Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
mercoledì 27 maggio 2020
Vite quasi parallele. Capitolo 68. Il bambino della campagna
Era nato con i doni della curiosità e della fantasia, e l'impressione che la conoscenza fosse la cosa più importante. E questo fu tutto il suo patrimonio, o almeno l'unica parte che il futuro non gli avrebbe mai tolto.
<<Poiché nella vita ho incontrato molte avversità, preferisco raccontare storie divertenti>> così diceva spesso Roberto Monterovere, riferendosi alla sua "lust zu fabulieren", il piacere di narrare.
Il suo più antico ricordo era legato, ovviamente, alla campagna di Casemurate, alla Contea e a Villa Orsini, dove trascorse gran parte della sua infanzia, insieme ai cugini Fabrizio e Alessio, anche loro figli unici, e non c'è da meravigliarsi se i tre cugini crebbero insieme come fratelli.
Ma Roberto era un po' diverso dagli altri due.
Fabrizio e Alessio erano dei "piccoli lord", molto seri e giudiziosi, mentre Roberto aveva in sé qualcosa di selvaggio: era irrequieto e imprevedibile, con un'indole umorale e ruspante di matrice celtica e gallico-romagnola che lo rendeva, sotto certi aspetti, simile al famigerato nonno materno, il vulcanico Ettore Ricci.
E questo aspetto non passò inosservato.
Ettore se ne compiaceva, vedendo in lui quel tanto sospirato "erede maschio" che desiderava da una vita, e di tanto in tanto dava un buffetto alle guance del nipote, dicendo, in un dialetto affettuoso: "E mi zgalì" il mio cicalino).
Va detto che, per quanto selvatico, il bambino della campagna sapeva essere molto affettuoso con chi gli voleva bene, cioè quasi tutti, nella fiabesca Contea di Casemurate.
Chi lo amava di più, nella Contea, era naturalmente la Contessa, la nonna Diana, l'unica in famiglia ad aver compreso che quello strano bambino aveva molti più tratti caratteriali in comune con lei che con tutti gli altri.
Ne aveva notato immediatamente l'ipersensibilità, che era una caratteristica ambivalente, nel senso che poteva amplificare tutto, sia il bene che il male, e poiché quest'ultimo era prevalente, almeno nel mondo materiale, era chiaro che la sofferenza avrebbe prevalso.
Per questo, prima ancora di costruire con lui un rapporto privilegiato, Diana donò a Roberto più amore di quanto ne avesse mai riservato a qualunque altra persona, nella sua lunga vita.
Era un sentimento che lui percepiva ancor prima di sviluppare una piena coscienza del mondo e delle persone. Un amore quasi pari a quello dei suoi genitori, ma a differenza di quest'ultimo, si trattava di un sentimento libero da ogni intento educativo: la vita avrebbe dato al nipote fin troppi maestri, e non era necessario fagli sapere fin da subito quanto fosse dura ogni lezione da imparare.
Il loro rapporto fu impostato fin dall'inizio su un piano di massima e reciproca comprensione, e nei momenti difficili, al rimprovero si sostituì un dialogo profondo, seguito da un aiuto a tirarsi fuori dai guai.
A volte non c'era nemmeno bisogno di parlare: ciò che c'era tra loro poteva esistere anche senza parole, persino senza un nome.
Diana percepì, per la prima volta in sessantacinque anni di vita, che la sua esistenza aveva un senso e che i sacrifici fatti fino ad allora erano stati compensati da un dono in grado di cambiare la sua stessa personalità.
Lei non era mai stata amata abbastanza, e aveva smesso di sperare, ma ciò che le accadde col suo terzo nipote è la prova che nella vita non è mai troppo tardi per amare ed essere pienamente ricambiati.
Alcuni scrittori della neoavanguardia, specie il defunto Arbasino, ironizzano sui ricordi d'infanzia: forse non hanno letto Proust o l'hanno letto male.
L'immaginaria Combray della Recherche è la prova che le memorie d'infanzia possono essere nel contempo un soggetto magico e avventuroso e un oggetto di ironica e disincantata analisi dell'animo umano.
Immagino che ognuno di noi abbia avuto la sua Combray, il suo "posto delle fragole", il suo "giardino dei ciliegi", e che magari al posto della campagna ci siano il mare o i monti, o un parco, un giardino, un cortile, un luogo che abbia conservato un posto speciale nella nostra memoria.
La Contea di Casemurate, con le sue campagne che si stendevano a perdita d'occhio, i suoi torrentelli e fiumiciattoli, i boschetti di gelso, pioppo, betulla, quercia e robinia, disseminati qua e là, aveva ancora, negli anni Settanta del Novecento, un carattere arcaico, senza tempo, quasi da romanzo fantasy, tale per cui non ci sarebbe meravigliati di veder spuntare, da un buco nel terreno, un Hobbit dalle orecchie a punta e dai piedi ricoperti di morbido pelo.
E così, quando Roberto incominciò a muovere i primi passi, mostrò subito un grande interesse per la natura e gli animali, di cui fu sempre amico per tutta la vita.
Con una similitudine "zoologica", potremmo dire che, sotto tanti aspetti, il piccolo Monterovere era come un gatto: sapeva essere buffo e nel contempo avere un suo stile.
Gli si poteva rimproverare una notevole mancanza di riservatezza, anche se, in fin dei conti, fu proprio grazie a questo suo piacere di raccontare che gli altri, conoscendolo, riuscirono perdonargli i suoi eccessi di stravaganza.
Una mente creativa può salvarsi anche quando tutto il resto è disastroso, e può addirittura fare del bene agli altri.
Per esempio, quello strano bambino riuscì in un'impresa dove ogni altro aveva fallito, e cioè favorire la riappacificazione dei nonni Ettore e Diana, e creare un clima di allegria e spensieratezza a Villa Orsini.
Roberto seguiva la nonna in giardino, dove lei gli insegnava il nome dei fiori, delle piante e degli alberi, e affiancava il nonno nei campi e tra gli animali di allevamento.
Il fatto di essere in buoni rapporti con entrambi i nonni fece sì che loro tornassero a parlarsi più spesso e finissero per scoprire reciprocamente quei lati positivi che avevano rifiutato di vedere per tutta la vita.
Diana era tornata a sorridere.
In seguito avrebbe detto del nipote: <<E' stato come un raggio di sole dopo una lunga notte>>
Dopo essere stato fuori tutto il giorno, Roberto faceva il bagno e cercava di rendersi presentabile per avere l'accesso al Salotto Liberty con le due bisnonne: la maestra Clara Torricelli, vedova Ricci, gli insegnava il disegno, la "Contessa Madre" Emilia Paolucci de' Calboli, vedova Orsini, gli raccontava, tra un bicchiere di vino e l'altro, le storie dei Re, delle dinastie e degli alberi genealogici, che sarebbero diventati la sua fissazione, complice anche, in età scolare, la lettura delle opere di Tolkien.
Si può anzi dire che quella vita di "bambino di campagna", in una Contea agricola ancora molto legata alle tradizioni, e in una famiglia con un quarto di nobiltà e una venerazione per i propri antenati, lo predispose ad apprezzare tutti gli aspetti del mondo creato dalla grande mente del Professore di Oxford.
Persino Michele e Ida Braghiri, per quanto prevenuti e invidiosi, finirono per affezionarsi a lui.
Gli insegnarono a giocare a briscola e a marafone, e lui si sarebbe ricordato per sempre le storpiature romagnole delle varie carte: l'asse al posto dell'asso, la bastona al posto dei bastoni, le danara al posto dei denari, le carti al posto delle carte, lissio al posto di liscio e così via.
Michele arrivò a dire che: <<Quel bambino è simpatico! E' l'unico della sua famiglia che non si dà delle arie>>
La stessa signora Ida dovette ammettere che <<E' affettuoso con tutti, persino con gli animali da allevamento. Non ha certo paura di sporcarsi le mani>>
Il contatto con gli animali era una delle cose che più lo rendevano felice.
E fu lì che nacque il suo amore per i gatti, specie quelli di sua nonna, che discendevano tutti da una "aristogatta" di nome Duchessa, della razza Maine Coon, che Diana aveva acquistato in una fiera. Duchessa era una gatta molto corteggiata, che sfornava almeno quattro cucciolate all'anno, tanto che si può dire che ogni gatto di Casemurate e dintorni discenda da lei.
Ovviamente anche i gatti ebbero il loro albero genealogico e le loro dinastie, a seconda delle varie cucciolate e dei differenti padri.
Con un atto di illuminato progressismo, Roberto conferì dignità dinastica anche alla prole delle galline, dei conigli e persino dei maiali, che al contrario di quel che si pensa, sono animali molto intelligenti.
Ormai tutti questi animali venivano allevati senza più la condanna a diventare cibo per gli umani.
Persino Ettore si lasciò commuovere e in breve tempo il Feudo Orsini e tutti i suoi campi e allevamenti si trasformarono in un'oasi naturalistica (anche su pressione di Fabrizio Spreti di Serachieda, che aveva la vocazione di zoologo e botanico).
Tutti questi elementi illuminati contribuirono a far sì che Casemurate diventasse, nell'immaginario collettivo della Romagna Centrale, una nuova Camelot, con al centro una Dama del Lago, la Contessa Diana Orsini.
E tutto era già pervaso da un alone di leggenda.
L'unica ombra era in un futuro che ancora non aveva manifestato alcun presagio.
Certo, col senno di poi si può capire che c'erano buone possibilità che una simile gioia non sarebbe mai potuta tornare in un modo così pieno, assoluto e nel contempo puro e innocente.
Già si è detto che un'infanzia troppo bella può essere, a modo suo, un "trauma", nel senso che finisce per generare aspettative troppo alte nei confronti delle persone, del mondo e della vita stessa.
Mai più Roberto avrebbe ritrovato un simile amore incondizionato, al di fuori della sua famiglia di origine.
Chi ha avuto una famiglia sinceramente amorevole e affettuosa, potrà forse anche donare ai propri figli e nipoti un simile amore, ma non ne riceverà mai uno più grande.
E' possibile essere troppo amati?
Una nota canzone dice che "chi è troppo amato amore non dà": c'è del vero in questo teorema?
Gli eccessi, in un senso o nell'altro, possono condurre a conseguenze paradossali.
Ma tali conseguenze si sarebbero rivelate soltanto molto più tardi: il bambino della campagna rimase il baricentro della sua personalità, nel bene e nel male, e le accuse di infantilismo, che da adulto le donne, come spesso accade, gli avrebbero rivolto, potevano avere un qualche fondamento. Ma se un corpo solido si sbilancia troppo rispetto al proprio baricentro, allora rischia di cadere, ed è per questo che il bambino della campagna continuò sempre ad essere un prezioso alleato, soprattutto nei momenti di crisi.