<<Sai, mi sono chiesta spesso qual è il reale motivo che ci spinge a fare dei figli>> disse Diana alla sua secondogenita, Silvia <<e la conclusione a cui sono arrivata è che, a un certo punto delle nostre vite, ci rendiamo conto che le cose sono andate a rotoli in modo irreparabile, e così decidiamo di ricominciare da capo, di ripartire da zero: un nuovo inizio. E facciamo dei figli, piccole copie carbone alle quali dire: "Tu farai quello che io non ho potuto fare, tu avrai successo là dove io ho fallito", perché vogliamo qualcuno che faccia la cosa giusta, questa volta.
Poi i figli crescono, e cresce anche la nostra apprensione, la nostra paura che possano soffrire, che vadano incontro ai pericoli, e vorremmo trattenerli, anche se non ne abbiamo il diritto, perché la loro vita appartiene solo a loro, e noi abbiamo già commesso un grande atto di prevaricazione nel decidere di metterli al mondo senza il loro consenso>>
Quel discorso era coerente col suo comportamento, perché Diana Orsini non era mai stata una madre invadente, anzi, al contrario aveva sempre mantenuto un comportamento alquanto permissivo, limitandosi a qualche consiglio mirato o a pochi e cauti avvertimenti.
Quel giorno però c'era qualcosa che la preoccupava più del solito.
Approfittando dell'assenza del marito, in viaggio d'affari con i fratelli, le sorelle e i soci, e della governante, in visita al figlio prediletto a Forlì, Diana aveva chiamato sua figlia Silvia nel Salotto Liberty per esprimere il suo pensiero su alcune questioni che le stavano molto a cuore.
Era presente anche la madre di Diana, la vecchia contessa vedova Emilia.
Le altre due figlie, Margherita e Isabella, parevano aver formato famiglie felici, ma Diana pensava a ciò che Tolstoj aveva scritto in Anna Karenina:
"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo".
E la famiglia di Diana era stata un cumulo di scandali, lutti e infelicità.
<<Ci sono tante persone sciocche che si vantano della loro felicità coniugale e familiare, come se fosse un dato di fatto acquisito una volta per tutte. Ma non è mica finita! I conti si fanno alla fine...>>
Silvia aveva annuito:
<<Basta guardare cos'è successo ai De Gubernatis. Zia Ginevra sembrava così sicura della fedeltà di suo marito, l'irreprensibile giudice istruttore, e poi viene a scoprire che ha avuto un figlio dalla segretaria>>
Era lo scandalo del momento, che era quasi costato la carriera al giudice Guglielmo De Gubernatis, marito di Ginevra Orsini.
Le parole di Silvia aleggiarono come corvi negli arredi floreali del Salotto Liberty di Villa Orsini.
Diana era consapevole che una eventuale caduta in disgrazia del giudice avrebbe reso più vulnerabile tutto il clan Ricci-Orsini. Per questo la sua collera era così grande.
<<Se quel disgraziato di De Gubernatis non conoscesse tutte le magagne di Ettore>> riprese Diana riferendosi rispettivamente al cognato e al marito <<non avrei mai approvato la scelta di quella sciocca di Ginevra di riprenderselo in casa come se niente fosse>>
Questo aspro commento risvegliò la vecchia contessa vedova Emilia dal suo torpore etilico:
<<Oh, avanti, Diana, non devi essere così dura con tua sorella. E poi, in questo modo, non fai altro che spaventare la nostra cara Silvia, che ancora non ha incontrato la sua anima gemella>>
Diana scosse il capo:
<<Non l'ha incontrata perché non esiste! Credere nell'anima gemella è come credere a Babbo Natale>>
Silvia sorrise: era abituata ai battibecchi tra sua madre e sua nonna riguardo al matrimonio.
<<Per me la libertà viene prima di ogni altra cosa. E poi ormai siamo negli Anni Settanta, non è necessario sposarsi per fare l'amore>>
A queste parole sia Diana che Emilia la guardarono con sospetto.
Un conto era parlare di certe cose in astratto, e un conto era insinuare un dubbio sulla questione della verginità.
La prima a parlare fu la contessa vedova Emilia:
<<Mia cara nipote, tu frequenti delle brutte compagnie. E non mi riferisco solo a quelle amiche "femministe" o come si fanno chiamare...>>
Subito però intervenne Diana, in qualità di Contessa in carica e capo formale del clan Ricci-Orsini:
<<Io ti capisco, Silvia e so benissimo che i tempi sono cambiati, ma purtroppo noi viviamo in una piccola Contea di campagna, in provincia di una piccola città che è un misto tra un covo di vipere e un nido di vespe. Per cui occorre prudenza.
Tuo padre non vuole credermi, ma io so per certo che la famiglia Braghiri è disposta a tutto pur di rovinarci>>
Silvia conosceva le ipotesi di sua madre riguardo al ruolo di Michele Braghiri nella morte di zia Isabella, di zio Arturo e del nobile Federico Traversari, l'amante di Diana.
E suo figlio Massimo era quasi peggio del padre.
<<Non so più come comportarmi con Massimo. Gli ho fatto capire in tutti i modi che non sono interessata a lui, ma è come se parlassi a un muro. E' ossessionato da me...>>
La contessa vedova Emilia, che era alla seconda bottiglia di Cabernet-Sauvignon, sbottò:
<<Non da te, ma dal tuo cognome! Lui gira per casa e vede i ritratti di tutti i Conti Orsini di Casemurate, di tutti i Papi e i Principi che appartengono al nostro casato e naturalmente...>>
Di nuovo Diana intervenne per fermare il delirio etilico dell'anziana madre:
<<Non esageriamo, in fondo Silvia è una Orsini solo per metà. Per l'altra metà è una Ricci, e i Ricci, nonostante i loro soldi, non sono principi di nessun luogo>>
Silvia rise e sollevò la sua tazza di tè:
<<E allora brindiamo a Silvia Ricci-Orsini, Principessa di Nessun Luogo>>
Sua nonna Emilia si unì al brindisi, scolandosi altro vino.
Diana avrebbe voluto sorridere, ma la sua mente era tormentata dai fantasmi del passato e dalle paure del futuro.
<<Perdonatemi se non condivido la vostra spensieratezza, ma ci sono cose che non posso dimenticare, neanche se bevessi come mia madre o se fossi giovane e libera come mia figlia.
Nei lunghi e sconfinati inverni che ho trascorso chiusa nella mia camera da letto, sono arrivata alla conclusione che sarebbe stato meglio non nascere, e in ogni caso non sposarsi e non fare figli, ma dal momento che il passato non si può cambiare, ho cercato di concentrarmi sul futuro, affinché non si ripetano certi eventi oscuri su cui per paura io stessa ho evitato di far luce.
Forse ho danzato per troppo tempo con i miei fantasmi, lassù nella stanza dai muri di pietra, ma non posso fare a meno di temere che il passato ritorni e ci chieda il suo tributo>>
Silvia comprendeva la sofferenza di sua madre, le coercizioni a cui era stata sottoposta, gli anni della guerra, i lutti, i tradimenti, gli scandali.
<<Io sono consapevole che nel passato della nostra famiglia niente è come sembra.
C'ero anch'io quando trovarono il corpo di zia Isabella, e quando ci dissero dell'incidente di zio Arturo, e anche quando morì Federico Traversari.
Ero piccola, ma mi ricordo tutto, perché i bambini e gli adolescenti hanno buona memoria.
Però ho sempre cercato di non pensarci troppo, perché non volevo essere travolta da questo peso. So che la verità, se mai ce ne fosse una, è sepolta dietro ad infiniti veli, ma non mi sono posta domande su ciò che è veramente accaduto.
Le mie domande sono altre.
Fino a che punto i nostri ricordi ci definiscono?
Fino a che punto noi siamo il risultato delle circostanze della nostra nascita e della nostra crescita?
Forse un fiore è responsabile del proprio colore?>>
Gli occhi grandi e belli di Diana, che in un tempo lontano avevano fatto innamorate tanti giovani sgraditi a suo padre, sembravano guardare lontano, in un altro tempo, forse in un'altra dimensione.
<<Mi sono posta anch'io le stesse domande, e dal punto di vista teorico credo che il libero arbitrio non esista. Questo però non deve essere una scusa per rifuggire dalle proprie responsabilità.
Io mi sento responsabile per compromessi che ho accettato, per i ricatti a cui ho ceduto, per i silenzi e le omissioni con cui ho coperto la colpevolezza di altre persone.
Quando è morto mio padre e gli sono succeduta come guida di questa Contea, mi ero ripromessa di cambiare.
Avevo guardato i ritratti degli antenati e avevo pensato che sarei stata degna della loro eredità, perché: "I giganti sono come montagne: si parlano attraverso i secoli".
Ero convinta di poter essere persino meglio di loro.
Mi ero detta: "Questo è un regno di rettitudine, oppure non è niente".
E infatti non rimane più niente.
Etiam periere ruinae>>
Silvia si sentì gelare:
<<Non è tutto perduto, mamma. Ci sono io al tuo fianco, e io non mi arrendo, e non mi arrenderò mai>>
Diana sapeva che sua figlia avrebbe risposto in quel modo.
Era proprio quella determinazione ciò che la esponeva maggiormente al pericolo:
<<Ammiro il tuo coraggio, ma ti invito a non fidarti di nessuno, tranne me e le tue sorelle, perché, come hai ammesso tu stessa, da queste parti niente è come sembra.
Ricordatelo bene, Silvia.
Niente è come sembra!>>