lunedì 21 luglio 2014

La cavalleria medievale



Cavalieri a Crecy

Con il termine cavalleria si indicano le unità militari montate a cavallo.
Le unità a cavallo furono tatticamente molto importanti fino alla fine del XIX secolo per le loro caratteristiche di mobilità e velocità. In seguito l'avvento del treno e degli autoveicoli permise di trasportare i soldati in modo più efficiente, mentre nuove armi come la mitragliatrice trasformarono la carica di cavalleria in un'azione suicida.
L'epoca d'oro della cavalleria fu il Medioevo: il cavaliere medievale, armato di lancia e rivestito da una pesante armatura, era il nerbo degli eserciti di quel periodo. I cavalieri costituivano inoltre la classe dominante della società e la Cavalleria medievale era un ideale di vita a cui gli uomini di quel tempo si ispiravano. Ancora oggi alcuni paesi (Italia compresa) usano il titolo di cavaliere come onorificenza.

La cavalleria medievale seguì l'evoluzione che la società, l'economia e la tecnica bellica ebbero nel Medioevo, influenzate, fra l'altro, dall'affacciarsi sullo scenario storico europeo di nuove popolazioni con nuovi usi e nuovi modi di guerreggiare.
Fu una evoluzione lenta ma costante, qualche volta tumultuosa in coincidenza con l'arrivo di nuovi attori sui campi di battaglia, ma sempre coerente con i cambiamenti del contesto socioeconomico che ne era il supporto.
La crisi che colpì i liberi coltivatori romani del periodo repubblicano inferse un duro colpo alla potenza della fanteria legionaria, ben più grave ed irrimediabile dei colpi subiti dalla stessa ad opera dei cavalieri Parti e Sarmati.
Quella potenza legionaria che aveva conquistato un impero iniziò a decadere con la decadenza di quell'archetipo dell'uomo romano che ne era stato la base e la forza.


Cavalieri di Jan van Eyck

Teorie sull'origine

Negli anni Trenta del XX secolo Marc Bloch sostenne che all'inizio dell'XI secolo lo sviluppo e la diffusione di signorie di banno, incentrate sui castelli, e dei legami feudali avevano contribuito ad alimentare una crescente cerchia di specialisti della guerra, formati dai signori e dai loro vassalli. Il mestiere di cavaliere andò sempre più specializzandosi e circoscrivendosi a una élite ristretta che diede vita a una cerimonia di iniziazione del cavalierato, l'adoubement, che contribuì alla percezione della cavalleria come gruppo limitato.[1] Tra il XII e il XIII secolo essa, definedosi in un ceto chiuso a base ereditaria, passa dalla condizione di "nobiltà di fatto", ovvero dall'organizzazione in forme aperte e fluide, alla condizione di "nobiltà di diritto".
Alla tesi di Bloch che sostenne che la cavalleria si fosse costituita come emanazione della condizione nobiliare, Jean Flori ha eccepito un'altra teoria, del tutto opposta, che considerava la cavalleria come una professione alla quale la nobilità si avvicinò e della cui dignità, col tempo, si appropriò. Il mestiere del cavaliere era inizialmente stato riservato a persone di estrazione variegata e anche di umile origine, come dimostra l'etimologia del termine knight che deriva da cnith che designava il "servitore".[2] Solo nel XIII secolo, anche attraverso la formazione di un'etica e di un codice di comportamento del cavaliere, il cavalierato e la carica nobiliare conoscono una chiara sovrapposizione. Fu in quest'epoca che si diffuse la pratica dell'adubement che assegnava alla cavallieria il significato di "ordine" ristretto ed esclusivo.[3]

I Barbari


Impero unno
Popolazioni nuove, ora si direbbe giovani, premevano sull'Impero: alcune erano formate da provetti cavalieri che passavano la maggior parte della propria vita letteralmente e materialmente sul cavallo, come gli Unni, gli Alani ed, in genere, i popoli della steppa. Questi popoli, che basavano la propria forza militare su una cavalleria organizzata, non riuscirono, tuttavia, a innervarsi in quella società europea che per loro era solo occasione di scorrerie, rapine e bottino. Altre popolazioni, invece, fecero proprio quell'Impero tante volte combattuto e subìto. Furono i Franchi, i Sassoni, i Frisoni, i Longobardi, gli Juti che si imposero, ricreando, o contribuendo a ricreare, quel nuovo Impero che il Papato avrebbe cercato di rendere unito come comunità cristiana e di subordinare a sé stesso.

Cavaliere
Queste nuove genti germaniche e nordiche, che in effetti non possedevano una cavalleria nel senso militare del termine, combattevano a piedi anche se il cavallo era il loro mezzo di locomozione. Il cavallo era considerato più un segno di distinzione di cui godevano e si fregiavano i capi che non un mezzo bellico, e ciò sia per il suo costo, particolarmente elevato, sia per la simbologia sacrale che gli era connessa. Il cavallo accompagnava il guerriero nella sepoltura per l'ultimo viaggio, secondo una tradizione che risaliva alle saghe germaniche conferendo così al cavaliere quell'alone di mito che lo accompagnerà nelle epoche in cui la funzione della cavalleria sarebbe venuta meno e che le canzoni di gesta epiche avrebbero perpetuato.
Il cavaliere non si improvvisava, veniva addestrato fin dalla fanciullezza e, quindi, armato con un equipaggiamento il cui costo poteva superare quello di 20 buoi, in pratica una piccolaproprietà terriera.
Era fatale, così, che si sviluppasse nella società una divisione netta o meglio una frattura incolmabile fra il cavaliere consapevole del proprio costo e della propria funzione e
« la massa dei rustici che si vedevano sospinti insieme con la gente dei campi di origine servile verso un ruolo indifferenziato di produttori di mezzi di sostentamento. »
(Cardini F. - Il Guerriero e il Cavaliere.)
Codex Manesse 052r Walther von Klingen.jpg
Si formò spontaneamente un gruppo elitario, separato e autoreferente che si autocelebrava anche attraverso il racconto delle proprie imprese, sempre eccezionali, e anche attraverso quella che sarà una vera e propria liturgia dell'iniziazione e dell'accettazione o cooptazione in un circolosempre più chiuso. La letteratura epica si incaricherà di idealizzarne e celebrarne gli aspetti eroici, il più delle volte usurpati.
Sorse, anche, l'esigenza di distinguersi e di rendersi riconoscibili sia in battaglia che nei tornei, e quindi si diffuse l'uso di colori e di emblemi posti sullo scudo del cavaliere, che daranno origine all'Araldica, o scienza del Blasone.
Lentamente si consolidò quella che era una fraternitas, la cavalleria medievale, con regole sempre più rigorose che subiranno, tuttavia, continue eccezioni. La separazione dal mondo dei rustici aumentò sempre di più ed il solco iniziale divenne una voragine. Da una parte pochi eletti, dall'altra la massa disprezzata e sfortunata degli inermi o pauperes che avevano una sola possibilità di riscatto: mettere la propria vita in gioco nei campi di battaglia al servizio di qualche Senior.

Il mito


Sigillo templare
Era un mito quello che il cavaliere medievale coltivava, esaltandolo in quelle fraternitas che daranno luogo ad una vera e propria classe sociomilitare particolarmente rigida ed impermeabile alla cui base c'era lo spirito di gruppo e di corpo.
« Questo è forse il senso più riposto ma anche più evidente dell'immagine raffigurata nel controsigillo dell'Ordine Templare, che mostra due cavalieri su un solo cavallo. »
(Cardini F. - Il Guerriero e il Cavaliere)
La storia concorrerà notevolmente all'affermazione di questa nuova classe di guerrieri, separandola sempre di più dal resto della società, gli inermes, che venivano subordinati e sottoposti a quei bellatores equestri che costituivano la base del potere.

Le opportunità

Certo il servizio militare, oltre ai rischi, offriva notevoli vantaggi a quei soggetti che, per capacità o fortuna, ne sapevano approfittare. Le opportunità di arricchimento a seguito delle azioni belliche erano grandi, sia attraverso i bottini rapinati sia attraverso il riscatto dei prigionieri, specie se di alto lignaggio. Ciò costituiva un valido compenso per il rischio di perdere la vita, rischio sempre presente e sempre messo in conto.
Il miraggio era quello di passare dal servizio presso altri alla formazione di una propria dinastia, e, magari, acquisire una propria signoria o conquistare un proprio regno. Fu quello che seppero fare i Normanni, vere e proprie bande di avventurieri al servizio di signori in guerra tra loro, signori che prima aiutavano e ai quali poi si sostituirono approfittando della favo

I Normanni


Cavalieri normanni ritratti nell'arazzo di Bayeux
I Normanni riuscirono, senza grande difficoltà, non solo a sostituirsi ai loro, per così dire, datori di lavoro ma a fondare, oltre che un regno importantissimo nell'Italia meridionale, una dinastia dai cui lombi discese una progenie destinata alla dignità imperiale. L'avventura dei numerosissimi cavalieri normanni giunti prima nel Meridione dell'Italia continentale e successivamente inSicilia è fantastica ed affascinante. È impressionante vedere come un manipolo di uomini decisi, ma sostanzialmente dei briganti quasi emigranti ante litteram, costretti a lasciare le loro terre di origine, la Normandia sulle coste nordoccidentali della Francia, riuscirono a inserirsi nelle lotte intestine di quel che restava del Ducato di Benevento, dei vari principati longobardi e del declinante Impero Bizantino nell'Italia meridionale e a prendere il sopravvento. Vi fu anche il fortunato gioco di circostanze favorevoli che, sapientemente sfruttate, contribuirono alla loro affermazione politico-militare.
I Normanni, che stavano per impadronirsi dell'intero Meridione d'Italia, ottennero il riconoscimento del loro potere e delle loro conquiste dal papa Niccolò II prima di lanciarsi alla conquista della Sicilia: questo riconoscimento papale legittimò quello che era un puro atto di violenza[4].

Il nuovo

Si svilupparono nuove tecniche militari sotto la spinta delle milizie di fanti che, inquadrate dal Comune, non erano più quella massa incoerente di contadini armati di forcone contro cui la carica della cavalleria aveva avuto sempre successo.
Le milizie cittadine si proposero come strutture sempre meglio organizzate e coese, dotate dell'addestramento acquisito nelle gare cittadine, gare che avevano sviluppato non solo lo spirito d'emulazione ma, cosa ben più importante, lo spirito civico rendendo i cittadini combattenti consapevoli, decisi e, quindi, temibili.
Questi uomini che, normalmente, svolgevano nella vita quotidiana altri compiti, che non le arti marziali, esprimevano, nel momento del combattimento, sotto il gonfalone civico, tutta la loro determinazione bellica, frutto del rancore contro l'aristocrazia militare: essi trascuravano quell'aspetto ludico che era stato una caratteristica del combattimento dei cavalieri. Questi cittadini nel combattimento erano micidiali, le loro picche e le loro quadrelle non lasciavano scampo.

Nuove armi


Il torneo
Le nuove armi vincenti erano le picche, l'arco e la balestra, che, in un'unione simbiotica dietro il pavese, un grande scudo, costituivano per i cavalieri un ostacolo, o, per meglio dire, un muro insuperabile, quasi sempre letale.
Il cavallo che era stato un'arma vincente si trasformò in un gravissimo punto di debolezza ed impedimento.
In questo nuovo modo di combattere il cavallo soccombette sotto i colpi di coltello del fante che strisciando per terra lo sventrava, in un'azione inconcepibile per il cavaliere e per il suo codice deontologico: al cavaliere rinchiuso nella sua pesante corazza d'acciaio non rimaneva che fuggire o, disarcionato e circondato, morire come un povero crostaceo[5] sotto i colpi della plebaglia a piedi. Queste nuove battaglie si concludevano in un'orgia di sangue, in un tripudio di vendette e di rivalse da parte dei rustici contro un mondo, quello feudale, che ormai volgeva alla fine.
Era un mondo carico di valori, forse mai realmente esistiti ma sicuramente idealizzati e vagheggiati, che sopravviverà solo nelle chansons. I cavalieri, superstiti di questo mondo sentito da loro come unico e vero, andranno lietamente a farsi scannare da rozzi bottegai e cupi artigiani che combattevano solo per affermare, in un duello, da loro vissuto come mortale, la loro esistenza civile, la loro capacità economica e la necessità di continuare a sviluppare liberamente quelle attività economico-commerciali dal cui successo derivavano rilevanza sociale e forza politica.

Le Gentes novae


Gentes novae nel Buon Governo di Lorenzetti
Per queste gentes novae, la guerra non era un gioco, una festa in cui mettere in mostra le proprie virtù cavalleresche magari per gloriarsene agli occhi di una dama o nel caso fortunato per appropriarsi di un bottino e di un ricco riscatto, bensì un mortale e costoso incidente che metteva a rischio le conquista economiche acquisite, oltre che la loro stessa sopravvivenza.
Laddove il cavaliere vedeva nel cavaliere nemico un confratello in campo opposto, il mercante che combatteva vedeva nel cavaliere solo un soggetto che interrompeva la sua attività facendogli perdere denaro e rischiare la vita e perciò lo doveva eliminare, cioè uccidere.
Il mercante combatteva libero da qualsiasi deontologia militare e sotto lo stimolo dell'urgenza di tornare presto ai propri affari sospesi.
Tutto ciò era vissuto come scandaloso dai cavalieri: guai al cavaliere che incontrava sul campo di battaglia qualche macellaio armato che, pratico nello squartare l'oggetto della propria attività lavorativa, non aveva remora alcuna a fare altrettanto prima col cavallo e poi con il cavaliere. [6]

Armatura per cavaliere e cavallo

Valori della cavalleria e investitura del cavaliere

Grazie all'importanza acquisita sul piano militare, la cavalleria divenne un mezzo di ascesa sociale sia tra l'aristocrazia che possedeva i beni e i diritti nel territorio circostante la città sia tra i ceti cittadini più elevati. I cadetti diventavano cavalieri in quanto erano esclusi dall'eredità. Dal secolo XI la cavalleria diventò un ceto sociale chiuso: tranne rare eccezioni, diventava cavaliere solo chi era figlio di cavaliere. Gli ideali condivisi erano: difesa dei più deboli, lealtà verso il proprio signore, valore fisico ed integrità morale. Intesa in questo nuovo senso la cavalleria diventò per secoli il riferimento di tutta la nobiltà europea, anche di quella che non aveva origini militari. I cavalieri appartenevano al secondo ordine della società (i bellatores), mentre il primo ordine era costituito da coloro che avevano il compito di pregare (oratores) ed il terzo da coloro che avevano il compito di lavorare (laboratores). Al fine di contenere la violenza di molti guerrieri, alcuni vescovi della Francia sud-occidentale ed alcuni monaci fecero ricorso alle paci di Dio: essi convocavano una pubblica assemblea in cui tutti giuravano di mantenere la pace, impegnandosi in particolare a non colpire chi non portava le armi (contadini, pellegrini, uomini di Chiesa). Nato negli anni Settanta del X secolo, il movimento delle paci di Dio si diffuse nel resto della Francia ed in altre regioni europee nel secolo XI quando, in numerosi concili vescovili, si stabilì anche la tregua di Dio. Il cavaliere era un miles Christi, soldato di Cristo, che serviva legittimamente Dio anche con le armi, anzi morire per la difesa della fede cristiana era un mezzo per conseguire la salvezza eterna. [7] L'addobbamento del cavaliere era all'inizio un rito molto semplice: davanti a testimoni, il signore consegnava la spada e il cinturone e gli dava uno schiaffo sulla guancia col palmo della mano, o gli dava un colpo sulla nuca con la spada di piatto. Il nuovo cavaliere dimostrava così di essere pronto a superare le fatiche e i pericoli delle battaglie. [8] [9] I cavalieri si misuravano anche in competizioni chiamate giostra e torneo.

Codice cavalleresco

Dal secolo XI si assistette, anche per effetto della generale ricostituzione della società europea, ad un ingentilimento dei costumi dei cadetti, che si professavano protettori dei deboli, delle vedove e degli orfani, devoti ad una domina (da cui il nostro donna) alla quale prestavano giuramento di fedeltà e in nome della quale compivano le proprie gesta.[10] In generale il codice cavalleresco, cosa che poi ha contraddistinto il concetto di "cavaliere" nell'immaginario collettivo, ruotava intorno ad alcuni valori e norme di comportamento, come la virtù, la difesa dei deboli e dei bisognosi, la verità, la lotta contro coloro che venivano giudicati malvagi e gli oppressori, l'onore, il coraggio, la lealtà, la fedeltà, la clemenza e il rispetto verso le donne.[11]

Il tramonto della cavalleria

Il momento magico dei cavalieri medioevali fu l'avventura delle Crociate, specie la prima, trascorso il quale iniziò la loro crisi lentamente per continuare, poi, sempre più rapidamente, crisi che culminerà nella battaglia degli Speroni d'Oro a Courtrai1302. In questa battaglia, simbolicamente ritenuta la fine dei cavalieri medioevali, come funzione militare definitiva, le truppe formate da mercanti ed artigiani delle Fiandre massacrarono i cavalieri francesi facendo mucchi dei loro speroni dorati. L'introduzione delle armi da fuoco dette poi il colpo di grazia alla cavalleria che vide sempre più le proprie cariche fermate da piogge di proiettili di archibugio o dai tiri dei cannoni.
Fu il tramonto della cavalleria come arma anche se le sopravvisse, sempre più mitizzata, quell'etica che era stata alla base della fraternitas, cui una stessa mentalità ed aspirazione di vita aveva legato i cavalieri.
Questa specie di «internazionale cavalleresca»[12], che si era costituita tra l'XI ed il XIII secolo, perse davanti alle nuove fanterie comunali la propria funzione militare lasciando, tuttavia, un'eredità di valori e di miti che sarebbero durati nei secoli successivi.
Era lo spirito cavalleresco con la sua carica di leggenda che sopravviveva rappresentando valori che i posteri avrebbero esaltato, per non dire creato.

Gli Ordini cavallereschi

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Questo spirito sopravvisse anche grazie agli ordini cavallereschi che ebbero una funzione reale fintanto che svolsero un'attività politico-militare, e cioè fino al Duecento ma che successivamente o scomparvero come i Templari ad opera di Filippo IV di Francia o si trasformarono in istituzioni puramente simboliche. Continuarono a sopravvivere invece quegli ordini che nati con ideali cristiani e militari, abbandonate progressivamente gli aspetti militareschi hanno mantenuto e rafforzato gli scopi umanitari come nel caso dell'Ordine di Malta e dell'Ordine teutonico.
« Così la stanca aristocrazia deride il proprio ideale. Dopo avere abbellito, colorato e reso in forma plastica con tutti i mezzi della fantasia, del talento, e della ricchezza il suo sogno appassionato di una vita bella, essa considerò che in fondo la vita non era affatto bella, e rise. »
(Huizinga - L'autunno del Medioevo)

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. ^ Marc BlochLa società feudaleEinaudiTorino 1974, pp. 354-362
  2. ^ Jean Flori, Cavalieri e cavalleria nel MedioevoEinaudiTorino 1999, pp. 58-73
  3. ^ Jean Flori, Cavalieri e cavalleria nel MedioevoEinaudiTorino 1999, pp.64-88
  4. ^ Piccinni G. - I mille anni del Medioevo.
  5. ^ Cardini F. - Il Guerriero e il Cavaliere.
  6. ^ Il Cavaliere Medioevale
  7. ^ Giovanni De Luna, Marco Meriggi, Il segno della storia, vol. 1, pag. 30-32, ed. Paravia.
  8. ^ Chiara Frugoni, Anna Magnetto, Tutti i nostri passi, Corso di storia antica e altomedievale, vol. 2, pag. 306, ed. Zanichelli.
  9. ^ investitura
  10. ^ A.Camera, R.Fabietti, Elementi di storia, vol. 1, Il Medioevo, 1977, ed. Zanichelli, pag.153.
  11. ^ Letteratura italiana - L'età cortese
  12. ^ Cardini F. - Quella antica festa crudele.

Bibliografia

  • Richard Barber, The figure of Artur, Londra, Longman, 1972.
  • Franco CardiniQuella antica festa crudele, Milano, Mondadori, 1995, ISBN 88-04-42313-7.
  • Cardini F. Alle origine della cavalleria medievale, Scandicci, La nuova Italia, 1997. ISBN 88-221-0441-2.
  • Cesare Catà, Il Cavaliere cristiano medievale e il Samurai nipponico. Per una proposta di approccio interculturale come philosophia actualis, in Vie per un'estetica interculturale, a cura di Marcello Ghilardi, Milano, Mimesis, 2008, pp. 43-86.
  • Georges DubyLo specchio del feudalesimo, Bari, Laterza, 1998, ISBN 88-420-5650-2.
  • Duby G. Guglielmo il Maresciallo, Bari, Laterza, 1995, ISBN 88-420-4261-7.
  • Eugenio GarinL'uomo del Rinascimento, Bari, Laterza, 2000, ISBN 88-420-4794-5.
  • Keen M. La cavalleria. Napoli, Guida, 1986, ISBN 88-7042-754-4.
  • Jacques Le GoffL'uomo medievale. Bari, Laterza, 1999, ISBN 88-420-4197-1.
  • Johan HuizingaL'autunno del Medioevo, Roma, Newton, 2007, ISBN 88-8183-898-2.
  • Michael Mallet, Signori e mercenari. La guerra nell'Italia del Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1983, ISBN 88-15-00294-4.
  • Gbriella Piccinni, I mille anni del Medioevo, Milano, Bruno Mondadori, 1999. ISBN 88-424-9355-4.
  • Saenz A., La Cavalleria. La forza delle armi al servizio della verità inerme, Rimini, Il Cerchio, 2000, ISBN 88-86583-74-5.
  • Aldo A. Settia, Rapine, assedi, battaglie: la guerra nel Medioevo. Bari, Laterza, 2002. SBN LO10718097.
  • Bernardo di ChiaravalleElogio della nuova cavalleria. De laude novae militiae, a cura di Mario Polia, Rimini, Il Cerchio, 1988.
  • Paolo Caucci von Saucken Pellegrinaggio e cavalleria, «Quaderni Stefaniani», XIX (2000), pp. 289-305
  • Jean-Claude Maire Vigueur, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell'Italia comunale [2003], trad. it., Bologna, il Mulino, 2004.

La Corte: dalle origini ai giorni nostri





Lavoro servile nella curtis
La corte (in latino curtis) viene definita, in ambito feudale, come quell'insieme di ville ed edifici dove il signore soggiornava ed espletava le sue funzioni di controllo sul territorio. La cosiddetta '"economia curtense"', tipica dell'alto medioevo, fu una fase di passaggio nel mondo rurale tra l'economia della Villa romana e quella della signoria fondiaria del feudalesimo. L'esempio di economia curtense più spesso studiato, per ragioni relative alla sua migliore documentazione, è quello che si affermò nel regno dei Franchi in particolare tra la Loira e la Senna, che con alcune varianti si radicò un po' in tutta l'Europa cristiana.

Origini della corte

Già alla fine del II secolo a.C. i grandi possedimenti terrieri nell'area dell'Impero Romano, tendevano ad organizzarsi economicamente creando latifondi più o meno estesi. Causa la notevole pressione fiscale esercitata dallo Stato, molti piccoli e medi coltivatori diretti, preferivano mettersi alle dipendenze di questi signori proprio per sfuggire agli oneri di natura economica contratti verso lo Stato. Gli stessi grandi imprenditori, accettavano ben volentieri di assumere questi ultimi - vista la scarsa reperibilità di schiavi - in qualità di colono, dando loro in usufrutto singoli lotti di terreno su cui usufruivano di una certa percentuale della rendita dei campi. La grande proprietà diventò inevitabilmente un polo di attrazione non soltanto per i contadini, ma anche per gli artigianicommercianti nonché per piccoli borghi che si venivano a trovare all'interno del fondo. I grandi esponenti di questa classe dirigenteriuscirono anche ad ottenere delle agevolazioni da parte imperiale, ad esempio quella dell'immunitas ovvero: il diritto a non pagare certe tasse e di respingere dal proprio territorio qualsiasi agente - compreso quello del fisco - di nomina statale. Il signore quindi, diventava il vero e proprio arbitro della situazione, esercitando direttamente sul suo possedimento un certo controllo in ambito fiscale, giuridico, militare e politico. Le cosiddette ville rustiche tesero sempre di più ad attuare un'economia di sussistenza e ad organizzarsi non più verso il senso dell'estetica quanto verso la funzionalità e la difesa. Queste cellule ormai autonome presero ad essere sorvegliate da milizie personali pagate dal signore, i cosiddetti buccellari, che divennero un piccolo esercito privato.

Cambiamenti a livello direttivo: dai Latini ai Germani

Dopo le grandi invasioni barbariche e il conseguente spopolamento delle città, i latifondi divennero sempre di più un polo di attrazione per la popolazione urbana. In particolare, la città non essendo più in grado di esercitare nessun controllo politico e direttivo per il territorio circostante, venne sempre di più lasciata a se stessa. Quando il vuoto di potere aveva impossibilitato l'applicazione della giustizia ordinaria, molti scelsero volontariamente di assoggettarsi ai padroni delle villae e sebbene accettassero in un regime di semi libertà che li legava alla villa, ne ricevevano in cambio protezione e mezzi per la sussistenza.

Germani si trovarono di fronte al problema di come controllare i territori conquistati. Visto lo stato pessimo delle grandi vie di comunicazione e la contrazione dei centri urbani, presero a delegare la nobiltà di quelle prerogative di controllo, che altrimenti sarebbero state appannaggio dello stato. Ai nobili (vista la contingente penuria di moneta che escludeva la creazione e la retribuzione di una classe di funzionari) venne concesso in usufrutto un feudo: ovvero, una parte del territorio sotto la sovranità del signore, con il quale il nobile poteva finanziarsi e qualificare l'attività che era tenuto a svolgere per conto del sovrano.
In Italia la vecchia aristocrazia di stampo latino e senatoriale, di cui Boezio fu l'ultimo degli esponenti, venne completamente spazzata via dopo la calata dei Longobardi di re Alboino, nel 568. I vecchi possedimenti passarono quindi di padrone: dai Latini ai Germani.
Tuttavia molto spesso le proprietà rimanevano nelle mani dei vecchi proprietari, ed i dominatori longobardi si limitavano a spremerli con le tasse, in cambio della protezione data loro dalle milizie longobarde in caso di rivolte contadine.


Economia curtense

L'autoconsumo

L'economia curtense, era, generalmente, di sussistenza, si tendeva cioè a produrre il più possibile all'interno del feudo in un'ottica di autoconsumo. Per questo oltre alla produzione diretta (agricoltura), l'allevamento, la caccia, la pesca e la raccolta di frutti spontanei, esistevano anche compiti legati alla preparazione delle derrate alimentari: la produzione del vino, la macina farina, la macellazione della carne. Anche i prodotti di natura non agricola, come le manifatture e gli attrezzi da lavoro, venivano fabbricati all'interno del fondo utilizzando i materiali a disposizione: stoviglie, tessuti, utensili ed armi. Si cercava inoltre di sopperire alla mancanza di alcuni beni producendone di simili, ma di qualità più bassa.
Spessissimo, perfino tra gli storici, si è considerata questa economia come completamente chiusa, priva di sbocchi verso l'esterno. Questo è errato, poiché alcune manifatture più rifinite ed altri approvvigionamenti dovettero essere necessariamente acquistati in altre zone. Ad esempio i nobili, potevano permettersi di comprare il vino da altri signori, così come in periodi di carestia, quando i servi della gleba pativano la fame, dovettero procedere all'acquisizione di derrate alimentari all'esterno. Non mancavano inoltre intermittenti surplus. Non bisogna dimenticare, poi, che le città, sebbene ridotte di dimensioni, rimasero comunque dipendenti dalle campagne e dovettero sempre importare da esse i prodotti agricoli.

Il commercio interno

Un fattore importante per la notevole estensione di questo genere economico, fu la penuria di denaro liquido e lo stato delle grandi vie di comunicazione. Il più delle volte, gli scambi avvenivano tra beni in natura, tramite il baratto, ma non è del tutto vero che la moneta scomparve completamente. Ad esempio, il bisante d'oro continuò a circolare e quando si attuavano questi scambi, e i contadini dovevano vendere i loro prodotti, ci si rifaceva sempre ad un ipotetico valore monetario. La moneta corrente d'argento, poi, il soldo, continuò a circolare e la sua continua svalutazione fa comprendere che si dovette adattare alle crisi dell'economia.
Molte volte poi, le proprietà organizzate in curtis, si trovavano a contatto con altri fondi di natura ecclesiastica o regia e persino con residui di appezzamenti di terreno allodiali coltivati direttamente da alcuni contadini liberi. Ciò si verificava poiché i feudi, almeno nell'Alto Medioevo, non costituivano piccoli staterelli dai confini ben definiti, ma, nella maggior parte dei casi, piuttosto come un insieme di proprietà diffuse sul territorio, tanto da far sì che alcuni villaggi fossero addirittura divisi tra diversi feudatari. Come si vede quindi, le possibilità di scambio vennero necessariamente prese in considerazione.

Il commercio con l'esterno[

Grazie alla sua natura autarchica che faceva nascere lunghissimi periodi di relativa pace, ed a una più razionale organizzazione agricola, si andarono a formare delle eccedenze nella produzione che dovevano trovare sbocco - sia pure a livello modesto e intermittente- in un mercato regionale. Il fatto è confermato dagli ultimi ritrovamenti di magazzini, soprattutto nei grandi monasteri i quali, essendo ancora in possesso delle antiche tecniche di agronomia di natura classica/romana producevano in abbondanza e potevano permettersi di vendere i loro surplus.
Una piccola rivoluzione si verificò quando, con l'aumento del costo degli equipaggiamenti guerreschi, i feudatari furono costretti a pretendere dai contadini tributi in denaro. Ciò fece sì che i piccoli coltivatori fossero costretti ad affiancare alle attività agricole anche quelle mercantili e di piccolo artigianato. La moneta, così, cominciò a circolare con più diffusione e gli orizzonti mercantili, prima più ristretti (sebbene, a differenza di quanto creduto dalla vecchia storiografia, non assenti), ad allargarsi.

Tipologie di curtis

Evoluzione delle corti

La corte dell'Alto e quella del Basso Medioevo si distinguevano fortemente: la prima, parte di un complesso feudale più esteso e priva di fortificazioni rilevanti, altro non era che l'erede della villa romana, dominata da un signore o da un cavaliere che esercitavano un potere delegato dal concessore del beneficium e che tendevano a rimanere piuttosto isolati dai vicini.



La seconda, invece, sviluppatasi nell'età feudale propriamente detta (quel periodo compreso tra l'XI ed il XIV secolo) era caratterizzata da un maniero centrale sorto durante l'età dei castelli o dell'incastellamento ed era retta da un signore dotato d'autorità di banno e legittimato a lasciare in eredità il beneficium ai figli. La corte di questo periodo, inoltre, possedeva ormai l'aspetto di un piccolo stato dotato di un proprio esercito (cavalieri e sergenti del signore), di un tribunale e di un sovrano (il feudatario).

Organizzazione della corte

La curtis riproponeva, più o meno, le stesse caratteristiche e costanti edilizie nelle diverse zone dell'Italia centro-settentrionale, nella valle del Rodano in Francia ed in Germania.
La corte era il centro del feudo, ed era composta dagli edifici dove il signore risiedeva ed esercitava il controllo del territorio. L'interno era composto dal maniero del grande proprietario del fondo, dalle stallegranai e rimesse, dagli abituri dei servi e molte volte - se vicino scorreva un fiume - vi era installato anche un mulino.
Non mancava anche una piccola cappella privata dove si svolgevano i battesimi e le messe. Solitamente, di fianco al maniero era costruita l'abitazione del fattore o come veniva nominato a quei tempi, del balivo. Costui non era solo la persona delegata alla ripartizione e allo stoccaggio nei magazzini delle derrate alimentari, ma era anche colui che esercitava la giustizia (insieme alle milizie) per conto del signore, all'interno del feudo.




Il latifondo veniva suddiviso così in due tipologie di territorio.
  1. La parte centrale, quella più vicina al polo amministrativo, era detta pars dominica o indominicata cioè gestita a coltura direttamente dal dominus, che era spesso "il vecchio" della comunità per cui veniva chiamato senior, da cui derivò la parola "signore"; qui lavoravano i servi con prestazioni gratuite ed obbligatorie, le cosiddette corvées.
  2. La pars massaricia che era gestita dai contadini (liberi o asserviti) ed era divisa in mansi, che corrispondevano ad unità lavorative di varia estensione. Le famiglie di coloni la coltivavano quindi privatamente ed un terzo della rendita veniva corrisposto al proprietario. Oltre a questo, i coltivatori erano tenuti a pagare alcune tasse ed a svolgere alcune giornate lavorative gratuite sui fondi gestiti dal padrone.
Esisteva poi una parte di terreno incolto, composto da boschi, prati e paludi, dove si attingevano le risorse spontanee tramite la raccolta, la caccia e la pesca. Inoltre nelle terre lasciate a riposo (maggese) venivano pascolati gli animali.

vassi

Attorno al signore si trovavano poi una serie di amici, protetti e guardie del corpo, che formavano il gruppo degli antrustiones o fideles o vassi. Essi giuravano fedeltà al signore in cambio di benefici quali armi, oggetti preziosi o terre da coltivare (il denaro era infatti quasi scomparso). Questa struttura di fiducia personale in cambio soprattutto di terreni fu una caratteristica che divenne parte integrante del feudalesimo.

Modelli di corte

Dobbiamo, una volta definita la struttura della curtis, analizzarne le varie tipologie così come si sono presentate nel bacino del Mediterraneo e nell'Europa centro-settentrionale ed orientale.
Le tenute organizzate in curtis si distinguevano dal numero di mansi a cui erano sottoposte: nell'Italia del nord, così come in Germania e Francia, vi erano corti vastissime a più mansi ed altre meno estese che potevano a malapena approvvigionare i padroni e la servitù. Il monastero di Saint Germain des Prés ad esempio, era possidente di 19.000 distribuiti in vari villaggi, quello di Tours aveva alle proprie dipendenze 20.000 coltivatori abitanti nei diversi borghi della zona. Spesso i mansi, erano situati anche molto distanti l'uni dagli altri, venendosi a trovare in territori retti da diversi feudatari o vassalli; il che dimostra come la distribuzione della proprietà avvenisse a livello personale e non territoriale come in età moderna.
I cittadini dei borghi sub-urbani facevano riferimento prevalentemente alle città più grandi, a livello di estensione, presenti sul territorio ove risiedevano i grandi margravi o che erano adibite a sedi vescovili. I locatari dei piccoli e medi fondi che si trovavano prevalentemente nelle zone rurali, avevano come referente la villa signorile ed in seguito, il castello. All'interno di questi latifondi, dobbiamo poi immaginarci i borghi situati nella parte tributaria come difesi solo da uno steccato o completamente privi di sistemi difensivi, mentre il centro indominicato, si incastelliva ed era circondato da poderose mura difensive.

Evoluzione delle curtis in centri abitati

A partire dall XI secolo, il sistema economico-sociale del feudalesimo entrò in crisi e già con il Capitolare di Quierzy si riconobbe l'ereditarietà dei fondi ai vassalli maggiori. Con la constitutio de feudis poi, promulgata da Corrado II il Salico nel 1037, abbiamo la quasi definitiva frantumazione di questo sistema. Con queste nuove normative, si riconosceva l'ereditarietà dei feudi anche ai vassalli minori. Nonostante le nuove innovazioni in campo agricolo (aratro pesante, rotazione triennale delle colture etc.) i mini fondi non riuscivano a produrre quanto richiesto e i grandi signori preferirono inurbarsi ed investire sul commercio e sui prestiti a interesse. Ma il colpo definitivo alla grande proprietà lo diedero le crociate. I cavalieri, per finanziarsi le spedizioni in terrasanta, dovettero vendere parte dei loro feudi a delle nuove classi dirigenti che aspiravano al monopolio attraverso l'utilizzo della moneta.
Le pars dominica cominciarono quindi ad essere acquistate da imprenditori borghesi, liberando quindi i mansi dalla sudditanza ad un padrone. Gli imprenditori si limitavano ad ottenere redditi dai diritti bannali. Agli agglomerati di mansi allodiali si unirono quindi questi mansi neo-allodiali.
Piccoli centri quindi, che in principio erano stati appendice dei latifondi, si trasformarono in cittadine di 30.000 abitanti o anche più. Nella toponomastica italiana, possiamo riscontrare l'evoluzione di queste cittadine/paesi dalle ex curtis o ville, ad esempio: "Francavilla", "Villafranca", "Villanova" ecc.

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