Romano Monterovere compì 50 anni nel 1961. Da quel momento in avanti, nella sua lunga vita, rimase più o meno uguale. Era di quei tipi molto alti, magri, dai capelli chiari, che più che invecchiare tendono a rinsecchirsi, quasi a mummificarsi, senza però altri segni particolari di cedimento.
Il suo aspetto severo e austero, con l'età divenne vagamente arcigno, pur mantenendo un'imponenza che oggi si potrebbe ritrovare in attori come Charles Dance.
Ma un cambiamento interiore significativo era avvenuto in lui dopo la morte del fratello Ferdinando, Romano era diventato ipocondriaco.
Per prevenire le malattie, aveva adottato uno stile di vita ancora più spartano.
Mangiava poco, prediligeva le verdure, camminava spedito almeno due ore tutti i giorni, non beveva alcolici, non fumava, andava a letto presto e dormiva regolarmente almeno otto ore.
Ciononostante viveva nel terrore di poter contrarre qualche malattia, in particolare la tubercolosi, di cui erano morti due sorelle e un fratello, oppure l'ipertensione, per la quale andava tutti i giorni dal farmacista a farsi misurare la pressione.
Ogni volta che entrava in farmacia, ne usciva con medicinali generici e autoprescritti di tutti i generi: aspirina in compresse effervescenti, caramelle balsamiche e antisettiche (che consumava con gusto, come se fossero cioccolatini), vitamine, tachipirina, citrosodina, sali minerali, supposte, colliri, spray nasali, microclismi, digestivi, soluzione Schoum, colluttori, pomate di ogni genere e per ogni evenienza, acqua ossigenata, disinfettanti vari, cerotti, garze, bende, cotone idrofilo ed emostatico. tappi per le orecchie, lozioni per i capelli, amaro medicinale Giuliani, gocce di valeriana e altre pozioni che lo attraevano anche solo per il colore o per il gusto.
E quello fu solo l'inizio della sua esperienza di "impasticcato", che lo portò col tempo a disporre di un vero e proprio laboratorio chimico-farmaceutico finalizzato alla creazione dell'Elisir di lunga vita.
Era preciso e puntiglioso in ogni cosa che facesse, in particolare sul lavoro.
Da quando era diventato direttore dell'Azienda Fratelli Monterovere (il presidente era suo suocero, l'ingegner Lanni), aveva imposto ai dipendenti un regime quasi militare ed un'efficienza svizzera, o meglio ancora teutonica e prussiana, da far invidia a Federico il Grande e a tutta la dinastia degli Hohenzollern.
Il suo perfezionismo, così come la sua abitudinarietà, assunsero i contorni di un disturbo ossessivo-compulsivo: rispettava gli orari con tale precisione che la gente metteva a punto l'orologio ogni volta che lo vedeva passare: era più affidabile del meridiano di Greenwitch.
Naturalmente sua moglie e i suoi figli erano tenuti a rispettare la stessa vita da caserma, il che non era affatto facile.
Giulia fumava, come anche la figlia Enrichetta. Il figlio Francesco aveva orari opposti a quelli del padre. Il terzogenito Lorenzo, di carattere timidissimo e remissivo, subiva ramanzine continue per la sua goffaggine,"mollezza" e pigrizia.
Romano distribuiva equamente rimproveri e scappellotti, ma l'effetto che otteneva era il contrario di ciò che si era prefisso.
In particolare lo preoccupava il primogenito Francesco, ribelle per natura e studente presso la Facoltà di Matematica e Fisica dell'Università Bologna.
Ovviamente Francesco non aveva avuto il permesso di prendere alloggio nella città universitaria, per cui faceva su e giù da Faenza, in treno, tutti i giorni.
Non era una cosa particolarmente piacevole, e non era nemmeno l'unico motivo di attrito tra padre e figlio, opposti quasi in tutto.
Un grande scandalo avvenne quando, Francesco. precorrendo i tempi e le mode della Contestazione, si face crescere i capelli lunghi fino alle spalle.
Romano non si dava pace:
<<E' questo che ti insegnano all'università? A diventare un capellone e uno scansafatiche? Io alla tua età...>> ed elencava una serie di lavori mai svolti.
Francesco il più delle volte non si degnava nemmeno di rispondere.
Allora Romano mandava avanti il figlio minore, Lorenzo, in avanscoperta.
Francesco riconosceva i famigliari dal modo in cui bussavano alla porta.
Mentre Enrichetta era come un treno in corsa, Lorenzo si limitava ad una timida grattatina.
<<Il babbo è molto preoccupato per te>>
<<Ma dai? Non me n'ero accorto!>>
<<Se solo accettassi di tagliarteli almeno un po'...>>
<<Non se ne parla>>
<<Però almeno potresti evitare di andare in giro con le mollette e la coda di cavallo>>
<<Lorenzo, perché non ti fai gli affari tuoi? Ti ha promesso qualcosa, il vecchio?>
<<Io non so come hanno fatto a sopportarti i Salesiani per sette anni>>
<<E' per colpa loro che sono un ribelle>>
<<Ma ribelle contro cosa?>>
<<Contro tutto, contro la società, contro il sistema...>>
<<Ma quale sistema? Io non capisco proprio di cosa tu stia parlando>>
<<Perché sei un patacca, Lorenzo, scusami tanto!>>
<<Sì sì, vedremo. Ci rivediamo tra trent'anni, e poi mi saprai dire chi è il patacca>>
<<Non illuderti Lorenzo, tu sei nato così, non ci puoi far niente. Ma se ti allei con me, potremmo fare grandi cose. Va' a dire al babbo che se mi trova una stanza a Bologna, mi taglio i capelli subito>>
<<Allora tanto vale che te li faccia arrivare fino ai piedi. Il babbo non sgancerà un centesimo>>
<<Ecco, ora capisci cosa intendo per "il sistema". Il babbo rappresenta il prototiopo dell'autorità borghese reazionaria, nonché seguace del Capitalismo>>
<<Mi sembra di sentir parlare il nonno Enrico, pace all'anima sua>>
<<Enrico era un grande, e anche zio Edoardo è un grande. Faremo la rivoluzione un giorno!>>
Quando Romano venne a sapere di quella frase, si infuriò come un leone:
<<Vuoi fare la rivoluzione? Te la do io la rivoluzione! Io faccio la rivoluzione tutti i giorni lavorando! Ma se ti metti nei guai, Francesco, non bussare alla mia porta.
Che tempi! Che cosa mi tocca vedere!>>
Francesco era galvanizzato da quelle prediche: gli sembrava di essere già una specie di Che Guevara:
<<E questo è solo l'inizio babbo... aspetta qualche anno e succederà di tutto! Gli Anni Sessanta resteranno nella storia. Aspetta e vedrai!>>