Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
domenica 8 dicembre 2013
Blue Jasmine: la regina detronizzata. Una Cate Blanchett da Oscar.
Nell'ultimo, delizioso film di Woody Allen, la divina Cate Blanchett, che è assurta alla gloria hollywoodiana per i suoi ruoli da regina nei panni di Elisabetta I Tudor e di Galadriel di Lorien, mostra di essere eccezionalmente brava e straordinariamente convincente anche nel ruolo di "regina detronizzata".
Il personaggio da lei interpretato, Jasmine, ha perso tutto: un marito che lei amava, ma che la tradiva; una ricchezza immensa; una vita da protagonista dei salotti mondani di Manhattan; un meraviglioso appartamento a Park Avenue e una villa magnifica nelle Hamptons di Long Island.
I ricorrenti flash back ci mostrano la patinata vita di Jasmine, prima del tracollo.
Il dilemma degli spettatori è capire se la protagonista si rendesse conto o meno che il marito era un truffatore e un fedifrago. Gli elementi per capirlo ci sono tutti eppure Jasmine non vede o preferisce non vedere, perché forse la felicità ci rende veramente ciechi.
Eppure alla fine, quando la gelosia prende il sopravvento, è proprio lei ad accelerare la caduta del marito e la rovina di tutti coloro che avevano investito fondi nelle sue società create ad arte per evadere il fisco.
Jasmine trascina nella rovina del marito anche sua sorella, da cui poi si reca quando non ha più nemmeno un tetto dove vivere.
E' chiaro che le simpatie del regista vanno alla sorella, di gusti semplici e capace di perdonare, di non giudicare e di adattarsi alle situazioni.
Ma nonostante il film abbia i toni ironici e brillanti della commedia, il destino tragico di Jasmine, imbottita di psicofarmaci e ridotta a parlare da sola per strada o a mentire completamente agli altri sul proprio passato imbarazzante, ci porta a solidarizzare con lei, nonostante i suoi modi snob, i suoi pregiudizi e la sua costante ricerca di "un uomo solido" che le permetta di tornare agli agi di un tempo senza dover lavorare.
E Jasmine ci prova veramente a rifarsi un futuro, coinvolgendo anche la sorella, con grande disappunto del compagno di lei.
E qui si capisce che dietro la commedia brillante c'è la volontà di rivisitare in chiave contemporanea la stessa identica situazione del dramma di Tennesee Williams "Un tram che si chiama desiderio".
Jasmine è una Blanche Dobois nei nostri tempi e Cate Blanchett recita con un'intensità che la avvicina alla straodinaria interpretazione di Vivien Leigh, che le valse il secondo Oscar.
E credo che la Blanchett meriti come minimo la nomination, per questo ruolo così delicato, nel quale mostra tutta la gamma di espressioni e di atteggiamenti che sono richieste ad un'attrice versatile.
Sullo sfondo c'è un universo spaccato in due: la grande ricchezza degli speculatori dell'alta finanza e la miseria sempre crescente di tutti gli altri.
Quando Jasmine trova un nuovo corteggiatore, con una villa fantasmagorica affacciata sull'oceano nella baia di San Francisco, siamo tutti con lei: chi potrebbe voltare le spalle a una simile bellezza, chi non avrebbe mentito sul proprio conto, pur di ritornare nel proprio ambiente naturale?
E' un mondo falso, certo, a cui Jasmine risponde con altrettanta falsità, ma si tratta di bugie a loro modo vere, in quanto rispecchiano realmente ciò che lei è.
Non voglio anticipare il finale, ma posso dire che sarà un finale molto diverso da quello cinico di "Match Point", dove l'ingannatore riesce sempre a farla franca.
Sarà un finale che ci fa riflettere, che ci spinge a domandarci cosa sia giusto, cosa avremmo fatto noi in una simile situazione.
Ci spingerà anche a domandarci se siamo veramente felici della nostra vita o se anche noi finiamo per aggrapparci ad una realtà fittizia, ad un mondo che nel mondo non c'è, per cercare di riuscire a sopravvivere in una realtà sempre più degradata e degradante.
sabato 7 dicembre 2013
Old Victoria: La Vedova di Windsor: amante insaziabile, madre castrante e regina tirannica.
Lo scozzese John Brown, guardacaccia del castello di Balmoral, fu il secondo grande amore della regina Vittoria, l'unico in grado di prendere il posto del defunto marito Alberto nelle grazie della sovrana, che a dispetto della sua immagine funerea di Vedova di Windsor, The Widow of Windsor, aveva trovato, a modo suo, una serie di consolazione.
Rozzo, ignorante, scurrile, John Brown sembra aver ispirato il romanzo di David Herbert Lawrence "L'amante di Lady Chatterley".
La vedova inconsolabile se lo portò dietro dappertutto, con grande imbarazzo della corte.
Gli consentiva qualsiasi licenza, persino di chiamarla: "Donna!" in pubblico, cosa che scandalizzava tutti gli altri, dal momento che anche i figli dovevano chiamarla "Vostra Maestà".
Come le era successo, in gioventù, di essere chiamata lady Melbourne, per le simpatie verso il suo bel primo ministro, in vecchiaia Vittoria veniva soprannominata Mrs. Brown.
Lui era ovunque: a Windosr, naturalmente, ma anche e soprattutto ad Osborne, nell'Isola di Wight, che era la residenza preferita della Real Vedova.
La sua somiglianza con Albert spiega molte cose, così come la sua ostinazione a voler sempre vestire alla scozzese, col kilt (rendeva più agevoli i rapporti sessuali).
La regina non pareva dare molta importanza al fatto che i ritrattisti si divertissero a ridisegnare le sue numerose foto "con i due stalloni: quello che cavalca per strada e quell'altro, in camera da letto".
Qui sopra vediamo la principessa Beatrice, obbligata dalla madre a farle perennemente da dama di compagnia, e l'immancabile John Brown, che si comportava come se fosse il Re.
Alcuni giornali avevano addirittura ipotizzato che Vittoria e Mr Brown si fossero segretamente sposati contraendo un matrimonio morganatico: così veniva chiamato il matrimonio tra un nobile e un non nobile.
Ad alimentare queste voci fu anche il fatto che, alla morte di Brown, nel 1883, la regina, due volte vedova, gli aveva addirittura fatto erigere una statua, nel parco di Balmoral, nobilitata dall'epigrafe: "Amico, più che servitore: leale, fedele, coraggioso"
Statue e busti di Brown cominciarono a spuntare dappertutto anche a Windsor e a Osborne.
La regina scrisse persino un'appassionata biografia del suo guardacaccia. Solo il decano di Windsor riuscì a convincere in extremis la Real Vedova a darla alle fiamme.
Quando Victoria si intestardì per voler collocare una statua di Brown anche a Buckingham Palace, l'entourage della regina, sconvolto, capì che per farle dimenticare il guardacaccia era necessario trovare un altro Stallone.
Detto fatto.
Nel 1887 Vittoria era ormai una donna anziana, obesa e con i capelli bianchi, quando comparve il terzo amore della sua vita, un cameriere indiano di nome Abdul Karim.
Alla regina piacque tanto che subito commissionò un suo ritratto.
Da notare una costante: anche lui portava la barba a corona e i baffetti allo stesso modo di Brown e di Albert. Era evidente che alla regina gli uomini piacevano così.
Ovunque andasse, l'anziana sovrana se lo portava dietro ed era sempre a braccetto con lui.
Viene quasi da pensare che avesse la stessa vitalità sessuale dell'attuale Duchessa d'Alba, che si è sposata per la terza volta a 87 anni.
Ma l'aspetto più preoccupante di questo rapporto era la volontà di Abdul di convertire la regina all'Islam (e vi erano anche dei sospetti che fosse una spia).
Victoria si rivolgeva a lui chiamandolo: Munshi, il Maestro.
I due si davano appuntamento nel rifugio segreto di Glass Alt Shiel, un cottage in mezzo al bosco di Balmoral, già nido d'amore di Victoria e Mr Brown.
Pareva di essere tornati al Petit Trianon di Maria Antonietta!
Ma c'erano molte differenze tra la povera regina di Francia e la tremenda regina di Gran Bretagna.
Vittoria si concedeva molte libertà, ma non era affatto disposta a concederle agli altri.
Con i figli era tirannica fino al sadismo, con i nipoti era spietata e con i pronipoti addirittura faticava ad avere qualsiasi tipo di contatto, sempre per la sua fobia verso i neonati, di cui è nota la frase: <<Sembrano tutti dei ranocchi>>
Altera, fredda, gelida, autoritaria, nutriva per i nove figli un profondo disprezzo.
Sentite cosa scriveva alla figlia Vicky, quando le nacque a sua volta il figlio Guglielmo.
<<Mi dispiace molto che tu abbia avuto un maschio. I figli maschi provocano così tanta sofferenza. Per questo il male minore è avere una femmina, per prima, come io ho avuto te. In questo modo ho potuto fare esperienza senza il rischio di rovinare un erede al trono>>
In realtà l'erede l'aveva rovinato, eccome, e sappiamo bene quanto fossero spietati i giudizi di Vittoria riguardo a Bertie:
<<E' TOTALMENTE, TOTALMENTE inadatto a diventare re>> (il maiuscolo è di Vittoria).
Riguardo al nipote Eddy, secondo in linea di successione, la regina era altrettanto scettica:
<<E' un debosciato, e poi veste in modo ridicolo. Mette i colletti alti per coprire quel collo lungo da giraffa, ma ottiene l'effetto contrario e tutti si fanno gioco di lui. Mi chiedo cosa ho fatto per meritare eredi di questo genere>>
Quando Eddy morì precocemente, le ire della regina si spostarono sui pronipoti, i figli di George, duca di York.
<<La bimba Mary è una piccola, insignificante cosina. David è troppo vivace. Sul piccolo Bertie è meglio stendere un pietoso velo>>
David era il futuro Edoardo VIII, quello dell'abdicazione. Il "piccolo Bertie" era il futuro Giorgio VI, quello de "Il discorso del Re", il balbuziente padre della regina Elisabetta.
<<Ho talmente tanti nipoti e pronipoti che non so nemmeno come si chiamino>>
Nelle foto di famiglia in tarda età la vediamo al centro, completamente assente, quasi infastidita dall'enorme proliferazione dei suoi discendenti.
Ma c'era un'eccezione.
L'unica parente che Vittoria voleva costantemente al suo fianco, a farle letteralmente da serva, era la figlia ultimogenita Beatrice.
Quando Beatrice dimostrò l'intenzione di voler sposare il principe Enrico di Battenberg, la regina andò su tutte le furie e diede le seguenti disposizioni:
<<La principessa Beatrice non può lasciare il palazzo, se non per far visita ai fratelli. Non ha diritto di accettare inviti, nemmeno quelli del Primo Ministro. A tavola le sarà vietato di pronunciare la parola matrimonio>>
Disperata, Beatrice scrive alla sorella Vicky affinché interceda presso la madre.
Vicky scrive alla regina chiedendole il motivo di tanta severità.
Così risponde Vittoria:
<<E' assolutamente indispensabile che io abbia accanto a me una delle mie figlie, per farmi compagnia. E poiché voi altre siete tutte già maritate, non mi resta che Beatrice. Non riesco a capire la sua ostinazione a voler sposare quello squattrinato di Battenberg, un personaggio imbarazzante, nato da una unione morganatica. Non acconsentirò mai a quelle nozze!>>
E' interessante notare che i Battenberg, quei "personaggi imbarazzanti", erano destinati a diventare i Mountbatten, cioè la famiglia dell'attuale principe consorte Filippo Mountbatten, duca di Edimburgo.
Beatrice però insiste: vuole sposare Enrico di Battenberg.
Madre e figlia non si parlano più per mesi: comunicano solo con brevi biglietti scritti.
Le altre figlie cercano di mediare.
Alla fine Beatrice la spunta.
Dall'unione di Beatrice con Enrico di Battenberg ha origine la dinastia Mountbatten.
Vittoria rimane sola, ma le resta il potere.
Fu l'ultima regina britannica ad interferire con la politica.
Il suo favorito, in politica, era il premier conservatore Disraeli, che l'aveva resa Imperatrice delle Indie.
Su di loro le vignette fioccavano, anche se poi la censura si faceva sentire.
Pessimo era invece il suo rapporto col premier liberale Gladstone, che la regina considerava "un giacobino, un rivoluzionario della peggior specie".
"E' peggio di un irlandese!" sbottò la regina dopo aver visionato con orrore il progetto di legge della Home Rule.
Persino parlare con lui le costava un enorme sforzo. Si rivolgeva a lui in terza persona e una volta gli disse:
<<Il signor Gladstone si rivolge a me come se parlasse in pubblico>>
Tutte le volte che le fu possibile, fece in modo che i governi di Gladstone cadessero, in modo da favorire il ritorno del suo amato Disraeli.
Alla fine la spuntò Vittoria e Gladstone si ritirò dalla politica nel 1894, disgustato dal crescente clima imperialista e bellicista sostenuto dalla regina.
Una vignetta mostra i conservatori che offrono le teste dei liberali alla regina su un piatto d'argento.
Alla fine dei 64 anni di regno, persino le monete parevano essersi stancate di portare l'effigie della sovrana e la scritta: Victoria Dei Gratia.
La Widow of Windsor morì nel castello di Osborne, sull'Isola di Wight, il 22 gennaio 1901, all'età di 82 anni.
venerdì 6 dicembre 2013
Black tie e White tie. L'abito da sera formale maschile.
Gli abiti da sera maschili si dividono in due categorie, a seconda del grado di formalità dell'evento.
Vediamo questa distinzione.
L'evento formale medio richiede, secondo una tradizione che si è consolidata nella storia della moda degli ultimi due secoli, per l'uomo, il look "black tie", cioè con "cravatta nera", che sostanzialmente significa smoking o tuxedo.
Sono ammesse le seguenti varianti:
1) La giacca può non essere nera, basta che sia scura.
2) Anche la cravatta e il gilet possono non essere neri, purché siano molto scuri.
3) Si può mettere anche la cravatta nera normale al posto del papillon.
In questo caso è consigliabile il nodo Windsor doppio, come vediamo qui scelto dall'attore Adrien Brody in occasione della notte degli Oscar.
Ma passiamo al secondo caso.
L'evento formale vero e proprio, cioè quello per le serate più esclusive e prestigiose, come per esempio le prime al teatro dell'Opera (da noi la prima alla Scala), le premiazioni più solenni in cui sono presenti dei capi di stato (per esempio la consegna del Nobel) oppure i ricevimenti più sontuosi presso reali, principi e alta aristocrazia, richiedono il look in cravatta bianca, accompagnato dal frac.
In quel tipo di serate per le donne è ammessa, anzi consigliata, la tiara, anche se non sono regine: l'importante è che la loro tiara sia più discreta di quella della signora di riguardo principale della serata. Nel caso ci sia una regina, meglio non oscurarla!
Le regole da rispettare in queste serate sono ferree, non si può sgarrare, non sono ammesse deroghe o stravaganze. Anche perché può bastare una lieve negligenza per essere scambiati per i camerieri invece che per gli ospiti (i bottoni d'oro sono per i camerieri, i traduttori e il servizio di sicurezza!)
Quindi massima attenzione ai dettagli!
Immaginate di essere invitati ad una delle serate di gala di Downton Abbey e regolatevi di conseguenza. E' come se il tempo si fosse fermato all'età edoardiana.
Alcuni esempi di outfit anche per le signore.
Formal dress code: le regole per gli abiti da sera formali.
Domani tratterò più nel dettaglio le casistiche che sono descritte nell'immagine qui sopra per i vari tipi di abbigliamento maschile richiesto per gli eventi formali serali.
Qui sotto troviamo l'elenco del dress code per tutti i tipi di eventi, compresi quelli semi-formali, quelli informali (after five e business formal), gli aperitivi e le serate casual.
Victoria and Albert, ovvero la favola de "La Coniglia e lo Stallone"
Che lei non fosse bella, si era capito anche dai ritratti della giovinezza, ma solo quando furono scattate le prime fotografie si poté capire senz'ombra di dubbio che se non fosse stata la regina, difficilmente si sarebbe trovata un marito degno di questo nome.
Stiamo parlando naturalmente di Victoria Alexandrina di Hannover, per grazia di Dio Regina di Gran Bretagna e Irlanda, Imperatrice delle Indie, sovrana dei dominions del Canada, Sudafrica e Australia, più altri tremila titoli.
Noi preferiremmo immaginarceli così, come nel film "Young Victoria":
Ma purtroppo la Storia deve fare i conti con una cosa molto brutta, e cioè la Realtà.
E la realtà era questa:
Ora, possiamo anche dare la colpa alla non ottima qualità fotografica, o al fatto che all'epoca non si fosse ancora capito che quando si scatta una foto di deve dire "cheese" o comunque cercare di evitare l'espressione ebete e l'occhio bovino, ma anche con i migliori artifici del mondo, forse persino anche con Photoshop, rimaneva il fatto che Vittoria fosse un orrore.
Ebbene con questo orrore, il buon Alberto fu costretto ad andare a letto tutte le sante notti per ventiquattro anni.
E non si trattava solo di dormirci assieme.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che quel che facevano a letto era affare loro.
Giustissimo, ma il problema è che furono proprio loro, cioè una coppia di atleti del sesso, che fecero calare sull'Europa una cortina di oscurantismo perbenista e puritano, criminalizzando la sessualità per un secolo intero. Quindi, mi dispiace per loro, ma se la sono cercata.
A informarci delle doti amatorie di Alberto è Vittoria stessa, in una lettera completamente priva di pudore scritta nientemeno che al primo ministro Lord Melbourne (e possiamo solo immaginarci che faccia abbia fatto leggendo le seguenti righe, dove anche il carattere maiuscolo è quello scelto da Vittoria) dopo la prima notte di nozze:
<<Io non ho MAI, MAI passato una simile serata! E' stata un'esperienza gratificante e travolgente. Il mio CARISSIMO, CARISSIMO, CARO Albert e il suo amore mi donarono amore e felicità celesti, che prima non avrei mai potuto sperare di provare. Mi strinse tra le sue braccia e poi...>> qui ci interrompiamo perché una sorta di pudore vittoriano ci impedisce di proseguire, per cui mettiamo solo la conclusione del brano: <<...e poi ancora e ancora e ancora>>.
Possiamo anche capire che la diciannovenne Vittoria, dopo anni di desiderio represso, fosse rimasta travolta dalla libido, ma il tono esaltato della lettera a Lord Melbourne aveva una ragione ben precisa e va letta in questi termini:
"Voi, Lord Melbourne, sarete anche un uomo affascinante, ma il mio Albert è un vero e proprio stallone, per cui mi dispiace, ma avete perso la partita. Fatevi da parte, perché adesso comanda lui".
I difensori di Vittoria potrebbero dire che il suo piacere era lecito, in quanto volto alla procreazione, e invece no: è sempre la stessa regina a scrivere (era una grafomane, oltre che una ninfomane) al solito zio Leopold:
<<Non vi è alcuna fretta di provvederci così presto di un nuovo principe di Galles. Desideriamo infatti almeno un anno di felice godimento>>
Fortunatamente per Albert, l'ingenua Victoria non si intendeva ancora di tecniche contraccettive, per cui nel giro di tre settimane era già incinta.
E ciò che pensasse delle gravidanze non era un segreto. Eccola confidarsi con il solito Melbourne, al quale era toccato l'ingrato ruolo di reggimoccolo della coppia reale:
<<Non ne posso più delle infinite precauzioni che mi sono imposte. Come se non bastasse la paura della fine della povera cugina Charlotte [n.d.r. era la figlia di Giorgio IV e sarebbe diventata regina se non fosse morta dopo aver dato alla luce un neonato anch'esso morto]. Per non parlare della crescita inarrestabile del mio peso e della rinuncia alla danza e alle cavalcate>>
Vogliamo essere buoni e interpretare la "rinuncia alle cavalcate" in senso letterale e non metaforico.
Il parto avvenne con tre settimane d'anticipo.
Il 21 novembre 1840 nacque una bambina, che con "infinita" fantasia venne chiamata Victoria e soprannominata Vicky, anche se gli intimi la chiamavano spudoratamente Pussy.
Va detto che Albert, con le figlie fu un padre molto amorevole, tanto che la moglie era gelosissima delle attenzioni che lui riservava a loro. Per quanto la riguardava, invece, ecco il suo pensiero (questa volta destinato allo zio Leopold):
<<I neonati sono spaventosi, soprattutto quando sono svestiti. Quel poco di bellezza che posso ritrovare nella piccola è nella somiglianza al suo carissimo padre. Ma l'idea di doverla allattare è per me semplicemente ripugnante>>.
Viva la sincerità e viva l'affetto materno. L'unica cosa che si evince indubitabilmente sia dagli scritti che dai ritratti era l'attrazione ancora fortissima nei confronti del marito.
E la prova che i due avessero ripreso a darci dentro sta nel fatto che dopo tre mesi era di nuovo incinta.
<<Sono letteralmente furiosa>> scriveva nel diario <<di essere incinta di nuovo e così presto!>>
Meno di un anno dopo, ecco ripetersi il lieto evento:
Il 9 novembre 1841 nacque il suo primo maschio, cui fu dato il nome Albert Edward, per onorare il padre (lo Stallone) e il nonno materno (il defunto Duca di Kent, padre della Coniglia).
Il neonato fu soprannominato "Bertie" e delle sue imprese ho ampiamente parlato nei post precedenti.
Nel luglio 1843 fu il turno della principessa Alice, seguita, il 6 agosto 1844 dal principe Alfred.
A questo punto la regale "coniglia" dovette capire che c'era qualche sistema per evitare di dover partorire ogni anno, per cui si ebbe una pausa "fortunata" di due anni e nel 1846 arrivò Helena.
Di figli ne arriveranno altri quattro: l'ultima, Beatrice, nascerà nel 1857.
Al che il suo medico, sir James Reid, osò avvertire Sua Maestà che "altre gravidanze sarebbero troppo pericolose".
La reazione fu immediata e pubblica: <<Oh, sir James! Dunque non avrò più piacere a letto?>>
A quel punto immaginiamo che le sue conoscenze di contraccezione furono ampiamente completate.
La saggezza degli antichi ci dice che non si dovrebbe mai confessare a nessuno la propria felicità, perché ciò produce l'invidia degli Dei (oltre che ovviamente quella degli uomini).
Fu un errore dunque quando Vittoria, alla governante che si era scusata per aver usato l'espressione "felice come una regina", dichiarò: <<Non c'è bisogno che vi correggiate, lady Lyttleton. La regina è veramente una donna felice>>
Detto fatto: la nemesi divina colpisce implacabile.
Il 14 dicembre 1861, Albert muore a soli 42 anni per una febbre tifoidea.
Inizia così per Victoria una vedovanza destinata a durare quarant'anni, nella quale, come vedremo prossimamente, la regina dovette cercarsi, sia pure con il massimo rispetto per la memoria del defunto e per la sua immagine di donna casta, un nuovo stallone.
Made in Heaven: Mandela and Diana
Ci piace pensare che i due amici si siano reincontrati, in un mondo migliore.
giovedì 5 dicembre 2013
Mandela e gli smeraldi di Elisabetta
Sul proprio sito Facebook la British Royal Family partecipa al lutto per la scomparsa dell'ex presidente sudafricano con una foto commemorativa piuttosto sfarzosa.
Mandela è stato giustamente e doverosamente insignito delle massime onoreficenze del Regno Unito.
Non possiamo far a meno di commentare che, una volta tanto, Elisabetta aveva azzeccato l'outfit. Il gioco di perle, diamanti e smeraldi è veramente straordinario.
Certo fa effetto vedere insieme due persone che sono partite dagli estremi opposti, anche politicamente, e che in vecchiaia si sono trovate a convergere, una volta tanto nella giusta direzione.
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