Nel momento dell'addio, Galadriel offre ai membri della Compagnia alcuni importanti doni: ad Aragorn ella dona una spilla d'argento a forma di aquila che incastona una grande pietra verde, dono per le future nozze con Arwen (di cui lei è la nonna);
a Legolas un arco di Lórien;
a Gimli, che (ormai perdutamente innamorato di lei) osa chiederle un solo e semplice capello, ella concede graziosamente quanto richiestole (l'enorme valore simbolico di ciò si rivela tenendo presente che Galadriel concede volentieri questo dono a Gimli, un Nano, mentre lo rifiutò più volte, molte ere prima, a Fëanor in persona);
a Boromir, Meriadoc Brandibuck e Peregrino Tuc dona delle preziose cinture; a Samvise Gamgee una scatolina con polvere di Lórien, per concimare al suo ritorno a casa la terra della Contea, ed una corda elfica;
E infine, a Frodo, una fiala d'acqua dello specchio, nel cui interno è stata catturata la luce della stella di Eärendil, la Stella del Vespro: essa dovrà servire al Portatore dell'Anello per le ore più buie del suo viaggio.
"Ti dono la luce di Earendil, la nostra stella più amata. Possa essere per te una luce in luoghi oscuri, quando ogni altra luce si spegne".
Giunge poi il momento dell'Addio. Nell'Alto Elfico, il quenya, "addio" si dice Namarie.
Il Namárië (in quenya "Addio") altrimenti conosciuto come Lamento di Galadriel è un poema in versi composto dallo scrittore e filologo J. R. R. Tolkien nella sua lingua artificiale quenya. Composto inizialmente nel 1931 è stato poi rimodellato dall'autore in occasione dell'uscita della sua opera più importante Il Signore degli Anelli.
Questa è la versione "ufficiale" e più conosciuta dell'opera. Contenuta all'interno del VIII capitolo, del secondo libro de La Compagnia dell'Anello è probabilmente il testo più famoso e studiato tra i vari testi redatti in quenya. Ne Il signore degli Anelli si ritrova la forma errata "Namarië"
(ART) « Ai! laurië lantar lassi súrinen, yéni únótimë ve rámar aldaron! Yéni ve lintë yuldar avánier mi oromardi lissë-miruvóreva Andúnë pella, Vardo tellumar nu luini yassen tintilar i eleni ómaryo airetári-lírinen. Sí man i yulma nin enquantuva? An sí Tintallë Varda Oiolossëo ve fanyar máryat Elentári ortanë ar ilyë tier undulávë lumbulë ar sindanóriello caita mornië i falmalinnar imbë met, ar hísië untúpa Calaciryo míri oialë. Sí vanwa ná, Rómello vanwa, Valimar! Namárië! Nai hiruvalyë Valimar! Nai elyë hiruva! Namárië! » | (IT) « Ah! come oro cadono le foglie al vento, lunghi anni innumerevoli come le ali degli alberi! I lunghi anni sono passati come rapidi sorsi del dolce idromele in alti saloni oltre l'Occidente, sotto le azzurre volte di Varda ove le stelle tremolano alla voce del suo canto, voce sacra di regina. Chi riempirà ora per me la coppa? Per ora la Vampa, Varda, la Regina delle stelle, dal Monte Semprebianco levò le mani come nuvole ed ogni sentiero è immerso nella profonda oscurità; e fuori dalla grigia campagna l'ombra si distende sulle onde spumeggianti poste fra di noi, e la bruma ricopre i gioielli di Calacirya per sempre. Ed ora persa, persa per chi è in Oriente è Valimar! Addio! Forse un giorno troverai Valimar! Anche tu forse un giorno la troverai! Addio! » |
(J.R.R. Tolkien, La Compagnia dell'Anello, libro II, cap. VIII, pp. 467-468) |
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