Blog di letteratura, storia, arte e critica cinematografica e televisiva. I racconti e i romanzi contenuti in questo blog sono opere di fantasia o di fanfiction. Gli eventi narrati e i personaggi descritti, esclusi quelli di rilevanza storica, sono del tutto immaginari. Ogni riferimento o somiglianza a persone o cose esistenti o esistite, o a fatti realmente accaduti, è da considerarsi puramente casuale. Gli elementi di fanfiction riguardano narrazioni di autori molto noti e ampiamente citati.
martedì 21 marzo 2017
Vite quasi parallele. Capitolo 49. Come Giulietta e Romeo
La storia d'amore tra Francesco e Silvia fu contrastata dalle loro famiglie, per una ragione che sembra appartenere all'epoca di Shakespeare.
Ma andiamo per gradi.
All'inizio, prima dell'amore e prima ancora dell'amicizia, per Silvia e Francesco ci fu l'appartenenza comune a un gruppo di amici-colleghi che amavano trascorrere insieme le serate e le vacanze.
Ci furono viaggi a Parigi, Londra, Praga, Vienna, Budapest,e in altre capitali europee.
Ci furono vacanze in Sardegna, alle Tremiti, alle Baleari, in Croazia a Dubrovnik e in Grecia.
Anni di spensieratezza e di divertimento, tra il 1970 e il 1973, durante i quali maturò prima una certa attrazione fisica, poi una vera e propria passione e infine un sentimento destinato a crescere per sempre.
Silvia fu certamente più fortunata di sua madre Diana, perché alla fine riuscì a sposare l'uomo che amava, ma non fu affatto facile.
Del resto gli amori contrastati sono sempre i più romanzeschi.
Ettore Ricci, prima ancora di apprendere dell'innamoramento di Silvia e Francesco, il figlio del suo grande nemico Romano Monterovere, era già in rotta di collisione con la figlia, di cui disapprovava i viaggi e lo stile di vita a suo giudizio troppo disinibito e dispendioso.
Un esempio di questa disapprovazione rimase negli annali.
L'episodio avvenne quando, di ritorno da Parigi, Silvia si era fatta spedire un tavolino Luigi XV da mettere nel Salotto Liberty, perché in fondo il Rococò e il Floreale vanno d'accordo.
Ettore guardò quel fragile tavolino con orrore, immaginando quanto fosse costato e profetizzò:
<<Non arriverà ad aprile>>
Lo disse in dialetto romagnolo, per enfatizzare il concetto: "un'arivarà ad abril"
Si sbagliava: esiste ancora oggi, ma in altro salotto, quello della residenza forlivese della famiglia Monterovere.
Ma il vero dramma si ebbe quando, nel 1973, Silvia e Francesco ufficializzarono il loro fidanzamento.
Francesco aveva scelto come "location" per la sua formale richiesta di matrimonio un luogo collinare davvero romantico, chiamato Oriolo dei Mille Fichi.
Un anello di zaffiro e diamanti sigillò la loro promessa (purtroppo tale anello fu rubato più di quarant'anni dopo, quando la residenza dei Monterovere a Forlì fu ripulita da una banda di immigrati, indirizzati lì dalla badante dell'ultracentenaria ex governante degli Orsini, la decrepita Ida Braghiri).
Quando l'ufficializzazione del fidanzamento fu comunicata alle famiglie, la reazione fu molto problematica.
Sia i Monterovere che i Ricci-Orsini, manco fossero i Montecchi e i Capuleti magicamente catapultati negli Anni Settanta del XX secolo, reagirono con freddezza, se non addirittura con palese ostilità.
Manco a dirlo, il più contrario di tutti a queste nozze fu Ettore Ricci.
Non è il caso di riportare la sfilza di bestemmie e imprecazioni varie contro tutti i santi del paradiso, e nemmeno gli appellativi non lusinghieri destinati alla figlia.
Il suo bersaglio divenne subito il futuro genero.
Il fatto che sua figlia sposasse un intellettuale squattrinato era una cosa inconcepibile.
<<Scommetto che è un comunista come tutti i Monterovere! Che poi fanno i comunisti, ma hanno i soldi a palate! Facile per loro fare i comunisti con i soldi degli altri!>>
Anche quest'ultima frase fu pronunciata efficacemente in dialetto: "fe' i comunestar cun i baioc ad chietar".
Biasimò se stesso per aver tollerato che la figlia studiasse in quel covo di comunisti che era l'Università di Bologna, e che poi lavorasse in quell'altro covo di comunisti che era la Pubblica Istruzione.
Si vantò di avere solo la quinta elementare, nonostante sua madre, la maestra Clara, lo avesse pregato di proseguire gli studi, <<perché ero intelligente, io, cosa credi!>>
Poi passò all'inevitabile confronto con le sorelle di Silvia.
Ettore infatti avrebbe preferito di gran lunga un matrimonio come quello della terzogenita Isabella, che seguendo le orme della sorella primogenita Margherita, maritata ad Ercole Spreti di Serachieda, aveva contratto nozze prestigiose con un altro nobile latifondista, Saverio Zanetti Protonotari Campi di Villa Erbosa, il quale aveva accresciuto l'estensione del Feudo Ricci-Orsini, e cioè
Saverio Zanetti era proprietario di una delle vigne più preziose della zona, nella Tenuta dell'Erbosa, che comprendeva anche frutteti e orti a coltivazione intensiva.
Di fatto, la preziosissima Tenuta dell'Erbosa, dove Isabella e Saverio erano andati a vivere col figlioletto Alessio, fu annessa all'ormai sterminato Latifondo Ricci-Orsini-Spreti-Zanetti.
Quello sì che era stato un affare!
Il Feudo andava oltre i confini stessi della Contea di Casemurate, toccando la Caserma, Pievequinta, San Zaccaria, San Pietro in Campiano e altre simili metropoli.
E poi naturalmente Ettore si scagliò contro Romano Monterovere, socio amministratore dell'Azienda che stava realizzando il progetto del Canale Emiliano Romagnolo, destinato a spezzare in due il Feudo Orsini-Ricci-Spreti-Zanetti, con requisizioni previo equo indennizzo.
Ettore Ricci aveva incontrato di persona Romano Monterovere prima di sapere che i loro figli si fossero innamorati.
L'incontro tra i due futuri consuoceri era terminato quasi in una rissa.
Per tutto il tempo non avevano fatto altro che disputare una sorta di braccio di ferro sulle loro reciproche amicizie politiche in alto loco.
Ettore Ricci aveva citato suo nipote il Senatore Leandri, democristiano, oltre che il solito cognato giudice Papisco, e il figlio di lui, Goffredo, direttore della Bancaccia, e naturalmente l'immancabile Signorina De Toschi, oramai in quota andreottiana.
Si trattava di pezzi grossi, senza dubbio, ma non sufficienti per spaventare la famiglia Monterovere.
Romano Monterovere aveva nominato in primis suo fratello Tommaso, dirigente comunista e assessore alle opere pubbliche della Regione Emilia-Romagna, e in secundis suo cognato Mario Lanni, avvocato socialista e assessore alle infrastrutture del comune di Ravenna.
Ma la più ostile di tutti fu la zia di Francesco.
Anita Monterovere, che aveva sperato che il nipote sposasse una sua giovane collega insegnante elementare, si sentì tradita e defraudata, soprattutto quando venne a sapere che la prescelta di Francesco era considerata un'ereditiera.
Evitò accuse dirette, ma si capiva lontano un miglio che si era messa in testa l'idea che suo nipote stesse tentando una scalata sociale.
I fratelli di Francesco e le sorelle di Silvia si mantennero inizialmente neutrali, per quanto tutti loro, facendo inconsciamente conto sull'idea che il primo rimanesse scapolo e la seconda nubile, incominciarono a rimpiangere tutta quella parte di eredità che avrebbe preso la via per Forlì.
Unici parenti favorevoli da parte di Francesco erano sua nonna Eleonora, la sorella di lei Athina e il marito di quest'ultima, il pro-pro-zio Carlo Bassi-Pallai, un vecchio quasi centenario che aveva commentato senza mezzi termini :
<<Questa Silvia ha proprio un bel sedere a mandolino!>>
Da parte di lei la situazione era più complessa, ma c'erano comunque degli alleati di rilievo.
La madre Diana e la nonna Emilia avevano dato la loro approvazione e il loro sostegno.
In tutta questa faida tra il clan Monterovere e il clan Ricci-Orsini, Francesco e Silvia si ritrovarono ad essere, proprio in un periodo di grandi conquiste sociali e civili come gli Anni Settanta, a vivere una situazione simile a quella di Giulietta e Romeo.
Fortunatamente per loro, le cose andarono a finire meglio rispetto ai due personaggi shakespeariani.