venerdì 1 novembre 2024

La Quarta Era. Capitolo 10. Il re Finarfin di Valinor reincontra la figlia Galadriel

 


E passò molto tempo, un centinaio d'anni, e forse anche di più, nell'isola di Tol Eressea, e sia Bilbo che Frodo, infine, erano morti. Gli immortali, invece, guardavano ogni giorno il mare dalla costa occidentale, aspettando notizie dal Continente e visite che non arrivavano mai.
Ma un giorno, finalmente, dopo questa interminabile attesa, quando ormai Galadriel aveva perso ogni speranza di ottenere il permesso di lasciare quel luogo sospeso tra due universi,
era giunto dal Continente di Aman e dal regno di Valinor, su una nave a forma di cigno, un messaggero elfico della stirpe dei Vanyar, i più potenti, per annunciare il grande evento.
Dalla città di Tirion sul colle di Tuna, era giunta la chiamata di Finarfin il Biondo, Re Supremo degli Elfi della stirpe dei Noldor.
La nave del messaggero li avrebbe condotti fino alla prima tappa del loro viaggio sul Continente, ossia il grande e glorioso porto di Alqualonde, dove gli elfi della stirpe dei Teleri costruivano le bianche navi a forma di cigno che erano famose in tutta Arda.

<<Lì, principessa Galadriel, ti attenderanno il Re e la Regina, tuoi genitori>>

Era strano per lei sentirsi chiamare "principessa" dopo tanto tempo, ma in effetti, la più anziana tra le figlie dei re aveva il diritto di essere chiamata Principessa Reale.
Galadriel era colta dal dubbio che suo padre Finarfin non l'avrebbe riconosciuta, poiché erano passati 9000 anni, e Tre Ere del Sole e della Luna dall'ultima volta che si erano visti.

<<Forse mio padre sembrerà più giovane di me. Le mie sofferenze nella Terra di Mezzo hanno lasciato un segno che nessun abitante di Valinor potrebbe mai ricevere>>
Galadriel l'aveva detto a Mithrandir, che nella Terra di Mezzo era chiamato Gandalf dagli uomini del nord, dagli hobbit e dai nani.
<<Come già una volta ti dissi, il tempo può avere cambiato me, ma non la Signora di Lorien!>>
Mithrandir, il Grigio Pellegrino, divenuto ora il Bianco, era sempre stato il più acuto nel capire i sentimenti di lei.
Galadriel aveva più anni di Gandalf, ma lui poteva sembrare il suo bisnonno. Gli Istari preferivano avere l'apparenza di uomini molto anziani, per ispirare l'idea della saggezza, in un'epoca in cui ancora essere anziani era un titolo di merito, non un segno di decadimento da nascondere a tutti i costi.
Eppure gli elfi lo nascondevano, e Galadriel, grazie al suo Anello, aveva aggiunto grazia e bellezza alla sua giovinezza immortale, ma quell'epoca si era conclusa:
<<Non sono più la Signora di Lorien. Non ho più il potere di Nenya, né quello dello Specchio: ora tutto mi è incognito. 
Non sai quante volte ho sognato questo momento, ma ora ho capito qualcosa che prima non mi era chiaro.
 Vivere nella Terra di Mezzo mi ha cambiata e resa diversa da loro, e forse in tutti questi millenni anche loro sono cambiati. Ci illudiamo di rincontrare le stesse persone, ma in verità quelle persone non esistono più.>>





I suoi occhi azzurri come il cielo, come il mare, si erano velati di lacrime.

Il giorno della partenza, Galadriel aveva voluto Elrond e Gandalf al suo fianco, e il messo dei Vanyar aveva detto che sia il Mezzelfo che l'Istar erano i benvenuti a Valinor, ma che, nel momento in cui avrebbero messo piede nel Continente di Aman, non sarebbero potuti più tornare indietro.

Durante il viaggio, la prospettiva di trascorrere l'eternità a Valinor parve a Galadriel, improvvisamente, noiosa fino alla nausea.
Quel pensiero la preoccupò a tal punto che sentì il bisogno di parlarne con Elrond:
<<Ora capisco perché tuo padre Earendil preferì volare in cielo con i Silmaril e diventare una stella, la nostra stella più amatapiuttosto che rimanere qui a vivere di ricordi tra persone che non conosceva, o, peggio ancora, non riconosceva più>>
Il riferimento al padre Earendil aveva riscosso Elrond dal senso di stupore di fronte alle prime rive del Continente che si scorgevano all'orizzonte, in lontananza:
<<Se mio padre fosse qui, sarebbe per me una gioia rivederlo. Quando partì per il suo viaggio io ed Elros eravamo solo infanti. Ne ho pochi ricordi, specie ora, dopo tutto questo tempo.
Perché dunque il tuo cuore si affligge alla prospettiva di rivedere tuo padre Finarfin e tua madre Earwen, e di riabbracciare tua figlia Celebrian, la mia amata sposa?>>
Galadriel lo fissò intensamente, con aria severa:
<<Tu davvero ti illudi che Celebrian ci accoglierà a braccia aperte? Non è venuta a trovarci neanche una volta, nei tanti anni della nostra permanenza forzata a Tol Eressea, pur avendone il permesso. Ci ha scritto solo due lettere talmente formali e fredde da apparire insultanti. Ma ha le sue buone ragioni. In cuor suo ha sempre saputo la verità, gliel'ho letto nel pensiero, quando l'anello Nenya mi dava quel potere>>

Quella verità a cui lei alludeva e di cui non parlava mai era stata, molto tempo prima, un sospetto di molti.
Io ed Elrond eravamo più che amici, e se io non fossi stata già sposata con Celeborn, da cui avevo avuto Celebrian, di sicuro avrei sposato Elrond.
Lui ha sposato mia figlia soltanto perché non ha potuto sposare me.
La verità indicibile.
Elrond si era limitato a sospirare con lo sguardo rivolto verso Valinor, mentre il vento gonfiava le vele che in suo onore portavano lo stemma stellato di suo padre Earendil.




 Insieme a loro, a prua, c'era anche Gandalf, che appoggiò una mano sulla spalla del suo vecchio amico:
<<Mio caro Elrond, non ho mai avuto una fissa dimora: la mia casa era il mondo. Il distacco è stato meno doloroso che per voi, ma non temete, dopo gli anni di attesa a Tol Eressea, avete saldato ogni debito e pagato ogni errore: adesso sarete accolti in quella che sarà la vostra ultima dimora: il palazzo reale di Tirion. Quanto a me, soltanto i Valar sanno quale destino mi attende >>
Galadrie allora gli aveva domandato:
<<Tu credi davvero che Grande Disegno si sia compiuto, che la nostra Grande Narrazione finisca qui?>>
Gandalf non ne era affatto convinto:
<<Il Male non può essere scacciato per sempre: ritornerà, per questo il Grande Disegno non si è ancora compiuto e noi dobbiamo impiegare il tempo che ci resta per preparare la strada a coloro che verranno. Un'altra battaglia li attende>>
Elrond aveva corrugato le folte sopracciglia:
<<Un'altra battaglia?>>
Lo stregone annuì:
<<La Dagor Dagorath, ma non posso dire di più, poiché questo appartiene ai Misteri degli Istari>>
Tutto questo sembrava irreale, poiché nella Terra di Mezzo si credeva che la Dagor Dargorath fosse già accaduta, con la distruzione di Barad-Dur e la morte di Sauron.
Galadriel si chiese se Finarfin l'avesse convocata per parlare anche di questo.

In quel momento videro le prode del porto di Alqualonde, con le sue navi a forma di cigno, dove sbarcarono per la prima tappa del loro viaggio.






Ad attendere il loro arrivo c'erano i genitori di Galadriel, antichi eppure giovanissimi, perché la loro vita beata nelle Terre Imperiture li aveva preservati da ogni forma di imperfezione.
Qui Galadriel tornò ad essere ciò che era un tempo, la Principessa Reale dei Noldor, e  scorto davanti a tutti loro c'erano i suoi genitori: Finarfin, Re Supremo, e sua moglie Earwen di Alqualonde.

Galadriel scorse anche un altro elfo in abiti regali, con un diadema che fermava i suoi capelli argentei.
E' mio nonno, re Olwe di Alqualonde, il padre di mia madre. Mi ero dimenticata persino della sua esistenza, eppure eccolo lì, come quando l'ho visto da bambina. 
Olwe le sorrideva amichevolmente, forse in ricordo di quella bambina che era infine tornata da lui.
Lui mi ha perdonata.

Ma ciò che vide dopo non le piacque.
Celebrian non c'è, e nemmeno Calenvir, la madre di Legolas. I miei timori erano fondati, dunque. 
Che Iluvatar mi salvi! 

I suoi genitori parevano più giovani di lei e suo padre la osservava con un distacco che non prometteva niente di buono.
Galadriel si era infine inginocchiata davanti al Re Supremo.

Finarfin le fece cenno di alzarsi, ma la sua voce era tetra e fredda:
<<Cinque figli partirono da Valinor alla volta della Terra di Mezzo. Quattro maschi e una femmina. E lei sola, la più ribelle, ha fatto ritorno.
Ricordo ancora la notte in cui dissi addio a Finrod, il più caro tra i miei figli, e poi ad Amrod e Amras, e ricordo che Orodreth era al tuo fianco.
Io donai a Finrod un anello... ma questo non bastò a salvarlo...
Dimmi, Galadriel, come morirono i tuoi fratelli? >>






Galadriel era certa che suo padre sapesse benissimo la risposta e che quel quesito era una punizione per farla sentire in colpa.
Per lei era un ricordo straziante:
<<Padre, tu mi comandi di rinnovare un dolore indicibileI tuoi figli caddero combattendo valorosamente contro Melkor il Morgoth, durante la Prima Era del Sole.
 Finrod sacrificò la sua vita per salvare l'amico Beren e la sua sposa Luthien...>>
Il viso di Finarfin si rabbuiò:
<<Il sangue più nobile dei Noldor fu versato per la salvezza di un uomo?>>
Galadriel fissò suo padre negli occhi:
<<Da quell'uomo e dalla sua sposa, tramite loro nipote Elwing, discese la valorosa stirpe dei Mezzelfi. Ella sposò Earendil, il cui vascello vola in cielo assieme all'ultimo dei Silmaril, luminoso come una stella, la nostra stella più amata.
Ed Earendil portava il sangue dei Noldor, poiché sua madre era Idril Celebrindal, la figlia di  Turgon di Gondolin>>




Ma Finarfin non si lasciò incantare dalla voce flautata di sua figlia:
<<Ricordo bene il giorno in cui Earendil sbarcò su queste prode, e ricordo anche quando chiese ai Valar di entrare in guerra contro Morgoth: essi lo fecero con la speranza che dopo questo loro intervento, tutti i Noldor tornassero a Valinor, seguiti poi dagli elfi delle altre stirpi. Certo, doveva essere una vostra libera scelta, ma voi siete rimasti nella Terra di Mezzo per tutta la Seconda e la Terza Era: avete preferito starvene per altri seimila anni in quel luogo infestato dalla malvagità, piuttosto che tornare qui, dove tutto è perfetto>>

Galadriel era stanca di quella specie di processo pubblico a cui il padre la stava sottoponendo.
Qui sarebbero stati seimila anni di noia!
Lo pensò, ma non lo disse: non voleva protrarre quella discussione all'infinito, per cui scelse la ragione più seria della sua scelta:
<<Io, insieme al re Gil-Galad e a molti altri, tra cui Elrond Mezzelfo, figlio di Earendil ed Elwing, che è qui al mio fianco, scegliemmo di rimanere nella Terra di Mezzo per proteggerla dai servi di Morgoth sopravvissuti alla distruzione di Angband. E fu una scelta saggia, poiché per ben due volte abbiamo sconfitto Sauron e i suoi alleati. Meriteremmo un encomio, e tu ci accogli come se fossimo dei postulanti costretti ad implorare clemenza>>
Finarfin rimase impassibile:
<<La salvezza di Arda non dipende dalla Terra di Mezzo. Quel luogo fu profanato dal Male e i Valar sanno una verità che voi stessi avete intuito, parlando della "lunga sconfitta". Il Male ritornerà, e ogni volta sarà peggiore, e questo è il destino della Terra di Mezzo. 
Se ora ti riaccolgo qui, nel Continente, è per esaudire il desiderio di tua madre>>

Galadriel allora, finalmente, poté rivolgere lo sguardo a sua madre Earwen, dai capelli color madreperla, come i Teleri di Alqualonde, le pose le mani sulle spalle e la abbracciò.





La regina ricambiò l'abbraccio e poi disse:
<<Bentornata, figlia mia, alle prode della città in cui io nacqui, la bella Alqualonde, che oggi vede sanato ogni minimo ricordo del Fratricidio commesso da Feanor.
A lungo ho pregato per te, chiedendo la grazia al supremo Iluvatar, ed ecco, ora sei qui, unica tra i miei figli, poiché gli altri giacciono come ombre nelle Aule di Mandos, e per loro a lungo piansi e sparsi gigli a piene mani>>
Galadriel, pur felice di riabbracciare sua madre e di ricevere, almeno da lei, il benvenuto, non poté fare a meno di dire:
<<Io sono arrivata a Tol Eressea un secolo fa. Perché non sei venuta a trovarmi? Dici di aver pregato Iluvatar per me, ma avresti fatto meglio a pregare il re tuo marito, poiché egli non pare affatto felice di di rivedermi>>
L'amore di Earwen di Alqualonde verso il marito Finarfin di Tirion, Re Supremo dei Noldor, era tale che superava persino quello per sua figlia:
<<Finarfin non ha mai superato lo sdegno per ciò che fece Feanor e non riesce a perdonare chi lo ha seguito e persino chi ha seguito Fingolfin lungo i ghiacci dell'Helcaraxe.
Io ho rispettato la volontà di tuo padre per tre motivi: lui è il Re, lui è mio marito e lui è l'unico elfo che io abbia mai amato. 
Tu mi hai fatto aspettare 6500 anni, prima di tornare nelle Terre Imperiture: la tua attesa, invece, è stata molto minore>>

Galadriel era esasperata e si rivolse ai genitori in questo modo:
<<Voi credete che io sia rimasta nella Terra di Mezzo per un capriccio, ad oziare, come fate voi qui a Valinor? Noi abbiamo combattuto per una giusta causa! Abbiamo salvato i popoli della Terra di Mezzo!
E se il Male dovesse far ritorno in quei luoghi, io salirò in vetta al Taniquetil, per implorare Manwe di concedermi il permesso di combattere di nuovo>>




<<No!>> disse Finarfin con sdegno: <<Manwe si è espresso molto chiaramente: nessuno di coloro che sono tornati a Valinor potrà mai fare ritorno nella Terra di Mezzo. Se il Male tornerà un'altra volta, toccherà agli uomini sconfiggerlo o soccombere ad esso, poiché il cuore degli uomini si corrompe facilmente>>

Galadriel osservò suo padre più attentamente e gli parve un giovincello viziato e poi osservò sua madre e le parve una ragazzina che sta vivendo il suo primo amore:
<<Sarei dovuta rimanere a Lothlorien. Qui vedo solo indifferenza e supponenza. Vi credete tanto superiori, eppure a cosa sono servite le vostre esistenze? Cos'avete fatto di utile per gli altri? Non vi è venuta a noia questa festa eterna in cui continuate ad auto-glorificarvi?>>

Il re suo padre la osservò con la stessa espressione con cui si guarda un pazzo:
<<Noi abbiamo vissuto migliaia di anni felici, nell'eterna giovinezza e continueremo a farlo per sempre. Io e tua madre possiamo avere altri figli. Lei ha voluto attendere di parlare con te, prima di decidere, e tu, come sempre, hai mostrato la tua natura ribelle. 
Credevo che dopo tutti questi millenni, la tua sete di battaglie si fosse estinta, ma a quanto pare tu trovi noiosa e inutile un'esistenza dove non ci sia un nemico da combattere.
Ma questa volta non ti sarà permesso lasciare Valinor.
Hai solo due possibilità: o vieni con me a Tirion su Tuna, per poi recarti a Valmar, per rendere omaggio ai Valar presso l'Anello del Destino, oppure tornerai a Tol Eressea, nella Casa del Gioco Perpetuo, e lì passerai l'eternità a cantare e ballare con ciò che resta del tuo popolo>>

Quel luogo era anche detto Casa del Gioco Perduto, perché chi si perdeva nei suoi piaceri, alla fine perdeva anche la memoria del passato e diventava come un eterno bambino. O un eterno sciocco.

Galadriel non intendeva fare quella fine:
<<Ti seguirò a Tirion, e poi mi recherò a Valmar, al cospetto dei Troni dei Valar, e al mio fianco ci saranno Elrond Mezzelfo e Mithrandir il Saggio, che sono stati miei compagni in molti pericoli.
Ma ora ti chiedo: perché mia figlia Celebrian non è qui, ad abbracciare sua madre e suo marito?>>

Finarfin scosse il capo:
<<Non lo sospetti, Galadriel? Credi che Celebrian non avesse capito di essere stata soltanto un ripiego, per Elrond Mezzelfo? Tutti noi qui sapevamo la verità: tu ed Elrond vi amate molto più di quanto avete amato i vostri coniugi.
Lei lo sapeva, e quello è il vero motivo per cui è tornata qui migliaia di anni prima di voi.
E qui ha trovato il vero amore, e non intende rivedervi>> 




A Galadriel mancò la terra da sotto i piedi. Elrond, istintivamente, la soccorse, e quello che per anni avevano cercato di dimenticare, ritornò vivo in un istante.

Nel frattempo Gandalf si fece avanti:
<<Supremo Re, io sono Mithrandir, un Istar, ossia uno dei Maiar che hanno assunto sembianze umane per volontà dei Valar, che mi hanno incaricato di vegliare sulla Terra di Mezzo.
Ma qui a Valiron sono conosciuto come Olorin e attendo anch'io di conoscere il mio destino, quando i Valar mi riceveranno.
Ma ora che sono qui davanti a te non posso fare a meno di domandarti se è proprio necessario che nel Reame Beato si coltivino antichi rancori?
Galadriel è tua figlia, tornata da te dopo aver combattuto per una giusta causa, e tu invece di abbracciarla e accoglierla con gioia, la tratti con freddezza e rimprovero: ti sembra di agire saggiamente?>>

Finarfin studiò a lungo Gandalf:
<<Tu dunque sei Olorin, di cui tanto bene mi fu parlato dai Valar. Hai compiuto onorevolmente la tua missione e ora puoi abbandonare i panni di Mithrandir e tornare ad essere un Maiar in tutto il suo splendore. 
Saranno i Valar a decidere il tuo destino, ma certo sarai premiato per aver svolto bene la tua missione.
La sorte di Galadriel, però, non è affar tuo. Fin troppo è l'amore che provi per mia figlia, e per quanto mi onori che un Maiar sia così devoto verso la figlia di un Eldar, io credo che Galadriel sia stata fin troppo amata nei suoi anni trascorsi lontano da qui. 
Il mio rimprovero verso di lei ha molte ragioni: invece di fare ammenda per la sua ribellione, mi si è rivolta con parole irriverenti. Mi ha accusato di essere indifferente e supponente, ignorando il rispetto che mi deve come figlia e suddita, e anche il fatto che le mie scelte sono state dettate dall'obbedienza verso i Valar, che mai hanno amato i ribelli>>

La regina Earwen di Alqualonde intervenne:
<<Vi siete parlati con franchezza, tutti quanti, e ognuno conosce le ragioni dell'altro. Ma oggi è un giorno di festa.
Sospendete ogni diverbio e ogni giudizio: saranno i Valar a dirimere tutte le questioni, quando verrà il momento.
Ora unitevi a noi con animo sereno al banchetto che abbiamo preparato per festeggiare il vostro ritorno con tutti i doni che Yavanna e i suoi Maiar ci concedono.
Vi sarà reso onore per aver sconfitto il Nemico con tanto coraggio.
In questo giorno voi festeggerete con noi, con animo sereno: questa notte dormirete in pace>>



domenica 20 ottobre 2024

La Quarta Era. Capitolo 9. Galadriel torna a Valinor

 



Il viaggio era finito lì, molti anni prima, nella baia di Avallone, il porto principale dell'isola di Tol Eressea.

Quel luogo incantato erano l'unico, tra tutte le Terre Imperiture di Valinor, in cui gli Elfi provenienti dalla Terra di Mezzo avevano avuto il permesso di abitare, in attesa del definitivo perdono dei Valar.

Arda, il pianeta creato dal canto degli Ainur, le entità angeliche che affiancavano il supremo Iluvatar nello spazio extra-dimensionale tra un universo e l'altro, aveva tre continenti, uno occidentale, chiamato Aman, uno centrale, chiamato Endor, la Terra di Mezzo, e uno orientale, di cui non si sapeva pressoché nulla, e di cui persino gli Istari, che tutto conoscevano, avevano ritenuto cosa saggia e giusta tacere persino il nome.

Durante il viaggio verso Aman, Galadriel aveva soltanto ammesso: "Ho sentito dire che laggiù esista un portale che conduce al regno delle Ombre, per questo alcuni lo chiamano Terra Oscura" 




Ma Gandalf l'aveva corretta:
<<Mia adorata lady Galadriel, le Ombre e l'Oscurità sono cose diverse: nell'Oscurità non può esserci l'Ombra, a meno che non sia proiettata dalla Fiamma di Udun, evocata dagli stregoni malvagi che vestono di rosso. Esiste una città. dall'altra parte di quel varco, ma non pronuncerò mai quel nome, ora che il Portale è stato sigillato per sempre>>

Così si era detto anche di Utumno e di Angband, e più volte di Mordor, ma l'Oscurità era sempre tornata, e i sigilli erano stati sempre spezzati.
<<Gli Stregoni Rossi potrebbero tornare, Mithrandir. Conoscere il nome della loro città, oltre il Portale di Ulthor, come alcuni lo chiamano, non sarebbe una difesa per noi?"
Gandalf scosse il capo: 
<<Non pronunciare mai più quel nome nelle Terre Imperiture. Esso contamina tutto ciò che tocca, persino come suono. E il nome della città è contaminato oltre ogni dire, e qui a Valinor potrebbe creare dei portali segreti. Noi abbiamo già protetto la Terra di Mezzo: ora è nostro dovere attenerci alle regole dei Valar>>

Nel continente di Aman, che aveva la forma di una mezzaluna con gobba a ponente, c'era il Reame Beato di Valinor, dove vivevano le somme potenze di Arba, i Valar, che spesso si riunivano nella città di Valmar, presso l'Anello del Destino.




Tol Eressea si trovava al centro della Baia di Eldamar, protetta da un semicerchio di Isole Incantate che separavano con un velo di magia il mondo degli uomini da quello dei Valar, dopo il folle assalto che Ar-Pharazon, ultimo Re di Numenor, aveva tentato, con la sua flotta, contro lo stesso continente di Aman, sobillato da Sauron, per abbattere i troni dei Valar.
Galadriel aveva intuito il destino di Numenor fin da quando aveva indossato l'Anello di Diamante, uno dei Tre, creato da Celebrimbor: l'anello che dava le premonizioni, la telepatia e a volte persino la bilocazione.
Ho sostenuto i Principi di Andunie, col potere di Nenya, ho guidato Elendil e i suoi figli verso la salvezza, ma non sono riuscita a salvare Tar Miriel dalla follia di suo marito, né Isildur dal suo destino.
Le era mancato l'appoggio di Celeborn, in quei frangente: il loro amore non era stato affatto così perfetto come appariva, e dopo la creazione di Lothlorien era diventato un matrimonio di facciata.
Celeborn era bello e forte, ma gli mancava la sottigliezza richiesta ad un sovrano.
E' rimasto a Lothlorien molto più a lungo di me, nonostante certe ricostruzioni facciano credere diversamente. Ci sono troppe leggende contraddittorie, fummo fidanzati nel Doriath, poi io andai a Nargothrond e lui alla corte di Amroth a Lothlorien.  
Era stata la loro prima separazione, ma alla fine lui era tornato e l'aveva supplicata di seguirlo a Lothlorien, perché grandi sventure stavano per accadere nel Beleriand.
E così, prima della caduta di Nargothrond o Gondolin valicai le montagne, e insieme attraverso le ere del mondo abbiamo lottato contro la lunga sconfitta.
Così aveva detto a Frodo, ma aveva omesso le altre separazioni.
Quando suo nipote Gil-Galad l'aveva mandata nell'Eregion per tenere d'occhio Celebrimbor, Celeborn non l'aveva seguita, perché disapprovava il ruolo dei Nani a Ost-in-Edhil e la simpatia che lei nutriva nei loro confronti, ed era rimasto nelle terre dei Nandor, a Ovest delle Montagne Nebbiose.





Celebrimbor l'aveva corteggiata, forgiando per lei il gioiello dell'Elessar, il primo di tanti doni che lei aveva accettato per ordine di Gil-Galad.
Spesso Elrond giungeva a portare notizie e tra loro avrebbe potuto esserci più di un'amicizia, se la questione dei Tre Anelli non avesse preso il sopravvento.
Ma dopo la caduta di Ost-in-Edhil, quando lei non avrebbe disdegnato di essere la signora di Imladris, Celeborn era tornato pieno di amore e attenzioni e insieme avevano rinnovato i loro voti nuziali.
Si erano poi trasferiti nel Belfalas, nella futura Dol Amroth, presso il porto elfico di Edhellond, recandosi a volte a Lórien.
E avevano ripreso la loro battaglia, la loro "lunga sconfitta", poiché il Male non si estingue mai.

Per tutto il resto della Seconda Era, avevano preso parte alla sanguinosa guerra contro le armate di Sauron.  
Celeborn fu creduto morto nella battaglia di Dagorlad. Io me ne ero fatta fin troppo presto una ragione. Partecipavo ai consigli di guerra, l'Anello di Diamante accresceva il mio potere oltre ogni limite.
Per ordine di Gil-Galad le era stato rifiutato il permesso di combattere e il re, suo nipote, le aveva detto: "Se io ed Elendil dovessimo cadere, tu consegna il mio Anello ad Elrond e insieme aiutate Isildur a sconfiggere il Nemico".




Ed era accaduto proprio questo: Gil-Galad ed Elendil erano caduti, ed Elrond aveva indossato Vylia, l'Anello di Zaffiro, ed Isildur aveva ucciso il nemico.
Ecco, quello fu il momento di massima esaltazione della mia vita: Sauron appariva annientato, Elrond poteva reclamare la corona di Alto Re degli Elfi, ed io, che mi credevo vedova, e indossavo Nenya, l'avrei sposato e avremmo regnato fianco a fianco sulla Terra di Mezzo.
Soltanto ora, tremila anni dopo, riusciva a confessare a se stessa quella verità.
Ma Elrond non era riuscito a impedire a Isildur di distruggere l'Unico Anello, e questo lo aveva portato ad un tale sconforto che aveva rifiutato la corona di Alto Re degli Elfi e si era ritirato a Imladris, dichiarando che la rottura tra lui e Isildur era insanabile e l'alleanza tra Elfi e Uomini era finita.
L'Ultima Alleanza.
Fu allora che Celeborn ricomparve: era stato tenuto prigioniero a Minas Ithil, la futura Minas Morgul. E ancora una volta rinnovammo i nostri voti nuziali. E poiché la guerra sembrava finita, ci parve giusto generare un erede: nacque così Celebrian e mio marito, per rinsaldare le alleanze, la offrì in moglie ad Elrond.
Che ironia! Il suo destino era stato quello di diventare suocera di colui che in segreto avevo imparato ad amare. E almeno fosse stato un matrimonio felice! Ma ormai erano tutti pensieri inutili.

Quei pensieri erano stati banditi nel momento insieme ad ogni rimpianto della Terza Era.

Adesso erano nella Quarta Era del Sole! E stavano valicando le Isole Incantate e avvistando la gloriosa luce della Baia di Eldamar, Al cui centro spiccava l'Isola di Tol Eressera col suo porto, Avallone, tra le bianche scogliere.
E, come si è detto, per molti il viaggio era finito lì, ma non per Galadriel.




Per i meriti acquisiti durante la Guerra dell'Anello, Galadriel ed Elrond erano stati autorizzati, in data da destinarsi, a raggiungere le città degli Eldar nel Continente, come il Porto di Alqualonde, dove vivevano i Teleri di re Olwe, zio di Galadriel, o la capitale elfica Tirion, dove dominava il re supremo dei Noldor, Finarfin, padre di Galadriel, erano i discendenti delle Famiglie Reali delle stirpi dei Noldor e dei Sindar, un piccolo manipolo di reduci, ormai.

In seguito, i Sindar vennero indirizzati, col tempo, ad Alqualonde, presso i loro cugini Teleri, che parlavano una lingua molto simile alla loro.
I Noldor invece, che erano la minoranza, furono tenuti "in anticamera" molto più tempo, per il sospetto che il loro Re Supremo nutriva verso coloro che avevano seguito Feanor e verso i loro eredi.

Tra essi, in verità, l'unica sopravvissuta tra i Noldor nati a Valinor che avevano seguito Feanor, novemila anni prima,  prima che iniziasse la Prima Era, prima che fossero creati il Sole e la Luna, quando c'era ancora la Luce degli Alberi, c'era proprio lady Galadriel, anzi, la Principesssa Reale Galadriel.

Fosse stato per suo padre Finarfin, il Re Supremo dei Noldor, lei sarebbe rimasta a Tol Eressea per tutta l'eternità. 









Sono l'ultima sopravvissuta, tra i ribelli che lasciarono Valinor.
E la più vecchia, tra i reduci di Endor.

Novemila anni...persino per un elfo incominciano ad essere troppi... ma la mia missione non è ancora finita: mio padre deve sapere tutta la verità!

Galadriel veva lasciato quei luoghi insieme ai suoi fratelli, quando era una giovane ribelle, con tanta energia e curiosità, e sete di giustizia. Il suo non era stato un capriccio.
Morgoth aveva distrutto gli Alberi della Luce e rubato i Silmaril, e minacciava di regnare incontrastato sulla Terra di Mezzo, lasciando che a Occidente regnassero i Valar sui loro troni immortali.

Qualcuno doveva fare qualcosa per impedirlo! I miei fratelli non sono morti invano!

Finrod, Amrod, Aegnor e Orodreth, tutti caduti nelle guerre della Prima Era.
Ma durante la lunga pace dell'Alto Re dei Noldor della Terra di Mezzo, che all'epoca era Fingolfin, il fratello maggiore di Finarfin, ognuno dei figli di quest'ultimo, e cioè i fratelli di Galadriel, aveva avuto un suo regno nel Beleriand, prima della Battaglia delle Innumerevoli Lacrime, prima della Guerra dell'Ira e dell'inondazione del Beleriand.



Caddero l'uno dopo l'altro, ed ora le loro ceneri sono disperse in mare.

E mentre la Seconda e la Terza Era si succedevano, tra molte sconfitte e poche vittorie inutili, tranne l'ultima, Galadriel aveva condiviso con Celeborn quella che i Noldor chiamarono "la Lunga Sconfitta".

Eppure alla fine abbiamo vinto noi! Morgoth e Sauron sono stati distrutti ed io sono tornata carica d'anni e di ricordi, e sopravvissuta a millenni di battaglie. 

La prima impressione che aveva provato, scorgendo di lontano le scogliere di Tol Eressea, era stata di estraneità.

Ad attenderli nel porto di Avallone non c'era quasi nessuno, tranne pochi curiosi.
Lei ed Elrond si erano scambiati uno sguardo deluso: non era venuta nemmeno Celebrian!

"Voi andate" aveva detto agli altri "io farò due passi sulle scogliere".
Aveva bisogno di smaltire da sola la sua delusione per la mancanza dei parenti, compresa sua figlia!
Aveva pianto in silenzio, senza farsi notare, in una piccola insenatura scogliosa dove da piccola aveva nuotato con i suoi fratelli, quando ancora tutto sembrava perfetto.
Quanti tuffi aveva fatto da quelle scogliere!

Me le ricordavo bianche e luminose. Ora sono scure e opacheAnche il mare si è fatto peggiore, l'acqua è fredda e torbida, le onde molto più agitate: ne vedo i crudeli assalti al molo. 
Il porto di Avallone era deserto.
Non s'imbianca più di vele, non è lo specchio di nulla, neppure di se stesso.
Quella malinconica visione l'aveva rattristata.
Abbiamo commesso un errore a venire qui. Era miglior pensiero restare dove eravamo, non andare oltre, sognare. 


Persino senza il potere degli Anelli gli Elfi sarebbero stati di grande aiuto nel proteggere la Terra di Mezzo dal ritorno dell'Ombra.
Perché prima o poi l'Oscurità ritorna sempre: ecco perché noi Eldar chiamiamo la Storia: "La lunga sconfitta".










Anche gli altri a quella vista si erano incupiti..
Elrond, che mai aveva visto Tol Eressea, mi guardavano come per dire: 
"E' tutto qui? E' questa la gloria delle Terre Imperiture? Dov'è lo splendore degli Eldar? Ci avevano detto: siate benedetti fino a quando dureranno i Troni dei Valar!"
Ma quei Troni erano lontani più che mai.

E' così che i Valar accolgono i salvatori della patria?"
Avrebbe voluto rispondere di no, ma non poteva.
Sarebbe stata una bugia, o quantomeno una mezza verità.

Le era tornata in mente una poesia, scritta in gioventù, e ne aveva pronunciato i versi:
<<Vero viaggio è il ritorno, ma il sogno che interrompi non ritorna uguale>>.


mercoledì 9 ottobre 2024

La Quarta Era. Capitolo 8. Re Aelfwine il Bello, figlio di re Eomer di Rohan e suo successore

 


Il Gran Consiglio dei Sovrani della Terra di Mezzo giunse al suo apice quando la parola passò a re Aelfwine di Rohanche era succeduto alla guida del Mark dopo la morte di suo padre Eomer.

Aelfwine appariva molto giovane, ma non lo era. La sua longevità e apparente giovinezza erano dovute al sangue numenoreano di sua madre Lothiriel di Dol Amroth, una dama influente nella corte di Minas Tirith.

<<Il mondo è cambiato>> esordì Aelfwine <<e tutto ciò che un tempo era stabile, ora si rivela insicuro>>
Solo Legolas e Gimli ricordarono che un tempo il prozio di Aelfwine, re Theoden di Rohan, aveva pronunciato parole molto simili, anche se in un contesto completamente diverso.

<<Non lasciatevi ingannare dalla gioventù del mio aspetto: anch'io, come l'Alto Re Eldarion, per volontà dei Valar e diritto di discendenza sovrano del Regno Unito di Arnor e Gondor, sono per metà un Dùnedain, un discendente di Numenor, e solo per l'altra metà un discente di Eorl il Giovane, fondatore del Regno del Mark di Rohan e della dinastia che lo governa da secoli.
Quando ero realmente giovane, e mio padre Eomer regnava da pochi anni, la Terra di Mezzo era ancora un meraviglioso insieme di diversi popoli legati da vincoli di amicizia, fratellanza, alleanza e parentela.
Gli Elfi di tutte le grandi casate, Noldor, Sindar e Nandor (i Silvani), gli Uomini, sia i nativi di Endor, la Terra di Mezzo, sia discendenti dei Dùnedain della perduta Nùmenor.

Ma ora, ahimè, tutto è cambiato, e non in meglio.

Gli Elfi sono quasi tutti migrati ad Ovest. I Nani e gli Hobbit sono diminuiti di numero, e me ne dispiace, perché mi ritengo un loro sincero amico alleato. 
Da alcune generazioni nessun uomo ha più avvistato un Ent, e questo non è un buon segno.
Così come mi preoccupa il fatto che tra i Beorniani metaforfi e gli animali che un tempo comunicavano alla pari con noi e ci aiutavano, come le grandi Aquile, ora ci sfuggono, e solo il saggio Radagast riesce ancora a comunicare con loro.
Mentre non è affatto certo che gli Orchi, i Mannari, i grandi Ragni o i Draghi si possano ritenere estinti: forse hanno solo mutato forma.
Questo è ciò che accade all'interno della Terra di Mezzo, ma i regni di confine, come quello di Rohan, sono consapevoli che esistono cambiamenti anche all'esterno, che comportano minacce molto pericolose.
Le orde immense degli Esterling di Rhun premono sui nostri confini orientali, così come le popolazioni dell'Harad si accalcano ai nostri confini meridionali. Sono un numero incalcolabile, e di certo infinitamente superiore a quanti siamo noi. Ecco spiegato il motivo per cui la nostra civiltà rischia di estinguersi e di crollare sia per le nostre divisioni interne che per la pressione dei Barbari dall'esterno>>

Quello che Aelfwine aveva detto non era una novità, ma era il modo in cui lo aveva detto che poneva alcune questioni di fondo, a partire dal concetto di civiltà e di barbarie.
<<Nella Quarta Era, il nemico appare più prosaico: non ha più la natura assolutamente malvagia o l'aspetto ripugnante. Non è un nemico con la N maiuscola. Si tratta di uomini che minacciano ciò che ci è più caro e sacro. Li combattiamo non perché noi siamo "i buoni" e loro "i cattivi", ma perché noi dobbiamo, possiamo e vogliamo difendere noi stessi, le nostre famiglie, i nostri popoli, la nostra terra, la nostra tradizione. 

Per questo il mio appello a tutti i membri di questo sommo Consiglio è di non combattersi tra loro, ma di unirsi contro il comune nemico, così come ha giustamente suggerito l'Alto Re di Arnor e Gondor, il nostro sovrano Eldarion, di cui mi onoro di essere amico d'infanzia>>




Era stato un discorso efficace ed elogiativo per tutti, specie per l'esaltazione di ciò che era stata la Terra di Mezzo nel "buon tempo antico", (anche se, a dire il vero, era stata così soltanto nei racconti degli eroi e dei protagonisti) e ottenne l'effetto di placare di animi che prima di erano contrapposti.

l'Alto Re Eldarion colse questa occasione al volo:

<<La saggezza di Rohan ci mostra una strada per comporre i dissidi che si sono manifestati in seno a questo Consiglio. E affinché sia chiaro per tutti il pericolo che corriamo di fronte alle minacce esterne, chiederei ai sapienti Alatar e Pallando di parlarci delle intenzioni degli Esterling e degli Haradrim>>

Indicò Alatar, il quale si alzò:
<<Vostra Maestà del Reame Riunito, e Vostra Maestà del Mark di Rohan, mi rivolgo per primi a voi che avete posto la questione di Rhun, ma nel contempo mi rivolgo a tutti gli altri sovrani ed  eminenti membri del Consiglio Supremo della Terra di Mezzo, e ai capi delle delegazioni dei popoli associati.
Come ben sapete io ho trascorso la maggior parte della mia esistenza tra gli Esterling e ho ancora numerosi contatti con alcuni di loro. Come membro dell'Ordine degli Istari, il mio compito è quello di tutelare la pace tra i popoli ed evitare che qualcuno commetta atti di prepotenza verso qualcun altro, sia all'interno che all'esterno di questo regno. Ciò premesso, non nasconderò che informazioni in mio possesso sono allarmanti. 
Un enorme impero è sorto a Est, l'Impero di Rhun. La sua forza cresce ad un ritmo così veloce che già ora sta superando la nostra. E' un impero in espansione, con una politica estera aggressiva.


Attorno all'Impero di Rhun ci sono molti regni ad esso alleati, che ne moltiplicano la forza. 
La loro popolazione è in rapido aumento e ha bisogno di nuove terre e nuove risorse. Se noi non sapremo difendere le nostre, se le prenderanno, in un modo o nell'altro>>

La concisione era una dote di Alatar e rendeva efficaci i suoi interventi, ma questo non era l'unico motivò della brevità del suo discorso.
<<E' una grande minaccia per la pace tra i popoli e la libertà di ogni singolo popolo, ma credo che la minaccia costituita dagli Haradirm sia ancora maggiore, come può spiegarci il sapiente Pallando, capo del mio Ordine>>


Quest'ultimo si sollevò lentamente, con aria grave e solenne.
<<Ebbene sì, miei cari amici della Terra di Mezzo: la pace e la libertà dei vostri popoli e delle vostre comunità è in pericolo ed è mio compito, quale superiore dell'Ordine degli Istari, avvertire coloro che stanno per essere aggrediti ed aiutarli a fronteggiare l'aggressione. 
Sarebbe un errore fatale, per la Terra di Mezzo, che i suoi popoli si mettessero a guerreggiare tra loro quando ai suoi confini esistono minacce di estrema pericolosità.
In particolare il pericolo viene dall'Harad, dove è sorta una alleanza tra diversi regni e poteri avente come obiettivo principale quello di conquistare il regno di Gondor, di annientarne la tradizione e soggiogarne la popolazione. 
Naturalmente le decisioni finali spettano al Re, ma il mio consiglio è quello di trovare il prima possibile un accordo in seno a questa assemblea, perché l'alleanza degli Haradrim è pronta a colpire in modo subdolo. 
Hanno infiltrato molte spie nella Terra di Mezzo e dunque il pericolo è già in mezzo a noi. 
I miei poteri sono al vostro servizio per identificare tutti coloro che sono potenzialmente ostili prima che mettano in atto i loro piani.

Tutto questo, come suggeriscono le loro Maestà, Eldarion di Gondor ed Aelfwine di Rohan, può essere sconfitto soltanto tramite una grande alleanza comune di tutti i popoli della Terra di Mezzo, in cui ciascuno faccia la sua parte, superando le attuali divisioni.

Occorre ritornare a quello spirito di unità che ci fu nei tempi passati, nei Grandi Anni alla fine della Terza Era. 

Ora è giunto il momento in cui anche nella Quarta Era la Terra di Mezzo lotti unita per la propria sopravvivenza: anche noi avremo i nostri Grandi Anni!>>











lunedì 7 ottobre 2024

Mappe commentate del Sacro Romano Impero ( II parte)






Agli inizi del XV secolo, per quanto la Bolla d'Oro di Carlo IV di Lussemburgo si fosse imposta tramite i Principi Elettori, l'assetto del Sacro Romano Impero non era ancora del tutto delineato: benché ne fossero state definite alcune istituzioni e procedure, i rapporti di potere tra l'Imperatore, i Principi Elettori e gli altri Duchi e feudatari minori dipendeva in larga parte dalla personalità dei vari sovrani. 
Sigismondo di Lussemburgo (1433-1437) si concentrò soprattutto sui propri feudi personali, tra cui spiccava il Regno di Boemia e la sua capitale, Praga, che il padre Carlo IV aveva reso anche sede della Corte Imperial e periferici rispetto alle terre centrali e "germaniche" dell'impero. I duchi iniziarono a rivaleggiare tra di loro e questi conflitti alle volte evolvevano in scontri locali.
Ma Sigismondo dovette affrontare anche l'ascesa della potenza ottomana, che si era estesa lungo la penisola balcanica e minacciava Costantinopoli.

La guerra dinastica che da un secolo vedeva i Lussemburgo di Boemia contro gli Asburgo d'Austria in lotta per la Corona Imperiale si risolse con il primo di una lunga serie di fortunati matrimoni su cui gli stessi Asburgo basarono la loro fortuna.

Alberto II d'Asburgo (Vienna, 16 agosto 1397 – Neszmély, 27 ottobre 1439), Duca d'Austria (dal 1404), sposò a Praga la principessa Elisabetta di Lussemburgo, figlia dell'imperatore Sigismondo,    re di Boemia e di Ungheria.
La devozione di Alberto verso la moglie e il suocero convinsero Sisismondo a nominare Alberto "Re dei Romani", titolo con cui almeno a partire dal XV secolo, quando la dinastia asburgica riuscì ad affermarsi per un lungo periodo sul trono imperiale (il quale restava pur sempre una carica di tipo elettivo), l'Imperatore in carica designava l'erede al trono.

Fu così che nel 1438, un anno dopo la morte dell'imperatore Sigismondo, l'ultimo dei Lussemburgo, i Principi Elettori concordarono nell'eleggere Alberto II d'Asburgo come Imperatore, che già era succeduto al suocero nei titoli di Re di Boemia e d'Ungheria e Re di Croazia.

Sotto, possiamo vedere lo stemma del Sacro Romano Impero sotto il regno di Alberto II: l'aquila nera imperiale è protetta da uno scudo che a sinistra vede il Leone di Boemia e a destra le strisce bianche e rosse dell'Ungheria. Al centro c'è un secondo scudo più piccolo che indicava l'Arciducato d'Austria, che da allora divenne il centro della politica imperiale.



Alberto II morì nel 1339, dopo un solo anno di regno, lasciando il trono ad un figlio nato dopo la sua morte, Ladislao il Postumo (1340-1357).
Ne seguì una breve crisi dinastia, nel senso che Ladislao ereditò i domini personali del padre come Arciduca d'Austria e Re di Boemia e di Ungheria, sotto la reggenza di sua madre Elisabetta di Lussemburgo.
Tutt'altra questione fu invece la successione ai troni di Germania e a quello del Sacro Romano Impero.
I Principi Elettori non riconobbero a Ladislao il titolo di Rex Romanorum et Teutonicorum, essendo egli nato dopo la morte del padre, ed elessero come imperatore un suo lontano cugino, Federico, appartenente alla linea secondogenita degli asburgo.

Federico III d'Asburgo ( che regnò dal 1452 al 1493) fu il vero artefice della fortuna successiva della Dinastia asburgica, dell'Austria e dell'Impero.




Poiché nel 1453 la città di Costantinopoli era caduta in mano ai Turchi della dinastia Ottomana, Federico III volle che nel suo stemma imperiale fosse affissa l'aquila bicipite, per rivendicare l'eredità dell'Impero Bizantino e l'autorità morale che gli diveniva dall'essere nel contempo Imperatore d'Occidente, come sovrano del Sacro Romano Impero, e il pretendente al trono dell'Impero d'Oriente. A sovrastare l'aquila vi fu la corona che Federico III fece creare per l'Arciducato d'Austria, di cui mantenne anche lo stemma, quando finalmente poté ottenerne il dominio dopo la morte precoce di suo nipote Ladislao.




L'aquila era bicipite e guardava in entrambe le direzioni come erede dell'Impero Romano nella sua universalità, un concetto che fu molto caro a suo figlio Massimiliano e al nipote di quest'ultimo, Carlo V.
La signoria sull'Arciducato d'Austria divenne il baricentro dell'Impero asburgico, specie in quella fase in cui i nobili di Boemia e di Ungheria avevano rifiutato l'elezione di Federico, dopo la morte di Ladislao, preferendogli candidati della casa degli Jagelloni o dei Corvinus.
Federico III però rimase intenzionato a riprendersi quei territori, suggerendo a suo figlio una attenta politica matrimoniale per assicurarsi le risorse necessarie all'elezione imperiale e alla successione delle altre corone.
Si fece inoltre proclamare Duca di Stiria, Carinzia e Carniola, titoli che poi trasferì il prima possibile a suo figlio Massimiliano.

Nei suoi ultimi anni presiedette alla fase iniziale della Riforma Imperiale, che si sviluppò principalmente sotto il figlio Massimiliano. Lo stesso Massimiliano era più aperto alle riforme, anche se naturalmente voleva anche conservare e valorizzare le prerogative imperiali. Dopo che Federico si ritirò a Linz nel 1488, come compromesso, Massimiliano, divenuto Arciduca d'Austria e Rex Romanorum et Teutonicorum, fece da mediatore tra i principi e suo padre. Quando sarebbe succeduto alla morte del padre, avrebbe continuato questa politica di intermediazione, fungendo da giudice imparziale tra le opzioni suggerite dai principi.

Massimiliano I d'Asburgo (Wiener Neustadt, 22 marzo 1459 – Wels, 12 gennaio 1519), già Arciduca d'Austria, Duca di Stiria, Carinzia e Carniola, fu confermato Re dei Romani e dei Teutoni nell'aprile del 1493 alla morte del padre Federico III e fu eletto Imperatore il 19 agosto 1493 anche grazie alle sue doti diplomatiche e alle cospicue donazioni che poté elargire ai vescovi in quanto detentore dell'immenso patrimonio della sua defunta prima moglie Maria, Duchessa di Borgogna, deceduta nel 1477, lasciando il titolo ducale al figlio Filippo I d'Asburgo, che rimase a lungo sotto la tutela paterna.

Nel 1495, l'imperatore Massimiliano I convocò una dieta a Worms. Qui, il re ed i duchi convennero su quattro punti ed emanarono la Riforma imperiale (Reichsreform), una raccolta di testi legali tendente a dare qualche struttura al Sacro Romano Impero al fine di evitarne la disgregazione. Tra le altre cose furono istituiti i "Circoli Imperiali" (Reichskreisstandschaft) ed il "Tribunale della Camera imperiale"(Reichskammergericht). 
Tuttavia alcuni territori vassalli dell'Impero si rifiutarono di entrare nei Circoli, minacciando l'indipendenza: si trattava di Boemia, Moravia e Slesia (sotto il controllo degli Jagelloni di Polonia, che ambivano a creare una potenza slava che si estendesse tra la Germania e la Russia), ma anche la Confederazione Svizzera, che dopo aver sconfitto Carlo il Temerario di Borgogna, suocero di Massimiliano, aveva dichiarato la propria indipendenza, e infine i principati e le signorie italiane, che fin dall'estinzione della dinastia degli Hohenstaufen, avvalendosi della rinuncia ai diritti regi sancita dalla pace di Costanza secoli prima, avevano mantenuto soltanto un omaggio formale verso l'Impero, ma sostanzialmente avevano agito in maniera autonoma. 



Massimiliano e suo figlio Filippo elaborarono un complesso piano matrimoniale, dinastico e militare che doveva condurre gli Asburgo al recupero del potere nella maggioranza dei territori che si erano dichiarati indipendenti o avevano agito come tali.

In questo ambito va visto il matrimonio tra Filippo I, Arciduca d'Austria e Duca di Borgogna, con l'infanta Giovanna di Castiglia e d'Aragona, che in seguito a una serie di lutti molto imprevista e molto sospetta, portò Filippo I a diventare re di Castiglia nel 1506, salvo morire poco dopo, forse avvelenato dal suocero Ferdinando.

L'erede di Giovanna e Filippo, il giovane Carlo, divenne allora automaticamente l'erede sia di Massimiliano d'Asburgo che di Ferdinando d'Aragona.
L'Imperatore già pregustava le montagne d'argento provenienti dalle Americhe, sottomesse alla Castiglia, che un giorno sarebbe stata ereditata da suo nipote Carlo.

Nel 1512, l'Impero prese il nome di Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation, "Sacro Romano Impero della nazione germanica". L'addizione Nationis Germanicæ compare solo alla soglia tra il tardo medioevo e la prima età moderna, quando l'impero si estendeva essenzialmente all'area di lingua tedesca. Nel 1486 questo titolo fu utilizzato nel Landfriedensgesetz dell'imperatore Federico III.




Questa aggiunta fu usata ufficialmente per la prima volta nel 1512 nel preambolo dell'addio al Reichstag a Colonia. L'imperatore Massimiliano I aveva invitato i possedimenti imperiali, tra l'altro, allo scopo di "preservare [...] il Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" L'esatto significato originale dell'aggiunta non è del tutto chiaro. Potrebbe significare una restrizione territoriale dopo che l'influenza dell'imperatore nell'Italia imperiale era scesa praticamente a zero e gran parte del regno di Borgogna era ora governata dalla Francia. 

Nel 1516, quando morì Ferdinando d'Aragona, Massimiliano impose suo nipote Carlo come Re di Castiglia e d'Aragona, formalmente associato alla madre Giovanna, rinchiusa nel castello di Tordesillas con l'accusa, mai dimostrata, di essere malata di mente. L'argento delle Americhe incominciò a fluire nei forzieri degli Asburgo.
Era il trionfo della politica matrimoniale di Massimiliano il quale a sua volta, sposando Bianca Maria Sforza in seconde nozze, si fece proclamare anche Duca di Milano, seppure solo come pretendente.
Famose furono le sue parole: "Bella gerant alii, tu felix Austria nube!", ossia "che gli altri conducano le guerre, tu, fertile Austria, sposati!".




Alla morte di Massimiliano, nel 1519, suo nipote Carlo V d'Asburgo si trovò ad ereditare un Impero sul quale, come lui stesso disse "il sole non tramonta".




La costruzione dell'impero di Carlo V, però, non avvenne con un semplice atto di successione ereditaria, dal momento che alla morte dei suoi nonni, Massimiliano d'Asburgo e Ferdinando d'Aragona, i feudatari locali si ribellarono e gran parte dei territori asburgici erano controllati solo formalmente. Cito qui sotto (da Wikipedia) lo schema completo dei possedimenti che Carlo V e suo fratello Ferdinando rivendicarono, collaborando, alla morte dei nonni (dal momento che loro padre Filippo I d'Asburgo era morto e loro madre, la regina Giovanna di Castiglia e Aragona, rinchiusa a Tordesillas) e di altri loro parenti, reclamarono come propri:

 Nel dettaglio i possedimenti di Carlo V erano così composti:

Le intenzioni di Carlo V erano quelle di ricreare l'Impero Romano d'Occidente per poi muovere guerra contro l'Impero Ottomano, restaurando un Sacro Romano Impero Cattolico Universale.

Oltre ai Turchi Ottomani, due grandi ostacoli si opposero a tale progetto: la Riforma Protestante in Germania, che indebolì fortemente l'autorità imperiale, e le ambizioni della Francia, che non solo voleva conservare la propria indipendenza, ma voleva conquistare l'Italia.

Carlo V passò la vita combattendo una guerra dietro l'altra, con alterna fortuna. Nella fase iniziale, tra il 1525 e il 1530, il sogno dell'Imperatore fu sul punto di avverarsi: conquistò il Ducato di Milano, facendo prigioniero Francesco I di Francia e imponendogli condizioni di pace umilianti, restaurò i Medici a Firenze creando il Granducato di Toscana come feudo imperiale e poi scagliò i Lanzichenecchi a Roma, assediando papa Clemente VII, per porre fine alle sue simpatie filo-francesi e convincerlo a incoronarlo Imperatore.

L'incoronazione di Carlo V d'Asburgo fu l'ultima che avvenne secondo le più antiche e sacre tradizioni fin dai tempi di Carlo Magno e avvenne a Bologna nel 1530, l'apogeo del potere di Carlo V.

Qui papa Clemente VII prima lo incoronò Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Longobardi (Rex Italiae sive Rex Italiarum Omnium, tenendo conto che Carlo era, per eredità patrilineare e diritto di conquista sia Rex Romanorum, Italicorum et Langobardorum, sia, tramite i possedimenti materni aragonesi, Re di Napoli, Re di Sicilia e Re di Sardegna).



Il giorno seguente Clemente VII incoronò infine Carlo V col titolo di Caesar Imperator Romanorum Augustus Pius aggiungendo, tanto perché fosse chiaro a tutti i nemici dell'Imperatore, la dizione completa degli altri titoli "sive Catholicus Hispaniarum ominium Rex et Italiarium ominium Rex, et Summsu Protector Germanicae Nationem et Regnorum Bohemiae et Hungariae sive Austriae Archidux.




I numerosi nemici di Carlo, compresa la sua stessa madre Giovanna, relegata a Tordesillas, non apprezzarono questa manifestazione di forza del sovrano, le cui aspirazioni si erano estese al Portogallo, grazie al matrimonio con la bellissima Isabella d'Aviz, che gli aveva dato il figlio Filippo II, e da ogni parte dell'Impero sorsero problemi e conflitti. 


 
I luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di Smalcalda. Tale lega, dotata di un esercito federale e di una cassa comune, fu detta anche "Lega dei Protestanti", ed era guidata dal Duca Filippo I d'Assia e dal Duca Giovanni Federico, elettore di Sassonia.

Dopo l'effimera conquista di Tunisi, l' Imperatore si impegnò nuovamente contro i Turchi in un conflitto che si concluse con molta sfortuna in una sconfitta, maturata nella battaglia navale di Prevesa del 27 settembre 1537, dove lo schieramento turco ebbe la meglio sulla flotta degli imperiali, composta da navi genovesi e veneziane. Questa sconfitta indusse Carlo V a riprendere i rapporti con gli Stati della Germania, di cui aveva comunque bisogno, sia da un punto di vista finanziario sia militare

Il suo atteggiamento più conciliante verso i rappresentanti luterani, tenuto nelle diete di Worms (1540) e Ratisbona (1541), gli valsero l'appoggio di tutti i principi, oltre che l'alleanza di Filippo I d'Assia.
Alla Chiesa Cattolica non rimaneva che opporre alla Riforma Protestante una Riforma Cattolica e sotto questi auspici papa Paolo III Farnese convocò un Concilio Ecumenico universale nella città di Trento, i cui lavori furono ufficialmente aperti il 15 dicembre 1545, per protrarsi per lunghi decenni.

Nel biennio 1546-1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-asburgiche in Italia. A Lucca, nel 1546, Francesco Burlamacchi tentò di instaurare in tutta la Toscana uno Stato repubblicano. A Genova, Gianluigi Fieschi organizzò, senza successo, una rivolta a favore della Francia. A Parma infine, nel 1547 Ferrante I Gonzaga conquistò Parma e Piacenza a spese del duca Pier Luigi Farnese (figlio del pontefice), ma la conquista fallì per mano del duca Ottavio Farnese, che riconquistò il Ducato, il quale fu successivamente riconquistato ancora una volta dal Gonzaga.

Per contrastare le ambizioni del nuovo re di Francia, Enrico II, Carlo V incominciò il rafforzamento del suo contingente militare facendo affluire rinforzi e danaro sia dalla Spagna sia da Napoli; la qual cosa indusse Maurizio di Sassonia, condottiero delle truppe francesi, ad aprire trattative con l'imperatore, nel timore di una sconfitta. Nei colloqui, svoltisi a Passavia, tra i principi protestanti capeggiati da Maurizio di Sassonia e l'imperatore, si giunse a un accordo che prevedeva maggiori libertà religiose per i riformati in cambio dello scioglimento dell'alleanza con Enrico II. La qual cosa avvenne nell'agosto del 1552.

A quel punto Carlo V puntò tutta la sua fortuna sulla conquista di Metz, come baluardo contro la Francia, con la stessa temerarietà del bisnonno Carlo il Temerario, Duca di Borgogna, e ahimè, con la stessa sfortuna. All'indomani del fallimento dell'assedio di Metz e della mancata riconquista della Lorena, Carlo V entrò in una fase di riflessione: su sé stesso, sulla sua vita e sulle sue vicende oltre che sullo stato dell'Europa. 

Già dal 1554 la salute Carlo V era in declino, a causa di un tumore alla prostata che gli portò immani sofferenze e che egli percepì come una punizione divina per la grave ingiustizia di aver tenuto fino a quel giorno prigioniera sua madre Giovanna a Tordesillas con false accuse di instabilità mentale.

Per quanto i confessori di Carlo lo esortassero a recarsi a Tordesillas per liberare l'anziana madre, l'imperatore preferì mandare suo figlio Filippo II, che, nel 1555, trovò la nonna Giovanna ormai in gravi condizioni di salute, incapace di muoversi e di lasciare le sue stanze, a cui aveva infine attribuito, dopo 50 anni di prigionia, il ruolo di casa.

Dopo la morte della madre Giovanna, Carlo seguì le volontà della defunta, che voleva essere seppellita, insieme all'amatissimo marito Filippo I, che era ancora tumulato a Tordesillas, nella stessa cripta della cattedrale di Granada, dove erano sepolti anche Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia.

Stremato dopo le esequie dei genitori e divorato dalle malattie, nel 1556 Carlo V decise di abdicare, ma con molta saggezza lasciò a suo figlio soltanto la Spagna e tutti i territori dipendenti dalle corone di Castiglia e d'Aragona, poiché già da solo quell'insieme di possedimenti era fin troppo grande per essere amministrato da un unico sovrano.



La sorte del Sacro Romano Impero fu dunque quella di essere lasciato nelle mani di Ferdinando I d'Asburgo, fratello di Carlo. 
Ferdinando, nato e cresciuto in Spagna, aveva un carattere più malleabile di quello del fratello, pur dimostrando coraggio e valore. Dopo essere stato per trent'anni Arciduca d'Austria, Re di Boemia e d'Ungheria, Duca di Stiria, Carinzia, Carniola e Tirolo, venne infine eletto Re di Germania, Re d'Italia, Re dei Romani e divenne Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1556 senza l'incoronazione pontificia, che da allora venne ritenuta superflua in quanto non rappresentativa dell'intera "Nazione germanica" ormai in buona parte protestante.

Ferdinando aveva già infatti dato prova di diplomazia durante i lavori preparatori per la Pace di Augusta del 1555 tra cattolici e protestanti tedeschi.
Per esigenze di sintesi, citiamo anche qui Wikipedia.

Ferdinando e la Pace di Augusta del 1555

Ferdinando nel 1531, nell'anno della sua elezione a Re dei Romani

Dopo decenni di conflitti religiosi e politici senza sosta tra gli stati tedeschi, Carlo V ordinò l'apertura della Dieta di Augusta nella quale tutti gli Stati dell'Impero erano chiamati a partecipare, a discutere dei loro problemi ed a trovare una soluzione. Carlo V stesso non vi prese parte per non influenzare le parti e vi delegò invece suo fratello Ferdinando, col diritto di agire liberamente in suo nome.[9] Alla conferenza, Ferdinando riuscì a far convergere tutti i rappresentanti sull'accordo di tre importanti principi:

  1. Il principio del cuius regio, eius religio ("Di chi è lo stato, di questi sia la religione") che consentiva la libertà religiosa ad ogni singolo Stato tedesco, con l'unica forma di doversi adeguare alla scelta fatta dal principe locale: la religione del principe divenne religione di Stato per tutti i suoi abitanti. Gli abitanti che non si fossero conformati alla religione del principe, avevano il permesso di abbandonare il paese oppure di pagare una forte tassa per il mantenimento del loro culto, idee estremamente innovative per il XVI secolo.
  2. Il principio del reservatum ecclesiasticum (riserva ecclesiastica), che riconosceva uno status speciale agli stati ecclesiastici. Se un prelato di uno Stato ecclesiastico cambiava infatti il proprio orientamento religioso, gli uomini e le donne che vivevano sotto il suo dominio non erano tenuti a fare lo stesso. Al contrario, il prelato avrebbe dovuto entro breve tempo abbandonare il proprio incarico.
  3. Il principio della Declaratio Ferdinandea (Dichiarazione di Ferdinando), che esentava i cavalieri e molte città dall'uniformità religiosa, permettendo quindi l'esistenza di città e villaggi ove potessero convivere cattolici e protestanti insieme. Ferdinando inserì questa clausola all'ultimo minuto e per propria autorità personale.[10]

Circondato da consiglieri seguaci di Erasmo da Rotterdam e lui stesso sensibile agli insegnamenti del grande umanista, dopo gli anni quaranta Ferdinando I promosse una politica tollerante di riconciliazione religiosa, favorevole al colloquio tra cattolici e protestanti, che culminò nella pace religiosa di Augusta del 1555.

L'Austria sotto Ferdinando I

Al tempo di Ferdinando I, gli stati provinciali tedeschi erano ancora vere e proprie potenze, con le quali l'arciduca doveva continuamente patteggiare. I temi di maggiore scontro erano esercito e denaro, costanti necessità dello Stato, specialmente per il pericolo turco. Oltre all'esercito imperiale stabile formato da uomini assoldati e da capitani di ventura come condottieri, pagato e mantenuto dall'imperatore, vi erano ancora gli eserciti dei piccoli stati provinciali.

Le diete degli stati provinciali votavano le contribuzioni obbligatorie a carico delle città, dei contadini e dei feudatari che a loro volta li imponevano ai sudditi. Anche la giustizia e la burocrazia, dove questa già funzionava, erano completamente in mano ai nobili, per cui non esisteva una chiara e netta separazione tra il potere centrale degli Asburgo e il potere delle diete provinciali. Questa autonomia provinciale di tipo oligarchico, gestita da nobili gelosi dei loro poteri feudali, opprimeva i contadini e gli abitanti delle città, creando gravi situazione di tensione sociale. Il principio ispiratore di ogni decisione era infatti l'esenzione da qualsiasi imposta da parte della nobiltà.

Ferdinando I morì nel 1564 e venne sepolto nella Cattedrale di San Vito a Praga.

Il "Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" alla morte di Ferdinando I


Massimiliano II d'Asburgo (Vienna, 31 luglio 1527 – Ratisbona, 12 ottobre 1576) , figlio ed erede di Ferdinando I, fu ancor più tollerante del padre in materia religiosa e questo permise il rispetto dei princìpi stabiliti nella Pace di Augusta.


Come Re di Boemia ed Ungheria, possedimenti che occupavano un ruolo centrale anche nel suo stemma, Massimiliano II dedicò molte delle sue forze al contrasto delle mire espansionistiche dell'Impero Ottomano, giunto all'apice della sua potenza sotto il sultano Solimano I il Magnifico.




A Massimiliano II succedette il primogenito Rodolfo II Rodolfo II d'Asburgo (Vienna, 18 luglio 1552 – Praga, 20 gennaio 1612) che fu imperatore del Sacro Romano Impero dal 1576 al 1612.

Uomo coltissimo, ma di carattere piuttosto eccentrico, Rodolfo II trasferì la capitale imperiale a Praga, che visse sotto il suo regno il momento di massimo splendore. La sua corte divenne un luogo di scienza, cultura umanistica e mecenatismo artistico (fu un grande collezionista di dipinti famosi). Tra i più celebri ospiti dell'imperatore vi furono il teologo e filosofo Giordano Bruno, gli scienziati Tycho Brahe e Johannes Kepler, astronomi e astrologi di grande fama; John Dee e Edward Kelly, il primo consigliere di Elisabetta I d'Inghilterra e il secondo sedicente medium, nonché Michael Sendivogius, alchimista dalla vita avventurosa.  

Come spesso accade agli uomini di cultura e di genio, Rodolfo II fu inizialmente un monarca illuminato e da tutti ammirato, ma il suo carattere ipersensibile e i suoi sbalzi d'umore, dall'entusiasmo immotivato alla cupa disperazione, gli resero sempre più difficile mantenere un equilibrio nella propria linea governativa. 
Sarebbe certamente troppo ingiusto far risalire a Rodolfo II, come fecero alcuni storici tra cui Golo Mann, nella sua monumentale opera su Wallenstein, le cause della Guerra dei Trent'Anni, una delle più atroci di sempre, che insanguinò l'Europa tra il 1618 e il 1648.
Rodolfo era molto amato, a Praga, e la libertà di culto da lui concesse agli "Ordini" ungheresi (1606) ed a quelli boemi (1609) con la lettera di maestà stanno a dimostrare come l'imperatore fosse consapevole della necessità di ridurre le crescenti tensioni tra cattolici e protestanti, sobillati dai rispettivi signori e capi religiosi, nell'epoca in cui la Riforma Cattolica si diffondeva in Germania tramite i padri gesuiti, precettori di grande fama e preparazione.
Rodolfo fu anche amico e protettore della comunità ebraica di Praga.
Rodolfo fu inflessibile invece nel condurre una tenace guerra contro gli Ottomani in Ungheria e specialmente in Transilvania. Purtroppo gli esiti di questo conflitto lungo e sanguinoso non furono quelli che l'imperatore si aspettava. I rovesci della lotta contro i turchi e l'aggravarsi del disturbo bipolare di Rodolfo segnarono la sua fine.

Dal 1600 in poi, l'imperatore, timoroso dell'esistenza di complotti e congiure ordite da suo fratello e dai cattolici intransigenti, si rinchiuse nel castello di Praga (Hradčany), dove incominciò a soffrire di disturbi paranoici, e ad avere allucinazioni dovute alle pozioni che gli alchimisti di sua fiducia gli somministravano per far fronte alle sue sempre più lunghe e gravi crisi depressive. Sempre più chiuso, sospettoso e scostante (aveva smesso di presiedere il Reichstag nel 1594), l'imperatore veniva avvicinato solo dal suo personale da camera, che accumulava privilegi di cui non tardava ad abusare. 

Seppur sostenuto dai Boemi e dai Moravi, l'imperatore Rodolfo II perse il sostegno degli Ungheresi, che si schierarono a favore di suo fratello l'arciduca Mattia, e questo fece degenerare la situazione. Mattia infatti pretese che Rodolfo gli cedesse la Corona d'Ungheria e l'Arciducato d'Austria, nominandolo anche Re dei Romani, ossia erede designato, non avendo figli.
Quando Rodolfo rispose con le armi alle pressanti richieste del fratello, i soldati fedeli a Mattia imprigionarono Rodolfo nel suo castello a Praga, costringendolo a cedere al fratello anche la Corona di Boemia.

Nel 1611 a Rodolfo rimaneva ormai soltanto il titolo imperiale, senza tuttavia potersi avvalere delle sue prerogative a causa delle difficili condizioni di salute e dello stato di prigionia in cui segretamente lo teneva il fratello. Rodolfo morì nel 1612, nove mesi dopo essere stato privato di qualsiasi potere effettivo in favore di Mattia, che ereditò cinque mesi dopo anche la Corona Imperiale. Rodolfo non lasciò eredi: l'amante Anna Maria Strada gli aveva dato un figlio illegittimo, Don Giulio, che soffriva però di disturbi mentali e finì i suoi giorni rinchiuso nel castello di Krumlov. La salma dell'imperatore riposa nella cattedrale di San Vito, all'interno del complesso del castello di Praga, dove si trovano anche le spoglie di suo padre e di suo nonno.

Mattia d'Asburgo (Vienna, 24 febbraio 1557 – Vienna, 20 maggio 1619) è stato re di Boemia e Ungheria col nome di Mattia II. Fu reggente del Sacro Romano Impero e imperatore dal 1612 fino alla sua morte. Pur essendo eccentrico e vanesio, non ebbe alcuna delle doti intellettuali del fratello e la sua arroganza fu certamente una delle molle che fece scattare la famosa Defenestrazione di Praga, che nel 1618 diede inizio alla Guerra dei Trent'Anni.

Mattia infatti offese per ben due volte i sudditi di Boemia: la prima fu quando spostò la corte da Praga a Vienna, togliendo così a Praga un primato che si era consolidato nei decenni sotto il regno di Rodolfo e che lasciava i boemi e i moravi senza un solido punto di contatto con le autorità imperiali.
La seconda fu quando Mattia, pur consapevole del fatto che i praghesi fossero all'epoca in maggioranza hussiti e protestanti, mandò al municipio di Praga due Legati imperiali inflessibilmente cattolici.
A quel punto, il 23 maggio 1618, alcuni rappresentanti dell'aristocrazia praghese e boema, galvanizzati dal conte Thurn, catturarono i due luogotenenti imperiali e li lanciarono fuori dalle finestre del castello, che però non si trovavano a grande altezza e dunque tale "defenestrazione" non causò la morte degli ambasciatori, nessuno di loro si ferì gravemente, anche grazie alla pendenza del terreno che attutì l'impatto. 
Questa fu la miccia che fece esplodere la bomba della rivolta: i Boemi ribelli elessero loro re Federico V del Palatinato, invocando l'aiuto dell'Unione Evangelica. 

L'imperatore Mattia, seppure furibondo, sarebbe stato in grado di gestire una trattativa così complessa, ma le sue condizioni di salute, nel 1619, precipitarono a tal punto che, essendo anche lui senza figli, i cattolici dell'Impero si rivolsero al suo erede designato, il cugino Ferdinando II, arciduca di Stiria, noto per la sua intransigenza assoluta nella fede cattolica.

Ferdinando II d'Asburgo (Graz, 9 luglio 1578 – Vienna, 15 febbraio 1637) succedette al cugino Mattia, deceduto senza eredi nel 1619, durante la delicatissima crisi imperiale seguita alla Defenestrazione di Praga. Ferdinando, col supporto della lega cattolica e del re di Spagna suo cugino, decise di reclamare i suoi possedimenti in Boemia e di schiacciare la ribellione. 

L'8 novembre 1620 le sue truppe, capeggiate dal generale belga Johann Tserclaes, conte di Tilly, schiacciarono i ribelli di Federico V del Palatinato che era stato eletto anch'egli re nel 1618. 

Dopo la fuga di Federico nei Paesi Bassi, Ferdinando ordinò la conversione forzata al cattolicesimo di Boemia e Austria, riducendo notevolmente anche il potere della Dieta imperiale.

Questa reazione di Ferdinando II andava contro i princìpi della Pace di Augusta stipulata dal suo bisnonno Ferdinando I, ed i Principi Protestanti, tra cui l'Elettore di Sassonia e l'Elettore del Brandeburgo chiamarono i sovrani protestanti delle nazioni scandinave in difesa del protestantesimo tedesco.

Non è questa la sede per riassumere i complessi eventi della Guerra dei Trent'Anni (1618-1648), che, dopo la prima fase boemo-palatina, vide altre tre fasi: quella danese, guidata dal re di Danimarca, Cristiano, quella svedese, guidata dal re di Svezia, Gustavo Adolfo, e quella francese, dove il cardinale Richelieu, in nome della ragion di stato della sopravvivenza della Francia contro l'assedio asburgico, accettò un'alleanza tattica con i protestanti.




Ferdinando II, insieme ai suoi due feldmarescialli Tilly e Wallenstein, sconfisse il re di Danimarca, mentre dovette chinare il capo di fronte alla forza del re di Svezia, che salvò il protestantesimo tedesco. Tuttavia ognuno di loro morì prima della fine della guerra, in circostanze non piacevoli: Wallenstein fu fatto uccidere dallo stesso Ferdinando II, geloso della sua popolarità, il Tilly morì nella stessa battaglia in cui perse la vita re Gustavo Adolfo, a Lutzen.
Ferdinando II aveva visto morire il suo avversario, ma anche i suoi alfieri, e soprattutto a Lutzen aveva subito una tremenda sconfitta. L'illusione di poter comunque salvare la propria supremazia fu infranta dall'ingresso dei francesi nella guerra, che Ferdinando vide come un tradimento fratricida tra cattolici, cosa che lo amareggiò, riconoscendo in Richelieu un avversario di estrema tenacia e astuzia.
Come se non bastasse, Ferdinando si rendeva conto della pochezza dei suoi alleati, dell'ambiguità dei Wittelsbach, troppo ambiziosi, e soprattutto dell'inettitudine politico-militare del proprio figlio ed erede designato Ferdinando III. 

Ferdinando III d'Asburgo (Graz, 16 luglio 1608 – Vienna, 2 aprile 1657), pur avendo avuto studi eccellenti ed essendo persona sensibile, avvenente e portata per le lingue, le arti e la musica, non era stato allevato per succedere al padre, cosa che avvenne solo in seguito alla morte dei suoi fratelli maggiori. Cercò di guadagnarsi il rispetto del padre in azioni militari il cui merito è però da ascrivere ad altri. Divenuto imperatore nel 1637, si trovò di fronte ad una situazione disperata: la Germania e la Boemia erano state decimate dalla guerra, le città devastate, la popolazione falcidiata dalla violenza, dalla malattia e dalla fame. Cercò in tutti i modi di siglare una pace che però né la Svezia né la Francia vollero concedere. Di fronte a questo rifiuto Ferdinando III reagì inizialmente con sdegno, sguinzagliando i suoi comandanti (Gallas, Piccolomini e il fratello Leopoldo Guglielmo) per tutto l'Impero, ma presto constatò che nessuno di loro aveva la stoffa di un Tilly o un Wallenstein, e la situazione gli sfuggì di mano su tutti i fronti. La grave mancanza di rifornimenti costrinse Gallas a ritirarsi in Boemia alla fine del 1638. Allo stesso tempo, Bernardo di Sassonia-Weimar, protestante tedesco al servizio della Francia, conquistò i possedimenti asburgici in Alsazia e la roccaforte di Breisach dopo un lungo assedio. Per frenare l'avanzata del generale svedese Banér, che invase la Boemia attraverso la Sassonia nel 1639, Ferdinando dovette richiamare l'esercito di Piccolomini dai Paesi Bassi spagnoli, ponendo fine in gran parte alla cooperazione militare diretta con la Spagna. Nel 1640, l'imperatore perse definitivamente il controllo sulla Germania settentrionale.
Ma i guai per Ferdinando III non erano finiti.
L'alleanza tra Svezia e Francia si rivelò pienamente efficace dal 1642, quando gli svedesi vinsero la battaglia di Breitenfeld nel 1642. Un anno dopo, la Francia sconfisse definitivamente la Spagna a Rocroi.
La morte di Richelieu, non pose fine alla guerra, poiché il suo successore Mazzarino alzò al massimo il prezzo per la pace, trattando da una posizione di forza. I negoziati per un accordo di pace iniziarono nel 1644 a Münster e Osnabrück, in Westfalia, e durarono fino al 1648 mentre la guerra continuava.
L'imperatore dovette cedere alle pressioni di Francia e Svezia, accettando nuove regole procedurali che furono soltanto il primo assaggio di ciò che il Sacro Romano Impero stava per diventare e cioè una confederazione svuotata di potere, un insieme frantumato di innumerevoli stati diversissimi tra loro e con interessi spesso opposti, tenuti insieme soltanto da un unico principio: la fine delle guerre di religione.
Oltre a tutto questo, l'Impero subì numerose e consistenti perdite territoriali e non sono a favore della Svezia e della Francia. 
Riconobbe definitivamente l'indipendenza delle Province Unite dei Paesi Bassi, della Confederazione Svizzera, della Savoia, del Piemonte e della Toscana, perdendo ogni tipo di legame feudale con l'Italia.




Dal punto di vista giuridico, la Pace di Vestfalia è tradizionalmente considerata il punto di inizio del diritto internazionale e delle relazioni internazionali moderne, oltre che, in Europa, dello Stato sovrano sul proprio territorio, con confini sanciti dal reciproco riconoscimento di limiti certi e autorità indipendenti e sovrane, inizialmente caratterizzate dalla forma di governo della monarchia assoluta.
La natura sovra-statuale e sovranazionale dell'Impero perdeva importanza, così come la sua "sacralità", dal momento che ogni aspetto confessionale era stato accantonato in maniera definitiva.
Della dizione "Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca" rimanevano in piedi tre parole: Impero, Nazione e Tedesca. Ecco dunque che la Germania, la Nazione Tedesca nel suo complesso, si riconosceva come un Impero frantumato in mille pezzi che secondo alcuni dovevano rimanere autonomi, mentre secondo altri dovevano essere unificati in uno stato-nazione sul modello francese.
Tutto questo dibattito ebbe conseguenze enormi sulla Storia europea e non solo, e non si trattò sempre di conseguenze piacevoli.