domenica 28 novembre 2021

Vite quasi parallele. Capitolo 170. Robbie "il Chimico"





Uno dei tanti soprannomi che fu affibbiato a Roberto Monterovere durante l'arco della sua lunga e tribolata "carriera universitaria" fu quello di Robbie il Chimico, con riferimento ironico e antifrastico al famigerato Alì Hassan Abd al-Majid (Tikrit, 1941 – Baghdad, 2010), cugino di Saddam Hussein e suo braccio destro, in qualità di generale e ministro, soprannominato Alì il Chimico per l'utilizzo di gas cianidrico in un'operazione di "pulizia etnica" contro i Curdi nel nord dell'Iraq, e pertanto, dopo la caduta del regime, accusato di genocidio e crimini contro l'umanità, condannato a morte e giustiziato. 
Nulla di più lontano, ovviamente, dal pacifico e inoffensivo Roberto, che si fa scrupoli morali persino quando, per legittima difesa, si trova costretto a eliminare qualche zanzara troppo molesta.
Eppure un legame c'era, e riguardava la chimica, anche se nel suo caso si trattava di quella farmaceutica.

Per essere del tutto onesti con i lettoricome ci siamo proposti di fare fin dall'inizio, in qualità di testimoni trasparenti e cronisti fedeli, dobbiamo chiarire subito una cosa e cioè che esisteva nei Monterovere una predisposizione verso l'abuso di tutto ciò che la farmacia potesse offrire per attenuare qualsiasi tipo di dolore fisico o psichico.
Torneremo su questo discorso, ma solo dopo aver raccontato quale fu il primo degli eventi che favorì il passaggio di tale predisposizione da un livello ancora moderato ad uno molto più massiccio.

Prima che iniziasse il secondo semestre, Roberto fu convocato dal suo "tutor", Gabriele il Brianzolo, il quale gli disse, chiaro e tondo, come stavano le cose:
<<Allora, stai attraversando una fase difficile, ma molto comune, la crisi del primo anno, o del primo semestre, chiamala come vuoi, ma io credo che più o meno tutti ci passiamo...>>
Roberto lo interruppe subito:
<<Anche tu? Non ne sapevo nulla>>
Gabriele lo guardò con aria circospetta:
<<Senti, Robbie, tu sei un tipo strano e me piacciono i tipi strani, tutti i miei amici lo sono, per cui voglio rivelarti il mio segreto, quello che mi permette di avere voti alti senza dover rinunciare alla mia vita mondana. Tu però non devi dirlo a nessuno, nemmeno ad Aurora. 
Lo sanno solo Gianni, Giorgio e Gianluca: tu sei il primo a saperlo il cui nome non inizia con la G>>
Roberto sorrise:
<<Ah, ecco... e il tipo strano sarei io! Comunque, non rivelerei mai il segreto di un Prefetto della Confraternita del Quinto Piano! Me lo porterò nella tomba, parola di Monterovere!>>
Gabriele fece un gesto vago, come a dire che dalle sue parti era un giuramento di poco conto, poi incominciò a raccontare:
<<Io fin dai primi giorni di lezione non riuscivo né a stare attento, né a concentrarmi, né a memorizzare niente, per un motivo ben preciso: in ogni aula, per ogni corso, avevo già individuato almeno una decina di "donne della mia vita" e disperdevo le mie energie corteggiando, in maniera galante, s'intende, alcune di queste fanciulle in fiore.
Però, dopo un mese di cazzeggio puro, mi sono reso conto che se continuavo così, non passavo neanche un esame, ed ho incominciato a studiare, ma la mia testa era sempre da un'altra parte.
A un certo punto, dopo aver provato inutilmente vari tipi di strategie, ho deciso di rivolgermi a un luminare della scienza, un insigne neurologo, esperto in "patologie connesse allo stress da prestazione", l'illustre dottor professor B.F. che dirige un ambulatorio privato, qui a Milano, dove lavorano i suoi migliori discepoli. Me lo hanno consigliato in tanti, tutte persone di prestigio, ma molto diverse tra loro: alcuni volevano ottenere migliori prestazioni lavorative, altri avevano alcuni problemi di performance a livello sessuale e altri ancora volevano dimagrire senza troppa fatica e senza troppi sacrifici. E il professore ha trovato la combinazione di farmaci più adatta per ognuno di loro e fa miracoli! L'unico problema è il prezzo delle visite, ma sono soldi spesi bene, credimi!>>

Roberto era scettico, specie quando si parlava di miracoli, ma non era ancora abbastanza saggio da sapere che nella vita non ci sono scorciatoie: chi abbandona la retta via prima o poi ne subisce le conseguenze.
Eppure in quel momento l'allora giovane Monterovere aveva proprio bisogno di un miracolo per tenere in piedi quel castello di carte che era la sua vita, dal momento che aveva deciso di non mollare la Bocconi, perché, se l'avesse fatto, questa volta Aurora non l'avrebbe seguito.
E poi lui stesso, per il proprio maledetto orgoglio, ci teneva a migliorare i risultati degli esami e anche a mantenere la linea e a contrastare il fisiologico calo di desiderio che le coppie devono affrontare quando i loro rapporti intimi, anche quelli del tipo "famolo strano" (come diceva Carlo Verdone a Claudia Gerini in "Viaggi di nozze") assumono i monotoni tratti della routine.
Per tali ragioni volle approfondire il discorso:
<<E che farmaci ti ha consigliato?>>

Gabriele, abbassando la voce anche se non c'era nessuno nei paraggi, rispose:
<<Mi ha prescritto una terapia dove il farmaco principale è il Deadyn, nome commerciale della pemolina, una medicina prodigiosa: è un tonico stimolante che migliora l'attenzione, la concentrazione e la memoria, riduce il senso di affaticamento, tiene a bada l'appetito e ha anche effetti afrodisiaci.
E non ho avuto nessun danno collaterale! Le analisi vanno benissimo.
Insomma Robbie, col Deadyn prendi quattro piccioni con una fava: concentrazione, energia, snellezza e te lo fa pure rizzare!>>
Roberto rise. 
Presentato così, sembrava la panacea di tutti i mali e anche Aurora ne avrebbe tratto beneficio, indirettamente, ma affidarsi a un medico soltanto "per sentito dire" non era una decisione facile.

Va ricordato che questa conversazione avvenne nel febbraio del 1995 e all'epoca non si poteva andare su Google alla ricerca di pareri o su Wikipedia per farsi almeno una vaga idea sull'argomento.
All'epoca ci si doveva fidare esclusivamente dei medici e della loro reputazione.
Sotto certi aspetti era meglio di adesso: fenomeni di isteria collettiva come i movimenti no vax non erano immaginabili.
Sotto altri aspetti, però, si poteva incappare in medici un po' troppo disinvolti nel prescrivere farmaci controversi, come appunto il Deadyn, uno psicostimolante che, ad alte dosi, poteva avere l'effetto dell'amfetamina.
Ma quest'ultimo dettaglio non era scritto nel foglietto illustrativo e all'epoca ben pochi lo sapevano.

Roberto poi era più un soggetto "da antidolorifici e da ansiolitici" che da psicostimolanti, e questo
avrebbe dovuto saperlo già allora.
L'attrazione per gli antidolorifici si era manifestata in Roberto precocemente come cura sintomatica della cefalea tensiva cronica di cui aveva sempre sofferto fin da bambino, e che era stata tenuta a bada con moderati dosaggi di aspirina, ossia acido acetilsalicilicoibuprofene e/o paracetamoloaccompagnati da un gastroprottettore e da un epatoprotettore a base di silimarina ed acetilcisteina.

In seguito, a causa di un ascesso a un molare, il tormentato Roberto aveva conosciuto un altro farmaco antidolorifico non steroideo (da cui l'acronimo "FANS"), l'Aulin, potente antinfiammatorio a base di nimesulide, efficacissimo in particolare contro il mal di denti, ma molto discusso riguardo ai suoi effetti collaterali, specie per quel che riguarda il fegato. 
E'  attualmente prescrivibile tramite ricetta medica non ripetibile e trattenuta dal farmacista con aria sdegnata ed evidente disapprovazione, quella riservata ai tossicodipendenti senza speranza che si ostinano a farsi prescrivere, da medici compiacenti, farmaci che entrano ed escono dal prontuario come l'immaginario Tedax, che, nel film "Il divo" di Paolo Sorrentino, sembra essere uno dei pochi in grado di curare efficacemente l'eterna emicrania del sette volte Presidente del Consiglio, onorevole senatore Giulio Andreotti. (In realtà il termine Tedax è l'acronimo di Técnico Especialista en Desactivación de Artefactos Explosivos. L'ironia di Sorrentino, al riguardo, fu pari alla faziosità della sua ricostruzione sul metodo con cui il Divo avrebbe disinnescato molte metaforiche bombe pronte ad esplodere).

Il passo successivo, quando la sua cefalea si fece più acuta e lancinante, fu il passaggio al Tachidol, che conteneva, seppure in dosi molto basse, un analgesico oppioide e cioè la codeina.
A quel punto gli sguardi sdegnati del farmacista divennero ancora più evidenti, ma i genitori di Roberto, che soffrivano entrambi di cefalea tensiva e dolori reumatici, consideravano il Tachidol come acqua fresca, rispetto a ciò che prendevano loro (tipo ossicodone, fentanil e tramadolo).

Come se non bastasse, il nonno di Roberto, Romano Monterovere (1910-2005), non faceva mistero di essere dipendente dalla codeina, prescrittagli all'inizio per la solita cefalea tensiva cronica e i soliti dolori reumatici, ma che servì soprattutto per lenire il dolore della morte prematura di sua moglie, nel 1976. Da allora l'abuso di codeina da parte di Romano divenne sempre più massiccio, il che non gli impedì di arrivare a 95 anni.

Quest'ultimo dato va tenuto presente e sommato ad altri che abbiamo già fornito per capire un concetto che altrimenti risulterebbe inconcepibile: in tutta la famiglia si era creata l'ingenua ed erronea convinzione che gli analgesici oppioidi non fossero medicinali pericolosi.

Fa quasi ridere il pensiero di come una famiglia di intellettuali come i Monterovere-Orsini fosse, di fatto, una famiglia di oppiomani a propria insaputa.
La loro "fortuna", se così si può chiamare, fu di avere almeno un fegato molto robusto.
Lo stesso Roberto spiegava così la propria sopravvivenza a ogni tipo di abuso farmacologico:
<<Se non avessi avuto il fegato e i reni di mio nonno Romano, da un lato, e della mia bisnonna Emilia, dall'altro, sarei morto più di vent'anni fa>>
Ma non dimentichiamo che quel fegato e quei reni li aveva ereditati insieme alla predisposizione per le dipendenze.

Tutto questo per dire, con la massima trasparenza, che Roberto era già mezzo impasticcato anche prima degli eventi del periodo milanese: Milano gli offrì semplicemente l'occasione e i mezzi per approfondire le sue conoscenze e le sue esperienze in altri settori della farmacologia, e cioè, come vedremo, gli psicostimolanti e le benzodiazepine, che in aggiunta alla codeina del Tachidol, costituirono un cocktail micidiale, letale, che avrebbe fatto rimanere secco un bue, anzi un elefante!

Su Roberto invece ebbero, nel periodo tra il 1995 e il 1999, un effetto energizzante e nel contempo rasserenante che gli permise, come Gabriele gli aveva promesso, di dare gli esami con voti alti lasciandogli pure il tempo per dedicarsi ai suoi folli e rocamboleschi sopralluoghi nei quartieri più degradati e pericolosi dell'hinterland milanese per verificare di persona le condizioni degli snodi centrali del sistema idrografico meneghino, fingendosi uno studente del Politecnico in procinto di preparare la propria tesi di laurea sull'evoluzione artificiale del fiume Olona.

L'ultimo dei Monterovere, che al Liceo Scientifico adorava la Chimica e la Biologia, oltre che la Geografia e la Geologia, si ritrovò quindi a sperimentare in maniera quasi, seppur involontariamente, suicida, le sue conoscenze teoriche. E in seguito, pur atteggiandosi a vir integer scelerisque purus nel rifiutare totalmente il fumo (sia di tabacco che di cannabis) e nel limitare al minimo l'alcol, sviluppò col tempo una venerazione nei confronti delle benzodiazepine, i farmaci più diffusi per contrastare l'ansia e l'insonnia.

Apprezzava in particolare quelle in gocce, che degustava come se fossero vini pregiati, o liquori di prima qualità.
Le sue preferite erano il Clonazepam, potente ansiolitico miorilassante e rasserenante dal nome commerciale di Rivotril e dall'aroma di vodka alla pesca, e il Lorazepam, l'ipnotico "sacro" per antonomasia, dal nome commerciale di Tavor, e dal retrogusto di violetta, come il migliore Sangiovese di Romagna. 
Si potrebbe giustamente obiettare che sarebbe meglio allora, bersi direttamente il liquore o il vino, piuttosto che il bicchierino di Clonazepam o Lorazepam, ma la realtà è un po' più complessa.
Diciamo che non è assolutamente la stessa cosa per migliaia di ragioni chimiche e cliniche di cui è prematuro parlare, ma ci arriveremo gradualmente, così come ci arrivò lui, ma senza seguirne il cattivo esempio, sia ben chiaro!















Finì per attribuire ai suoi farmaci preferiti persino un valore estetico, considerandoli una forma d'arte a se stante. Si compiaceva persino dell'aspetto cromatico e geometrico delle compresse e delle capsule di alcuni farmaci, che giudicava, anch'essi, una manifestazione artistica ingiustamente trascurata dai critici.

Ma anche la forma e il design delle confezioni e dei loghi delle varie case farmaceutiche esercitava su di lui un certo fascino. 
Se fosse dipeso da lui, avrebbe scelto, per se stesso, un soprannome molto più consono di Robbie il Chimico, e decisamente più nobilitante, e cioè il Des Esseintes della farmacologia.
Tutto ciò può sembrare quantomeno bizzarro, e fu sicuramente sbagliato e anche folle, ma crediamo che persino Huysmans, l'Arbiter Elegantiae dell'estetismo letterario decadente, avrebbe dedicato più di un capitolo alle benzodiazepine.

Rassicuriamo i lettori dicendo che il nostro Monterovere è guarito da molto tempo da ogni forma di dipendenza.
Però ha conservato la fama di esperto in materia di farmaci come i suoi antenati patrilineari lo erano in fatto di pozioni, e si considera una specie di alchimista, prima ancora di essere, per esperienza personale e per contributo diretto alla ricerca scientifica e farmacologica in corpore vili, una delle cavie più esperte sulla faccia della Terra.

E a Forlì lo sanno tutti: si potrebbe persino affermare, con ironia iperbolica e non priva di paradossi, che Roberto sia considerato il Garattini della Romagna Centrale.
Qualcuno si ricorda ancora dei tempi in cui Silvio Garattini era presidente e megadirettore galattico della potentissima Commissione Unica del Farmaco? Ma che ne sanno i Duemila di queste cose... si atteggiano a gangster del Bronx, ma non hanno idea di come fosse Rozzano sul Naviglio nel 1995.

Roberto se lo ricorda bene, perché sotto gli effetti del Deadyn si ritrovò a verificare sul posto se realmente il Lambro Meridionale fosse la prosecuzione dell'Olona Superiore, dopo il suo diramarsi dal Naviglio Pavese, fino al ponte del Parco delle Rogge, per poi cercare di tornare indietro a piedi, fino al capolinea degli autobus in una località denominata Ronchetto delle Rane.

E non stiamo scherzando, e nemmeno inventando: queste cose sono accadute davvero e racconteremo quelle avventure, perché la vita è fatta anche di queste cose, e se per qualche miracolo si sopravvive, si impara molto sul mondo reale e sul fatto che, messi alle strette, scopriamo di avere più abilità di quante potevamo immaginare, e di sapercela cavare anche in situazione estreme. 
Roberto scoprì persino, in mezzo a quelle lande dimenticate da Dio, di amare la vita, di non volerla perdere e di essere pronto ad aggrapparsi a ogni radice pur di non precipitare nella voragine che si stava creando sotto di lui.

Tutto questo, a un certo punto, si venne a sapere, a Forlì, perché i Monterovere, nella loro ingenuità, non ne fecero mistero. Certo, fu l'ennesimo scandalo, ma ormai uno più o uno meno non faceva poi tanta differenza: i Monterovere-Orsini erano, nel loro piccolo, microscopico mondo, qualcosa di simile alla Royal Family, dalla quale tutti si aspettavano, con trepidazione, nuovi scandali su cui poter spettegolare, per riuscire a sopportare meglio la noia forlivese.

Paradossalmente, la considerazione dei nemici di Roberto, nei suoi confronti, crebbe, come se dietro al topo di biblioteca si fosse sempre celato un Indiana Jones che attendeva solo, per liberarsi, un allentamento dei freni inibitori dovuto al fatale abbinamento di farmaci che, come vedremo, il dottor professor cavalier B.F. gli prescrisse in quegli anni.

E adesso se a Forlì qualcuno ha bisogno di un parere veramente serio e completo su determinate categorie di farmaci, non lo va a chiedere al farmacista e men che meno al medico di base o a quello di guardia, no, lo va a chiedere a Roberto Monterovere. A proprio rischio e pericolo!

Dobbiamo ammettere però che la sua conoscenza farmacologica è molto precisa, perché quando si parla di determinati medicinali, ogni minimo dettaglio può fare la differenza tra la vita e la morte, per non parlare poi degli additivi, che costituiscono la differenza tra il farmaco di marca e quello generico.
Non è una leggenda metropolitana: i farmaci generici utilizzano come principio attivo la stessa molecola del farmaco brevettato, ma possono avvalersi, entro centri limiti, di additivi diversi, che in casi rari, ma da non sottovalutare, possono creare reazioni allergiche nei soggetti predisposti.
Alcune "malattie inspiegabili" sono reazioni allergiche non riconosciute da medici inesperti, impreparati o semplicemente troppo sbrigativi.
Certe cose, del resto, si imparano davvero soltanto se le si è sperimentate sulla propria pelle, come è accaduto al nostro "eroe", un Bilbo Baggins catapultato fuori dalla sua tana, in mezzo ai pericoli.

E questo capitolo è solo una premessa di carattere generale: nel prossimo racconteremo invece, nel dettaglio, come fu la prima visita di Roberto presso l'ambulatorio del Luminare della Scienza, il dottor professor cavalier B.F. e degli effetti della sua "terapia".



Matthew, 25 years, bank clerk

You may interested in an experience I had two weeks ago.

I was driving home from a business meeting with 2 collegues, in the main office of the bank where we work, which is located in a city 3 hours away from the one where I live.

The meeting ended at 6 pm and then we we stopped at a bar to eat and drink something. We ordered a pizza and while my colleagues accompanied it with a beer, I, who had to drive, took a one-liter bottle of coke, and since I was still thirsty at the end of dinner, I took another bottle.

The meal ended at 7, and, without thinking about the trip home, my colleagues didn't go to the bathroom to piss (we had already done that before leaving the meeting).

 

I was kinda feeling a slight sensation of needing to pee, but I wanted to act cool in front of my colleagues, who were known to have steel bladders, as mine was also known, I thought: “Naah, I probably don’t actually have to pee” and we all headed to my new luxury car


At 9.30 I drop off Marc, who had to spend the weekend with relatives in those areas.

It was at that moment when I had to admit to myself that I definitely had to pee. I was hoping Jeff would stop and take a piss somewhere after all the beer he'd had, but he didn't say anything, so we left.

Besides, I am used to walking around or taking long car journeys with a full bladder lots of time, so I decided to ignore my need to piss and I give it a second thought.


 




 130 minutes later, at 11 pm I arrived at the hotel where Jeff was expected by a long-time friend of his. I was hoping Jeff would come up right away so I could look for a bathroom, because by then I had to pee like a racehorse, but he remained there smoking at the door, waiting for his friend. I then asked him: "But with all the beer you drank, will you even had to take a piss like Niagara Falls?". He laughed and said that he was actually exploding, but he could hold on much longer anyway.

At that point, to put on airs and seem cooler than him, I said that I was bursting at the seams too, but I could just as well keep it until I got home.

 

 And for this reason I resumed the journey, driving my luxury car, determined to win that challenge with Jeff and above all myself.

While driving, I was thinking that I’ve had been bursting for a pee thousand times in my life and it didn’t stop me from finishing what I was doing.

To give me confidence and strength, I thought that after all there was less than two hours left to get home and there wasn't much traffic.

 

 As I’m driving home, I can’t believe how quickly the pressure in my bladder was increasing.

At 12pm I’m starting to freak, I still have one hour to go and I was already barely able to contain myself.

 




I was seriously about to scream, but I was so so so determined to make it, to hold it home. I was squeezing my cock more and more frequently now.

 

The last hour I was desperate and about to piss myself, in my expensive suit pants, in my luxury new car, at 25 y.o. I’m squeezing my cock constantly, and I loosened the huge knot in my tie. I was terrified of peeing my pants, but at the same time I felt accomplished I waited so long: holding that piss for near eight hours, after all drinking.


I finally arrived in my town and quickly drove to my neighborhood. I was driving straight down the street home, but I had to stop at a traffic light. My bladder was about to explode and with terror I started to leak piss in my boxers. I went through the traffic lights, parked, got out, I could barely walk and And just at that moment I see my girlfriend, who lives with me, come out of the house and was waiting for me anxiously.

 

She came towards me and hugged me and started kissing me passionately

I was at my limit so I said to her: "Please love, let me go to the bathroom to pee first, I've been holding it for eight hours and I can't take it anymore. I've never had to pee so much in my life"

 

She said: "Bad boy! Every time you wait until the last moment when you just can't take it anymore! I want to see if you can do it this time" and started tickling me.

That's was the the drop that broke the camel's back.

I didn’t quite make it. There was a sudden warm feeling in my crotch, and pee pouled in my brief around my balls, before streaming down the legs of my suit pants.

 

And so, at the age of 25, in front of my house and my girlfriend I began to literally piss on myself, wetting the expensive trousers of my most elegant suit.

I tried to stop pissing, but the pleasure of relieve my aching bladder was so freaking intense and overhelming that I couldn't regain control.

 



And my fiancée said, "There he is, the great promise of the world of finance, the career businessman who controls everything, but can't control his bladder and sits there in a pool of his own piss"

I asked her why she wanted to humiliate me like that and she told me it was because of all the times I made fun of her because she had to pee every five minutes. But then she also said that this excited her and to tell the truth it excited me too. Maybe that was why I had always tried to hold my pee for so long, until the last moment, when I reached the leaking point. She said that one of the reasons why she had chosen me was precisely this characteristic and that she had been dreaming of this moment for a long time. She was so excited that we finally had to go into the house and made love on the floor, while I was still dressed and wet.





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