Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 24 settembre 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 86. La fine dell'innocenza
L'estate del 1984 fu l'ultima pienamente felice nella vita di Roberto Monterovere e della sua famiglia.
Roberto aveva nove anni e fino ad allora le stranezze del suo carattere non avevano intaccato il suo buon umore.
A dominare su tutto c'era un'esigenza di libertà quasi selvaggia, tipica di chi è cresciuto in campagna, a diretto contatto con la natura, come una specie di ragazzo della jungla o di Tarzan, che preferiva la compagnia degli animali a quella degli esseri umani (eccettuati i familiari e pochi amici accuratamente selezionati, tra cui quella gatta morta di Vittorio Braghiri e alcuni compagni di classe).
Se fosse dipeso da lui, Roberto sarebbe vissuto tutto l'anno con i nonni materni a Villa Orsini, in campagna, nella Contea di Casemurate.
La sua residenza cittadina di Forlì non aveva ancora assunto il ruolo centrale di "casa" nel senso pieno del termine (la "home" inglese, per intenderci) e la villetta al mare di Cervia era stata fin dall'inizio un luogo ambivalente, teatro di esperienze mai del tutto positive, come avremo modo di vedere in seguito.
Casemurate era dunque il luogo dei piaceri e dei divertimenti, mentre Forlì era il luogo dei doveri e delle costrizioni.
In termini psicoanalitici si sarebbe potuto dire che Casemurate rappresentava il Principio del Piacere, mentre Forlì era la sede del Principio di Realtà, e dunque anche delle responsabilità sociali.
Questo, tuttavia, dipendeva solo in minima parte dal fatto che la scuola frequentata da Roberto si trovasse a Forlì, perché con i compagni di classe delle elementari andava d'accordo e negli studi andava bene, per quanto l'impegno diventasse sempre maggiore e richiedesse i primi sacrifici.
Le costrizioni maggiori non riguardavano lo studio, ma le attività sportive che i genitori gli avevano imposto in buona fede, secondo il principio mens sana in corpore sano.
Tali sport erano l'atletica e il nuoto. Entrambe erano per lui una gran seccatura, me mentre il nuoto, tutto sommato, gli piaceva, l'atletica, specie nei suoi aspetti agonistici, come la staffetta, era da lui vissuta in maniera ansiosa e stressante.
Allo stesso modo provava ansia da prestazione nei giochi infantili dell'epoca, tipo rubabandiera, che invece piaceva tanto ai suoi coetanei.
Ma la vera catastrofe, quella che avrebbe avuto conseguenze devastanti nella sua vita, era la sua negazione totale per gli sport di squadra, specie quelli che ruotavano intorno al pallone.
Nella prima infanzia si era limitato a provare disinteresse per quell'attività che gli pareva piuttosto stupida.
Col passare del tempo, quando fu costretto a mettersi in gioco dalle circostanze, si rese conto di essere fisicamente deficitario per quel tipo di sport, a causa di una mancanza di coordinamento motorio ereditata dai geni dei Monterovere.
Quella presa di coscienza fu indubbiamente una ferita narcisistica, resa ancor più dolorosa dal malcelato atteggiamento di sufficienza che Vittorio Braghiri mostrava al riguardo nei suoi confronti, ma all'epoca Roberto non si era ancora reso conto di quanto quell'handicap avrebbe pesato negli anni futuri.
In fondo, a quei tempi, bastava tornare a Villa Orsini di Casemurate per dissipare ogni preoccupazione.
Quello era il suo paradiso e lì era pienamente felice.
Non si accorgeva delle crepe che stavano lentamente, ma inesorabilmente indebolendo quel "piccolo mondo antico".
Il nonno Ettore appariva preoccupato da molte questioni di cui parlava in gran segreto soltanto con i soci che insieme a lui controllavano il Feudo Orsini.
Persino il Salotto Liberty si era fatto più cupo.
La bisnonna Emilia, dietro raccomandazione dei medici, aveva gradualmente smesso di bere i suoi adorati vini, ma questo aveva depresso il suo umore e annientato la sua volontà di vivere.
La nonna Diana, oltre che essere preoccupata per la madre e il marito, era ormai ai ferri corti con la governante Ida Braghiri, e questo gelo tra la Contessa e l' "Arzdora" aveva raffreddato ulteriormente il clima del Salotto e non solo di quello.
Roberto aveva cercato di non dare troppo peso a questi segnali di crisi, ma un giorno, durante una passeggiata sulle rive del Bevano, Diana aveva deciso di rendere partecipe il nipote di alcune questioni che non potevano essere più taciute.
Avevano superato il filare dei gelsi e si erano seduti nel boschetto di querce sorto intorno ad un'antica torretta di guardia degli Orsini, un rudere che la Contessa di Casemurate aveva sempre considerato come un luogo di pace, profonda intimità, adatto alla meditazione, ma anche alle confidenze.
<<Roberto, tu stai crescendo, e credo sia giunto il momento di dirti alcune cose.
Vedi, la nostra famiglia ha una lunga storia, non sempre piacevole.
Tu hai visto finora soltanto il lato buono di questa storia, come era giusto che fosse, ma sarebbe sbagliato far finta che non esista anche un lato, come dire, meno buono>>
Il nipote si ricordava le parole di Ettore riguardo alla famiglia Braghiri e quindi capì subito l'argomento di quella conversazione:
<<Il nonno mi ha detto che Michele Braghiri ha fatto delle cose cattive contro la nostra famiglia e che devo stare in guardia dalla sua famiglia, compreso il mio amico Vittorio>>
Diana sospirò:
<<Be', vedi, la situazione è un po' più complessa.
Quello che intendo dire è che non ci sono innocenti in questa casa e in questo clan composto da tante famiglie legate tra loro da vincoli non sempre basati sull'onestà.
Certo, Michele Braghiri ha fatto cose orribili, molto peggiori di tutti gli altri, ma ha potuto farle perché nessuno di noi aveva il coraggio di denunciarlo. E questo perché ognuno di noi aveva qualcosa da nascondere. Non potevamo permetterci uno scandalo, non dopo tutti i sacrifici che avevamo fatto per salvare il Feudo Orsini dalla bancarotta.
Ora Michele è morto, e in circostanze disonorevoli, che hanno reso ancora più vendicativa la sua vedova. La nostra Governante, che ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo a Villa Orsini, ora è più potente che mai, e questo perché da qualche parte ha un archivio in cui conserva documenti che potrebbero causarci dei problemi>>
Roberto aveva sempre rifiutato di credere alle malelingue che sputavano veleni di ogni genere contro il clan Ricci-Orsini, ma ora si rendeva conto che dietro a quelle insinuazioni c'era qualche verità:
<<La signora Ida sta ricattando il nonno?>>
Diana sorrise, ma i suoi occhi erano tristi:
<<Magari lo stesse solo ricattando. No, lei vuole rovinarlo. E' istigata da Massimo, lo sappiamo tutti. Fintanto che Michele era vivo, la famiglia Braghiri si era limitata al ricatto, ma adesso che sono ricchi non hanno più bisogno di ricattarci. Non so esattamente cos'abbiano in mano, ma credo che si tratti di documenti riguardanti la gestione economica del Feudo Orsini e delle altre proprietà di Ettore. Ogni singolo atto è stato firmato sia da Michele Braghiri che da Ettore Ricci, ma adesso che Michele è morto, e la sua reputazione già screditata, a rischiare è soltanto tuo nonno. Io non credo che lui fosse del tutto consapevole di cosa stava firmando. Si è fidato troppo di Michele, allo stesso modo in cui tu ti fidi troppo di Vittorio>>
Fino a quel momento Diana non aveva mai preso apertamente posizione contro Vittorio, e questo fu particolarmente doloroso per Roberto:
<<Anche tu ti metti contro l'amicizia tra me e Vittorio!>>
Diana era molto dispiaciuta:
<<A lungo ho osservato quel ragazzo. E' ambiguo, come lo era suo nonno e ha un'immensa adorazione per suo padre Massimo, il quale non ha mai fatto mistero del rancore che nutre nei confronti di tutti noi. Io non so quando scoppierà apertamente la guerra tra la sua famiglia e la nostra, ma so per certo che, quando questo momento arriverà, lui non avrà remore a usare contro di noi tutte le confidenze che gli hai fatto in questi anni>>
Roberto inarcò le sopracciglia:
<<Ma io gli ho detto solo cose di poca importanza... cose da ridere... episodi buffi, niente di più>>
Diana annuì:
<<E lui, quante "cose da ridere", quanti "episodi buffi" ti ha raccontato sulla sua famiglia?>>
Roberto cercò di ricordare, ma non gli venne in mente niente.
Alla fine dovette ammettere che sua nonna aveva ragione:
<<Nessuno... non mi ha raccontato mai niente che potesse mettere in ridicolo i suoi parenti. Se ne parla, è solo per elogiarli>>
Diana sospirò:
<<Come vedi, non c'è reciprocità nella vostra amicizia. Tu ti confidi, ma lui non lo fa. Tu sei autoironico, il che è un segno di intelligenza e di umiltà, lui invece si prende tremendamente sul serio. E potrei continuare così per ore>>
Roberto incominciò a vedere l'amico con occhi diversi, e questo gli provocò un immenso dolore:
<<Cosa mi consigli di fare? Non posso e non voglio essere io a rompere l'amicizia con Vittorio>>
La Contessa di Casemurate sorrise, e questa volta c'era tenerezza nei suoi occhi:
<<Tu sei un'anima candida, così come lo ero io alla tua età. Ma il candore da solo non basta. E' necessaria anche la prudenza.
Il mio consiglio è di essere molto prudente, e di ricordare un famoso passo del Vangelo dove sta scritto: "Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque candidi come colombe e prudenti come serpenti. E guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe".>>