Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
giovedì 30 marzo 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 53. Rubare la scena alla sposa
Le nozze di Francesco Monterovere e Silvia Ricci-Orsini, il 1° dicembre 1974, furono la prima e l'ultima occasione in cui tutti i personaggi di questo romanzo (ovviamente quelli all'epoca viventi) si incontrarono di persona e sedettero fianco a fianco nello stesso luogo.
E dunque tali nozze possono essere considerate come il punto in cui le vite "quasi parallele" a cui fa riferimento il titolo, simili a rette in uno spazio geometrico, si incrociarono per poi tornare, lentamente, ma inesorabilmente, ad allontanarsi.
Dal momento che il numero di invitati era decisamente troppo grande per la chiesa di Pievequinta, gli sposi decisero che la cerimonia si sarebbe tenuta nella basilica di San Mercuriale, nel centro di Forlì, a metà strada tra le residenze delle rispettive famiglie (i Monterovere di Faenza e i Ricci-Orsini di Casemurate).
Forlì è una cittadina piccola e noiosa, un posto dove non succede mai niente di interessante, a parte qualche mostra di quadri. Per questo il matrimonio tra Silvia e Francesco, due docenti già noti e apprezzati, con un grande numero di amici e parenti, tra cui famosi e controversi notabili e personaggi altolocati, divenne, senza volerlo, un evento mondano che riscosse da parte della popolazione locale un entusiasmo spropositato, manco si trattasse dei Principi di Galles.
Per l'occasione, i genitori della sposa, Ettore Ricci e Diana Orsini, avevano ricominciato a rivolgersi la parola, dopo circa vent'anni.
Si trattava di monosillabi, ma era già qualcosa.
I genitori dello sposo spiccavano per la loro altezza: Romano Monterovere era alto due metri e sua moglie Giulia Lanni era molto longilinea.
Diana e Giulia si conobbero per la prima volta e scoprirono di essere stranamente simili, sia nel fisico che nel carattere.
C'erano anche le tre nonne ultranovantenni degli sposi: la maestra Clara Ricci, la contessa madre Emilia Orsini e la signora Eleonora Monterovere.
Sembravano uscite da un film muto degli anni Venti, o da qualche dagherrotipo della Belle Epoque: rimanenze di un'età conclusa da molto tempo, e che tuttavia persisteva, ostinata, nel non voler morire.
Giulia Lanni Monterovere accompagnò all'altare il figlio Francesco.
Ettore Ricci fece la stessa cosa con sua figlia Silvia, lanciando occhiate minacciose a destra e a manca.
Silvia aveva scelto un abito elegante, ma sobrio.
Questa decisione era in linea col suo carattere.
Purtroppo tale sobrietà non apparteneva alla grande maggioranza delle invitate.
Esiste una regola ferrea, riguardo a come vestirsi ai matrimoni: non bisogna rubare la scena agli sposi, e in particolare le invitate non devono rubare la scena alla sposa.
Ebbene, le numerose fotografie che hanno immortalato quel giorno memorabile mostrano senza ombra di dubbio che mai, in tutta la storia, la regola del "non rubare la scena alla sposa" fu violata in maniera così plateale.
Certo gli Anni Settanta non erano sobri, ma quella cerimonia andò oltre.
Ovviamente, colei che più di ogni altra invitata attirò su di sé l'attenzione, anche se in maniera ridicola e a tratti esilarante, fu l'ottantenne Signorina De Toschi, la cui mise barocca, tutta fiocchi, balze, gioielli e boccoli, unita alla sua imponente bruttezza, ricordava, per gli intenditori, quella di Anna Maria Luisa di Borbone-Orleans, Duchessa di Montpensier, meglio conosciuta, nella Versailles di Luigi XIV, come La Grande Mademoiselle.
A pensarci bene, la Signorina De Toschi era in tutto e per tutto la reincarnazione della Grande Mademoiselle de Montpensier.
Ma non fu l'unica ad esibire uno sfarzo degno del più esuberante barocco.
Infatti, il secondo posto in ordine di vistosità, fu il look di Anita Monterovere, zia dello sposo, anche lei zitella e nel contempo ninfomane, animatrice di salotti e personalità istrionica con evidente sindrome da primadonna.
Anita detestava la sposa e dunque la sua scelta di rubarle la scena fu doppiamente colpevole.
Si presentò con una tinta di capelli rosso fuoco catarifrangente, occhiali da sole oblunghi e puntati verso l'alto, tenuti anche in chiesa, pelliccia ottenuta sterminando l'intera popolazione dei visoni della Moscovia, sigaretta con bocchino d'avorio, perennemente accesa, calze a rete nere, scarpe rosse con tacco 14.
Ma lo spettacolo più impressionante derivò dalle sorelle e dai fratelli di Ettore Ricci.
Carolina Ricci, in stile edoardiano, con parure di diamanti e tiara, sembrava la buon'anima della Regina Mary, moglie di Giorgio V del Regno Unito, e nonna dell'attuale sovrana.
Adriana Ricci, invece, diede scandalo vestendosi da uomo.
I due fratelli di Ettore riuscirono a fare anche di peggio.
Aristide indossò un tight che sarebbe stato considerato eccessivo anche al matrimonio dei Principi di Galles.
Alberico, che per principio faceva tutto il contrario dell'odiato fratello, sembrava un barbone.
Leggermente più discreti i figli di Ginevra Orsini e del Giudice Papisco.
Goffredo, il direttore dell'Ufficio Legale della Bancaccia, era in tenuta da cavallerizzo.
Benedetta sembrava la sosia di Jackie Kennedy durante il matrimonio con Onassis.
Si era sposata da poco con Massimo Perfetti, il quale, a trentacinque anni, aveva già i capelli bianchi, dovuti allo stress derivante dal desiderio di essere il primo in qualsiasi cosa.
Anna si era fatta le meches, ma a catturare l'attenzione fu suo marito, Adriano Trombatore, il Sommo Poeta, che per l'occasione sfoggiava un vero look bohémienne: capelli lunghi alla Beethoven, cappello floscio alla Goethe, pipa, mantello, sciarpa di seta alla Oscar Wilde, giacca di velluto blu, pizzetto alla Johnny Depp, con un'ombra di barba di tre giorni, pantaloni bordeaux, stivali neri appuntiti, panciotto di satin blu notte con orologio d'oro da taschino, sul cui coperchio erano incise le seguenti lettere: "Da M.D.T. ad A.T. De Bono et malo".
Fortunatamente i testimoni, le damigelle e i paggetti riuscirono a contenere il loro estro.
Testimoni dello sposo erano suo fratello Lorenzo e suo cognato Ludovico Mancini, marito di Enrichetta, la quale era perennemente occupata a tenere a bada i due esuberanti figlioletti.
Testimoni della sposa erano i cognati, Ercole Spreti di Serachieda, marito di Margherita Ricci-Orsini e Saverio Zanetti Protonotari Campi, marito di Isabella Ricci-Orsini.
La loro aria compunta sembrava quasi voler dire addio ad un terzo dell'eredità di Ettore Ricci.
I più dispiaciuti erano Ida Braghiri, suo marito Michele e i loro numerosi figli e nipoti, erano tutti lividi per l'invidia e pareva che già tramassero qualcosa per rovinare la festa.
Ma la vera attrazione erano i pezzi grossi: molti imboscati, infatti, erano accorsi più che altro per incontrare di persona i notabili.
Il Senatore Leandri, l'assessore Tommaso Monterovere (di cui furono molto apprezzate la moglie e le figlie, di una bellezza dal sapor mediorientale), il Giudice Papisco, il Commissario Tartaglia, il Presidente del Rotary, Preside Prof. Everardo Rocca Rossellino, ricordavano tutti Marlon Brando nella parte di Don Vito Corleone.
Inutile dire che fu un gran giorno.
Fu anche l'inizio di un matrimonio d'amore, molto ben riuscito, ma destinato a dover affrontare troppe avversità.