Forse, se l'incidente fosse avvenuto in tempi più recenti, i moderni mezzi di indagine sarebbero riusciti a scoprire qualcosa di più sulle circostanze della morte di Arturo Orsini.
Ma era il 1952, e il fatto era avvenuto nelle campagne di una Contea sperduta in un'Italia ancora rurale.
Fu comunque avviata un'inchiesta a cui furono preposti, su interessamento dell'onorevole Baroni e del generale De Toschi, altri parenti del clan Ricci-Orsini: il giudice De Gubernatis e l'ispettore Tartaglia.
Nel frattempo, a Villa Orsini, le cose andavano di male in peggio.
Il giorno della morte di Arturo, Ettore Ricci era tornato a casa nel tardo pomeriggio, col cappello in mano, strascicando i piedi, scarmigliato e con un'espressione afflitta sul volto che pareva invecchiato di decenni.
Non aveva concesso a nessuno il tempo di dire alcunché:
<<Questo è il giorno peggiore della mia vita. Io e Arturo avevamo le nostre divergenze, ma il solo pensiero che non ci sia più mi toglie il respiro. Stavamo per trovare un accordo, lo volevo come socio alla pari, per unire ancora di più le nostre famiglie. Lui aveva accettato, avremmo concluso l'accordo oggi stesso. Non potete immaginare che pugno allo stomaco sia stato quando ho ricevuto la notizia. No, no... non dite niente, non è neanche il caso di parlarne... >>
Diana, che non credeva a una mezza parola di quella scena da premio Oscar, riuscì a interrompere il monologo del marito, rispondendo con amara ironia:
<<Sì, immagino il tuo dolore, un po' come dopo la morte di Isabella>>
Ettore incassò il colpo:
<<Ancora non mi sono ripreso da quella tragedia. Povera ragazza, con quello che ha subito dal tenente Muller, quel maledetto nazista. Che orrore! E adesso quest'altra disgrazia... Povero Arturo, scusatemi, ma non mi reggo in piedi, devo stendermi...>>
E si recò, strascicando i piedi, verso la sua stanza da letto.
Diana lo seguì, gli si avvicinò e gli sussurrò all'orecchio:
<<Io so chi sei. Non si può vivere per quindici anni a fianco di un uomo, senza capire chi è.
Conosco la tua rabbia, la volontà di distruggere qualunque cosa che non sia tuo.
E mi fa disperare il pensiero che le mie figlie siano anche figlie tue, e possano trasmettere ai loro figli queste tue caratteristiche.
La morte di Arturo non è stata un'incidente. Tartaglia ha distrutto le prove. De Gubernatis insabbierà tutto come al solito.
Non dico che sia stato tu a manomettere la moto, ma di certo "la morte di Artù" ti fa molto comodo. Forse uno dei tuoi scagnozzi ha voluto farti un regalo senza nemmeno dirtelo...>>
Ettore scosse il capo:
<<Sei sconvolta, Diana... è naturale! Capisco il tuo bisogno di sfogarti. Sfogati pure con me. Insultami... se ti fa sentire meglio... Non me ne avrò a male...>>
Lei rispose sempre a voce bassa:
<<Smettila di recitare! Almeno una volta nella vita, sii sincero!>>
Ettore si passò una mano sulla guancia non rasata:
<<Sincero? Anche se le cose che penso realmente possono urtare i tuoi sentimenti?
Va bene, allora smetterò di recitare la parte del marito gentile, e tu rimpiangerai i miei tentativi di essere gentile.
Li rimpiangerai, ma sarà troppo tardi.
E pensare che c'è stato un tempo in cui ti amavo.
Non ti voglio rimproverare, tu non mi volevi. Tu hai sempre desiderato un uomo della tua stessa classe sociale, uno come Federico Traversari.
Ti piacerebbe andare a letto con lui, vero?
E invece rifiuti di avere rapporti con me, tuo marito! Avrei potuto fare delle storie, e invece ho sopportato in silenzio.
Ho sopportato le lunghe notti in un letto freddo, abbandonato.
Non sei stata capace di vegliare neanche un'ora insieme a me.
Ma io ho rispettato la tua decisione. Non ti ho voluto imporre la mia presenza.
Certo, ho smesso di amarti e anch'io mi sono innamorato di altre persone, come Anastasia, ma erano tutti vaneggiamenti, dovuti al fatto che tu mi hai lasciato solo.
E adesso, Diana, cosa vorresti fare? Mi vuoi accusare? Mi vuoi tradire?
Che ne sarà delle nostre figlie?
Sono anni che cerchi di metterle contro di me, ma loro mi rispettano, e mi vogliono bene come io ne voglio a loro.
Siamo una famiglia, anzi, adesso siamo noi, la Famiglia Orsini!
Tuo padre è malato e questa tragedia gli ha tolto il futuro.
Presto sarai tu la Contessa di Casemurate, ed io il capo del clan Ricci-Orsini.
Il nostro amore è finito da un pezzo (ammesso che sia mai cominciato), ma il nostro matrimonio è il pilastro su cui si regge tutto ciò che abbiamo di più caro su questa terra.
E' inutile danzare con i fantasmi del passato.
Noi siamo il presente e il futuro della dinastia Orsini di Casemurate!
Certo, ora siamo i Ricci-Orsini, e non abbiamo figli maschi, ma il nostro Feudo porterà per sempre i nostri cognomi, uniti dal destino.
Devi fartene una ragione.
So che stai soffrendo per Arturo, Ma non dare la colpa a me. Non sono stato io, lo giuro sulla mia stessa vita. Nessuno degli Orsini può incolpare me per le proprie disgrazie.
E' stata la vostra superbia a condurvi alla rovina...>>
Diana rimase immobile, come una statua di marmo levigata dal tempo.
Un dubbio atroce la tormentava.
E se avesse ragione lui? Siamo stati davvero troppo arroganti? Troppo sicuri di noi stessi? Troppo pronti a scaricare la colpa sugli altri?
In cuor suo non poteva negarlo.
Come per una premonizione, Diana immaginò il suo futuro e si chiese come avrebbe fatto ad andare avanti, trascinandosi, giorno dopo giorno, nell'oscurità e nel dubbio, come una notte d'inverno senza una stella.
Ora c'era un fantasma in più a ballare con lei, nella sua danza macabra.
E quel fantasma, così come quello di Isabella, voleva giustizia:
<<Arturo era troppo sicuro di sé, ma io resto convinta che la moto sia stata manomessa. Devi scoprire chi è stato, perché un giorno questo assassino potrebbe decidere di far fuori anche te...>>
Ettore pareva aver considerato quell'eventualità:
<<Non nego di essere preoccupato al riguardo, ma se anche ammettiamo che si sia trattato di omicidio, io non saprei dove guardare. Non possono essere stati i miei nemici, perché oggettivamente hanno rafforzato la mia posizione di capofamiglia.
E non possono essere stati i miei amici, perché la loro fortuna dipende da me, e se io dovessi finire in galera, loro perderebbero tutto, perché non sarebbero nemmeno lontanamente capaci di tenere in piedi la baracca.
E di sicuro non sono stato io, perché non volevo fare di Arturo un martire. Avrei potuto accusarlo di molte cose, negli affari, e screditarlo, rivelando al mondo la sua incapacità.
Ma in fondo non occorreva nemmeno quello: si sarebbe comunque rovinato da solo.
E' il destino della vostra stirpe, e spero solo che le mie figlie e i loro discendenti non abbiano ereditato questa maledizione. Per ora mi sembra di no, ed io vigilerò affinché crescano cercando sempre di seguire il buon senso e di mantenere i piedi per terra>>
Era una critica severa al modo in cui Diana aveva fino a quel momento svolto il suo ruolo di madre.
Non volle replicare, perché il suo animo era straziato dal dolore per la morte di Arturo, e sentiva il bisogno di piangere, dopo un'intera giornata di impegno a mantenere la compostezza necessaria per venire a capo delle circostanze di quella tragedia.
Se ne andò dalla stanza del marito senza una parola e tornò nella propria camera lastricata di vecchie pietre a danzare con i propri fantasmi.