Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 14 marzo 2019
Vite quasi parallele. Capitolo 140. La fragilità del Regno
Immortale è il nome di Camelot, eppure la sua gloria durò soltanto una generazione. Che ne fu del re Arturo? E della Tavola Rotonda, che n'è stato? Cosa è stato di tanta nobiltà? Le giostre ed i tornei, i cimieri e le armature: nient'altro fu che vento? Che cosa sono stati, se non erbe di campo?
Come in ogni leggenda, vale il detto "queste cose non avvennero mai, ma saranno ricordate per sempre".
"Gil-galad sugli Elfi solea regnare, quando i giorni eran giovani e belli. Ora tristi cantano i menestrelli, del suo regno perduto tra i monti e il mare".
Quanta nostalgia in quei versi di Tolkien sul regno perduto del leggendario Gil-galad, e quanto dolore per la sua scomparsa. Il ricordo è sempre così, per una sorta di legge universale.
La felicità passata non è più felicità, ma il dolore passato è ancora dolore.
Questa era una delle lezioni più dure che Riccardo Monterovere aveva appreso dalla vita, e lui aveva vissuto tutto senza sconti."He did it the hard way", avrebbe detto Bette Davis.
Tutta la sua vita era stata una specie di guerra di trincea, per difendere se stesso e la propria famiglia dalle avversità della sorte.
"Mancò la fortuna, non il valore" avrebbero chiosato i caduti di El Alamein.
"Era un uomo interminabilmente sopravvissuto a se stesso", avrebbero detto di lui, in seguito, alcuni conoscenti.
Tutto questo era indubitabilmente vero, ma c'era una parte di verità che ben pochi altri conoscevano, e si trattava dei postumi della sua Iniziazione agli Arcani Supremi.
L'incontro con Eclion aveva destabilizzato quel poco di equilibrio che ancora gli rimaneva.
Non c'era da meravigliarsi.
Conoscere di persona un nemico è un'esperienza sorprendente, specie quando ci si rende conto che non è poi così diverso da noi e desidera cose molto simili a quelle che noi desideriamo.
Ci si accorge che forse non c'era nemmeno motivo di entrare un guerra, che tutto il sacrificio compiuto non aveva una motivazione reale, si basava solo su un equivoco, e dunque, in fondo, su una casualità.
Eclion diceva di essere il Signore Oscuro, ma forse era soltanto il portavoce del vero Principe delle Tenebre, la cui identità rimaneva del tutto sconosciuta.
Riccardo non si sarebbe mai piegato a lui, ma non voleva nemmeno una guerra.
Parafrasando un antico proverbio cinese, lo scrittore slovacco Jozef Cíger-Hronský, formulò un celebre aforisma: "Meglio accendere una piccola fiamma, piuttosto che maledire l'oscurità".
A dire il vero le fonti cinesi parlano di una "candela", e così pure Eleanor Roosevelt
A Riccardo Monterovere piaceva di più la formulazione di Cíger-Hronský, perché la fiamma, o la fiaccola, aveva una connotazione più forte, più virile, più pagana nel senso più alto del termine.
La candela è fragile, la fiamma è forte, ma fa più paura.
In particolare se si trattava della Fiamma di Atar.
Però il Signore del Fuoco tardava a manifestarsi e Riccardo non era nemmeno in grado di dire se questo fosse un bene o un male.
L'oscurità non può scacciare l'oscurità, ma accendere il fuoco non è facile e può comportare dei rischi.
E poi le tenebre avevano comunque il loro fascino.
Nel buio si vedono meglio le stelle
La sua vita stava prendendo una piega strana. A volte gli sembrava di andare alla deriva, senza più alcun ormeggio, né alcuna bussola. Si sentiva sempre più diverso dagli altri, ma questo non lo spaventava.
Per essere insostituibili bisogna essere diversi
E intanto il tempo passava.
La primavera di quell'anno, giunta così in anticipo, era diventata quasi stucchevole nel suo odore dolciastro.
Ma nel suo cuore l'inverno non era mai passato.
"Ah la piagata primavera è pur festa se raggela in morte questa morte"
Giorno dopo giorno, l'opaca trafila delle cose, vana più che crudele, aveva imposto nuovamente i suoi ritmi.
Era finito anche il Tirocinio per l'insegnamento e il successivo inserimento nelle graduatorie permanenti dei provveditorati, da cui le scuole chiamavano i supplenti.
All'epoca Riccardo si illudeva di poter essere di qualche utilità a un mondo di adolescenti ormai fagocitati dagli smartphone e da Instagram, oppure sbandati nelle periferie dove lo Stato non esisteva più e forse non era mai esistito.
Era arrivata l'estate.
In quell'estate del 2013 era morto il suo ultimo prozio, Edoardo Monterovere, l'ultimo dei figli di Enrico e di Eleonora Bonaccorsi.
Ai funerali rivide lo zio Lorenzo e lo trovò molto invecchiato: era come se improvvisamente si fosse sentito tagliato fuori dalla "cabina di regia" dell'Ordine degli Iniziati.
Riccardo gli si avvicino con una certa cautela.
Lo zio gli sorrise, ma i suoi occhi erano tristi:
<<Ecco il "sole nascente" della famiglia Monterovere. E' una ruota che gira, e adesso è il tuo momento>>
Riccardo non ne era affatto convinto:
<<Il mio momento? Nessuno dell'Ordine si è fatto più vivo, nemmeno Joanna. A volte mi sembra che sia stato tutto un sogno>>
Lorenzo scosse il capo:
<<Non temere, presto si faranno vivi. A fine estate scade il termine entro cui devi scegliere a quale delle quattro confraternite giurare fedeltà>>
Il nipote sospirò:
<<Sono ancora così confuso. Ma sento il tempo che scorre e la mia età giovane andarsene via con lui, senza aver vissuto pienamente, né aver costruito qualcosa di forte, in grado di resistere alle tempeste della vita>>
Lo zio parve comprensivo:
<<Queste sono le conclusioni che si traggono alla fine di ogni estate.
Cosa c'è dietro all'estate, all'estate che finisce? La mia è finita da un pezzo e ora l'arpa della mia vita suona soltanto le note dell'afflizione.
Ognuno di noi ha il proprio inferno che lo aspetta, ed io ho molte colpe da espiare.
Incomincio a chiedermi persino se sia stato giusto coinvolgerti nel "grande disegno".
Ma avevo bisogno di qualcosa di superiore in cui credere, qualcosa che mi riscattasse dalla banalità quotidiana. Quando sarà il mio turno>> e fece cenno alla cappella che ospitava le salme dei Monterovere, conti di Querciagrossa, dove i necrofori stavano murando la bara del prozio Edoardo <<vorrei dare disposizione di scrivere sulla mia lapide: "Non fu soldato, non fu mai re, ma aveva un sogno dentro di sé". Ma forse è un po' troppo mielosa... meglio il silenzio del nudo marmo>>
Riccardo ascoltava queste parole, soppesandole nel suo cuore. Le ponderava, ma non se ne rallegrava, perché erano presagio di morte e di sventura.
<<Non sottovalutare ciò che hai fatto, zio. E non sottovalutare i sogni. In loro io sono riuscito a vedere molte cose: il passato, il futuro, la verità...
Me l'hai insegnato tu, o ti sei pentito anche di questo?>>
Lorenzo tardò a rispondere.
Il nipote osservò gli ultimi, lugubri atti della cerimonia.
Quel che rimaneva della sua famiglia, un tempo così numerosa e potente, ormai era per metà sepolto nelle due cripte (quella dei Monterovere a Querciagrossa e quella degli Orsini a Casemurate) e l'altra metà era in preda alla malattia e alla decadenza.
Il rito funebre paradossalmente attenuava il senso di angoscia. Questa del resto era sempre stata la funzione di ogni rito: creare un ordine fittizio per alleviare l'angoscia.
Il rito era tutto ciò che serviva, in certi momenti.
Come quelli che lo avevano legato a Joanna, dopo l'Iniziazione : "le candele romane, a san Giovanni, che sbiancavano lente l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii, forti come un battesimo nella lugubre attesa dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi, gli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire) e gli eliotropi nati dalle tue mani – tutto arso e succhiato da un polline che stride come il fuoco e ha punte di sinibbio"
<<Su che fragili basi abbiamo edificato il nostro Regno...>> disse infine lo zio.
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite turbinava intorno agli scialbi fanali delle tombe: l’estate declinante anticipava, sulla sera, il gelo notturno negli orti che dalle colline scendevano fino ai renai del Panaro.
<<Quale Regno?>> chiese Riccardo.
Lorenzo scosse scosse il capo:
<<Quello degli Iniziati, naturalmente. Ora mi rendo conto che avevi ragione e le tue obiezioni erano fondate. Presto tutti i nodi verranno al pettine e quello che tu avevi previsto si avvererà. Tempo due o tre anni e l'età "buonista" sarà al tramonto, per essere sostituita da un'età che qualcuno chiamerà "populista". Quando quel giorno arriverà, l'Ordine degli Iniziati darà inizio alla fase operativa del "grande disegno".
E per allora, tu dovrai farti trovare pronto per gli incarichi che ti saranno affidati>>
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