Il Vedānta si ritrova diviso in tre correnti, sebbene le scuole del dualismo e del dualismo qualificato siano principalmente associate con la linea di pensiero della bhakti. La più famosa oggi tra queste scuole è l'Advaita Vedānta, una prospettiva non-duale (nessuna separazione tra l'individuale e l'universale, divinità); essa si basa sulle Upaniṣad, sul Vedānta Sutra e sugli insegnamenti del suo fondatore putativo, Adi Shankara. È importante sottolineare che l'Advaita Vedānta non esclude, ma comprende e trascende la bhakti; questa filosofia afferma che attraverso il discernimento tra reale ed irreale, l'intensa meditazione e la sincera devozione a Dio, il sadhaka (aspirante/praticante spirituale) dovrebbe, così come si pela una cipolla, rimuovere il velo di Maya (illusione) della manifestazione duale, per realizzare dentro di sé l'unità di Ātman e Brahman, e comprendere la natura del Non-manifesto, senza attributi, che paradossalmente è al tempo stesso Essere e Non-essere, immanente e trascendente, tutto e nulla, al di là di qualsiasi descrizione.

Mokṣa tra Induismo e Buddhismo

Nell'Advaita, i concetti di mokṣa e di nirvāṇa buddhista non sono così disuniti da considerarsi incomparabili. Anzi, c'è molta somiglianza nelle rispettive concezioni di “coscienza” ed ottenimento dell'illuminazione. Per gli Advaita, la verità ultima non è una singola Entità Divina di per sé stessa, ma piuttosto un qualcosa che essenzialmente è privo di manifestazione; e questo, per molti Advaita, viene visto come una integrazione (anziché una negazione) della vacuità buddhista.
Nelle tradizioni dualiste dell'induismo, d'altra parte, il mokṣa non è analogo al nirvāṇa buddhista. Per i vaishnava e le correnti moniste dello shivaismomokṣa è inteso come unione con Dio.

Note

  1. ^ Vedi: mokSaspokensanskrit.de.

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I concetti di Artha e di Kama: successo e piacere

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Con il termine Artha si indica la realizzazione individuale tramite la propria famiglia, anche se, a differenza del Kama che riguarda il proprio stato d'animo, è legata ai beni materiali, quindi comprende lavoro e benessere economico.
La sua sfera semantica rientra nell'ambito dei termini "obiettivo, significato o senso", riscontrabili nella cultura induista, ma che è entrato nella lingua di tutti i giorni come realizzazione pragmatica.
Secondo la cultura vedica, questa, con il DharmaKama e il Moksha formano i quattro scopi o principi fondamentali per la realizzazione spirituale, i Purushartha.

Kama (devanagari कामदेव, IAST Kāma) o "Kamadeva", nella religione indiana è il dio (deva) del piacere sessuale, dell'amore carnale e del desiderio.

Kamadeva in una stampa del XVIII secolo
Come Eros, è rappresentato da un giovane a due o otto braccia con arco di canna da zucchero, la cui corda è fatta di una fila di api, e cinque frecce, ognuna fatta da un fiore differente rappresentante i cinque sensi, che suscitano l'amore nelle persone che colpisce.[1] Raffigurato a cavallo di un pappagallo, con un vessillo rosso raffigurante un delfino, è attorniato da musici e danzatrici. Nell'Atharva Veda (IX,2.19) è menzionato come il più potente e superiore a tutti gli dei.[2] Nel Rig Veda è descritto come capace di suscitare in Brahma il desiderio di non restare da solo, provocando così la creazione del mondo. Kama è descritto come "aja", "non nato", e come "atma-bhū", "nato da se stesso". Nei Purana la sua sposa è Rati (Desiderio), ha un figlio (AniruddhaSenza rivali), una figlia (ThrishaSete) ed un fratello, KrodhaCollera.
Nel Ramayana si racconta come gli dei avessero inviato Kama a riscuotere Shiva dalla profonda meditazione in cui era assorto. Disturbato, Shiva ridusse il dio (da allora conosciuto come "ananga", "senza corpo") in cenere con un solo sguardo del terzo occhio. Grazie alle suppliche di Rati, sposa di Kama, Shiva consentì a Kama di rinascere come Pradyumna, figlio di Krishna.
Kama è venerato dagli innamorati e dagli yogi i praticanti dello yoga, perché è grazie a lui che ci si può liberare dal desiderio.
Kama compie una serie di azioni guerresche ed erotiche, quindi è impegnato in combattimenti e relazioni amorose.
Nella tradizione buddista è identificato con Mara, il dio della morte.
Il termine kama viene riferito anche ad uno dei purushartha, gli scopi della vita umana, qui inteso come il raggiungimento del benessere e della felicità in termini psicofisici.

Note

  1. ^ Pio Filippani-RonconiMiti e religioni dell'India, Roma, Newton Compton, 1992, pp. 160-161.
  2. ^ Alain DanielouMiti e dei dell'India, Milano, BUR, 2002, p. 365, ISBN 88-17-12868-6.

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I concetti di Prakriti (sostanza, materia) e Purusha (essenza, coscienza)

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La Prakṛti (devanagari प्रकृ्ति) è, secondo il Sāṃkhya, la causa originaria attraverso cui l'universo esiste e si esplica, principio contrapposto a quello di puruṣa, spirito puro. Nella Bhagavadgītā è descritta come la "forza motrice primordiale".
Normalmente si rende con "natura", o anche "materia": è attività pura ma inconsapevole, il principio che da immanifesto dà origine, per evoluzione-trasformazione, a tutto ciò che è manifesto, intendendo con ciò sia la realtà materiale che quella mentale. È una polarità energetica dell'Essere e della sostanza cosmica dell'universo
Puruṣa (devanagari पुरुष) è un termine della lingua sanscrita dal significato di "essere umano" o anche "maschio"[1]. Nella letteratura sacra dell'induismo il termine è stato utilizzato in tre principali accezioni:
  • "Uomo cosmico": l'essere primordiale increato che, secondo i Veda, fu sacrificato per dare origine al mondo manifesto.
  • "Spirito": uno due princìpi eterni della realtà, secondo la visione del Sāṃkhya.
  • "Essere supremo": usato in associazione coi termini paraparama o anche uttama come appellativo di alcune divinità nelle correnti devozionali, soprattutto le krishnaite.[2]

L'Uomo cosmico


Pagina di testo che riproduce le prime due strofe del Puruṣa sūkta commentate (Friedrich Max Müller, London, 1849-75, ristampa del 1974)
Nell'inno (X, 90) del Ṛgveda, detto anche Puruṣa sūkta, un inno del tardo periodo vedico, il Puruṣa è descritto come tanto vasto da coprire e lo spazio e il tempo; ma di questo essere immenso, che può essere visto come la personificazione della realtà ancora immanifesta, è visibile soltanto un quarto. Da questo quarto ebbe origine innanzitutto il principio femminile (virāj) e quindi l'umanità. Il Puruṣa venne poi steso per terra dai deva e offerto in sacrificio secondo il rito, affinché avessero origine il mondo, gli animali, le caste, altri dèi, e i Veda stessi:[3]
« Da questo sacrificio, compiuto fino in fondo, / si raccolse latte cagliato misto a burro. / Da qui vennero le creature dell'aria, / gli animali della foresta e quelli del villaggio. // Da questo sacrificio, compiuto fino in fondo, / nacquero gli inni e le melodie; / da questo nacquero i diversi metri; / da questo nacquero le formule sacrificali. »
(Ṛgveda X, 90, 8-9; citato in Raimon Panikkar, Op. cit., 2001, p. 101)
Il sacrificio è dunque l'atto col quale il mondo viene creato: l'Uomo cosmico, il Puruṣa, sacrifica una parte di sé per dare origine all'umanità e all'universo. Per tre quarti però il Puruṣa resta «in alto», trascendente, privo del suo quarto immanente, ed è tramite il sacrificio stesso (yajña) che l'umanità restituisce al Puruṣa, in quello che come fa notare il teologo Raimon Panikkar, è un dinamismo duplice.[3]
« Con il sacrificio gli Dei sacrificarono al sacrificio. / Quelli furono i primi riti stabiliti. / Queste forze salirono fino al cielo / dove risiedono gli antichi Dei e altri esseri. »
(Ṛgveda X, 90, 16; citato in Raimon Panikkar, Op. cit., 2001, p. 101)

Spirito

Nel Sāṃkhya, una delle sei (darśana) ritenute ortodosse nell'induismo sebbene non teista, con puruṣa si intende uno dei due princìpi ontologici della realtà, essendo l'altro la prakṛtiPuruṣa è usualmente tradotto con "spirito"[4], "anima"[5], o anche "Sé"[6], ed è un concetto pluralistico; prakṛti è di norma tradotto con "materia" o anche con "natura"[7]Prakṛti e puruṣa sono due princìpi eterni, increati e assolutamente separati l'uno dall'altro, sebbene sia proprio la "vicinanza" fra loro a dare origine alle trasformazioni dell'universo, inteso come materiale e mentale, all'evoluzione della prakṛti stessa cioè. Mentre quest'ultima è priva di coscienza, il puruṣa può essere visto invece come pura coscienza, principio frammentato in una infinità di monadi, di anime individuali che vengono loro malgrado coinvolte nelle trasformazioni della prakṛti.[8]
Exquisite-kfind.pngLo stesso argomento in dettaglio: Sāṃkhya.

A diagram explaining basics of Hindu Metaphysics

Essere supremo

Da solo o in associazione con alcuni aggettivi come para ("superiore"), parama ("altissimo"), uttama ("supremo"), il termine puruṣa è spesso utilizzato nei testi della letteratura sacra devozionale per riferirsi al Dio. Per esempio, in uno dei testi sacri della tradizione vaiṣṇava leggiamo:
(SA)
« dharmasya sūnṛtāyāḿ tu / bhagavān puruṣottamaḥ / satyasena iti khyāto / jātaḥ satyavrataiḥ saha »
(IT)
« apparso nel grembo di Sūnṛtā, moglie di Dharma / la suprema Persona della Divinità / celebrata quindi come Satyasena / nacque con le Satyavrata »
(Śrīmad Bhāgavatam 8.1.25; citato in Bhaktivedanta VedaBase)
Sempre nell'ambito della tradizione vaiṣṇava, il deva Nārāyaṇa, che sarà successivamente assimilato a Viṣṇu, è identificato con il Puruṣa nello Śatapatha Brāhmaṇa.[9]

Note

  1. ^ Vedi: Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary, anche per altri significati.
  2. ^ Vedi: Monier-Williams Sanskrit-English Dictionary.
  3. ^ a b Panikkar, Op. cit., 2001, pp. 96-103.
  4. ^ Così Mircea Eliade e Jean Varenne.
  5. ^ Così Giuseppe Tucci.
  6. ^ Così Gavin Flood.
  7. ^ Così Jean Varenne, che utilizza entrambi i termini.
  8. ^ Giuseppe TucciStoria della filosofia indiana, Laterza, 2005, p. 73.
  9. ^ Gavin FloodL'induismo, traduzione di Mimma Congedo, Einaudi, 2006, p. 163.

Bibliografia

  • Raimon PanikkarI Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.

Voci correlate

Schema riassuntivo dell'Induismo

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Fonte: blog Religione a scuola presso il link http://blog.libero.it/RELI/13125938.html

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