Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
mercoledì 1 febbraio 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 14. Ettore e Diana: il più catastrofico primo appuntamento della Storia.
Ettore Ricci si presentò a Villa Orsini, come convenuto, all'ora del tè.
Era vestito in modo eccessivamente elegante e vistoso, come spesso accade ai figli degli arricchiti.
Indossava un abito scuro gessato a tre pezzi, camicia bianca con gemelli, cravatta bianca a righe nere, fiore all'occhiello, sempre bianco, fazzoletto a pochette nel taschino, ancora bianco, orologio d'oro da con catenella legata al panciotto, enorme anello da mafioso al mignolo, cappello bianco con tesa rialzata sul di dietro e a punta sul davanti, scarpe laccate, ghette bianche.
Sembrava Al Capone.
Identico.
Aveva persino un enorme e pestilenziale sigaro acceso in bocca.
Oltre tutto la ricercatezza del vestire strideva con il carattere schietto e i modi ruvidi che contraddistinguevano i membri della famiglia Ricci.
Quando la signora Ida Braghiri, la governante, gli aprì la porta, lui subito tirò fuori qualche moneta e gliela infilò in tasca come se fosse una mancia per i camerieri al ristorante.
Appena fu ammesso nel Salotto Liberty, lo squadrò con lo sguardo dell'acquirente che valuta la convenienza del suo investimento.
I suoi occhi infuocati bramavano di possedere ogni cosa all'interno di quella stanza.
Quando il Conte Achille Orsini gli porse la mano bianca, dalle dita affusolate, Ettore Ricci la stritolò in una morsa d'acciaio.
Poi gli diede una pacca sulla spalla come se si trattasse di un compagno di bevute all'osteria e disse:
<<Come va, vecchio mio?>>
Senza attendere risposta si avvicinò alla Contessa Emilia e le baciò la mano premendo le labbra umide e colando saliva, per poi dichiarare:
<<Cara Contessa Emilia, ma lo sa che lei è proprio una bella donna? No, dico sul serio! Non li dimostra mica i suoi cinquant'anni!>>
Non attese risposta nemmeno questa volta.
Il suo sguardo si appuntò sull'oggetto del desiderio: Diana Orsini Balducci di Casemurate.
E qui si impappinò:
<<Ahhhh.... Contessina... io... io sono sbalordito... sì, sbalordito dalla vostra evenienza... no come si dice... la vostra... la vostra... oh Cristo santo... non mi viene la parola...>>
<<Avvenenza?>> suggerì Diana.
<<Sì, quella lì... mi ero preparato un così bel discorsetto, ma sapete com'è, l'emozione...>>
<<Non si preoccupi, signor Ricci, si accomodi pure>>
Ettore individuò una poltrona che faceva al caso suo e ci si sedette a peso morto, lasciandosi sfuggire un leggero peto.
Seguì un attimo di silenzio.
Gli Orsini non sapevano cosa dire, cosa fare, dove guardare...
Fortunatamente, a distrarre i presenti dall'imbarazzo, comparve la governante con la teiera.
Ettore Ricci si fece versare una tazza abbondante con latte e tre cucchiaini di zucchero, e poi si avventò sui pasticcini, tenendo comunque acceso il sigaro, e facendo cadere la cenere dappertutto.
Con la bocca piena, tornò a rivolgersi a Diana:
<<Stavo dicendo che siete bellissima. Proprio un bel bocconcino, sì... sì... del resto, come si suol dire, tale madre, tale figlia, eh? Dico bene? Dico giusto? Ah ah>> e strizzò l'occhio alla Contessa Emilia, che si era versata di nascosto un primo calice di Cabernet-Sauvignon.
Diana lo osservava come si farebbe con uno strano animale selvatico.
<<Signor Ricci, la vostra gentilezza mi lascia senza parole>>
Lui sorbì il tè in maniera rumorosa e poi, con la bocca impastata, bofonchiò:
<<Ah, non importa, mia cara, ci sono io che parlo per due, anche per tre! Per esempio, lo sa perché i miei mi hanno chiamato Ettore?>>
<<Perché era uno degli eroi dell'Iliade>>
<<No, noi non siamo parenti con l'Iride, è una Ricci povera che non conta un... insomma, niente... mi hanno chiamato Ettore come il mio povero zio che è morto sparato>>
<<Gli hanno sparato, e perché?>>
<<Ah, cosa vuole, è sempre così, una questione di gnocca... solo che era la gnocca sbagliata e i suoi fratelli lo hanno sparato>>
E addentò un altro pasticcino, sempre tenendo il sigaro acceso.
<<Forse sareste più comodo se appoggiaste il sigaro sul portacenere, mentre mangiate>>
Lui aggrottò le sopracciglia irsute e osservò il sigaro, a bocca aperta:
<<Oh, non preoccupatevi, mia bella Diana, io sono un presti... prestidi... un pres... oh, cacchio! Oggi non mi vengono le parole!>>
Diana non riuscì a trattenersi dal ridere:
<<Prestigiatore?>>
Lui si illuminò:
<<Proprio quello! Eh, si vede subito che noi due ci intendiamo alla perfezione!>>
Diana non riusciva a smettere di ridere.
Non ricordava di aver mai visto niente di più ridicolo in vita sua.
<<Perdonatemi se rido, signor Ricci, ma la vostra verve è davvero singolare>>
Anche lui incominciò a ridere, con la bocca piena di pasticcini, sputacchiando a destra e a manca.
<<Ah ah, con me ci si diverte! Sicuro come la merd... ehm, come l'oro, volevo dire.
Ma voi, signor Conte, perché fate quella faccia da funerale, siete pallido come un morto!
E voi, Signora Contessa, date da bere un po' di quel vinello a vostro marito! Perché come si dice a casa mia: "vinassa vinassa e fiaschi de vin"... dico bene?>>
La Contessa Emilia, il cui alcolismo era uno dei tabù più impronunciabili a Villa Orsini, si sentì come quando viene nominata la corda in casa dell'impiccato.
Diana non ricordava di aver mai riso tanto in vita sua:
<<E' un Cabernet-Sauvignon del 1862, un'ottima annata>>
<<Socc'mel! Però io preferisco la Cagnina>>
Ci fu un attimo di assoluto silenzio.
Poi Ettore ruttò.
Diana si piegò in due in dal ridere.
Lui si rese conto di aver esagerato, ma il rimedio fu peggiore del male:
<<Oh, oh, pardon! Cara mia, ma io dico che un vero uomo si deve comportare da uomo, eh!
Io non mi fiderei di quei damerini con la puzza sotto al naso. L'uomo deve avere la puzza sotto le ascelle, un onesto lavoratore, dico bene?>>
Diana colse l'occasione per lanciare una stilettata:
<<E voi che lavoro fate, signor Ricci?>>
Ettore rimase a bocca aperta per un po', tanto che i Conti Orsini temettero che avrebbe eruttato una seconda volta, ma non fu così.
<<Mah, grosso modo... gli affari di famiglia... non ho mica paura di sporcarmi le mani, sa?
Se c'è da ammazzare il porco, io non mi tiro mica indietro. Perché poi, non bisogna mica dar retta a quel che dice la gente. Ho fatto anch'io la mia gavetta, sa... da bambino, quando mio padre non era ancora ricco sfondo, io tutte le mattine andavo nella stalla a munger le vacche!
A spalare la mer... eh, volevo dire il letame. Perché poi il letame non puzza mica come la pollina... voglio dire, puzza di meno...>>
La governante scosse la testa e gli fece cenno di star zitto.
Lui cercò di darsi un contegno:
<<Chiedo scusa, a volte mi lascio trasportare dall'entusiasmo. Il fatto è che, di fronte a una bellezza come la contessina Diana, io perdo il controllo, porco Giuda! Lo capite anche voi, insomma, è una croce!>>
Diana non era sicura di aver capito:
<<Una?>>
Lui si fece serio e sbottò:
<<Una croce!>> Poi si commosse <<Sì, mia bella Diana, io da quando vi ho vista per la prima volta, sono diventato come un brodo di giuggiole.
Lo capite anche voi... vedete come sono ridotto, porco cane... non mangio più, non dormo più, non trombo più...
Io, io... Contessina, lasciate che vi esprima i miei sentimenti con una canzone... sapete, ho una certa dote di cantante, in osteria me lo riconoscono tutti... io vi faccio la mia dichiarazione con una canzonetta che ho sentito alla radio>> poi si portò la mano al cuore e intonò <<"Tuuuuuuuuu che m'hai preso il coooooooooor">>
E a quel punto partì il secondo rutto.
Diana incominciò a ridere in maniera quasi isterica.
La Contessa Emilia fissava il pavimento.
Il Conte Achille era immobile, una statua di sale.
La governante fece cenno a Ricci, toccandosi l'orologio.
Lui capì:
<<Oh, ma ridendo e scherzando si è fatto tardi>>
Nessuno replicò.
Lui si alzò, si stiracchiò, riprese in mano quel che restava del sigaro, si scrollò le briciole di dosso, fece un mezzo inchino
<<Be', ci vediamo domani alla solita ora! E buonanotte ai suonatori!>>
Con questa frase memorabile lasciò il Salotto Liberty.
Prima di uscire, tirò fuori alcune monete d'argento e le infilò nella tasca della governante, insistendo, con aria da benefattore.
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